Consiglio di Stato Sez, III n. 5632 del 1 dicembre 2017
Rifiuti.Responsabilità del proprietario dell'area non autore dell'abbandono

La responsabilità del proprietario dell'area, che non sia autore dell'abbandono, può essere affermata anche dimostrando - sulla base delle circostanze concrete, connesse ad esempio ad un contegno inerte di fronte ad un fenomeno di deposito di rifiuti prolungato nel tempo - che la condizione di degrado ambientale così determinatasi è dovuta a specifici suoi comportamenti disattenti od omissivi. In queste specifica prospettiva, la colpa può ritenersi consistere nell'omissione degli accorgimenti e delle cautele che l'ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un'efficace custodia e protezione dell'area, atte ad impedire che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi


Pubblicato il 01/12/2017

N. 05632/2017REG.PROV.COLL.

N. 08330/2010 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8330 del 2010, proposto dalla signora Esterina Rossi, rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio Vacirca e Stefano Asmone, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sergio Vacirca in Roma, via Flaminia, n. 195;

contro

Il Comune di Noceto, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Franco Bassi e Mario Sanino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Franco Bassi in Roma, viale Parioli, n. 180;

nei confronti di

Il Ministero della Salute, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. Emilia-Romagna, Parma, sezione I, n. 100/2010, resa tra le parti e concernente la rimozione e lo smaltimento di pneumatici da un’area cortilizia.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Noceto e del Ministero della Salute;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 novembre 2017 il Cons. Giovanni Pescatore e uditi per le parti l’avvocato Sergio Vacirca, l’avvocato Franco Coccoli su delega dell’avvocato Mario Sanino e l'avvocato dello Stato Attilio Barbieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con l’ordinanza sindacale n. 88 del 10 giugno 2000, il Comune di Noceto ha intimato alla appellante la rimozione di rifiuti dal fondo di sua proprietà sito in località Ceresole di Noceto (PR), in via Lance n. 7.

Il provvedimento fa riferimento all’area adiacente il fabbricato posto al civico n. 7, che in precedenza era stata concessa in comodato al signor Gio. Ben. e da questi, nel corso del rapporto di comodato, indebitamente occupata con un notevole accumulo di gomme per veicoli in disuso.

Con due raccomandate del 16 aprile 1990 e del 21 luglio 1990, l’interessata aveva sollecitato formalmente al signor Gio. Ben. lo sgombero dei pneumatici e il rilascio dei locali.

Contemporaneamente si era attivata l’amministrazione comunale, attraverso l’emissione di un’ordinanza di sgombero dei pneumatici a carico del comodatario.

La stessa proprietaria dell’area aveva instaurato una controversia civilistica volta alla risoluzione del contratto di comodato, conseguendo (con la sentenza n. 455/91 del Pretore di Parma) la condanna del signor Ben. alla restituzione dell’immobile e alla rimozione dei pneumatici.

L’obbligo statuito in sentenza, a seguito del decesso dell’ex comodatario (avvenuto in data 21 luglio 1991), è tuttavia rimasto inattuato.

Sono seguite due ulteriori ordinanze comunali di sgombero, emesse a carico della appellante rispettivamente in data 13 febbraio 1995 e 2 settembre 1999, la seconda delle quali è stata revocata con la successiva ordinanza n. 111 del 30 ottobre 1999, a fronte delle osservazioni presentate dall’interessata.

La vicenda è giunta a conclusione con l’emissione, in data 10 giugno 2000, di un’ultima ordinanza di rimozione, oggetto del giudizio definito dalla sentenza di primo grado qui impugnata.

2. La pronuncia di primo grado – nel respingere il ricorso n. 476 del 2000 - ha ritenuto legittimo l’atto impugnato, per avere questo opportunamente disposto lo sgombero dell’area a carico della ricorrente, con richiamo all’articolo 14 del decreto legislativo n. 22 del 1997, sul presupposto di una situazione di grave incuria ambientale, a lei addebitabile a titolo colposo.

A tal fine il Tar ha valorizzato:

- il protrarsi, a distanza di molti anni dall’emanazione della prima ordinanza (risalente al 7 giugno 1991) e sino ancora alla data di emissione del provvedimento impugnato, delle circostanze che avevano dato luogo alle precedenti ordinanze a carico sia del comodatario, sia della proprietaria;

- la consapevolezza da parte della ricorrente della problematica situazione ambientale, il cui progressivo deterioramento è emerso dagli approfondimenti istruttori condotti dall’A.R.P.A. e dai Vigili del Fuoco successivamente al rilascio dell’area da parte del comodatario;

- il fatto che la proprietaria non si fosse in alcun modo attivata per effettuare in proprio la rimozione, con eventuale azione di rivalsa nei confronti degli eredi del comodatario.

