Il riutilizzo
Mauro Sanna
Le
numerose sentenze della Corte di Cassazione che, alla luce di quanto previsto
dall’articolo 14 del D.L. 8 luglio 2002 n. 138, hanno proceduto alla
classificazione di una determinata sostanza come rifiuto sulla base delle
operazioni svolte su di esso, sia
quelle che hanno ritenuto applicabile l’articolo 14, sia quelle che hanno
adottato una decisione opposta, sono state basate sulla nozione di riutilizzo,
definita però in maniera antitetica.
In
alcuni casi in esse era manifestata la doglianza che il Tribunale avesse
“omesso di valorizzare adeguatamente l’attività in concreto svolta” da
chi aveva provveduto alla gestione del materiale oggetto del giudizio, appunto
perché cardine della decisione era la qualificazione dell’attività
effettivamente svolte.
L’interpretazione
autentica di rifiuto, contenuta nell’articolo 14 ha previsto di fatto, al fine
di verificare se una sostanza sia da qualificare come tale o meno, due
condizioni che la sostanza sia riutilizzata direttamente o previo pretrattamento
e che tale riutilizzo avvenga senza pregiudizio all’ambiente.
Appare
quindi evidente che, al fine di una corretta applicazione dell’articolo 14, è
indispensabile che nei giudizi di merito sia chiarito ed esplicitato quali sono
effettivamente le operazioni svolte su un determinato oggetto e se queste siano
da comprendere tra le semplici operazioni di riutilizzo o debbano essere
comprese nel campo più ampio delle operazioni di recupero. Ed è
conseguentemente indispensabile definire cosa debba intendersi per riutilizzo.
Proprio
per dare un contributo esclusivamente tecnico, nella presente nota, si
prenderanno in esame alcune delle situazioni che si possono presentare, tentando
di qualificare, in relazione a quanto previsto dall’articolo 14 del D.L.
138/02, la nozione di riutilizzo rispetto a quella di recupero, quella di
pretrattamento rispetto a quella di trattamento ed individuando le modalità di
verifica dell’eventuale pregiudizio arrecato all’ambiente.
Le
operazioni di riutilizzo, reimpiego e recupero
Il
comma 1 dell’articolo 4 del D.Lgs. 22/97 prevede che ai fini di una corretta
gestione dei rifiuti le autorità competenti favoriscano la riduzione dello
smaltimento finale dei rifiuti ricorrendo tra l’altro alle seguenti misure:
-
reimpiego;
-
riciclaggio;
-
altre forme di recupero per ottenere materia prima dai rifiuti;
-
utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo
per produrre energia.
Il
comma 2 del medesimo articolo aggiunge poi che il riutilizzo, il riciclaggio e
il recupero di materia prima debbono essere considerati preferibili rispetto
alle altre forme di recupero.
Considerando
le diverse terminologie previste dalla normativa, la specifica terminologia
utilizzata per indicare le modalità di gestione dei rifiuti diverse dallo
smaltimento, queste risultano essere: riutilizzo, reimpiego, recupero,
riciclaggio.
E’
indispensabile, al fine di comprendere l’effettiva finalità delle stesse,
definire il loro esatto significato.
Riutilizzare
una sostanza o un prodotto significa utilizzare di nuovo cose già usate,
destinandole anche a usi diversi dal primitivo. Per parlare di riutilizzo è
perciò necessario che l’oggetto iniziale
non perda la sua originaria identità; solo così infatti è possibile
reiterarne l’utilizzo.
Tale
secondo utilizzo potrà attuarsi con le stesse modalità con cui avveniva quello
originario oppure con modalità del tutto nuove essendo l’uso diverso;
comunque l’oggetto o la sostanza manterranno anche in questo caso la
loro primitiva identità, indipendentemente dall’uso diverso in cui sono
coinvolti.
In
questo caso l’oggetto o la sostanza subiscono dei veri e propri trattamenti
definitivi che, come vedremo in seguito, non potranno essere in alcun caso
assimilati a dei pretrattamenti.
