TAR Lazio (LT), Sez. I, n. 726, del 22 settembre 2014
Urbanistica.Ascensore esterno, distanza dei fabbricati e tutela dei soggetti disabili

La giurisprudenza di merito ha affermato che l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 79 del d.P.R. n. 380/2001 porta ad estendere la deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi (dettata nel comma 1 dell’art. 79 cit.) anche agli atti di normazione primaria, con il corollario di dover limitare al dato testuale il richiamo all’art. 873 c.c. e quindi dell’inapplicabilità ad una fattispecie del tutto analoga a quella ora in esame (installazione dell’ascensore esterno ad un edificio) della disciplina sulle distanze dai fabbricati alieni prevista dall’art. 9 del d.m. n. 1444/1968. Ciò, al fine di garantire e realizzare il principio di uguaglianza sostanziale anche nei riguardi dei soggetti disabili, secondo l’insegnamento espresso dalla Corte costituzionale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00726/2014 REG.PROV.COLL.

N. 01201/2007 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

sezione staccata di Latina (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1201 del 2007, proposto dalla 
Management & Services S.r.l., in persona dell’Amministratore Unico pro tempore, sig.ra Giovanna Gabriele, rappresentata e difesa dall’avv. Massimo Di Sotto e con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Fabio Avv. Raponi in Latina, c.so Matteotti, n. 208

contro

Comune di Sora, non costituito in giudizio

nei confronti di

sig. Giuseppe Quadrini, non costituito in giudizio

per l’annullamento

- della nota del Comune di Sora prot. n. 32392 del 18 settembre 2007, recante comunicazione del parere negativo della Commissione Edilizia Comunale sull’istanza presentata il 21 giugno 2006 ed acquisita al protocollo comunale con il n. 22775 (avente ad oggetto l’installazione di un ascensore esterno e di una pensilina in via Mameli) ed archiviazione dell’istanza stessa;

- del succitato parere negativo della Commissione Edilizia Comunale, espresso nella seduta del 13 settembre 2007;

- di tutti gli atti conseguenti e presupposti

e per la condanna

della P.A. al risarcimento del danno.



Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Vista la memoria conclusiva della società ricorrente;

Visti tutti gli atti della causa;

Nominato relatore nell’udienza pubblica del 19 giugno 2014 il dott. Pietro De Berardinis;

Udito il difensore presente della parte costituita, come specificato nel verbale;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue



FATTO

La ricorrente, Management & Services S.r.l., espone di aver presentato il 20 giugno 2006 istanza al Comune di Sora (acquisita al protocollo comunale con il n. 22775), al fine di ottenere il permesso di costruire per l’installazione di un ascensore esterno al fabbricato civile sito in via Mameli, n. 23, per il superamento di barriere architettoniche.

L’esponente, infatti, con contratto di locazione del 29 marzo 2006 aveva concesso alla Cooperativa sociale “Nova Albetum” di adibire il predetto fabbricato a casa-famiglia per minori in condizioni di disagio, assumendo l’obbligo di munire il fabbricato di ascensore per disabili prima della consegna. Nel contratto era, altresì, previsto lo scioglimento del vincolo in caso di mancanza dei nulla osta e/o delle autorizzazioni necessarie all’utilizzo dei locali per l’attività della Cooperativa.

Dopo varie vicende puntualmente descritte nel ricorso ed una prima archiviazione del procedimento (in seguito riaperto), il Comune di Sora, con nota prot. n. 32392 del 18 settembre 2007, nel rendere noto il parere negativo reso sulla riferita istanza dalla Commissione Edilizia Comunale nella seduta del 13 settembre 2007, comunicava altresì l’archiviazione (definitiva) della pratica.

In particolare, il citato parere negativo si fonda sul mancato rispetto delle distanze previste dal d.m. n. 1444/1968, dal codice civile e dal regolamento edilizio comunale.

Avverso l’ora vista archiviazione, nonché il parere negativo della Commissione Edilizia Comunale, è insorta la società esponente, impugnando tali atti con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento.

