Consiglio di Stato Sez. IV n. 7619 del 16 novembre 2021
Beni ambientali.Rapporti tra leggi statali e leggi regionali in materia paesaggistica

La conservazione dell’ambiente e del paesaggio è materia di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera s), Cost., con la conseguenza che il legislatore statale conserva in questa materia il potere di vincolare la potestà legislativa regionale, anche primaria, al rispetto delle norme statali qualificate come riforme economico sociali, e fra esse le disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano la gestione dei beni soggetti a tutela. Pertanto, il legislatore regionale non può introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale e in particolare non può disciplinare in modo difforme dalla legge statale i presupposti ed il procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica


Pubblicato il 16/11/2021

N. 07619/2021REG.PROV.COLL.

N. 00206/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 206 del 2015, proposto dalla società Alpina Immobiliare S.I.CO. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Barel e Diego Signor, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Manzi in Roma, via Alberico II, 33,

contro

- il Ministero per i beni e le attività culturali e la Soprintendenza per i beni architettonici ed il paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
- il Comune di Asiago, non costituito in giudizio;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:
della società Agricola Asiaghese s.s., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Bruno Barel e Diego Signor, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Andrea Manzi in Roma, via Alberico II, 33,

per l’annullamento ovvero la riforma

della sentenza del T.A.R. Veneto, sez. II, 9 maggio 2014 n. 587, che ha respinto il ricorso n. 1003/2010 R.G. proposto per l’annullamento dei seguenti atti, relativi al progetto di piano di lottizzazione “Area Z — Trasformazione per servizi” presentato dalla ricorrente Alpina Immobiliare SICO S.p.a. il giorno 22 gennaio 2008, emessi dal Ministero per i beni e le attività culturali —Soprintendenza per i beni architettonici e il paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, e precisamente:

a) dell’atto 4 marzo 2010, prot. n. 4548, comunicato alla ricorrente il giorno 10 marzo 2010 contenente il parere negativo sul progetto, vincolante ai sensi dell’art. 146, comma 5, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42;

b) dell’atto 24 aprile 2010, prot. n. 9310, di conferma del parere negativo già emesso con l’atto precedente;

e dei seguenti ulteriori atti, emessi dal Comune di Asiago

c) dell’atto di trasmissione degli atti di istruttoria alla Soprintendenza, ai fini del rilascio di provvedimento di autorizzazione paesaggistica;

d) del provvedimento 30 aprile 2010, prot. n. 5521, di diniego dell’autorizzazione paesaggistica;

e comunque di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, e in particolare:

e) delle note del Comune di Asiago 30 aprile 2010, prot. 5522, e 5 marzo 2010, prot. 2929.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni suindicate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 30 settembre 2021, il Cons. Francesco Gambato Spisani e viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La ricorrente appellante è una società immobiliare, comproprietaria di un terreno ad Asiago, distinto al catasto di quel Comune al foglio 64, mappali 84, 85, 1368, 87, 88, 206, 210, 1305, 171 e 882 e classificato dallo strumento urbanistico generale vigente all’epoca dei fatti come area Z- di trasformazione per servizi, edificabile previa approvazione di un piano urbanistico attuativo- PUA ai sensi dell’art. 40 delle norme tecniche di attuazione – NTA del piano generale.

2. Più precisamente, l’area era destinata a parco pubblico, parco attrezzato per il gioco dei bambini e impianti sportivi, con un vincolo preordinato all’esproprio; era però previsto, a titolo di incentivo, che ai privati i quali avessero ceduto gratuitamente al Comune le aree destinate ai servizi fosse riconosciuta la possibilità di realizzare alcuni edifici residenziali, da situare in un punto già previsto dal piano urbanistico generale, ovvero a 100 metri di distanza da un canale artificiale che scorre da nord verso sud lungo il confine est dell’ambito. Il sito in questione si veniva così a trovare nella fascia di 150 metri dal corso d’acqua in questione, fascia vincolata ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera c), del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, che in generale prevede la necessità per edificare di seguire il relativo regime di tutela e di ottenere quindi l’autorizzazione paesaggistica (fatti pacifici in causa; cfr. comunque per tutto ciò doc. 5 in primo grado del ricorrente appellante, titolo di proprietà; doc. 6 e 7 in primo grado del ricorrente, piano urbanistico ed estratto NTA).

