Consiglio di Stato Sez. IV n. 3251 del 15 aprile 2025
Rifiuti.Inquinamento e obblighi di bonifica

L’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti si basa sul criterio del “più probabile che non”, ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell’addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento.

Pubblicato il 15/04/2025

N. 03251/2025REG.PROV.COLL.

N. 02706/2023 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2706 del 2023, proposto dalla società Italgas Reti s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Maria Cristina Breida, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

l’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell'Emilia Romagna – Arpae, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Chiara Lista, Franco Mastragostino, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

della società Hera s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Alessandro Lolli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
del Comune di Ferrara, dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Ferrara, non costituite in giudizio.

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. 01025/2022, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia regionale per la prevenzione, l’ambiente e l’energia dell'Emilia Romagna – Arpae e di Hera s.p.a.

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 6 febbraio 2025 la consigliera Silvia Martino;

Uditi gli avvocati Cristina Carpani (su delega dell’avvocato Franco Mastragostino), Irene Sigismondi (su delega dell’avvocato Alessandro Lolli) e Maria Cristina Breida.

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso di primo grado l’odierna appellante esponeva di aver gestito sino al 1964 il sito di proprietà comunale, Area ex Amga, ubicato a Ferrara in via Bologna nn. 13, 15, 17, svolgendo attività di produzione di gas combustibile.

Segnatamente l’impianto è stato dapprima di proprietà della Società Italiana per il Gas (oggi Italgas Reti s.p.a.) ed è stato poi acquistato, nel 1964, dal Comune di Ferrara al fine di destinarlo alla neocostituita Azienda municipalizzata Gas Acqua (Amga), successivamente trasformatasi in Agea, e, da ultimo, confluita in Hera s.p.a., la quale ha utilizzato il Sito sino al 2001.

Nel 2014 il Comune di Ferrara effettuava indagini preliminari per la bonifica e messa in sicurezza dell’area oramai abbandonata, ravvisando la presenza di vasche contenenti “catramina”, una sostanza vischiosa e impermeabilizzante, derivante dalla lavorazione del gas, considerata fortemente inquinante per l’ambiente.

Con successiva nota del 16 marzo 2016, il Comune di Ferrara trasmetteva - nella veste di soggetto non responsabile, proprietario dell’area - la comunicazione di potenziale contaminazione del Sito ai sensi dell'art. 245 del d.lgs. 152/2006 informando, altresì, della prossima esecuzione delle opere necessarie alla messa in sicurezza dell’area medesima (coincidenti con l’asportazione del volume di liquido presente nelle vasche sotterranee, nel suo conferimento presso impianti autorizzati al trattamento rifiuti, nella pulizia, riempimento e copertura delle vasche con finitura in asfalto).

Si svolgeva poi la Conferenza di Servizi tra Comune, Agenzia regionale per la prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia Romagna e l’AUSL che si concludeva con la sospensione della valutazione dell’analisi di rischio per la necessità di ulteriori indagini connesse anche all’estensione del Sito ed al tempo trascorso.

In data 1° settembre 2021 l’Arpae avviava il procedimento amministrativo ai sensi dell’art. 245, comma 2, del d.lgs. 152/2006, per l’identificazione del soggetto responsabile della potenziale contaminazione, indirizzando tale comunicazione a Snam s.p.a. (sul presupposto che la stessa fosse “relazionata alla Società Italiana per il Gas e ad Italgas”) Hera S.p.a. e Comune di Ferrara, invitando tali società a presentare eventuali memorie.

Con successiva nota del 7 dicembre 2021 Arpae SAC di Ferrara, dopo aver evidenziato che l’attività svolta sull’area oggetto di indagine “dall’allora proprietario dell’immobile presente in sito, Società Italiana per il Gas (poi Italgas, società di SNAM), protrattasi fino al 1964, consisteva nella produzione di gas combustibile tramite processo di distillazione del carbone”, e che “alla cessazione di detta attività, conseguente con molte probabilità all’avvento della metanizzazione, ha fatto seguito una alternanza in sito di varie Aziende municipalizzate, e precisamente prima AMGA, poi AGEA, quest’ultima confluita in Hera, la quale ha utilizzato il sito fino al 2001”, indicava ai destinatari (Hera, Snam, Comune di Ferrara e AUSL) l’ulteriore termine per la presentazione di osservazioni e/o memorie di controdeduzione.