A supporto del gravame la società ha dedotto i seguenti motivi:

- violazione degli artt. 1 e 2 della l. n. 241/1990 e dei principi del giusto procedimento e di celerità ed efficacia dell’azione amministrativa, violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di motivazione, in quanto la P.A. non avrebbe spiegato l’iter logico che l’ha portata alla conclusione del mancato rispetto delle distanze, peraltro provvedendo a quasi un anno dall’istanza di riapertura del procedimento e riproducendo le illegittime motivazioni del precedente parere della Commissione Edilizia che ne avevano comportato la (prima) archiviazione;

- violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241/1990, per non avere la P.A. fatto precedere l’impugnata archiviazione dal preavviso di rigetto ex art. 10-bis della l. n. 241/1990;

- violazione e falsa applicazione dell’art. 79 del d.P.R. n. 380/2001, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 e del regolamento edilizio comunale, eccesso di potere per travisamento dei fatti, poiché tra l’opera da costruire ed il fabbricato alieno di via Mameli n. 15/E vi sarebbe una distanza di ml. 4,64, come da planimetria versata in atti e già fornita alla P.A.. Peraltro, l’opera costituirebbe un mero volume tecnico e perciò, in quanto tale, sarebbe di per sé sottratta al computo delle distanze. Inoltre l’art. 79 del d.P.R. n. 380/2001 avrebbe riprodotto l’art. 3 della l. n. 13/1989, che già aveva escluso, per le opere dirette ad eliminare le barriere architettoniche, il rispetto delle maggiori distanze stabilite dai regolamenti edilizi comunali, consentendo l’applicazione della sola distanza di mt. 3 prescritta dal codice civile.

La Management & Services S.r.l. ha formulato, inoltre, domanda di risarcimento del danno ingiusto patito per effetto del ritardo, da parte del Comune, nel provvedere e della decisione di archiviazione dell’istanza autorizzatoria. Tale danno è stato quantificato nei canoni locatizi mai percepiti (avendo la società ricorrente dovuto sciogliere il contratto di locazione stipulato con la Cooperativa sociale “Nova Albetum”), nelle spese inutilmente sostenute per l’acquisto dell’ascensore e nelle spese della pratica edilizia.

Il Comune di Sora, pur ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio.

Anche il sig. Giuseppe Quadrini, evocato quale amministratore del condominio sito nel fabbricato alieno di via Mameli n. 15/E, non si è costituito in giudizio.

In vista dell’udienza pubblica, la ricorrente ha depositato una memoria conclusiva, insistendo per l’accoglimento del ricorso, compresa la domanda di risarcimento del danno, stimato nell’importo complessivo di € 130.600,00.

All’udienza pubblica del 19 giugno 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Formano oggetto di impugnazione il provvedimento comunale di archiviazione della richiesta della società ricorrente diretta al rilascio del permesso di costruire un ascensore esterno per disabili in un fabbricato civile ed il parere negativo della Commissione Edilizia Comunale sul quale si è basata la medesima archiviazione.

In particolare, il parere negativo richiama il mancato rispetto delle distanze ex d.m. n. 1444/1968, di quelle dettate dal codice civile e di quelle previste dal regolamento edilizio comunale.

La domanda di annullamento formulata con il ricorso è fondata e meritevole di accoglimento, per le ragioni che di seguito si espongono.

Va premesso al riguardo che l’art. 79 del d.P.R. n. 380/2001 (il quale ha riprodotto l’art. 3 della l. n. 13/1989), nel disciplinare le opere dirette all’eliminazione delle barriere architettoniche, ha disposto al comma 1 che tali opere possono essere realizzate in deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi, anche per i cortili e le chiostrine interni ai fabbricati o comuni o di uso comune a più fabbricati. Al comma 2 ha, poi, stabilito che è fatto salvo l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli artt. 873 e 907 c.c. nell’ipotesi in cui tra le opere da realizzare ed i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà o di uso comune.

Il richiamato art. 873 c.c., dal canto suo, nel disciplinare le distanze tra le costruzioni, stabilisce che le costruzioni su fondi finitimi, se non unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri, potendo peraltro nei regolamenti locali essere dettata una distanza maggiore. L’art. 907 c.c., infine, stabilisce la medesima distanza di mt. 3 in relazione alla distanza delle costruzioni dalle vedute.

Così indicata la normativa di riferimento, la giurisprudenza amministrativa occupatasi del problema (v. T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 24 febbraio 2012, n. 87) ha evidenziato che le previsioni per il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati – dettate in generale dalla l. n. 13/1989, poi trasfusa nel d.P.R. n. 380/2001, ed articolate in dettaglio nel d.m. 14 giugno 1989, n. 236 – hanno elevato il livello di tutela dei soggetti portatori di minorazioni fisiche, oramai reputato interesse primario della collettività, da soddisfare con interventi tesi a rimuovere situazioni preclusive dello sviluppo della persona e dello svolgimento di una normale vita di relazione (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. IV, 14 novembre 2011, n. 5343; cfr., sul punto, Corte cost., 10 marzo 1999, n. 167 e 4 luglio 2008, n. 251). Peraltro, la giurisprudenza ha precisato che il sistema di tutela delle persone disabili è applicabile, nel concreto, compatibilmente con altri interessi pubblici, i quali non possono essere pretermessi, ma devono essere bilanciati con quello, superiore, alla tutela ottimale di tali persone: ne consegue che le misure necessarie a rendere effettiva la tutela delle persone disabili, sulla base degli artt. 2, 3 e 32 Cost., possono essere legittimamente graduate in vista dell’attuazione del principio della parità di trattamento, tenuto conto di tutti i valori costituzionali in gioco e fermo, comunque, il rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati.