Anche
reimpiegare è iterativo di impiegare, questo termine
comporta tuttavia operazioni più complesse e più ampie
di quelle relative al semplice riutilizzo, ma certamente più limitate se
comparate con le operazioni più generali di recupero.
Impiegare
una sostanza comporta infatti “implicare” una certa sostanza o prodotto in
una determinata operazione a prescindere dalla sua identità, come avviene
appunto nelle attività di recupero, ma non in quelle di semplice utilizzo.
Infatti,
la nozione di recupero è notevolmente più ampia di quella di riutilizzo
o reimpiego, entrambe le quali, pur comprese
in tale nozione, ne rappresentano
però solo una particolare e limitata fattispecie.
Anche
recuperare ha un significato iterativo (“prendere, capere, di
nuovo”), ma certamente più ampio di riutilizzare e reimpiegare, nel senso più
generale di “utilizzare materiali, sostanze o energie che andrebbero
perdute”.
Le
operazioni di recupero perciò, indipendentemente dalla specifica sostanza o
oggetto, prendono di fatto in considerazione la materia o l’energia
in essi contenute che possono essere recuperate.
Coerentemente
con la nozione di recupero, i trattamenti chimici, fisici, meccanici, biologici
a cui è sottoposto un oggetto per recuperare da esso energia o materia,
differenziati a seconda dell’oggetto coinvolto e del fine del
trattamento, sono tutti riconducibili alle operazioni di recupero elencate negli
allegati C del D.Lgs. 22/97; in
questo caso però non si potrà parlare né di riutilizzazione né di
pretrattamento, ma di operazione di recupero.
Trattamento
e pretrattamento
Come
sopra ricordato, quando a causa del trattamento a cui sono sottoposti, una
sostanza o un oggetto perdono la loro identità originaria, non si potrà più
parlare di riutilizzo, essendo venuto meno l’oggetto del riutilizzo, che ha
perso la sua originaria identità.
Questo avviene, appunto, quando un certo oggetto iniziale subisce un qualsiasi
trattamento chimico, fisico, biologico o meccanico che
fa mutare la sua natura originaria e quindi la sua identità.
Queste
operazioni, poiché mutano la natura e l’identità dell’oggetto originario,
non potranno mai essere comprese nell’ambito dei cosiddetti
“trattamenti preliminari”, ma rientreranno
tutte tra quelle individuate negli allegati B e C del D.Lgs. 22/97 a seconda che
il loro fine sia il recupero o lo smaltimento.
Infatti
si verifica un “trattamento prevedibile definitivo”,
ogni qualvolta un qualsiasi
oggetto viene ad essere disaggregato, solubilizzato, fuso, trasformato
chimicamente, assoggettato a separazione dei diversi componenti in esso
presenti, fatto fermentare, combusto, ecc.
Si
potrà invece parlare di “trattamento preliminare” quando l’oggetto del
trattamento resta inalterato, cioè quando
il trattamento non modifica la sostanza, lo stato e la qualità
dell’oggetto originario, e quindi non viene a mutare la sua identità.
Nel
caso in cui l’identità dell’oggetto iniziale
venga a mutare, si potrà parlare di trattamento, ma non di trattamento
preliminare perché questa operazione in quanto tale presupporrebbe che
l’oggetto originario ancorchè trattato, abbia mantenuto
comunque immutata la sua
identità.
Quando
invece si è in presenza di trattamenti definitivi,
questi non siano finalizzati allo smaltimento, si potrà parlare di
attività di recupero o rigenerazione al fine di recuperare la sostanza o
l’energia contenuta nell’oggetto originario, ma mai di riutilizzo.
