1.
Premessa
Nel
luglio del 1998 la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province
autonome adottava due determinazioni aventi ad oggetto “Recupero degli scarti
di lavorazione che hanno fin dall’origine le caratteristiche delle materie
prime“.
Con
tali determinazioni si affermava che “ leggendo in maniera non restrittiva il
D.M. 5 febbraio 1998 e, per analogia con quanto previsto dal D.M. stesso, sia
possibile sottrarre alla normativa dei rifiuti quegli scarti di lavorazione che,
fin dal momento in cui sono stati prodotti, senza aver subito alcun trattamento,
abbiano le stesse caratteristiche delle materie prime indicate nell’Allegato I
del più volte citato D.M. 5 febbraio 1998[1]”.
Alcune
Regioni ( Veneto, Lombardia) hanno recepito e fatto proprie le determinazioni in
questione.
Considerato che la soluzione proposta, lungi dall’essere una mera interpretazione della normativa vigente, di fatto supera la nozione normativa di rifiuto (poiché, comunque, esclude dall’applicazione della relativa disciplina sostanze di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, secondo la definizione dell’art. 6 lett. a) del Decreto Ronchi), occorre precisare la valenza giuridica delle determinazioni adottate dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome e, di conseguenza, delle delibere regionali che le recepiscono.
E’
necessario, in altri termini, non limitarsi al contenuto di tali deliberati (in
linea teorica condivisibili come auspicio per una revisione normativa dei
concetti di rifiuto e recupero) ma esaminarne l’efficacia nell’ambito delle
fonti normative in materia di rifiuti.
2.
La Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome
Tale
organismo fu creato dalla legge 23 agosto 1988, n. 400, recante “ Disciplina
dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri” .
I
compiti che l’art. 12 assegnava alla Conferenza erano di informazione,
consultazione e raccordo con l’azione del Governo (la Conferenza veniva
infatti istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri), in
relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle
materie di competenza regionale, esclusi gli indirizzi generali relativi alla
politica estera, alla difesa e alla sicurezza nazionale, alla giustizia.
Il
comma 5 indica i casi in cui la Conferenza dovesse essere consultata:
a)
linee generali dell'attività normativa che interessa direttamente le regioni e
sulla determinazione degli obiettivi di programmazione economica nazionale e
della politica finanziaria e di bilancio, salve le ulteriori attribuzioni
previste in base al comma 7 del presente articolo;
b)
criteri generali relativi all'esercizio delle funzioni statali di indirizzo e di
coordinamento inerenti ai rapporti tra lo Stato, le regioni, le province
autonome e gli enti infraregionali, nonché sugli indirizzi generali relativi
alla elaborazione ed attuazione degli atti comunitari che riguardano le
competenze regionali;
c)
altri argomenti per i quali il Presidente del Consiglio dei ministri ritenga
opportuno acquisire il parere della Conferenza.
In
sostanza fin dalla nascita dell’organismo doveva distinguersi tra le ipotesi
di consultazione obbligatoria e quelle in cui era mera facoltà del Governo
avvalersi del suo apporto [2].
In entrambi i casi la funzione della Conferenza era ed è di mero supporto per
il Governo, senza toccarne le prerogative e le sue determinazioni non assumono
carattere vincolante[3];
come affermato dalla Corte costituzionale [4]
“ l'attribuzione alla
stessa del compito di dare pareri sui criteri generali
relativi all'esercizio della funzione statale di indirizzo e di
coordinamento non
incide sul fondamento costituzionale della funzione stessa”.
Il D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281 [5]
ha rivisitato l’istituto [6],
specificando le competenze della Conferenza Stato-regioni, e la sua
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune, con la Conferenza
Stato-città ed autonomie locali.
Dalla
lettura dell’art. 2 si comprende come i compiti dell’organismo, sia pure
ampliati e meglio specificati, siano rimasti fondamentalmente quelli di
informazione, consultazione e raccordo con l’azione del Governo[7].
Trova,
infine conferma la duplice natura, obbligatoria e facoltativa, della
consultazione della Conferenza[8].
