Cass. Sez. III n. 25298 del 4 luglio 2022 (UP 10 mag 2022)
Pres. Rosi Est. Mengoni Ric. PG in proc. Ponzone ed altri
Urbanistica.Nozione di volume
Il presupposto della nozione di volume è individuabile nella costruzione di almeno un piano di base e di due superfici verticali contigue, così da ottenere una superficie chiusa su un minimo di tre lati . Ricorrendo tali caratteri si è in presenza di volumi in senso urbanistico.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22/9/2021, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia emessa il 4/4/2019 dal Tribunale di Asti, assolveva Monica Omedè, Giuseppe Liva e Gianluca Girotto dalle residue contestazioni loro ascritte, confermando nel resto – anche nei confronti di Maria Fiorella Ponzone, Pier Giuseppe Gai, Marco Cerchio e Alberto Bruno - l’assoluzione già pronunciata in primo grado con riguardo ai reati di cui agli artt. 44, comma i, lett. b), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e 481 cod. pen.
2. Propone ricorso per cassazione il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Torino, deducendo inosservanza o erronea applicazione della legge penale, mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Premesso che il processo si fonderebbe sulla nozione di porticato e sulla possibilità o meno di conteggiarne la volumetria in sede di ristrutturazione eseguita senza permesso di costruire, si lamenta che la Corte di appello – esclusa ogni efficacia all’art. 39 del Regolamento edilizio tipi della Regione Piemonte, all’epoca non ancora in vigore – avrebbe applicato erroneamente gli artt. 18 e 20 del Regolamento edilizio tipo del Comune di Celle Enomondo al tempo vigente, che avrebbero escluso i porticati stessi dalla nozione di volume; del resto, ed anche confermando la nozione di volume offerta dalla giurisprudenza amministrativa, non sempre quello edilizio in senso fisico ne integrerebbe uno rilevante anche in senso urbanistico, come dimostrato, ade esempio, dai volumi tecnici. Si osserva, peraltro, che la Omedè, quale direttore dei lavori, avrebbe espressamente qualificato i due ambienti in esame proprio come porticati, quindi volumi non computabili, sia nelle relazioni di accompagnamento all’attività edilizia che nella documentazione prodotta. Sotto altro profilo, poi, il ricorso evidenzia che il reato sussisterebbe anche nel caso in cui la diversa volumetria realizzata fosse inferiore alla precedente, comunque modificata ed oggetto di non fedele ristrutturazione, contrariamente a quanto affermato da questa Corte nell’obiter dictum di una sua pronuncia. Ancora, la Corte di appello, richiamando le parole del consulente del Pubblico Ministero, avrebbe sostenuto che le altre opere eseguite sarebbero tutte interne, così da consentirne la realizzazione con SCIA “leggera”; la frase del consulente, tuttavia, costituirebbe una mera imprecisione, evidenziata da quanto dallo stesso sostenuto nelle varie relazioni depositate, oltre che dichiarato all’udienza del 23/1/2019 (di cui il ricorso riporta ed allega uno stralcio). La sentenza, infine, non avrebbe considerato – quanto all’immobile del capo B) – che il locale in esame avrebbe perso il carattere di porticato a causa di precedenti abusi, sui quali, dunque, nessuna opera legittima avrebbe potuto esser poi realizzata; quanto ai capi F) e D), poi, la sentenza viziata proprio in conseguenza di quanto già sostenuto per i capi A) e B), oltre a riportare inesattezze quanto alle altezze e agli scarichi.
3. All’udienza del 10/5/2022, la posizione della Omedè è stata stralciata, con formazione di autonomo fascicolo processuale, per omessa notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza al difensore fiduciario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso risulta manifestamente infondato; la vicenda, peraltro, è pacifica nei suoi tratti oggettivi, per come riportati in entrambe le sentenze di merito e, poi, nell’impugnazione in esame.
5. In particolare quanto al capo A), gli imputati Omedè (direttrice dei lavori) e Liva (responsabile del settore edilizia privata del Comune) erano stati condannati in primo grado per aver demolito un immobile di circa 900 mc. (dichiarato preesistente) ed averne poi riedificato un altro per circa 600 mc., con la sola presentazione di una dichiarazione di inizio attività (DIA); nel computo della volumetria precedente, tuttavia, era risultata calcolata anche la superficie di due “portici”, posti al piano terra ed al piano primo, che – a norma degli artt. 18 e 20 del Regolamento edilizio comunale – non avrebbero costituito volume e, dunque, non avrebbero potuto concorrere ad individuare il limite di cubatura del nuovo fabbricato, eseguito senza permesso di costruire. Ne era derivato – a giudizio del Tribunale – un indebito aumento di volumetria, pari a 92 mc., con conseguente violazione dell’art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001 (capo A), a carico dei predetti imputati (non della Ponzone, proprietaria e committente, né di Gai, legale rappresentante della impresa esecutrice, assolti per difetto dell’elemento soggettivo).
6. Tanto premesso, la Corte di appello ha affrontato la questione del computo volumetrico dei “porticati” in oggetto (comune ad entrambe le contestazioni sub A e B), e – superando la decisione del Tribunale – ha ritenuto che questi costituissero volumi edilizi e, pertanto, potessero esser computati nel calcolo della volumetria del nuovo fabbricato, sorto dalla demolizione del precedente.
7. Ebbene, la motivazione stesa al riguardo risulta adeguata, conforme agli elementi istruttori e priva di illogicità manifesta; quindi, non censurabile.