All’esito del procedimento Arpae, con provvedimento del 2 febbraio 2022, ha individuato quale responsabile della predetta contaminazione la Società Italiana per il Gas, oggi Italgas Reti S.p.a., “in quanto soggetto che ha gestito l’area in esame fino all’avvento della metanizzazione, svolgendo attività di produzione di gas combustibile e relativi residui di processo per la quale si è accertato il nesso di causalità tra detta attività e la contaminazione rilevata”, diffidando la stessa ad intervenire ai sensi dell’art. 242 d.lgs. 152/2006.

1.2. Con il ricorso di primo grado avverso siffatto provvedimento, la società odierna appellante ha dedotto tre mezzi di gravame (da pag. 5 a pag. 25).

2. Con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa il T.a.r. ha respinto il ricorso e compensato tra le parti le spese di lite.

3. L’appello della società, rimasta soccombente, è affidato ai seguenti motivi:

I. Impugnazione del capo della sentenza appellata che ha respinto il primo motivo di ricorso (Violazione e falsa applicazione dell’art. 239 e ss. del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Violazione del principio “chi inquina paga”. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare sotto il profilo della carenza di istruttoria e di motivazione e della illogicità e contraddittorietà manifeste).

La società appellante ritiene di avere analiticamente illustrato nel giudizio di primo grado gli elementi probatori idonei a identificare i soggetti ai quali imputare, quantomeno in via solidale con l’appellante, la potenziale contaminazione dell’area.

In primo luogo, la società ha prodotto l’atto di cessione del Sito, stipulato con ili Comune di Ferrara in data 2 marzo 1964, con efficacia a decorrere dal 31 marzo 1964 (doc. 4, già doc. 2 primo grado).

Da tale atto si evince che nel marzo del 1964 la società ha ceduto all’Amministrazione comunale non solo i terreni siti in via Bologna, bensì anche tutte le attrezzature produttive ivi presenti, compresi i gasometri e le vasche contenenti catramina.

La ricorrente ha dato dunque dimostrazione per via documentale sia dei soggetti subentrati nell’esercizio dell’attività industriale di produzione del gas (Amga –Agea, poi confluite in Hera per effetto di fusione per incorporazione) sia del passaggio di proprietà degli impianti e delle vasche contenenti catramina (alle quali la Determina impugnata correla la responsabilità per la contaminazione) ad Amga – Agea ed oggi Hera.

L’appellante sottolinea ancora che il Comune di Ferrara, al momento dell’acquisto dell’area e delle attrezzature produttive ivi presenti, incluse le vasche di stoccaggio della catramina, non ha formulato alcuna contestazione in merito allo stato di conservazione delle strutture bensì ha “accettato [gli immobili] nello stato di fatto in cui si trovano posseduti dalla Società” (cfr. p. 7, punto 1, atto di cessione sub doc. 4, già doc. 2 primo grado).

Da ciò potrebbe desumersi l’insussistenza di criticità nello stato di conservazione delle vasche e l’assunzione piena di responsabilità in merito alla loro corretta gestione e manutenzione da parte del Comune di Ferrara e di Amga.

Dall’esame della visura storica di Amga – Agea s.p.a. (doc. 8, già doc. 4 primo grado) emergerebbe poi come la suddetta società abbia esercitato sull’area, a partire dall’1 aprile 1964, proprio l’attività di “distribuzione combustibili gassosi a mezzo rete di tubazioni”, identificata dal codice ATECO 35.2, che individua le attività di “produzione di gas; distribuzione di combustibili gassosi mediante condotte” (cfr. p. 1 doc. 8, sezione “Attività”, nonché la descrizione dell’oggetto sociale a pagina 3 del predetto documento).

Vi sarebbero quindi chiari riscontri probatori attestanti lo svolgimento, ad opera delle società subentrate alla appellante, dell’attività industriale di produzione del gas, a fronte dei quali alcun elemento probatorio contrario sarebbe stato offerto né da Arpae né dalla stessa Hera.