Investita
della legittimità degli artt.
2, commi
5 e
6, e
3 del
d.lgs. 28
agosto 1997,
n. 281, nelle
parti in
cui, disciplinando
i procedimenti
per cui
sono obbligatoriamente previste
la consultazione
e, rispettivamente, l'intesa, con la
conferenza Stato-Regioni, si consente al Governo, per ragioni di urgenza,
discrezionalmente valutate,
di provvedere anche senza di esse, sottoponendo
l'atto alla conferenza in
via successiva, la Corte costituzionale [9]
, nel respingere la questione, ha ribadito il principio, estremamente importante
in questa sede, per il quale non esiste un obbligo, di carattere generale, di
sentire la Conferenza, ma che questo sussiste nelle sole ipotesi in cui il
parere, o l’intesa, siano previste da una legge ordinaria.
Per
comprendere lo spazio di operatività della Conferenza Stato-Regioni in materia
di rifiuti è quindi necessario richiamare le disposizioni del decreto Ronchi
che disegnano le competenze statali e regionali in materia.
3.
Le funzioni statali e regionali in materia di rifiuti
Secondo
i primi due commi dell’art. 18 del D.lgs 22/1997 (nel testo risultante dalle
modifiche succedutesi nel tempo):
“
1. Spettano allo Stato:
a)
le funzioni di indirizzo e coordinamento necessarie all'attuazione del presente
decreto da adottare ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59;
b)
la definizione dei criteri generali e delle metodologie per la gestione
integrata dei rifiuti, nonché l'individuazione dei fabbisogni per lo
smaltimento dei rifiuti sanitari, anche al fine di ridurne la movimentazione;
c)
l'individuazione delle iniziative e delle misure per prevenire e limitare, anche
mediante il ricorso a forme di deposito cauzionale sui beni immessi al consumo,
la produzione dei rifiuti, nonché per ridurre la pericolosità degli stessi;
d)
l'individuazione dei flussi omogenei di produzione dei rifiuti con più elevato
impatto ambientale, che presentano le maggiori difficoltà di smaltimento o
particolari possibilità di recupero sia per le sostanze impiegate nei prodotti
base sia per la quantità complessiva dei rifiuti medesimi;
e)
la definizione dei piani di settore per la riduzione, il riciclaggio, il
recupero e l'ottimizzazione dei flussi di rifiuti;
f)
l'indicazione delle misure atte ad incoraggiare la razionalizzazione della
raccolta, della cernita e del riciclaggio dei rifiuti;
g)
l'individuazione delle iniziative e delle azioni, anche economiche, per favorire
il riciclaggio ed il recupero di materia prima dai rifiuti, nonché per
promuovere il mercato dei materiali recuperati dai rifiuti ed il loro impiego da
parte della Pubblica Amministrazione e dei soggetti economici;
h)
l'individuazione degli obiettivi di qualità dei servizi di gestione dei
rifiuti;
i)
la determinazione dei criteri generali per la elaborazione dei piani regionali
di cui all'articolo 22, ed il coordinamento dei piani stessi;
l)
l'indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non
idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti;
m)
l'indicazione dei criteri generali per l'organizzazione e l'attuazione della
raccolta differenziata dei rifiuti urbani;
n)
la determinazione dei criteri generali e degli standard di bonifica dei siti
inquinati, nonché la determinazione, d'intesa con la Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di
Bolzano, dei criteri per individuare gli interventi di bonifica che, in
relazione al rilievo dell'impatto sull'ambiente connesso all'estensione
dell'area interessata, alla quantità e pericolosità degli inquinanti presenti,
rivestono interesse nazionale .
2.