Il diniego sull’istanza di autorizzazione all’intervento diretto ad eliminare le barriere architettoniche sarà, dunque, consentito qualora non sia possibile realizzare le opere, senza pregiudizio di altri beni ugualmente tutelati (T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, n. 87/2012, cit.), tenendo peraltro conto che di eliminazione delle barriere architettoniche si può parlare solo per le opere tecnicamente necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati, come ad es. servoscale ed ascensori, e non già per le opere tese alla migliore fruibilità dell’edificio ed alla maggiore comodità dei residenti, come ad es. porticati o tettoie (v. T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 8 novembre 2011, n. 526).

Nell’ottica appena illustrata, va evidenziato che il Legislatore ha effettuato scelte puntuali in merito alla graduazione degli interessi coinvolti. Ad es., nel bilanciamento tra l’interesse alla salvaguardia del patrimonio storico-artistico nazionale e quello alla tutela del diritto alla salute e ad una normale vita di relazione delle persone disabili, la normativa ha dato prevalenza a quest’ultimo, consentendo il diniego dell’autorizzazione alla realizzazione degli interventi su un bene vincolato solo in caso di accertato e motivato serio pregiudizio del bene stesso (T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, n. 87/2012, cit., con i precedenti ivi elencati). Al contrario, è stato ritenuto prevalente l’interesse al rispetto della normativa antincendio (C.d.S., Sez. V, 8 marzo 2011, n. 1437).

Con riferimento, in particolare, al problema che qui rileva – cioè quello del contrasto tra l’interesse dei soggetti portatori di minorazioni fisiche e quello dei soggetti terzi (in particolare, i proprietari di fabbricati alieni) – il Legislatore, con il surriferito art. 79 del d.P.R. n. 380/2001 e con le norme dal medesimo richiamate (artt. 873 e 907 c.c.), ha ritenuto di comporre il contrasto dando prevalenza al diritto dei terzi di veder rispettate le distanze tra le costruzioni previste dalle norme del codice civile richiamate e, dunque, una distanza non inferiore a tre metri: ciò, al fine di garantire la salubrità delle costruzioni. In altre parole, il Legislatore ha considerato l’interesse delle persone disabili recessivo rispetto al diritto alla salute dei soggetti “terzi” ed in specie dei proprietari di immobili finitimi, che non possono patire una lesione di siffatto diritto per effetto della costruzione di intercapedini, tali da incidere sulla salubrità delle costruzioni. E la scelta del Legislatore è stata ritenuta non illogica dalla giurisprudenza (T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, n. 87/2012, cit.), attesa la pari rilevanza del diritto alla salute dei soggetti confinanti rispetto a quello dei portatori di minorazioni.

Peraltro, la giurisprudenza di merito ha chiarito come il comma 2 dell’art. 3 della l. n. 13/1989 (ora comma 2 dell’art. 79 del d.P.R. n. 380 cit.) debba interpretarsi nel senso che la distanza minima da mantenere, nella realizzazione delle opere dirette a rimuovere le barriere architettoniche, rispetto ai fabbricati vicini, in assenza di spazi o aree di proprietà o uso comune, è quella di tre metri prevista dalla prima parte dell’art. 873 c.c. (indicata anche dall’art. 907 c.c.), poiché il richiamo al citato art. 873 c.c. deve intendersi limitato alla sola prima parte di detta disposizione, con esclusione, pertanto, delle previsioni dei regolamenti locali (Trib. Genova, 13 novembre 1997, in Arch. Locazioni, 1998, 86).