L’appellante ha inoltre prodotto un’articolata relazione tecnica, redatta dalla società di consulenza N.C.E. s.r.l. (cfr. doc. 5. già doc. 3, primo grado), contenente la ricostruzione della storia industriale del sito nonché delle profonde trasformazioni apportate alle aree dopo il 1964, tali da determinare impatti significativi sull’ambiente.

L’appellante evidenzia poi che tra gli atti acquisiti in sede di accesso vi è la nota Arpae del 07.12.2021, sottoscritta dalla medesima dirigente che ha adottato la Determina oggetto di impugnazione, dalla quale è emerso come la stessa Agenzia, nel corso del procedimento di individuazione del responsabile, abbia prospettato la corresponsabilità di Italgas Reti e Amga – Agea (oggi Hera).

Nella “relazione tecnica del Servizio Territoriale PG/2021/183341 del 29/11/2021” (doc. 9, già doc. 8 ricorso T.a.r.), era stato altresì prospettato “che gli inquinanti rilevati nel sito di cui all’oggetto siano da attribuire all’attività che ha utilizzato il gasometro”.

Non sarebbe quindi dato di comprendere come Arpae, sulla scorta dei medesimi dati istruttori, abbia in un primo momento escluso la possibilità di individuare un soggetto preciso al quale ascrivere la contaminazione, salvo successivamente contraddirsi attribuendo alla sola Italgas Reti la responsabilità per gli inquinanti rinvenuti.

Il T.a.r. avrebbe quindi ignorato la circostanza, invero decisiva, del ruolo attivo nella causazione della contaminazione di “Amga e Agea, riconducibili all’attuale Hera s.p.a.”, riconosciuto dalla stessa dirigente dell’Agenzia che ha sottoscritto la Determina Impugnata solo due mesi prima della sua adozione, a pag. 4 della nota prot. n. PG/2021/0187985 del 07.12.2021 (doc. 6, già doc. 6 ricorso T.a.r.).

Analogamente, il primo giudice avrebbe omesso di considerare le risultanze dell’atto di cessione dell’area e degli impianti, nonché le stesse dichiarazioni, aventi valenza di riconoscimento espresso ricavabili dalla visura storica di tale società (doc. 8, già doc. 4, primo grado), da cui risulta come Amga – Agea abbia esercitato sull’area, a partire dal 01.04.1964, proprio l’attività “produzione di gas” e di “distribuzione di combustibili gassosi mediante condotte”.

Alcun rilievo è stato attribuito alla relazione della società NCE s.r.l.

Secondo l’Agenzia, la sorgente primaria della potenziale contaminazione dell’area sarebbe stata la catramina rinvenuta nel 2009 nelle cisterne interrate presenti nel Sito.

Essa avrebbe tuttavia del tutto omesso qualsiasi approfondimento istruttorio in merito alla gestione ed allo stato di conservazione delle predette vasche nel periodo durante il quale queste ultime sono state nella disponibilità di Amga – Agea, prima (oggi Hera), e del Comune di Ferrara dopo, nonché sull’incidenza che i significativi interventi di trasformazione delle aree in questione hanno avuto.

L’Agenzia avrebbe quindi apoditticamente attribuito alla società la responsabilità esclusiva della potenziale contaminazione del Sito sull’assunto indimostrato che le perdite di prodotto dalle vasche sarebbero avvenute prima del 1964.

Tale valutazione sarebbe altresì palesemente contraddittoria rispetto a quanto affermato dallo stesso Ente nella medesima determina circa il fatto che i catrami “furono utilizzati probabilmente anche successivamente al 1964 per rivestire con fasce catramate le tubazioni di trasporto del gas in città” (cfr. p. 5 doc. 3, già doc. 1 primo grado) nonché con quanto rilevato dalla stessa Agenzia nella nota del 07.12.2021 laddove aveva chiaramente prospettato la corresponsabilità anche di Amga – Agea e dunque di Hera.

Tali circostanze avrebbero imposto un adeguato approfondimento istruttorio, pretermesso dall’Ente.