Sono inoltre di competenza dello Stato:
a)
l'adozione delle norme tecniche per la gestione dei rifiuti, dei rifiuti
pericolosi e di specifiche tipologie di rifiuti, nonché delle norme e delle
condizioni per l'applicazione delle procedure semplificate di cui agli articoli
31, 32 e 33;
b)
la determinazione e la disciplina delle attività di recupero dei prodotti di
amianto e dei beni e dei prodotti contenenti amianto;
c)
la determinazione dei limiti di accettabilità e delle caratteristiche chimiche,
fisiche e biologiche di talune sostanze contenute nei rifiuti in relazione a
specifiche utilizzazioni degli stessi;
d)
la determinazione dei criteri qualitativi e qualiquantitativi per
l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti
speciali ai rifiuti urbani;
e)
la definizione del modello e dei contenuti del formulario di identificazione di
cui all'articolo 15, commi 1 e 5;
f)
la definizione dei metodi, delle procedure e degli standard per il campionamento
e l'analisi dei rifiuti;
g)
la determinazione dei requisiti soggettivi e delle capacità tecniche e
finanziarie per l'esercizio delle attività di gestione dei rifiuti;
h)
la riorganizzazione e la tenuta del Catasto Nazionale dei rifiuti;
i)
la regolamentazione del trasporto dei rifiuti e la definizione del formulario di
cui all'articolo 15;
l)
l'individuazione delle tipologie di rifiuti che per comprovate ragioni tecniche,
ambientali ed economiche possono essere smaltiti direttamente in discarica;
m)
l'adozione di un modello uniforme del registro di cui all'articolo 12 e la
definizione delle modalità di tenuta dello stesso, nonché l'individuazione
degli eventuali documenti sostitutivi del registro stesso ;
n)
l'individuazione dei beni durevoli di cui all'articolo 44;
o)
l'aggiornamento degli allegati al presente decreto;
p)
l'adozione delle norme tecniche, delle modalità e delle condizioni di utilizzo
del prodotto ottenuto mediante compostaggio, con particolare riferimento
all'utilizzo agronomico come fertilizzante, ai sensi della legge del 19 ottobre
1984, n. 748, e successive modifiche e integrazione, del prodotto di qualità
ottenuto mediante compostaggio da rifiuti organici selezionati alla fonte con
raccolta differenziata;
p-bis)
l'autorizzazione allo smaltimento di rifiuti nelle acque marine in conformità
alle disposizioni stabilite dalle norme comunitarie e dalle convenzioni
internazionali vigenti in materia; tale autorizzazione è rilasciata dal
Ministro dell'ambiente, sentito il Ministro delle politiche agricole, su
proposta dell'autorità marittima nella cui zona di competenza si trova il porto
più vicino al luogo dove deve essere effettuato lo smaltimento ovvero si trova
il porto da cui parte la nave con il carico di rifiuti da smaltire”[10].
Interessanti
sono i successivi commi 3 e 4 poiché individuano le modalità e le forme di
esercizio delle funzioni individuate in precedenza.
Orbene
mentre secondo il comma 3 “ le funzioni di cui al comma 1 sono esercitate ai
sensi della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro
dell'ambiente, di concerto con i Ministri dell'industria, del commercio e
dell'artigianato e della sanità, sentita
la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province
autonome di Trento e Bolzano”, per il successivo comma 4 “ le norme
regolamentari e tecniche di cui al comma 2 sono adottate, ai sensi dell'articolo
17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreti del Ministro
dell'ambiente, di concerto con i Ministri dell'industria del commercio e
dell'artigianato e della sanità, nonché, quando le predette norme riguardano i
rifiuti agricoli ed il trasporto dei rifiuti, di concerto, rispettivamente, con
i Ministri delle risorse agricole, alimentari e forestali e dei trasporti e
della navigazione”.
In
sostanza, soltanto per l’esercizio delle funzioni indicate dal comma 1 è
prevista la consultazione della Conferenza; al contrario nulla viene detto per
quelle elencate nel comma 2 che seguono una procedura del tutto diversa.
L’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, prevede infatti che
“ Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie
di competenza del ministro o di autorità sottordinate al ministro, quando la
legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di
competenza di più ministri, possono essere adottati con decreti
interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da
parte della legge. I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono
dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi
debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei ministri prima della
loro emanazione.“.