La giurisprudenza di merito ha, inoltre, affermato che l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 79 del d.P.R. n. 380/2001 porta ad estendere la deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti edilizi (dettata nel comma 1 dell’art. 79 cit.) anche agli atti di normazione primaria, con il corollario di dover limitare al dato testuale il richiamo all’art. 873 c.c. e quindi dell’inapplicabilità ad una fattispecie del tutto analoga a quella ora in esame (installazione dell’ascensore esterno ad un edificio) della disciplina sulle distanze dai fabbricati alieni prevista dall’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 (Trib. Monza, 1° ottobre 2007, in Giur. Merito, 2008, 3, 728). Ciò, al fine di garantire e realizzare il principio di uguaglianza sostanziale anche nei riguardi dei soggetti disabili, secondo l’insegnamento espresso dalla Corte costituzionale con la già ricordata sentenza n. 167/1999.

Gli arresti ora riferiti debbono essere condivisi.

Invero, l’inapplicabilità alle opere volte a rimuovere le barriere architettoniche della disciplina sulle maggiori distanze contenuta nei regolamenti edilizi comunali, discende dalla deroga espressa a detta disciplina stabilita dell’art. 79, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001. Tale deroga verrebbe frustrata – e dunque la previsione che la contiene sarebbe inutiliter data – ove si ritenesse che il rinvio contenuto nel comma 2 dell’art. 79 cit. all’art. 873 c.c. riguardi anche la seconda parte di siffatta disposizione del codice civile (la quale, come già illustrato, ammette che nei regolamenti locali venga fissata una distanza maggiore di quella di mt. 3 prevista dalla prima parte dello stesso art. 873 c.c.).

In altre parole, il Legislatore sarebbe incorso in un’abnorme contraddizione, qualora avesse stabilito al comma 1 dell’art. 79 cit. l’inapplicabilità delle distanze previste nei regolamenti edilizi comunali alle opere (come gli ascensori esterni) volte a rimuovere le barriere architettoniche, per poi, invece, rendere applicabili le suddette distanze, tramite il rinvio all’art. 873 c.c. contenuto nel comma 2 del medesimo art. 79: ma la contraddizione si supera ritenendo – con la giurisprudenza sopra richiamata – che il rinvio operato dall’art. 79, comma 2, cit., riguardi solamente la prima parte dell’art. 873 c.c. e, dunque, renda applicabile alle opere in questione soltanto la distanza di mt. 3 stabilita dalla prima parte dell’ora vista disposizione codicistica.

Per quanto concerne, poi, l’inapplicabilità delle distanze previste dal d.m. n. 1444/1968, si richiama – ad ulteriore supporto – il principio per cui la disciplina in materia di distanze non opera per quegli impianti che debbono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell’appartamento e che riflettono l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini (Pret. Catania, 20 marzo 1992, Lirosi c. Pantò), senza trascurare che nel caso di specie sono tutelati primari valori costituzionali, mentre il diritto alla salute, di pari rango costituzionale, dei proprietari dei fabbricati alieni è già garantito con l’applicazione della distanza di mt. 3 ex artt. 873 e 907 c.c..

Da quanto sinora esposto si evince, perciò, che nella fattispecie all’esame il Comune di Sora:

a) da un lato, ha errato nel richiamare le norme sulle distanze contenute nel d.m. n. 1444/1968 e nel regolamento edilizio comunale, trattandosi di norme non applicabili alla fattispecie stessa;

b) dall’altro, non ha tenuto conto della documentazione offerta dalla ricorrente a dimostrazione del rispetto della distanza di mt. 3 ex art. 873 c.c. (cfr. all. 3 al ricorso), da cui risulta che la distanza tra l’ascensore ed il fabbricato alieno di via Mameli n. 15/E è di mt. 4,63.

Ne discende la fondatezza del terzo motivo di ricorso, avente natura sostanziale e dotato, perciò, di efficacia assorbente rispetto ai precedenti motivi. Per conseguenza, in accoglimento del ricorso, va disposto l’annullamento degli atti impugnati, in particolare del parere negativo della Commissione Edilizia Comunale espresso nella seduta del 13 settembre 2007 sull’istanza di permesso di costruire per l’installazione dell’ascensore in esame, e del conseguente provvedimento di archiviazione della pratica da parte del Comune di Sora.

Deve, invece, essere respinta la domanda di risarcimento dei danni avanzata dalla ricorrente.

Invero, i suddetti danni sono stati quantificati, in sede conclusiva, in € 115.200,00 a titolo di canoni non percepiti dalla Cooperativa sociale “Nova Albetum”, a seguito dalla risoluzione del contratto di locazione derivante dalla mancata installazione dell’ascensore; € 5.400,00 ed € 9.000,00 quali spese inutilmente sostenute per l’acquisto dell’ascensore; infine € 1.000,00 a titolo di spese per la pratica edilizia. Il tutto, per complessivi € 130.600,00.