3. I motivi di appello, ripetitivi di analoghe censure svolte in primo grado, si appuntano sui seguenti profili:

I) innanzitutto l’appellante censura la perplessa qualificazione giuridica dell’ordine di rimozione contenuto nel provvedimento comunale, non essendo chiaro, a suo dire, se lo stesso sia stato adottato quale ordinanza contingibile e urgente ovvero ai sensi dell’art. 14 d.lgs. n. 22 del 1997;

II) a volersi dare seguito alla prima ipotesi, risulterebbero comunque mancanti i presupposti per l’emissione dell’ordinanza contingibile e urgente, atteso che il provvedimento comunale è stato emanato a distanza di molti anni dall’abbandono dei pneumatici sul fondo di proprietà della appellante, allorché non poteva più configurarsi una situazione di pericolo per la salute pubblica, ovvero una condizione di stretta necessità e urgenza non fronteggiabile con i mezzi ordinari apprestati dall’ordinamento giuridico, di cui peraltro l’ordinanza non dà conto;

III) lo scenario alternativo, configurabile qualificando l’atto ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 22 del 1997, è comunque viziato dalla considerazione che la responsabilità solidale del proprietario dell’area sussiste solo quando la violazione dei divieti di abbandono e di deposito incontrollato dei rifiuti sia ad esso imputabile a titolo di dolo o di colpa. Tale situazione difetterebbe nel caso di specie, essendo stata accertata (con sentenza del Pretore di Parma n. 445/91) l’estraneità della ricorrente all’abbandono dei rifiuti.

In aggiunta a ciò, si fa rilevare nell’atto di appello che qualsiasi comportamento tenuto dal proprietario dell'area - dopo che i rifiuti siano stati abbandonati o depositati da un altro soggetto - risulterebbe irrilevante ai fini dell'applicabilità dell'art. 14 d.lgs. 22/1997, dovendo evidentemente la colpa riferirsi al deposito o all'abbandono dei rifiuti, e non certo alla loro successiva permanenza. Nel caso di specie, la sentenza civile rende conto delle iniziative diligentemente attivate dalla appellante per porre rimedio alla situazione di degrado determinatasi sul suo fondo, sicché anche sotto questo profilo nessun concreto addebito potrebbe esserle rivolto.

4. Il Comune di Noceto si è costituito ritualmente in giudizio, eccependo in via preliminare la nullità della notifica dell’atto di appello, in quanto avvenuta nei confronti del sindaco e non del Comune, e, nel merito, chiedendo la reiezione del mezzo di impugnazione, in quanto infondato per le ragioni già esaustivamente esposte nella pronuncia di primo grado.

Si è altresì costituito il Ministero della Salute, che ha chiesto il rigetto dell’appello.

5. Espletato lo scambio di memorie ex art. 73 c.p.a., la causa è stata discussa ed è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 21 novembre 2017.

DIRITTO

1. Preliminarmente occorre dare atto della ritualità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di appello, in quanto avvenuta in persona del sindaco pro tempore, nella sua qualità di legale rappresentante dell’ente comunale che, quindi, è da intendersi correttamente evocato in giudizio.

D’altra parte, poiché il Comune si è costituito in giudizio, una ipotetica nullità si sarebbe dovuta considerare conseguentemente sanata, avendo potuto l’Amministrazione articolare pienamente le proprie difese.

2. Nel merito, possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi, i due primi motivi di appello.

Si tratta di censure infondate, che vanno respinte.

Innanzitutto, diversamente da quanto sostenuto dalla parte appellante, risulta che l’ordinanza sindacale impugnata in primo grado è stata adottata nell’esercizio del potere previsto dal d.lgs. 22/1997.

Ciò è desumibile da un duplice elemento testuale rinvenibile nel contenuto dell’atto: il richiamo espresso all’articolo 14 del citato decreto legislativo («visto il decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22 e in particolare l’articolo 14; ritenuto di dover provvedere in merito») e l’assenza di riferimenti a situazioni di urgenza e di pericolo imminente.

La combinazione dei due elementi dirada le incertezze qualificatorie prospettate dall’appellante, le quali non si giustificano neppure alla luce della nota dell’A.R.P.A. del 27 maggio 2000, pure richiamata dal provvedimento sindacale, con la quale era stata segnalata all’amministrazione comunale l’opportunità di intervenire con un’ordinanza contingibile e urgente: la nota in questione presenta, infatti, un contenuto essenzialmente istruttorio e come tale è menzionata nelle premesse del provvedimento sindacale.