La
differenza si spiega con il fatto che le funzioni previste dai due commi hanno
ambito e portata del tutto diverse: le prime ( comma 1) riguardano l’esercizio
dei poteri di indirizzo e coordinamento della “ politica di gestione dei
rifiuti”; a tale aspetto le Regioni non sono estraneee, in quanto incombe su
di esse la responsabilità della pianificazione della gestione dei rifiuti nei
rispettivi ambiti di competenza; le Regioni, in altri termini, concorrono ad
attuare, in ambito locale, la politica ambientale secondo le linee guida
delineatesi a livello nazionale. Logico, quindi, è il loro coinvolgimento nelle
scelte che tali linee devono
tracciare.
Le
funzioni previste dal comma 2 dell’art. 18, riguardano, invece, la fissazione
di norme tecniche che devono necessaria necessariamente uniformi per tutto il
territorio nazionale [11].
L’esigenza di coinvolgere le Regioni in tale tipo di decisione, non si
avverte, in quanto, sul punto, le stesse hanno non hanno alcun potere, neppure
parallelo e limitato all’ambito regionale.
Conferma
tale osservazione il fatto che nelle ipotesi in cui si intende coinvolgere la
Conferenza in decisioni che riguardano profili tecnici, il Decreto Ronchi lo
prevede espressamente ( all’art. 11, in
tema di catasto dei rifiuti; all’art. 17 riguardo alla bonifica e ripristino
ambientale dei siti inquinati; all’art. 45, comma 4, in materia di rifiuti
sanitari).
4.
La valenza giuridica delle determinazioni adottate dalla Conferenza
Volendo
ora tirare le conclusioni, va affermato che le determinazioni del 9 e 30 luglio
1998 non hanno forza di legge e non consentono in alcun modo una
disapplicazione, sia pure parziale, del Decreto Ronchi e delle norme emanate in
sua applicazione.
La
funzione meramente consultiva, priva di forza di legge, dei deliberati della
Conferenza, non può infatti incidere sui concetti fondamentali di rifiuto, né
eludere la disciplina amministrativa prevista per le varie fasi di gestione.
Altrettanto
dicasi per le delibere regionali che fanno proprie le determinazioni della
Conferenza.
Né
il problema affrontato dalle determinazioni in oggetto potrà essere risolto
soltanto con l’emanazione di un atto di indirizzo e coordinamento, come da
alcuni suggerito[12].
L’art.
18, lett. a) del Decreto 22/1997, richiama infatti l'articolo 8 della legge 15
marzo 1997, n. 59, il quale limita l’esercizio della funzione di indirizzo e
coordinamento alle funzioni
amministrative regionali al coordinamento tecnico, nonché alle direttive
relative all'esercizio delle funzioni delegate. Non è prevista ( né potrebbe
essere altrimenti), la possibilità di derogare in alcun modo all’impianto del
Decreto Ronchi ed ai concetti fondamentali
della gestione dei rifiuti. Si dovrà invece procedere, per risolvere il
problema, a chiarire la nozione di rifiuto e procedere alla riformulazione del
D.M. 5 febbraio 1998.
Resta
da mettersi nei panni dell’operatore che, basandosi sulle determinazioni della
Conferenza ( o di quelle regionali che le hanno recepite) abbia posto in essere
una condotta illecita ( ad esempio trattando una mps come prodotto e quindi
omettendo di seguire qualsiasi procedimento amministrativo che rendesse lecita e
conforme a legge la gestione).
La
questione non è di facile soluzione in quanto se è vero che, secondo l’art.
5 del codice penale, “Nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della
legge penale” , per cui, ragionando in modo rigoroso si dovrebbero comunque
applicare le sanzioni ( penali e amministrative [13]),
va tenuto presente che la Corte costituzionale, con sentenza 23-24 marzo 1988,
n. 364, ha dichiarato la illegittimità dell'art. 5 c.p., nella parte in cui non
esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza
inevitabile[14].