3. Di conseguenza, la società il giorno 22 gennaio 2008 ha presentato al Comune, assieme agli altri comproprietari, una proposta di PUA (doc. 8 in primo grado del ricorrente appellante).

4. Su questa proposta, il Comune, con atto 17 dicembre 2009, prot. n.17100 (doc. 15 in primo grado del ricorrente appellante) ha espresso un parere favorevole con prescrizioni.

5. Il Comune stesso, peraltro, ricevute dalla società le integrazioni istruttorie necessarie per adeguarsi alle prescrizioni stesse, ha ritenuto, dandone atto nella nota predetta, di inviare il progetto di piano attuativo alla competente Soprintendenza, in applicazione dell’art. 16, comma 3, della l. 17 agosto 1942, n. 1150, per cui “I piani particolareggiati nei quali siano comprese cose immobili soggette alla legge 1 giugno 1939, n. 1089, sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico, e alla legge 29 giugno 1939, n. 1497, sulla protezione delle bellezze naturali, sono preventivamente sottoposte alla competente soprintendenza ovvero al Ministero della pubblica istruzione quando sono approvati con decreto del Ministro per i lavori pubblici”.

6. La Soprintendenza, con l’atto 4 marzo 2010, prot. n. 4548, indicato in epigrafe, ha espresso un parere negativo (doc. 1 in primo grado del ricorrente appellante), confermato con il successivo atto 24 aprile 2010, prot. n. 9310, pure indicato in epigrafe, anche dopo che la società aveva chiesto di rivederlo (doc. 3 in primo grado del ricorrente appellante). Il Comune, pertanto, con il provvedimento 30 aprile 2010, prot. n. 5521 a sua volta indicato in epigrafe (doc. 4 in primo grado del ricorrente appellante), ha negato la necessaria autorizzazione paesaggistica, con il risultato di bloccare il progetto.

7. Con la sentenza ancora indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso della società contro questi atti, ritenendoli legittimamente emanati.

8. Contro questa sentenza, la società ha proposto impugnazione, con appello che contiene cinque motivi, di critica alla sentenza impugnata e di riproposizione dei motivi di primo grado, così come segue.

8.1. Con il primo di essi, deduce violazione degli artt. 19 e 20 della l.r. Veneto 23 aprile 2004, n.11, con riferimento alla decisione del Comune di sottoporre il progetto di piano al parere della Soprintendenza. Sostiene infatti che l’art. 16, comma 3, della l. n. 1150/1942, al quale il Comune ha ritenuto di conformarsi, non sarebbe più in vigore, superato dalle norme citate della l.r. n. 11/2004, le quali nella procedura di approvazione dei piani attuativi non prevedono alcun parere della Soprintendenza. Sul punto, il giudice di primo grado è arrivato alla conclusione opposta, nel senso che pur nel silenzio della legge regionale il parere sarebbe dovuto, ritenendo l’art. 16 l. n. 1150/1942 una norma di tutela ambientale, ovvero una norma in materia soggetta alla competenza esclusiva dello Stato, non derogabile dalle Regioni in quanto volta, come ritenuto dalla Corte costituzionale, a garantire una tutela uniforme su tutto il territorio nazionale. Il giudice di primo grado, pertanto, ha interpretato il silenzio sul punto delle norme della l.r. n. 11/2004 come irrilevante sul punto, ed ha comunque ritenuto che, anche ritenendo l’art. 16 l. n. 1150/1942 non applicabile, il Comune avrebbe comunque potuto di propria iniziativa richiedere il parere in questione. Ad avviso della ricorrente appellante, quest’interpretazione non sarebbe corretta, per una serie di ragioni. In primo luogo, a suo dire, la norma dell’art. 16 l. n. 1150/1942 sarebbe superata dall’esercizio da parte della Regione della propria potestà legislativa in materia di governo del territorio, tenuto conto che la Soprintendenza è comunque tenuta a pronunciarsi sui singoli progetti edilizi ricompresi nel piano attuativo, per i quali l’autorizzazione paesaggistica va pacificamente chiesta e ottenuta. In secondo luogo, l’interpretazione seguita contrasterebbe con la lettera dell’art. 146 del d. lgs. n. 42/2004, per cui l’autorizzazione paesaggistica è prescritta per il rilascio del “permesso di costruire” ovvero degli “altri titoli legittimanti l'intervento”, che a dire della ricorrente appellante sarebbero solo titoli edilizi, e non urbanistici, come nella specie. Infine, la necessità di un’autorizzazione paesaggistica, che ha efficacia quinquennale ai sensi dell’art. 146, comma 4, d. lgs. n. 42/2004 contrasterebbe con la maggiore efficacia decennale dei piani attuativi stessi prevista dall’art. 16 della l. n. 1150/1942. Deduce infine che, se il parere fosse stato richiesto dal Comune pur in mancanza di una disposizione di legge, lo si sarebbe dovuto considerare non vincolante.