Esclusa l’ipotesi qualificatoria che fa richiamo al potere contingibile e urgente, risultano infondate anche le deduzioni di cui al secondo motivo, riferite all’assenza dei presupposti tipici di questo potere.

3. Nel merito, circa la possibilità astratta di configurare una responsabilità colposa del proprietario del fondo occupato da rifiuti, che sia rimasto inerte innanzi al protrarsi della situazione di degrado ambientale, occorre dare conto di un oramai costante indirizzo giurisprudenziale che - pur ribadendo in premessa il coefficiente soggettivo che, in materia di responsabilità da abbandono di rifiuti, deve connotare la condotta degli autori del fatto (ivi incluso, tra questi, il proprietario del fondo) - non manca poi di precisare che la responsabilità del proprietario dell'area, che non sia autore dell'abbandono, può essere affermata anche in altro modo, ovvero dimostrando - sulla base delle circostanze concrete, connesse ad esempio ad un contegno inerte di fronte ad un fenomeno di deposito di rifiuti prolungato nel tempo - che la condizione di degrado ambientale così determinatasi è dovuta a specifici suoi comportamenti disattenti od omissivi.

In queste specifica prospettiva, la colpa può ritenersi consistere nell'omissione degli accorgimenti e delle cautele che l'ordinaria diligenza suggerisce per realizzare un'efficace custodia e protezione dell'area, atte ad impedire che possano essere in essa indebitamente depositati rifiuti nocivi (Cons. Stato, sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 84).

4. Tracciate le generali premesse di inquadramento giuridico dei fatti di causa, si deve rilevare che gli stessi individuano - ad avviso del Collegio - una ipotesi peculiare che non si presta ad essere esaustivamente indagata secondo i consueti e sin qui richiamati canoni deduttivi.

Nel caso di specie sussistono , infatti, peculiari dati fattuali e giuridici sufficienti ad integrare il fondamento della responsabilità colposa della proprietario dell’area.

4.1. Sul piano fattuale, diverse circostanze valgono a dimostrare come la condizione di degrado ambientale determinatasi a seguito dell’abbandono dei rifiuti non si sia perpetuata in modo statico nel periodo successivo alla riacquisizione della disponibilità del fondo da parte della proprietaria, ma, proprio in tale frangente temporale, si sia ulteriormente accentuata e aggravata in termini tali da allarmare l’ente comunale, sollecitare l’intervento degli organi preposti alla tutela ambientale e motivare le conseguenti iniziative dell’amministrazione.

Di tanto si trae conferma dalle risultanze delle verifiche condotte in loco dall’ARPA e dal Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Parma: le prime - riportate nella nota del 27 maggio 2000 dell’ARPA di Fidenza - attestano il rischio di «problematiche anche dal punto di vista igienico-sanitario», conseguenti alla persistenza dei pneumatici in loco e dalla vicinanza di vicini abitati, tali da far suggerire dalla stessa ARPA al Comune interessato, l’opportunità dell’adozione di una ordinanza contingibile e urgente di sgombero dell’area.

Gli esiti delle indagini condotte dai Vigli del Fuoco - riportate nella nota del 27 aprile 2000 - confermano, d’altra parte, le «generali condizioni di elevato degrado igienico sanitarie dell’immobile e delle relative pertinenze».

L’aggravamento del quadro di emergenza conseguente al permanere dei copertoni abbandonati, evidenziato dalle richiamate risultanze istruttorie, si è verificato allorché unica custode e responsabile dell’area era l’appellante; sicché è al suo colpevole contegno omissivo che va ricondotto l’intero spettro di fattori causali che, nello specifico frangente temporale qui in esame, hanno concorso a peggiorare lo stato del fondo al punto da farvi emergere rischi sanitari e di pericolo per la pubblica incolumità.

4.2. Sempre sul piano fattuale, assume rilevanza la circostanza che - nel medesimo lasso temporale - l’appellante, con missiva del 18 aprile 1995 indirizzata al Comune, si impegnava allo sgombero dei pneumatici e chiedeva una proroga temporale per potervi provvedere.

A tale richiesta aveva fatto seguito l’assenso del Comune e la concessione di un termine prolungato sino al 31 dicembre 1995 per il completamento delle operazioni di smaltimento.

Dunque, la manifestata volontà di attivarsi in proprio, conferma ancora una volta la consapevole assunzione di responsabilità, da parte della proprietaria, degli obblighi di ripristino dell’area e di rimozione dei rifiuti.