Orbene,
tra le ipotesi di scusabilità dell’errore, viene individuato il caso in cui
la P.A. adotti comportamenti tali da determinare l'erroneo convincimento della
regolarità e liceità della condotta; l’affermazione, pur se corretta dalla
precisazione che la scriminante della buona fede può trovare applicazione solo
nell'ipotesi in cui l'agente abbia fatto tutto il possibile per adeguarsi al
dettato della norma e questa sia stata violata per cause indipendenti dalla
volontà dell'agente medesimo ( con la conseguenza che a carico di qualsiasi
operatore economico sussiste sempre l’onere di una adeguata e completa
informazione sull’applicazione della norma e di adottare, anche nel caso di
dubbio fondato su contrasti giurisprudenziali, la soluzione più rigorosa),
consente sicuramente spazi per tesi difensive fondate sul legittimo affidamento
nei confronti delle determinazioni della Conferenza o, ipotesi ancor più
delicata, di provvedimenti adottati dalle Regioni, cioè dagli stessi organi
preposti al controllo amministrativo sulle attività di gestione dei rifiuti.
Vero
è che il Giudice penale, a fronte di una attività di gestione dei rifiuti
svolta in assenza di autorizzazione, recupero o iscrizione ben potrebbe comunque
pervenire ( come più volte avvenuto [15])
ad una decisione di condanna, ma è innegabile che tali determinazioni della
Conferenza ed i successivi provvedimenti regionali, lungi dal fornire aiuto agli
operatori, introducono elementi di confusione e di ulteriore incertezza.
Pasquale
Fimiani
[1] A titolo esemplificativo e non esaustivo venivano indicati alcuni scarti di lavorazione quali:
- -carta ( refili misti di tipografia, resi dei quotidiani, libri invenduti, ecc.);
- metalli ( sfridi di lavorazione dei metalli ferrosi e non, cascami di barre, profili di lamiere, lastre di metallo, ecc..);
- plastica ( granuli, trucioli, ritagli provenienti dalla produzione e trasformazione materie plastiche, ecc..);
- legno ( legno vergine in scarti di diverse dimensioni, segatura, ecc…);
- rifiuti tessili ( fibre naturali, sintetiche e artificiali da lavorazioni tessili, ecc..).
[2] Secondo il comma 2 “ La Conferenza è convocata dal Presidente del Consiglio dei ministri almeno ogni sei mesi, ed in ogni altra circostanza in cui il Presidente lo ritenga opportuno, tenuto conto anche delle richieste dei presidenti delle regioni e delle province autonome”.
[3] Sul carattere obbligatorio ma non vincolante dei pareri e determinazioni della conferenza si rinvia a F. GABRIELE, Conferenza Stato-regioni e funzione di indirizzo e coordinamento, in Giur. It, 1993, I, 1, 9.
[4] Sentenza n. 242 del 1989.
[5] Pubblicato nella Gazz. Uff. 30 agosto 1997, n. 202 e recante “ Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali “.
[6] Sulla base dell’articolo 9 della legge 15 marzo 1997, n. 59, che conferiva al Governo la delega ad adottare apposito decreto legislativo per la definizione e l'ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e la sua unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
[7] Nella nuova previsione, infatti, la Conferenza Stato-regioni:
a) promuove e sancisce intese, ai sensi dell'articolo 3 ( cioè nei casi in cui le stesse siano previste dalla legge);
b) promuove e sancisce accordi di cui all'articolo 4 (per il quale, in attuazione del princìpio di leale collaborazione e nel perseguimento di obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia dell'azione amministrativa, in sede di Conferenza regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, possono concludere accordi al fine di coordinare l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse comune);
c) nel rispetto delle competenze del Comitato interministeriale per la programmazione economica, promuove il coordinamento della programmazione statale e regionale ed il raccordo di quest'ultima con l'attività degli enti o soggetti, anche privati, che gestiscono funzioni o servizi di pubblico interesse aventi rilevanza nell'ambito territoriale delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano;
d) acquisisce le designazioni dei rappresentanti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, nei casi previsti dalla legge;
e) assicura lo scambio di dati ed informazioni tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano secondo le modalità di cui all'articolo 6;
f) fermo quanto previsto dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, determina, nei casi previsti dalla legge, i criteri di ripartizione delle risorse finanziarie che la legge assegna alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano, anche a fini di perequazione;
g) adotta i provvedimenti che sono ad essa attribuiti dalla legge;
h) formula inviti e proposte nei confronti di altri organi dello Stato, di enti pubblici o altri soggetti, anche privati, che gestiscono funzioni o servizi di pubblico interesse;
i) nomina, nei casi previsti dalla legge, i responsabili di enti ed organismi che svolgono attività o prestano servizi strumentali all'esercizio di funzioni concorrenti tra Governo, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano;
l) approva gli schemi di convenzione tipo per l'utilizzo da parte dello Stato e delle regioni di uffici statali e regionali.