Non sarebbero poi stati forniti adeguati elementi di prova circa il fatto che all’epoca della cessione fosse già stata completata la metanizzazione ovvero l’utilizzo del gas metano quale elemento pronto all’utilizzo mediante immissione in rete, a discapito dell’utilizzo del gas direttamente prodotto.

Anche dall’analisi di Rischio trasmessa dal Comune di Ferrara in data 28.10.2021 (doc. 7, già doc. 7 primo grado), emergerebbero elementi tecnici idonei a ulteriormente dimostrare l’illegittimità dell’individuazione di Italgas Reti quale unico responsabile della potenziale contaminazione.

Alle pagine 34-35 dell’ADR, il Comune di Ferrara afferma che “le carte, elaborate con il software Surfer®, riportano le quote freatimetriche in riferimento alla quota assoluta in m s.l.m. e mostrano una situazione in cui in corrispondenza dei piezometri PZAMGA03 e PZAMGA10 si ha un alto piezometrico, che pone questi due piezometri in condizione alimentante rispetto all’area indagata. Le direzioni di flusso sono pertanto divergenti dai due piezometri 3 e 10 e orientate verso il perimetro dell’area e verso l’adiacente via Bologna. Dai risultati di laboratorio inoltre emerge che i livelli maggiori di contaminazione si hanno proprio in corrispondenza di questi due punti e questo spiegherebbe la propagazione generalizzata del contaminante. Anche il rilievo freatimetrico eseguito a Marzo 2020 riporta la stessa situazione seppur con piccole variazioni locali del livello piezometrico”.

La contaminazione relativa alle acque sotterranee, secondo la ricostruzione della stessa Amministrazione comunale, avrebbe origine dalle aree in cui sono stati installati i piezometri 3 e 10 (Cfr. Figura 3.8, p. 35, ADR).

Questi ultimi, tuttavia, non si trovano in corrispondenza dell’ubicazione delle vasche interrate contenenti catramina rinvenute nel corso del 2009 (cfr. Figura3.3, p. 20, ADR), la cui presenza è stata attribuita ad Italgas Reti.

Nonostante le risultanze emerse nel procedimento di bonifica abbiano accertato uno stato di contaminazione diffuso e l’assenza di un modello concettuale del Sito definitivo, Arpae non ha effettuato alcun approfondimento istruttorio sul periodo successivo al 1964.

Parimenti meritevole di riforma sarebbe la sentenza appellata nella parte in cui evoca presunti limiti di sindacabilità del giudice amministrativo in relazione alla Determina Impugnata, attesa la sua “natura di apprezzamento discrezionale tecnico” (cfr. p. 8 Sentenza Appellata), poiché, secondo l’appellante, sarebbe mancata, a monte, una compiuta attività istruttoria.

II. Impugnazione del capo della sentenza appellata che ha respinto il secondo motivo di ricorso (Violazione e falsa applicazione degli articoli 3, 7 e 10 della l. n. 241/90. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche ed in particolare sotto il profilo del travisamento dei fatti e della carenza di istruttoria e di motivazione).

La società ha rappresentato ai giudici di prime cure come tutte le comunicazioni relative al procedimento di individuazione del responsabile della contaminazione, salvo il provvedimento conclusivo, non siano state trasmesse ad Italgas Reti, bensì a Snam s.p.a., ciò sulla scorta dell’assunto, rivelatosi erroneo (cfr. nota Snam S.p.a. 03.01.2022, sub doc. 11, già doc. 9, primo grado.), della presunta appartenenza di Italgas Reti al gruppo Snam.

Il T.a.r., al contrario, ha valorizzato il fatto che, per il tramite dell’istanza di accesso agli atti presentata da NCE s.r.l. in data 16.09.2021, la società avrebbe comunque “aliunde” ricevuto contezza della pendenza del procedimento poi concluso con l’adozione del provvedimento impugnato.

La trasmissione della comunicazione di avvio del procedimento all’odierna appellante avrebbe consentito ad Arpae di acquisire elementi decisivi per l’individuazione del responsabile della potenziale contaminazione, tra i quali il contratto di cessione del Sito da Italgas Reti al Comune di Ferrara.