4.3. Ulteriore ragione di responsabilità della proprietaria del fondo è rinvenibile nel fatto che, a decorrere dalla pubblicazione della sentenza del Pretore di Parma del 1991, l’appellante non ha attivato i rimedi processuali che le avrebbero consentito di portare ad esecuzione, nei confronti del comodatario o dei suoi eredi, il titolo giudiziale con il quale erano state ordinate la restituzione e lo sgombero dell’immobile.

4.4. Da quanto esposto consegue che, nel caso specifico, la responsabilità della appellante non è desunta dal solo fatto che, a distanza di molti anni dall’emanazione dei primi atti formali, permanessero ancora le circostanze che avevano dato luogo alle precedenti ordinanze emesse a carico del comodatario del fondo.

In altri termini, il fatto che la proprietaria sia rimasta inerte nel risolvere la problematica di accumulo dei pneumatici non costituisce un dato neutro, ma, nello specifico contesto sin qui descritto e per le diverse ragioni sopra richiamate, si colora di connotati tali da rilevarne la responsabilità omissiva di tipo colposo, in linea con il parametro normativo di cui all’art. 14 d.lgs. 22/1997.

5. Occorre ora soffermarsi su due ulteriori profili sottesi alla valutazione di responsabilità enunciata nell’ordinanza impugnata.

5.1. Una prima considerazione riguarda il fatto che la posizione del comodante rispetto al bene concesso in comodato non è, come ha sostenuto l’appellante, di totale estraneità ai profili di responsabilità per custodia (si veda in tal senso Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13363, ove si afferma che, in materia di comodato, la clausola che ponga a carico del comodatario tutti i rischi derivanti dalla gestione della cosa data in comodato ha natura vessatoria, non essendo riproduttiva di alcuna regola legale, posto che ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. anche il comodante risponde dei danni derivanti a terzi dalla res commodata, conservandone la custodia; nello stesso senso, Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1996, n. 8818, per la quale il promittente venditore del bene è ‘custode’ ai sensi dell’art. 2051 c.c., pur a seguito dell’avvenuta consegna del bene al detentore - promissario acquirente per effetto della stipula del preliminare di vendita: ebbene, nella impostazione poi accolta da Cass. Sez. Un, 27 marzo 2008, n. 7930, il promittente venditore altri non è che un comodante, il che conduce a conclusioni conformi al precedente del 2015 innanzi richiamato).

D’altra parte, il comodante, oltre ad un generico potere di vigilanza sul buon utilizzo del bene, ha facoltà di chiederne l’immediata restituzione laddove ravvisi che il comodatario stia tenendo rispetto ad esso condotte inadempienti e scarsamente diligenti, quale quella di servirsi del bene secondo modalità non conformi alla destinazione sua propria o convenuta.

Dunque, non risulta conforme ai principi l’affermazione secondo cui sull’appellante non ricadevano gli obblighi giuridici di custodia del bene (anche ai fini dell’applicabilità dell’art. 14 del d.lg. n. 22 del 1997) nella fase di esecuzione del contratto di comodato.

5.2. Una seconda considerazione trae spunto dalla constatazione che, nelle more del giudizio, secondo quanto si ricava dalle allegazioni in atti, il Comune ha provveduto in proprio a rimuovere i copertoni dal fondo, sicché un residuo interesse alla definizione della presente controversia permane unicamente in relazione al tema dell’allocazione degli oneri di spesa relativi alle espletate operazioni di ripristino.

In quest’ottica di ragionamento, occorre altresì considerare che - in tutti i casi in cui la bonifica o il ripristino del fondo rimangano a carico della pubblica amministrazione (che così abbia disposto sua sponte o per un obbligo giuridico preesistente, e comunque in un’ottica di salvaguardia dell’ambiente), i privati proprietari o i detentori dei fondi interessati ricavano un vantaggio, in termini di aumento di valore del fondo, che potrà costituire giusta causa di recupero delle corrispondenti somme, nei limiti ordinari delle azioni di arricchimento (potendosi presumere che l’importo così speso, nel determinare l’«impoverimento» della amministrazione, comporti quanto meno un corrispondente «arricchimento»).

6. Per tutti i motivi esposti, l’appello risulta infondato e va respinto.

Le spese del secondo grado di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo nei rapporti tra la parte appellante e il Comune di Noceto. Possono essere compensate rispetto al Ministero della Salute, stante la sua estraneità ai termini sostanziali della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello n. 8330 del 2010, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante alla refusione in favore del Comune di Noceto delle spese di lite, che liquida in complessivi €. 4.000,00, oltre accessori di legge.

Compensa le spese di lite tra la parte appellante e il Ministero della Salute.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2017, con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Gabriele Carlotti, Consigliere

Giovanni Pescatore, Consigliere, Estensore

Solveig Cogliani, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Giovanni Pescatore        Luigi Maruotti