[8] Recitano i commi 3 e 4: “ 3. La Conferenza Stato-regioni è obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano che si pronunzia entro venti giorni. Resta fermo quanto previsto in ordine alle procedure di approvazione delle norme di attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano. 4. La Conferenza è sentita su ogni oggetto di interesse regionale che il Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene opportuno sottoporre al suo esame, anche su richiesta della Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano”.
[9] Sentenza n. 408 del 1998.
[10] Le funzioni statale in materia di rifiuti previste dal Decreto Ronchi sono state confermate dall’art. 85 del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 recante” Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59” .
[11] La competenza statale ad emanare norme di natura tecnica viene giustificata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 53 del 1991 in materia di inquinamento atmosferico) “ tanto dal fatto che lo Stato e' in possesso di strumenti ufficiali di conoscenza sulle caratteristiche inquinanti delle sostanze e sulle migliori tecnologie applicabili per contenerne o eliminarne la nocivita', i quali sono incomparabilmente superiori a quelli disponibili da parte delle regioni, quanto dal fine di garantire sull'intero territorio nazionale un trattamento uniforme alle varie imprese operanti in concorrenza fra loro, onde non produrre arbitrarie disparita' sulle ragioni dei costi aziendali in dipendenza di vincoli imposti in modo differenziato sia sotto il profilo spaziale, sia sotto quello temporale”.
[12] Si veda, ad esempio la nota dell’Ufficio legislativo del Min. Ind. Comm. ed Artig. del 17 luglio 1998.
[13] Anche in materia di sanzioni amministrative vige il principio di legalità ( art. 1 Legge 689/1981).
[14] Il principio di buona fede, espresso in materia penale dal testo dell'art. 5 cod. pen. risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 364 del 24 marzo 1988 è applicabile anche all'illecito amministrativo ( in tal senso Cassazione Civile Sez. I, sent. n. 8180 del 04-07-1992, Amministrazione dell'Interno c. Gialdini, per la quale “l'ignoranza inevitabile del precetto di una norma che configura un illecito amministrativo priva la violazione dell'elemento soggettivo della colpa, richiesto dall'art. 3, primo comma, della legge n. 689 del 1981, quando si fondi su un elemento positivo idoneo a determinare un errore scusabile, in quanto non ovviabile dall'interessato con l'ordinaria diligenza”.
[15] Secondo la prevalente giurisprudenza la circostanza che il legislatore regionale abbia adottato una normativa meno rigorosa che esclude l’applicabilità della normativa nazionale ( nella specie si trattava di una normativa che, per effetto della diversa degli insediamenti agricoli faceva scattare la sola sanzione amministrativa per il mancato adeguamento degli impianti alla normativa antinquinamento), non esclude l’applicazione della norma penale prevista dalla legge statale per un duplice ordine di motivi; perché in materia ambientale la normativa comunitaria impegna direttamente lo Stato nei confronti della Comunità e non è consentito alle Regioni adottare una disciplina meno rigorosa in violazione di tale impegno ( in tal senso Cass. penale Sez. I, sent. n. 10129 del 24-09-1994, Scauri, rv 199749); in secondo luogo perché la scusabilità dell’errore viene collegata all’osservanza del fondamentale "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività ( quali gli operatori professionali nel campo ambientale), i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una "culpa levis" nello svolgimento dell'indagine giuridica (Sez. U., sent. n. 8154 del 18-07-1994, Calzetta, rv 197885).