Sul punto si osserva, tuttavia, anzitutto che nessun danno può essere risarcito per le spese sostenute dalla ricorrente Management & Services S.r.l.. Infatti, questa da un lato ha tenuto una condotta non ispirata alla necessaria diligenza, avendo acquistato l’ascensore prima della positiva definizione del procedimento: tale voce di danno, pertanto, è unicamente ascrivibile alla sua responsabilità, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1227, secondo comma, c.c. (a tenor del quale nessun risarcimento è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza). Le spese riguardanti la pratica edilizia sono, poi, non rimborsabili (tantomeno a titolo di risarcimento del danno), giacché la parte interessata le avrebbe dovute in ogni caso sostenere, quale che fosse stato l’esito del relativo procedimento e, dunque, tanto se questo fosse sfociato in un accoglimento dell’istanza, quanto se si fosse concluso con un legittimo rigetto della medesima.

Anche per quanto riguarda i canoni non percepiti, poi, il comportamento dell’odierna ricorrente non può ritenersi rispettoso della regola di cui all’art. 1227, secondo comma, c.c.; una condotta diligente sarebbe stata, infatti, quella di procurarsi il permesso/autorizzazione prima di dare in locazione alla Cooperativa sociale l’immobile per cui è causa: la ricorrente, invece, ha tenuto la condotta opposta, evidentemente considerandosi garantita dalle clausole all’uopo inserite nel contratto di locazione, le quali – nel consentire lo scioglimento del rapporto in caso di mancata installazione dell’ascensore – tutelavano la conduttrice e nel contempo ponevano le basi affinché la locatrice potesse rivalersi nei confronti dell’Amministrazione.

In ogni caso, nella vicenda in esame non è rinvenibile l’elemento soggettivo della colpa della P.A., requisito necessario affinché possa configurarsi la responsabilità aquiliana della P.A. nelle materie diverse dagli appalti pubblici (Cass. civ., Sez. III, 28 ottobre 2011, n. 22508; T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, 21 ottobre 2013, n. 779).

Ha affermato, infatti, la giurisprudenza (v. pure T.A.R. Campania, Napoli, Sez. V, 8 luglio 2013, n. 3526; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 1° luglio 2013, n. 6495) che, per l’ammissibilità della domanda risarcitoria nei confronti della P.A., non basta il solo annullamento del provvedimento lesivo, ma è, altresì, necessaria la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa, dovendo quindi verificarsi se l’adozione e l’esecuzione dell’atto impugnato siano o meno avvenute in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, a cui l’esercizio della funzione pubblica deve costantemente attenersi: ne consegue che il giudice amministrativo potrà affermare la responsabilità della P.A. per danni conseguenti ad un atto illegittimo, se la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto ed in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato (T.A.R. Lazio, Latina, Sez. I, n. 779/2013, cit.).

Orbene, la portata invero non perspicua dell’art. 79 del d.P.R. n. 380/2001 – che, come si è visto, al comma 1 prevede una deroga alle distanze stabilite dai regolamenti edilizi comunali, la cui portata sembrerebbe interamente annullata dal rinvio che il successivo comma 2 fa all’art. 873 c.c. – è tale da indurre il Collegio a concludere per l’esistenza, nel caso di specie, di un errore scusabile in capo al Comune di Sora: errore scusabile riconducibile alla non facile intelligibilità del menzionato dato normativo, oltre che all’esistenza di rari precedenti giurisprudenziali in materia, per giunta talvolta discordanti.

In definitiva, pertanto, mentre il ricorso va accolto nella sua parte impugnatoria, con annullamento degli atti a mezzo di esso impugnati, va respinto quanto alla domanda di risarcimento dei danni con lo stesso veicolata.

Le spese del giudizio sono dichiarate irripetibili nei riguardi del Comune di Sora, in considerazione della parziale soccombenza reciproca delle parti, e nei confronti del sig. Giuseppe Quadrini, evocato quale amministratore del condominio sito nel fabbricato di via Mameli n. 15/E.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione staccata di Latina (Sezione I^), così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nella sua parte impugnatoria e, per l’effetto, annulla gli atti con esso impugnati, respingendo, invece, la domanda di risarcimento del danno.

Dichiara irripetibili le spese nei riguardi del Comune di Sora, nonché nei riguardi del sig. Giuseppe Quadrini.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Latina, nella Camera di consiglio del giorno 19 giugno 2014, con l’intervento dei magistrati:

Francesco Corsaro, Presidente

Davide Soricelli, Consigliere

Pietro De Berardinis, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/09/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)