8.2. Con il secondo motivo, deduce violazione dell’art. 159 del d. lgs. n. 42/2004. Sostiene sul punto che il parere favorevole sul progetto di cui all’atto 17 dicembre 2009 del Comune di cui si è detto, sarebbe un’autorizzazione paesaggistica vera e propria, rilasciata prima del 31 dicembre 2009. Si sarebbe dovuto quindi, ammesso che l’autorizzazione paesaggistica fosse dovuta, applicare la disciplina transitoria di cui all’art. 159 d. lgs. n. 42/2004, con rilascio dell’autorizzazione stessa da parte del Comune e facoltà della Soprintendenza di annullarla, ma per soli motivi di legittimità, e non per valutazioni di merito quali sarebbero quelle compiute nel caso di specie.

8.3. Con il terzo motivo, deduce violazione dell’art. 146 d. lgs. n. 42/2004, e sostiene il vizio di motivazione del parere negativo della Soprintendenza, che a suo dire sarebbe inteso a valutare non tanto l’intervento, in tesi modesto e vicino al canale artificiale di cui si è detto, ovvero ad un bene di modesto pregio ambientale, quanto la scelta urbanistica di piano generale posta a monte. Sotto altro profilo, sottolinea la presunta illogicità di valutare in questa sede la tipologia degli edifici previsti, che sarebbe questione di rilievo edilizio e non urbanistico.

8.4. Con il quarto motivo, deduce violazione dell’art. 10 bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, perché a suo dire le osservazioni inviate al Comune dopo l’avvio del procedimento di diniego dell’autorizzazione paesaggistica non sarebbero state valutate. Il giudice di primo grado sul punto ha ritenuto che la Soprintendenza, nel decidere, le avesse comunque tenute presenti, e che comunque dal relativo esame si sarebbe potuto prescindere, ai sensi dell’art. 21 octies della l. n. 241/1990, perché l’esito finale non sarebbe cambiato. Ad avviso della ricorrente appellante, il vizio consisterebbe però nel non avere valutato in alcun modo queste osservazioni, anche se materialmente acquisite.

8.5. Con il quinto motivo, deduce infine violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 quanto alla conferma 24 aprile 2010 dell’originario parere negativo, conferma a suo dire non motivata

9. Si è costituito il solo Ministero appellato, con atto 13 febbraio 2015, in cui ha chiesto che l’appello sia respinto.

10. Con atto 30 giugno 2020, ha fatto intervento ad adiuvandum la società Agricola Asiaghese, la quale ha chiesto che l’appello sia accolto, qualificandosi (doc. 1 interveniente, atto di acquisto) acquirente dei terreni interessati dal progetto, e quindi successore a titolo particolare dell’appellante, ai sensi dell’art. 111 c.p.c.

11. Con le memorie 9 aprile e 30 luglio 2021, la ricorrente appellante si è riportata a quanto già dedotto nell’atto di appello.

12. Il Ministero ha reso esplicite le proprie difese con memoria 30 luglio 2021, nella quale difende le valutazioni della Soprintendenza.