Né potrebbe rilevare l’istanza di accesso agli atti presentata da NCE s.r.l. con riferimento al procedimento di bonifica avviato dal Comune di Ferrara nel 2016.

Come ammesso dagli stessi giudici di prime cure, è “innegabile la formale distinzione tra il procedimento di potenziale contaminazione e quello di individuazione del responsabile” (cfr. p. 10 della sentenza appellata).

III. Impugnazione del capo della sentenza appellata che ha respinto il terzo motivo di ricorso (Violazione e falsa applicazione dell’art. 97 della Costituzione. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2-bis della l. n. 241/90).

Il Comune di Ferrara ha atteso oltre sette anni prima di trasmettere la comunicazione prevista dall’art. 245 del Codice dell’ambiente, atteso che la scoperta della presenza di vasche interrate contenenti catramina nel Sito è avvenuta nel gennaio del 2009 - come si evince dall’esame dell’ADR trasmessa dal Comune di Ferrara in data 28.10.2021 - ed un siffatto lasso temporale appare inconciliabile con i principi di buon andamento della pubblica amministrazione e con gli obblighi di collaborazione e buona fede contenuti all’art. 1, comma 2-bis, l. n. 241/1990, anche tenuto conto del fatto che Italgas Reti avrebbe dovuto certamente essere coinvolta nell’esecuzione degli accertamenti tecnici non ripetibili svolti presso le vasche interrate contenenti catramina tra il 2009 e il 2016.

Secondo l’appellante sarebbe evidente la contraddizione nella quale sono incorsi i giudici di prime cure in quanto, per un verso, con riferimento al capo della sentenza che ha respinto il secondo motivo di ricorso, hanno affermato che il procedimento di bonifica sarebbe connesso e “preordinato” a quello di individuazione del responsabile, per altro verso, nel respingere il terzo motivo di ricorso di Italgas Reti, hanno affermato che l’art. 245 non indica “alcun termine, né precisa alcuno specifico adempimento ai fini dell’attivazione della ricerca del responsabile della contaminazione”.

Ad ogni buon conto la celerità dell’avvio del procedimento di individuazione del responsabile è insita nella ratio di tale istituto.

4. Si sono costituiti per resistere Hera s.p.a. e Arpae.

5. Le parti hanno depositato memorie conclusionali e di replica, in vista della pubblica udienza del 6 febbraio 2025 alla quale l’appello è stato trattenuto per la decisione.

6. Occorre sinteticamente ricordare che l’accertamento del nesso fra una determinata presunta causa di inquinamento ed i relativi effetti si basa sul criterio del “più probabile che non”, ovvero richiede che il nesso eziologico ipotizzato dall’autorità competente sia più probabile della sua negazione (in questo senso la costante giurisprudenza, per tutte Cons. Stato, Ad. plen. n. 10 del 2019).

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nell’interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell’addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l’inquinamento prodotto), ha fornito una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell’inquinamento.

Per poter presumere l’esistenza di un siffatto nesso di causalità “l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all'inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività. Quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all’art. 4, n. 5, della direttiva 2004/35, un’ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d’applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione” (Corte giust. UE, 4 marzo 2015, in causa C- 534/13; cfr. anche, in precedenza, la decisione del 9 marzo 2010, in causa C – 378/08).

La prova può quindi essere data “in via diretta o indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale può avvalersi anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 c.c.” (Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885).

Il soggetto individuato come responsabile, inoltre, “non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi” ma deve “provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento” (Cons. St., sez. IV, sentenza n. 5668 del 2017, cit..).

6.1. Per quanto qui interessa, va anche ricordato che, in materia di bonifiche vige il criterio generale della responsabilità solidale, fermo restando che “in tutti i casi in cui non è possibile riconoscere gli effetti delle singole condotte causative del pregiudizio all’ambiente, non si devono identificare singole azioni di bonifica e la responsabilità di tali adempimenti è solidale” (Cons. Stato, Sezione IV, 7 gennaio 2021, n. 172; id. 7592 del 2024).