Le
operazioni di recupero
Operazioni
di recupero avvengono ad esempio nei casi in cui:
-
un solvente inquinato è ridistillato e purificato e quindi mediante
questo processo fisico esso è rigenerato;
-
una sostanza è fatta fermentare e mediante questo processo biologico si
producono altre sostanze;
-
un prodotto è fuso ed attraverso questo processo
fisico si ottengono manufatti
o sostanze pure quali un metalli o leghe;
-
un materiale è disaggregato e selezionato ed attraverso questo processo
meccanico si ottengono altri materiali;
-
una sostanza è combusta e dalla sua combustione si recupera la fase
gassosa o la fase solida residua;
-
una sostanza è combusta e dalla sua combustione si recupera energia.
Mentre
nell’ultimo caso si tratta di una operazione finalizzata al recupero di
energia, gli altri casi sopra elencati riguardano invece
operazioni finalizzate al recupero di materia.
Appare
chiaro che queste operazioni non sono trattamenti preliminari, ma definitivi;
essi indipendentemente dal loro scopo, mutato completamente, se non addirittura
fanno scomparire, la sostanza o l’oggetto iniziale, che quindi certamente
perdono la loro primitiva identità.
Queste
operazioni, per le considerazioni svolte, non potranno mai essere qualificate
come operazioni di riutilizzazione e quindi non potrà comunque trovare
applicazione l’articolo 14 del D.Lgs. 138/02, non trattandosi di operazioni di
riutilizzo, né con pretrattamento né senza pretrattamento.
La
valutazione del pregiudizio all’ambiente
L’articolo
14 del D.Lgs. 138/02 prevede che, nei casi in cui un oggetto o una sostanza
siano riutilizzati direttamente o previo pretrattamento, tale operazione non
deve comunque comportare un pregiudizio per l’ambiente, e questa
è appunto la seconda condizione posta perché una sostanza, ancorchè
riutilizzata, non sia da classificare come rifiuto
E’
evidente che, per valutare se vi sia o meno pregiudizio per l’ambiente,
si dovrà prioritariamente accertare se il processo adottato sia conforme
alle prescrizioni della normativa in materia. Si dovrà perciò verificare che i
sistemi di salvaguardia ambientale siano quelli prescritti in quel determinato
caso e che le emissioni prodotte, liquide e gassose, siano conformi ai limiti
stabiliti per quella particolare operazione o processo.
Quanto
più ci si discosterà dal rispetto delle prescrizioni previste per
quella specifica operazione, tanto più l’attività svolta sarà pericolosa
per l’ambiente, non essendo state adottate le garanzie previste.
Pertanto
per verificare se vi sia o meno pregiudizio per l’ambiente, a causa delle
variabili introdotte dall’impiego di rifiuti in un determinato processo
produttivo, si dovranno individuare le effettive operazioni svolte ed i
materiali in esse coinvolti e si dovrà determinare se siano adottate le misure
tecniche di salvaguardia previste.
Nel
caso, ad esempio, di processo di produzione di laterizi, dove insieme con
l’argilla siano mescolati anche fanghi di depurazione, o fanghi di cartiera, o
qualsiasi altro rifiuto, si dovrà tener conto
che, nel momento in cui avviene la cottura dei laterizi, il trattamento
termico attuato non sarà più quello tradizionale di una fornace in cui
l’unica materia presente è l’argilla. I rifiuti utilizzati insieme con
l’argilla a seconda delle loro caratteristiche, non saranno sottoposti alla
semplice cottura, ma subiranno una combustione, una gassificazione o comunque
una trasformazione chimico-fisica
tale da produrre delle emissioni gassose. Conseguentemente le emissioni di un
processo di produzione di laterizi da una mescola di argilla e rifiuti non
saranno più quelle tipiche di una fornace di mattoni, sottoposte ai limiti solo
per quanto riguarda macroinquinamenti quali polveri, SO2, NOx,
ma si dovrà tener conto anche degli altri parametri inquinanti derivanti dallo
specifico rifiuto coinvolto.