13. Con repliche di identico contenuto 9 settembre 2021, la ricorrente appellante e l’interveniente hanno eccepito il tardivo deposito della memoria del Ministero, ed hanno insistito sulle loro tesi, sostenendo in particolare che il piano attuativo in questione non doveva ritenersi soggetto a parere della Soprintendenza.

14. Alla pubblica udienza del giorno 30 settembre 2021, la Sezione ha trattenuto il ricorso in decisione.

15. L’appello è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito esposte.

16. E’ infondato il primo motivo, centrato sulla presunta inapplicabilità dell’art. 16 della l. n. 1150/1942 ai piani particolareggiati come quello per cui è causa, per i quali l’autorizzazione paesaggistica non sia richiesta in modo espresso dalla legislazione regionale di riferimento.

16.1. In linea generale, come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, costante giurisprudenza della Corte costituzionale afferma che la conservazione dell’ambiente e del paesaggio è materia di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettera s), della Costituzione anche nelle Regioni a statuto speciale, e non solo in quelle a statuto ordinario come il Veneto. Di conseguenza, sempre in generale, il legislatore statale conserva in questa materia il potere di vincolare la potestà legislativa regionale, anche primaria, al rispetto delle norme statali qualificate come riforme economico sociali, e fra esse le disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano la gestione dei beni soggetti a tutela. Sempre la Corte ha in questo senso affermato per quanto qui interessa in via diretta, che il legislatore regionale non può “introdurre deroghe agli istituti di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio nazionale” e in particolare non può disciplinare in modo difforme dalla legge statale i presupposti ed il procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica: per tutte, da ultimo, sul punto C. cost. 22 luglio 2021, n. 160, da cui la citazione e ove ampi ulteriori richiami.

16.2. Ciò posto, in base alla nota regola per cui, nel dubbio, le norme vanno interpretate in senso conforme a Costituzione, il silenzio sul punto specifico della l.r. n. 11/2004 va interpretato, così come fatto dal giudice di primo grado, come privo di rilevanza, nel senso di lasciare intatta l’applicabilità della disciplina statale di cui al d. lgs. n. 42/2004. Di conseguenza, in base al combinato disposto dell’art. 16 della l. n. 1150/1942 e dell’art. 146 dello stesso d. lgs. n. 42/2004, per l’intervento per cui è causa è stata correttamente richiesta l’autorizzazione paesaggistica, su parere vincolante della Soprintendenza: in questo senso la giurisprudenza di questo Consiglio, in particolare sez. VI, 15 marzo 2010, n. 1491, e 5 febbraio 2010, n. 538. La giurisprudenza contraria citata dalla difesa della ricorrente appellante appare invece non esattamente pertinente, dato che si tratta di sentenze di primo grado che, ove appellate, sono state riformate nel senso appena detto.

16.3. L’argomento della ricorrente appellante, secondo il quale la valutazione di compatibilità paesaggistica andrebbe invece compiuta a valle, all’atto del rilascio dei singoli permessi di costruire, non va poi condiviso, sulla base di quanto condivisibilmente affermato dalla citata sentenza n. 1491/2010. In questo caso infatti, le valutazioni di compatibilità paesaggistica sono due distinte: la prima si compie a monte, riguarda il piano e quindi l’intervento nel suo complesso; la seconda si compie a valle, per ciascuno degli edifici previsti. Sempre secondo la sentenza n. 1491/2010, le due valutazioni citate si pongono come il generale rispetto al particolare, nel senso che la valutazione sul piano complessivo va a fissare i limiti entro i quali si può svolgere la valutazione dei singoli interventi.

16.4. Un ulteriore argomento nel senso appena sostenuto si ricava poi dalla lettera dell’art. 146, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004, che contrariamente a quanto sostiene la difesa della ricorrente appellante, prevede l’autorizzazione paesaggistica in genere per i “titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio”, locuzione che all’evidenza comprende anche un piano urbanistico attuativo. La durata quinquennale dell’autorizzazione, inferiore al termine di efficacia del piano attuativo, di regola pari a dieci anni, significa poi solamente che se entro i cinque anni l’intervento non fosse concluso, vi sarebbe l’onere di ottenere una nuova autorizzazione per completarlo.