7. Ciò posto, nel caso in esame, il Collegio reputa che il provvedimento impugnato in primo grado sia affetto da difetto di istruttoria nella parte in cui ha individuato l’appellante quale responsabile esclusivo della contaminazione del Sito di cui trattasi, senza svolgere un adeguato approfondimento in ordine all’attività svolta dai soggetti subentrati nella gestione del Sito medesimo a partire dal 1964.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

8. Va premesso che la società appellante non ha addotto alcun elemento idoneo a confutare, per quanto la riguarda, l’ipotesi eziologica formulata da Arpae in quanto:

- il sito è stato gestito fino al 1964 dalla Società Italiana per il Gas;

- la tipologia di inquinamento riscontrata nei terreni è costituita da BTEXS, IPA, idrocarburi leggeri e pesanti, alcuni metalli, mentre la tipologia di inquinamento riscontrata nelle acque sotterranee è rappresentata da BTEXS, IPA, idrocarburi totali come n-esano, alcuni alifatici clorurati cancerogeni. I suddetti contaminanti contraddistinguono i residui del processo di produzione di gas combustibile e sono, in particolare, presenti nei catrami (catramina rinvenuta nelle cisterne presenti in sito);

- la società non ha indicato una concreta, determinata e verosimile causalità alternativa idonea ad escludere la richiama correlazione con l’attività di produzione di gas da essa svolta nel Sito fino al 1964.

Il criterio di imputazione è quello proprio della responsabilità oggettiva, sicché l’obbligo di bonifica spetta al soggetto a prescindere dalla sua colpevolezza e solo sulla base dell’esistenza del nesso causale tra condotta e danno (in tal senso, cfr. l’art. 239, comma 1, del Codice dell’ambiente che richiama, anche in questo ambito, il principio “chi inquina paga”).

Nel caso in esame, tenuto conto degli elementi acquisiti, la prova del nesso causale tra l’attività svolta dalla società appellante e l’inquinamento riscontrato risulta conforme al canone probatorio del “più probabile che non”, proprio del danno ambientale.

9. Pur non essendovi dubbio sulla responsabilità dell’appellante, secondo i principi vigenti in materia, l’Agenzia intimata non ha tuttavia effettuato sufficienti approfondimenti in merito alla gestione del Sito in epoca successiva al trasferimento della proprietà del terreno e di tutte le infrastrutture ivi presenti.

Allo stesso modo, non sono stati condotti specifici accertamenti in merito agli interventi eseguiti dagli operatori che si sono succeduti e alle modalità da questi eventualmente adottate per contenere il rischio di dispersione di sostanze inquinanti nell’ambiente.

La posizione di tali operatori (Comune, Aziende municipalizzate, etc.) non può infatti essere assimilata sic et simpliciter a quella del proprietario non responsabile, poiché con l’atto di cessione stipulato dalla Società Italiana per il gas con il Comune di Ferrara sono state trasferite anche tutte le attrezzature produttive presenti nel Sito (tra cui il gasometro e le cisterne interrate), ovvero quegli elementi dai quali nel corso degli anni sono defluite le sostanze che hanno contaminato il Sito.

Inoltre, al fine di accertare se le Aziende municipalizzate si fossero effettivamente limitate ad esercitare la sola attività di distribuzione del gas, in assenza di elementi dirimenti derivanti dall’esame dello Statuto e degli atti costitutivi, sarebbe stato utile acquisire la documentazione relativa ai rispettivi processi produttivi, chiarendo ad esempio da quale fonte, nel periodo immediatamente successivo all’accordo di cessione, provenisse il gas oggetto di immissione nella rete.

Non risulta inoltre acquisito da Arpae alcun documento utile a dimostrare che, nell’ambito del Comune di Ferrara, la c.d. metanizzazione fosse già stata completata nel 1964.

Al riguardo, non può infatti considerarsi dirimente l’articolo intitolato “Le Officine del Gas di città: caratteristiche, bonifica e opportunità di riutilizzo” – depositato da Arpae sub doc. 23 nel giudizio di primo grado – poiché in esso si attesta soltanto che “la produzione tramite distillazione del carbone è cessata alla fine degli anni 60, quando si passò a produrre gas attraverso cracking e reforming catalitico di derivati leggeri del petrolio”.