Situazione
analoga si determinerà nel caso di trattamento termico finalizzato alla
produzione di energia quando non sia utilizzato un combustibile tradizionale, ma
sia impiegato un rifiuto da solo o in combinazione con tale combustibile. Anche
in questo caso la combustione del rifiuto darà luogo ad emissioni che non sono
quelle prodotte da un combustibile tradizionale, caratterizzate perciò solo da
inquinanti quali polveri, SO2, NOx; saranno
presenti in esse molti altri inquinanti in funzione del tipo di rifiuto che è
stato combusto.
Egualmente,
nel caso in cui un materiale di demolizione sia impiegato in sostituzione di
materiali di cava, per realizzare riempimenti o rilevati, si produrrà dal suo
dilavamento un lisciviato che, per tipo di inquinanti presenti e per la loro
concentrazione, sarà differente da quello che si produce, invece, impiegando
materiale originario di cava.
In
questi casi per il recupero di materia o di energia dovranno essere adottate
misure di garanzia che tengano appunto conto del fatto che le emissioni liquide
e gassose prodotte sono quelle di un processo che utilizza non solo materie
prime, ma anche rifiuti, e che quindi esse contengono inquinanti
diversi ed in concentrazioni maggiori.
La
individuazione di quali debbano essere i trattamenti utili ad eliminare
qualsiasi situazione pregiudiziale per l’ambiente, sarà agevole nei casi in
cui la normativa nazionale ed
europea preveda per l’impiego di rifiuti in determinati processi produttivi
i parametri inquinanti da considerare, i sistemi di disinquinamento da
adottare e i limiti da rispettare, specifici e vincolanti.
I
trattamenti termici
Situazione emblematica, in cui tutte queste condizioni sono
state previste dalla normativa, è quella relativa ai processi produttivi in cui
sono coinvolti dei rifiuti che comportano comunque, indipendentemente dal fine
per il quale essi sono realizzati, un trattamento termico.
Proprio
perchè le emissioni prodotte dal trattamento termico di un rifiuto sono diverse
da quelle di un trattamento di una materia prima
e quindi sono necessari sistemi di abbattimento diversi e limiti alle
emissioni differenti, il D.Lgs. 22/97 ha previsto, rispettivamente
all’articolo 28 ed all’articolo 31 lett. b), che:
-
i limiti di emissione in atmosfera
per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da
recupero energetico, non possono essere meno restrittivi di quelli fissati per
gli impianti di incenerimento dalle direttive comunitarie 89/369/CEE del
Consiglio dell’8 giugno 1999, 89/429/CEE del Consiglio del 21 giugno 1989,
94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, e successive modifiche ed
integrazioni;
-
per accedere alle
procedure semplificate le attività di trattamento termico e di recupero
energetico devono rispettare le seguenti condizioni:
·
i limiti di emissione non siano meno restrittivi di quelli
stabiliti per gli impianti di
incenerimento dalle direttive comunitarie 89/369/CEE del Consiglio dell’8
giugno 1999, 89/429/CEE del Consiglio del 21 giugno 1989, 94/67/CE del Consiglio
del 16 dicembre 1994, e successive modifiche ed integrazioni e dal decreto del
Ministro dell’Ambiente 16 gennaio 1995.
Pertanto
ogni qualvolta un rifiuto è sottoposto a trattamento termico, indipendentemente
dal tipo di processo industriale in cui esso è inserito, che si realizzi o meno
un processo di combustione, che avvenga recupero di materia o di energia, solo
per il fatto che non sono impiegate
solo materie prime, ma anche rifiuti, i
parametri inquinanti da controllare, i limiti da rispettare e conseguentemente
le misure di salvaguardia ambientale da adottare, saranno identici a quelli
previsti per gli impianti di incenerimento.
I
limiti e le prescrizioni da adottare per l’abbattimento degli inquinanti
presenti nelle emissioni previsti dalla normativa italiana, che ha ripreso di
fatto la normativa europea, sono quelli previsti dal D.M. 503/97 e del D.M.