16.5. Quanto sopra rende infine superfluo esaminare la questione relativa alla possibilità per il Comune di richiedere senza esservi obbligato il parere alla Soprintendenza per un dato intervento.

17. Il secondo motivo è infondato in fatto, come risulta a semplice lettura dell’atto 17 dicembre 2009 di cui si è detto (doc. 15 in primo grado del ricorrente appellante, cit.). L’atto in questione elenca una serie di condizioni ritenute necessarie per il rilascio del richiesto “permesso edilizio”, espressione impropria che designa, come si capisce dalla citazione della data e del protocollo della domanda, l’originaria proposta di piano. Afferma in particolare che uno dei comproprietari dell’area interessata non intende sottoscrivere la proposta di piano stessa, e che quindi nei suoi confronti si profila la necessità di procedere a espropriazione; afferma poi la necessità di correggere alcuni elaborati tecnici e di verificare l’idoneità dell’impianto di illuminazione pubblica. Conclude infine indicando che vi sono da aggiornare i dati della convenzione e che si devono acquisire i pareri delle aziende fornitrici dell’energia elettrica e del servizio rifiuti, nonché della Polizia locale sulla viabilità. Non vi è invece alcuna considerazione di carattere paesaggistico o ambientale che consenta, anche lontanamente, di qualificare l’atto come autorizzazione paesaggistica già rilasciata. La prospettazione della ricorrente appellante, per cui si sarebbe dovuta applicare la disciplina transitoria dell’art. 159 d. lgs. n. 42/2004, non è quindi condivisibile.

18. È infondato anche il terzo motivo di ricorso, centrato su un presunto vizio della discrezionalità esercitata dalla Soprintendenza.

18.1. Per giurisprudenza del tutto nota e costante, che rende non necessarie puntuali citazioni, in materia di parere sulle autorizzazioni paesaggistiche l’Amministrazione è titolare di una discrezionalità molto ampia, non sindacabile dal giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità, se non nei casi di esiti abnormi o manifestamene illogici.

18.2. Nel caso di specie, il parere contrario in questione è motivato (doc. 1 in primo grado del ricorrente appellante, cit.) dal rilievo per cui “non è stato considerato l’impatto dell’intero intervento, comprendente le opere di urbanizzazione e la realizzazione degli edifici che comportano alterazioni sostanziali del quadro paesaggistico dell’intera contrada, dove sono presenti anche tipologie tradizionali più adeguate al contesto…”, e ciò tenendo presenti anche le simulazioni fotografiche prodotte. È una valutazione sulla quale in termini estetici si può essere d’accordo o in disaccordo, ma che in sé non ha nulla di illogico o abnorme, ed è quindi insindacabile in questa sede.

19. E’ infondato anche il quarto motivo, dato che per costante giurisprudenza l’Amministrazione, nell’emettere un provvedimento negativo, è tenuta a motivarlo congruamente, ma non a confutare in modo analitico tutte le osservazioni del privato fatte pervenire a seguito del preavviso di diniego: così per tutte C.d.S., sez. II, 20 febbraio 2020, n. 1306, e sez. V, 25 luglio 2018, n. 4523.

20. Infine, il quinto motivo va respinto per le stesse ragioni esposte quanto al terzo motivo, dato che la conferma 24 aprile 2010 (doc. 3 in primo grado del ricorrente appellante, cit.) ribadisce le valutazioni non illogiche del precedente parere negativo.

21. In conclusione, l’appello va respinto. Le spese nei confronti dell’Amministrazione statale intimata appellata seguono la soccombenza e si liquidano così come in dispositivo; nulla per spese nei confronti del Comune di Asiago, non costituito nel grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 206/2015), lo respinge.

Condanna in solido la ricorrente appellante Alpina Immobiliare S.p.a. e l’interveniente Agricola Asiaghese S.s. a rifondere all’Amministrazione statale intimata appellata le spese di questo grado di giudizio, spese che liquida in € 5.000 (cinquemila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 settembre 2021 con l’intervento dei magistrati:

Raffaele Greco, Presidente

Oberdan Forlenza, Consigliere

Luca Lamberti, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

Alessandro Verrico, Consigliere