7.1. Rimosso ogni riferimento all’art. 39 del Regolamento edilizio tipo della Regione Piemonte, all’epoca non ancora in vigore, la sentenza si è infatti concentrata sulla nozione di volume offerta dalla giurisprudenza amministrativa, individuandone il presupposto nella costruzione di almeno un piano di base e di due superfici verticali contigue, così da ottenere una superficie chiusa su un minimo di tre lati; tali caratteri sono stati poi riscontrati pacificamente nei due ambienti in esame, sul presupposto che il “porticato” del piano terra era chiuso su quattro dei cinque lati, e quello del piano primo era interamente “perimetrato”, su tutti i lati dunque, salva la presenza di una porta di accesso. Ricorrendo tali caratteri, allora, si era in presenza di volumi in senso urbanistico.
8. A fronte di questa evidenza in fatto, peraltro pacifica, e senza contraddire la giurisprudenza amministrativa richiamata (non ricorrendone alcun motivo, come si legge alla pag. 7), il ricorso sostiene però che la Corte di appello avrebbe steso una motivazione viziata, non valutando adeguatamente alcuni elementi decisivi.
La censura non merita accoglimento.
9. In primo luogo, l’impugnazione afferma che non ogni volume fisico è tale anche sotto il profilo urbanistico, come nel caso dei volumi tecnici; ebbene, questa considerazione preliminare appare in sé astrattamente condivisibile, ma della stessa non è evidenziato alcun collegamento con la vicenda in esame.
10. Di seguito, si contesta alla Corte di appello di non aver adeguatamente esaminato gli artt. 18 e 20 del Regolamento edilizio comunale, che stabilirebbero esattamente la nozione giuridica di volume edilizio, indicando quali ambienti non debbano esser conteggiati nel calcolo della volumetria esistente: tra questi, all’art. 18, per l’appunto i porticati, “i “pilotis”, le logge, i balconi ed i terrazzi.
11. A tale riguardo, tuttavia, la Corte rileva che la sentenza di appello - nel riconoscere il valore di volume computabile – ha preso le mosse dai caratteri strutturali delle aree, prima richiamati ed in sé pacifici, e li ha letti alla luce di una giurisprudenza amministrativa che neppure il ricorso contesta; ciò ha dunque condotto il Giudice di appello – con argomento motivato ed incensurabile - ad escludere gli ambienti in esame da quelli di cui all’art. 18 citato, ed in particolare dalla nozione di porticato, non ricorrendone affatto gli elementi materiali, oggettivi e, dunque, caratterizzanti. In forza di queste stesse considerazioni, inoltre, la sentenza ha concluso anche per l’irrilevanza del nomen che la progettista aveva attribuito a tali elementi architettonici; il dato formale – sia pur non del tutto neutro – è stato infatti ritenuto cedevole rispetto a quello sostanziale, dovendosi quindi escludere – ancora con argomento che sfugge alla censura – la configurabilità del reato in rubrica.
12. Con riguardo, poi, al fabbricato di cui al capo B), oggetto di assoluzione di tutti gli imputati già in primo grado, la Corte di appello ha evidenziato che – come da concorde conclusione del consulente del Pubblico Ministero e delle difese - non vi era stato alcun aumento di volumetria, né alcun innalzamento del tetto, con conseguente insussistenza della contravvenzione contestata. Ebbene, il ricorso contesta questa conclusione, ma con argomento palesemente generico ed insufficiente, ossia solo riportando alcuni stralci della deposizione del consulente della Procura Tollemeto, poi allegati all’impugnazione ancora in maniera incompleta, così da impedire ogni verifica della fondatezza della censura. Questa, peraltro, si sviluppa con caratteri propri della fase di merito, quindi inammissibili, sostenendo che la frase del consulente secondo cui le opere sub B) sarebbero tutte interne, in realtà, andrebbe “ascritta ad una mera imprecisione”, come peraltro emergerebbe dal tenore della richiamata deposizione e delle relazioni depositate.
13. Ancora quanto al capo B), di seguito, il ricorso sostiene un ulteriore argomento in fatto, ossia che l’ambiente oggetto di contestazione (oltre a non aver subito aumento di volumetria) non sarebbe stato considerato “porticato” già in primo grado perché del tutto chiuso, ma ciò senza considerare che tale chiusura sarebbe il frutto di modifiche interne abusive; quel che, dunque, avrebbe impedito di considerare legittimo ogni altro intervento sullo stesso immobile, estendendosi a questo il carattere abusivo della parte preesistente. Ebbene, già il Tribunale aveva affrontato la questione, con argomento congruo, evidenziando, per un verso, che l’ambiente in questione non poteva in ogni caso più considerarsi “portico” nel senso suddetto (anche se chiuso abusivamente), e, per altro verso, che le opere realizzate erano comunque interne, senza innalzamento del tetto o effettivo ampliamento volumetrico complessivo, così da doversi escludere la contravvenzione contestata.
11. Infine, con riguardo ai reati di cui ai capi F) e D) (fattispecie ex art. 481 cod. pen.), il ricorso si limita a richiamarne il carattere consequenziale rispetto alle altre sub A) e B). In aggiunta, ed espressamente “ad abundantiam”, l’impugnazione riporta soltanto, e con brevissime battute, due argomenti l’uno relativo all’altezza minima dei locali abitabili, l’altro alla tecnologia in punto di scarichi fognari degli impianti igienici. Argomenti di puro merito, dunque, come tali irricevibili in questa sede,
12. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Procuratore generale nei confronti di Ponzone Maria Fiorella, Gai Pier Giuseppe, Bruno Alberto, Cerchio Marco, Liva Giuseppe e Girotto Gianluca.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2022