124/00, rispettivamente per l’incenerimento dei rifiuti urbani e speciali e
per l’incenerimento dei rifiuti pericolosi.
Tali
prescrizioni sono state poi riprese quasi integralmente - e non poteva essere
altrimenti - anche dalla normativa tecnica di attuazione degli articoli 31 e 33
del D.Lgs. 22/97, contenuta nel D.M. 5.2.1998; quest’ultimo D.M. ha previsto,
nel caso che il recupero dei rifiuti avvenga mediante trattamento termico, sia
esso sia finalizzato al recupero di materia o di energia, che i limiti da
rispettare siano quelli fissati rispettivamente dagli allegati che ricevono di
fatto le prescrizioni stabilite dal D.M. 503/97 e del D.M. 124/00.
Da
una comparazione dei parametri e dei limiti previsti dalla normativa riguardante
il controllo delle emissioni degli inceneritori, a cui gli impianti che
recuperano i rifiuti sono equiparati in forza degli articolo 28 e 31 del D.Lgs.
22/97, con quelli previsti per le emissioni delle singole lavorazioni
industriali che impiegano però solo materie prime, appare evidente come i
parametri, i limiti e le prescrizioni in genere previste per le emissioni degli
inceneritori siano nettamente più restrittivi.
Cioè
il legislatore ha ritenuto che, nel caso in cui il trattamento termico riguardi
un rifiuto, i limiti, i parametri e le prescrizioni da rispettare debbano essere
quelle più restrittive previste per gli inceneritori, indipendentemente dal
processo produttivo svolto o dal rifiuto impiegato.
Considerato
quanto sopra perciò, nel caso di impiego di un rifiuto in un processo
industriale in cui interviene un trattamento termico, sia che lo si voglia
definire recupero, reimpiego o riutilizzo, al fine di stabilire se
l’operazione avvenga senza recare
pregiudizio all’ambiente, sarà sufficiente verificare se il controllo delle
emissioni sia basato sui parametri, i limiti e le prescrizioni previste per gli
impianti di incenerimento o se invece in tale processo produttivo siano adottati
solo i limiti e le prescrizioni previste per il medesimo processo
produttivo, quando però siano impiegate solo materie prime.
Tale
diversità di controllo renderà perfettamente conto del grado di pregiudizio
recato all’ambiente, in termini di qualità e quantità di inquinanti emessi
in atmosfera.
Riempimenti
e rilevati
Anche
nel caso che in sostituzione di materiali di cava, per realizzare riempimenti e
rilevati siano impiegati rifiuti, la normativa ha previsto, proprio per la
diversità del lisciviato che si può produrre dal suo dilavamento, particolari
prescrizioni e limitazioni.
Nel
caso di impiego di rifiuti è stato infatti previsto che gli inquinanti in essi
presenti, determinati attraverso un opportuno test di lisciviazione, siano al di
sotto di determinate soglie che
sono state fissate dall’allegato 1 al D.M. 5.2.1998.
Anche
in questo caso perciò indipendentemente che si voglia parlare
di recupero, reimpiego o riutilizzo, la presenza o meno di un pregiudizio
per l’ambiente potrà essere valutata verificando la presenza e le
concentrazioni di inquinanti contenuti nel lisciviato secondo le metodiche
stabilite dall’allegato 3 del D.M. 5.2.1998. Quanto più
gli inquinanti presenti nel lisciviato si discosteranno dalle soglie
previste, tanto maggiore sarà il pregiudizio arrecato all’ambiente.
Conclusioni
Pur
volendo inserire le attività di recupero sopra elencate,
emblematiche dei più comuni sistemi di gestione dei
rifiuti al fine di recuperare da essi materia o energia, nella nozione di
riutilizzo, che per le
considerazioni svolte in precedenza, è notevolmente più restrittiva di quella
generale di recupero, per verificare se sussiste la seconda condizione posta
dall’articolo 14 del D.L. 138/03, e cioè che
il riutilizzo di una sostanza avvenga senza pregiudizio per l’ambiente,
sarà sufficiente verificare se tali operazioni siano svolte utilizzando
come sistemi antinquinamento e misure di salvaguardia ambientale quelle previste
per i processi produttivi in cui non intervengono rifiuti, ma solo materie
prime, o siano invece utilizzati, coerentemente con quanto previsto dalla
normativa, i sistemi previsti nei casi in cui avviene la gestione non di materie
prime ma di rifiuti.
Le
precedenti considerazioni sulle diverse conseguenze ambientali derivanti
dall’impiego di un rifiuto in un ciclo produttivo in sostituzione o ad
integrazione delle materie prime tradizionali, sia che esso sia teso al recupero
di energia che di materia, rendono conto del fatto che la qualificazione di una
sostanza come rifiuto non è un fatto formale, ma è un fatto
sostanziale.
Infatti,
nel caso che una sostanza sia classificata rifiuto dovranno essere rispettati i
limiti e le prescrizioni a cui il suo impiego è soggetto. Nel caso invece che
la medesima sostanza non sia classificata come rifiuto, ma come materia prima,
tali vincoli non saranno più validi.
Pertanto,
anche se il suo impiego produrrà effetti negativi sull’ambiente emettendo
inquinanti in quantità o concentrazioni ben più rilevanti di quelli prodotti
dalle tradizionali materie prime, questo
sarà formalmente “legittimo”, perché per “legge” non si tratta di
rifiuto ma di materia prima.
Con
tale procedura si perverrà all’assurdo che per abbattere l’inquinamento,
sarà sufficiente ridefinire anche se in modo improprio, la causa, qualificando
un rifiuto materia prima.
Solo
in questo modo può avvenire che
l’operazione di fusione di un rottame ferroso sia considerata genericamente
come riutilizzo di un rifiuto, non
ponendo in luce che nella fusione avviene un trattamento fisico del rottame,
attraverso il quale sono modificate la sua natura e la sua
identità con emissioni di sostanze inquinanti in atmosfera, ben diverse
da quelle che si hanno quando sono impiegate le sole materie prime.
Non prendendo così in considerazione anche la seconda
condizione posta dal legislatore e cioè che tale operazione, non svolta conformemente a quanto previsto dalla normativa in
materia di trattamento termico dei rifiuti, determina un grave pregiudizio per
l’ambiente.
Non
considerando affatto che tale operazione rientra anche pienamente tra le
operazioni di recupero R4 dell’allegato C del D.Lgs. 22/97, comprendente
appunto il riciclo/recupero di metalli e composti metallici.
Diversamente
avviene, se l’oggetto sottoposto a tali attività di recupero, sarà a tutti
gli effetti considerato un rifiuto
e le operazioni a cui esso è sottoposto saranno soggette ai controlli ed alle
autorizzazioni previste dal D.Lgs. 22/97.
In
conclusione, al fine di verificare l’applicabilità dell’articolo 14 del
D.L. 138/02, una volta che sia stato verificato che effettivamente avvenga
un’attività di riutilizzo con o senza operazioni di pretrattamento, si dovrà
anche verificare che tali operazioni di riutilizzo non determinino pregiudizio
per l’ambiente. La misura dell’eventuale pregiudizio prodotto
sull’ambiente, potrà essere determinata valutando se tali operazioni
avvengano nel rispetto delle prescrizioni previste per quelle particolari
operazioni.
Tali
prescrizioni nell’ambito della normativa sui rifiuti sono sempre
stabiliti quando l’operazione a cui
è sottoposto un rifiuto non è quella di mero riutilizzo - dove non
intervenendo mutamenti di identità, non si ha la produzione di emissioni - ma
quella di vero e proprio recupero che
proprio per le modifiche apportate alla
sostanza o all’oggetto, comporta emissioni solide, liquide o gassose
nell’ambiente.