9.1. È poi la stessa Agenzia ad affermare nel provvedimento impugnato che le Aziende municipalizzate succedute alla ricorrente in ragione del periodo storico del loro insediamento (coincidente con l’avvento della metanizzazione), avrebbero utilizzato la catramina già presente in loco per rivestire, alla luce delle note proprietà impermeabilizzanti di questa sostanza, le tubature di trasporto del gas in città.

Non è chiaro allora perché non sia stato approfondito se tali prassi potesse eventualmente implicare lavorazioni e/o procedure operative idonee a costituire, a loro volta, una potenziale fonte di contaminazione.

9.2. Il primo giudice, al riguardo, ha affermato categoricamente che “La circostanza verificata dall’Arpae del possibile utilizzo della cartamina anche da parte di quest’ultime al fine di rivestire le tubature di trasporto del gas in città non appare infatti di per sé decisiva e soprattutto non inficia la responsabilità di Italgas s.p.a. mentre mancano elementi di prova al fine di sostenere dopo il passaggio di proprietà la continuazione dell’attività di produzione del gas”.

Tuttavia, il T.a.r. non ha considerato che le relative deduzioni sono state svolte dalla ricorrente non per escludere la propria responsabilità, quanto per sostenere la concorrenza della responsabilità degli altri operatori che, a partire dal 1964, hanno gestito il Sito.

In tale ottica, Arpae avrebbe dovuto condurre specifici accertamenti in merito ai processi produttivi degli operatori subentranti e all’eventuale utilizzo delle attrezzature e infrastrutture che – come documentato dall’appellante – hanno pure esse formato oggetto di cessione.

Ammesso poi che gli operatori subentranti non abbiano più svolto l’attività di produzione del gas, né abbiano in alcun modo utilizzato la catramina nel proprio ciclo di impresa, avrebbe dovuto essere verificato se – tra il 1964 e il 2016 - vi fosse stata una corretta gestione di tale materiale, secondo le discipline via via succedutesi nel tempo (cfr., per una vicenda analoga, Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 7592 del 2024).

10. È poi fondato anche il vizio di violazione delle garanzie procedimentali, dedotto con il secondo motivo del ricorso di primo grado.

È infatti incontestato che – nell’ambito del procedimento di individuazione del responsabile della contaminazione ai sensi dell’art. 245 del d.lgs. n. 152 del 2006 - tutte le comunicazioni siano state inviate a Snam s.p.a. la quale ha però fatte sapere che “la Società Italiana per il Gas e Italgas S.p.A., nel periodo temporale di interesse (ossia “…fino al 1964” [...]) non appartenevano al Gruppo Snam, e non vi appartengono attualmente”, chiarendo perciò di ritenere di non essere coinvolta, “a nessun titolo, nell’ambito del procedimento avvito dal Comune di Ferrara”.

Vero è che la società appellante ha fatto autonomamente accesso agli atti del parallelo procedimento di bonifica (tramite la società N.C.E. s.r.l.) in data 16 settembre 2021.

Quest’ultimo è tuttavia un procedimento che, sebbene connesso al primo, è da questo separato e distinto.

Nel caso in esame, ciò è reso evidente dal fatto che il procedimento di bonifica è stato avviato nel 2016, mentre quello relativo all’individuazione del responsabile della contaminazione è stato avviato nel 2021.

Pertanto, la conoscenza della pendenza dell’uno non può supplire – perlomeno in assenza di ulteriori, univoci elementi di prova - alla mancata comunicazione dell’avvio dell’altro.

In sostanza, nel caso in esame non vi è prova del fatto che la società appellante abbia concretamente avuto la possibilità di interloquire nel procedimento sfociato nella determina impugnata.

11. In definitiva, per quanto sopra argomentato, assorbita ogni altra censura, l’appello merita accoglimento nei sensi di cui motivazione.

Per l’effetto, il ricorso di primo grado deve essere accolto, con il conseguente annullamento, per quanto di ragione e nei limiti di cui in motivazione, della determina dirigenziale impugnata.

12. La particolarità della vicenda induce tuttavia a compensare integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla, per quanto di ragione e nei limiti di cui in motivazione, il provvedimento impugnato.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Lopilato, Presidente FF

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Emanuela Loria, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere