Stoccaggio e deposito temporaneo nel quadro del D.Lgs. 22/97 di Benedetta Bracchetti Benedetta Bracchetti

Benedetta Bracchetti

Albo delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti –

Sezione provinciale di Bolzano

via Perathoner 8b-10, 39100 Bolzano

Tel: 0471/945654

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Stoccaggio e deposito temporaneo nel quadro del

D.Lgs. 22/97

 

 

 

Lavoro conclusivo della partecipazione al "Master in Diritto e Politiche ambientali"

edizione 2000 organizzato dalla Fondazione Lanza - Padova

Indice

1. Introduzione ........ 1

2. Le nozioni di smaltimento e stoccaggio provvisorio ai sensi del D.P.R. n. 915 del 10 settembre

1982 ..................... 1

2.1. Brevi cenni sulla regolamentazione ed autorizzazione allo stoccaggio provvisorio .................. 4

3. Le nozioni di gestione di rifiuti, smaltimento e stoccaggio ai sensi del D.Lgs. 22 del 5 febbraio

1997 ..................... 6

3.1. La regolamentazione della gestione dei rifiuti: cenni e rinvio ..................................................... 8

4. Il deposito temporaneo ....................................................................................................................... 9

4.1. La definizione di deposito temporaneo ed i suoi caratteri generali ............................................ 9

4.2. Le condizioni previste ai punti 2) e 3) dell’art. 6, lett. m) : problemi interpretativi .................. 11

4.3. Obblighi gestionali ulteriori ed amministrativi. .......................................................................... 14

4.4. Il deposito temporaneo di rifiuti sanitari ..................................................................................... 15

4.5. La genesi del concetto di deposito temporaneo e le critiche avanzate ......................................... 16

4.6. Il deposito temporaneo irregolare: brevi cenni ............................................................................ 20

5. Il deposito preliminare ....................................................................................................................... 22

5.1. La procedura ordinaria di cui all’art. 28 del Decreto Ronchi per l’esercizio delle operazioni di

smaltimento e recupero ................................................................................................................ 22

6. Messa in riserva .. 23

6.1. La procedura semplificata di cui all’art. 33 del Decreto Ronchi per le attività di recupero

disciplinate dal D.M. 5 febbraio 1998: sintesi ............................................................................. 26

6.2. Altri adempimenti amministrativi concernenti la messa in riserva ed il deposito preliminare..... 28

7. Conclusioni …...... 28

Bibliografia ............. 29

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1. Introduzione

Il presente lavoro intende analizzare l’evoluzione dello stoccaggio provvisorio di rifiuti dal

quadro legislativo costituito dal D.P.R. 915/82 all’attuale sistema normativo fondato sul

D.Lgs. 22/97, il c.d. "Decreto Ronchi". Al centro dell’attenzione si pongono, quindi, il

confronto dei concetti di stoccaggio nelle normative in esame succedutesi nel tempo e la loro

genesi alla luce dei principali contributi di dottrina e giurisprudenza, nel tentativo di

ricostruire un quadro critico del tema e comprenderne lo stato attuale di sviluppo ed i possibili

mutamenti futuri.

Si evidenziano brevemente i caratteri generali della nozione di stoccaggio provvisorio e del

relativo regime autorizzatorio nell’impianto normativo individuato dal D.P.R. 915/82;

successivamente, si esamina il contenuto della corrispondente nozione di stoccaggio prevista

dal D.Lgs. 22/97 e si tratta, in particolare, il tema del deposito temporaneo, del deposito

preliminare e della messa in riserva, in relazione ai rispettivi profili autorizzatori ed obblighi

previsti.

2. Nozione di smaltimento e stoccaggio provvisorio ai sensi del D.P.R. n. 915 del 10

settembre 1982

Le basi della normativa comunitaria in tema di rifiuti erano costituite dalle direttive n.

75/442/CEE del 15 luglio 1975 (sui rifiuti in generale) e n. 78/319/CEE del 20 marzo 1978

(sui rifiuti tossici e pericolosi): la prima di esse definiva all’art. 1, lett. b), lo smaltimento

come "la raccolta, la cernita, il trasporto, il trattamento dei rifiuti nonchè l’ammasso ed il

deposito dei medesimi sul suolo o nel suolo", e "le operazioni di trasformazione necessarie

per il riutilizzo, il recupero o il riciclo dei rifiuti".

Le direttive menzionate, insieme alla direttiva n. 76/403/CEE del 6 aprile 1976 relativa allo

smaltimento dei PCDF e dei PCTF, sono state recepite nel nostro Paese dal D.P.R. 915 del 10

settembre 19821: lo smaltimento risulta definito all’art. 1 come attività di pubblico interesse

articolata "nelle varie fasi di conferimento, raccolta, spazzamento, cernita, trasporto,

trattamento, inteso questo come operazione di trasformazione necessaria per il riutilizzo, la

rigenerazione, il recupero, il riciclo e l’innocuizzazione dei rifiuti, nonchè l’ammasso, il

deposito e la discarica sul suolo e nel suolo". Il D.P.R. citato non fornisce una definizione

diretta della nozione di smaltimento così come le corrispondenti direttive comunitarie, ma

"introduce questa definizione in un contesto letterale più vasto quando indica l’ambito di

applicazione della normativa"2: è quindi l’intera disciplina ricavabile dal D.P.R. 915/82 che

determina il contenuto della nozione di smaltimento, anzichè delimitarla e, successivamente,

disciplinarne il regime autorizzatorio e gli obblighi connessi.

A proposito è stato osservato in dottrina3, che l’indicazione delle fasi dello smaltimento di

cui all’art. 1 non è esaustiva, in quanto non viene richiamato esplicitamente lo stoccaggio

provvisorio, che pur risulta disciplinato all’art. 16 come una specifica fase di smaltimento dei

rifiuti tossico-nocivi; e che, pure, non risulta possibile escludere dalla nozione di smaltimento

1 Pubblicato in G.U. del 15 dicembre 1982, n. 343. Con la deliberazione del 27 luglio 1984 del Comitato

Interministeriale di cui all’art.5 del citato D.P.R. si sono fissate le disposizioni necessarie per una prima

applicazione dell’art. 4 del D.P.R. 915/82

2 Amendola G., I rifiuti, Pirola, Milano, 1991, pag. 76.

3 Giampietro F., Giampietro P., Lo smaltimento dei rifiuti, Maggioli, Rimini, 1985, pag. 79. Di Fidio fa rilevare,

inoltre, che l’analisi delle varie fasi, in cui la nozione dello smaltimento risulta scomposta, evidenzia

l’impossibilità di definire una successione temporale delle stesse valida in ogni caso e l’esistenza di zone definite

di „coprimento" tra le nozioni delle varie fasi, per cui il ricorso alla letteratura tecnica per l’attribuzione del

corretto contenuto tecnico di ciascuna fase risulta pure vano, stante l’utilizzo del medesimo termine con

significati diversi anche in ambito tecnico. (Di Fidio M., Disciplina dei rifiuti, Pirola, Milano, 1984, pag. 22).

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le operazioni di abbandono, scarico e deposito incontrollato, vietate espressamente all’art. 9

ma riconducibili, in termini giuridici (ma anche tecnico-applicativi), fra le possibili fasi

(seppure illecite) dello smaltimento dei rifiuti4.

Parte della giurisprudenza5 ha sostenuto che "il termine "smaltimento" non si riferisce ad

un singolo comportamento, ma comprende in sè qualsiasi attività, che si inserisce in una delle

fasi diverse, dal momento della produzione del rifiuto a quella della definitiva e finale

eliminazione; l’elencazione contenuta nell’art. 1 del D.P.R. n. 915 del 1982 citato non è

tassativa, ma meramente esemplificativa". Altra parte6 è, invece, giunta alla conclusione che

l’ammasso di rifiuti tossici e nocivi presso lo stabilimento di produzione non sia annoverabile

tra le fasi dello smaltimento: sulla base del combinato disposto dell’ art. 1, attraverso l’uso

della congiunzione "nonchè" tra "smaltimento" ed i successivi termini "ammasso, deposito e

discarica", e dell’art. 16, che non cita espressamente la fase dell’ammasso di rifiuti tossicinocivi,

sembra che il legislatore abbia voluto distinguere la nozione di smaltimento da quella

di ammasso, sottraendo quest’ultimo alla più ampia definizione di smaltimento: di

conseguenza, l’ammasso di rifiuti tossici e nocivi presso lo stabilimento di produzione non

sarebbe soggetto all’obbligo di autorizzazione generalmente previsto dall’art. 16 per ogni fase

dello smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi7.

Alcuni interpreti8 hanno argomentato altrimenti, osservando che "si tratta invece, con ogni

evidenza, di una cattiva trasposizione delle direttive": il termine "nonchè" è utilizzato

nell’ambito dell’unica definizione di smaltimento, dalla quale non può sorgere alcun dubbio

circa la ricomprensione in essa anche delle operazioni di ammasso e deposito; così pure il

verbo singolare all’art. 1 del D.P.R. 915/82, "costituisce", ammette un unico soggetto logico,

"lo smaltimento", a cui necessariamente appartengono le operazioni di "ammasso, deposito e

discarica sul suolo o nel suolo"9.

Il concetto di smaltimento ha avuto quindi vita tormentata: tuttavia maggiori difficoltà si

incontrano qualora si intenda capire quale sia la nozione di stoccaggio provvisorio. Per essa

manca, infatti, qualsiasi previsione normativa definitoria: la relativa indeterminatezza

dell’espressione rende, quindi, difficile l’individuazione dei limiti giuridici e la sua

distinzione da espressioni analoghe, quali " ammasso provvisorio e/o temporaneo" e

"deposito"10.

In dottrina, "l’ammasso e/o stoccaggio provvisorio" viene inteso talvolta11 come

"accumulo provvisorio di rifiuti, attuato per la conservazione temporanea degli stessi in attesa

4 In questo senso vedi anche Cass. Pen., sez. IV, sent. 17 settembre 1996 n. 8468 (cc. del 20 agosto 1996),

Battagli (rv 206142) e Cass. Pen., Sez. III, sent. 26 marzo 1999 n. 4007 (ud. del 19 febbraio 1999), Frascio (rv

213272)

5 Cass. Pen., Sez. III, sent. 17 settembre 1997 n. 8368 (cc. del 08 luglio 1997), Di Giosia (rv 209192).

Analogamente anche in Cass. Pen., Sez. IV, sent. 17 settembre 1996 n. 8468 (cc. del 20 agosto 1996), Battaglia

(rv 206141)

6 Vedi ad es. Pret. Castelfiorentino 13 maggio 1987 n. 870724, Agili,

7 L’art. 16 recita rispettivamente per:

a) la raccolta ed : „ogni fase dello smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi deve essere autorizzata. Sono previste le

seguenti autorizzazioni il trasporto;

b) lo stoccaggio provvisorio;

c) il trattamento;

d) lo stoccaggio definitivo in discarica controllata".

8 Amendola G., op. cit.supra n nt. 2. Giampietro F., Giampietro P. (in op. cit supra a nt. 3) lo definiscono

similmente la „risultante casuale di un difetto di coordinamento del testo".

9 Per ulteriori approfondimenti sulla questione circa ammasso temporaneo ed eventualità del regime

autorizzatorio applicabile, vedi prf. 4.5.

10 Per comprendere le conseguenze applicative della nomenclatura circa „ammasso temporaneo" e „stoccaggio

provvisorio" vedi oltre.

11 Giampietro F., Giampietro P., op. cit. supra a nt. 3. Definizione analoga è proposta in Giampietro P., Il

„rifiuto" e lo „smaltimento" nel loro significato normativo secondo il D.P.R. 915 del 1982, in Giurisprudenza di

Merito, p.IV, 1988, pag. 228 ss.

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di successive operazioni", talaltra12 come "la conservazione temporanea dei rifiuti legata ad

operazioni di razionalizzazione della raccolta e del trasporto, nella prospettiva del

trattamento". D’altro canto, la differenza tra "ammasso" o "deposito" e "discarica" viene

individuata ne "l’accumulo temporaneo dei rifiuti nella previsione di successive operazioni di

cernita, trattamento o definitivo deposito"13.

La ricerca in altre fonti giuridiche che possano essere di aiuto per la definizione della

nozione di stoccaggio provvisorio, non permette di giungere ad un approdo certo: il paragrafo

4 dell’allegato alla Delibera del Comitato Interministeriale 27 luglio 1984, recante

disposizioni per la prima applicazione dell’art. 4 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, si

limita ad ammettere lo stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi in funzione del previsto

smaltimento degli stessi mediante trattamento e/o stoccaggio definitivo.

Unico dato certo ricavabile dalle definizioni proposte è il carattere di temporaneità dello

stoccaggio in attesa, previsione o in funzione del realizzarsi di una qualsiasi successiva fase

dello smaltimento dei rifiuti. Nulla viene detto circa le condizioni, le modalità di

conduzione/realizzazione, l’ubicazione dello stoccaggio provvisorio.

La giurisprudenza14 ha approfondito e meglio delineato alcuni aspetti della nozione: "per

stoccaggio provvisorio deve intendersi la raccolta e l’immagazzinamento dei rifiuti in attesa

della loro eliminazione sia che il detto immagazzinamento avvenga nei luoghi di produzione

sia che esso venga effettuato altrove, sicchè solo nell’ipotesi in cui i rifiuti siano trattenuti in

attesa del loro ritiro da parte di ditte specializzate e tale ritiro sia frequente e, comunque a

scadenze molto ravvicinate può escludersi che la detenzione dei rifiuti per brevissimi periodi

integri lo stoccaggio provvisorio"15.

La nozione sarebbe, quindi, connotata nel senso:

• della non precarietà16 del deposito di rifiuti in riferimento al luogo di deposito ed ai tempi

di permanenza, e

• dell’oggettiva destinazione dei rifiuti medesimi a successive fasi dello smaltimento.

Emerge, inoltre, la non diretta rilevanza17 della dislocazione dello stoccaggio sul terreno

circostante o meno l’insediamento produttivo dei rifiuti, così come l’assenza di un nesso

diretto tra produttore dei rifiuti e rifiuti stoccati.

2.1. Brevi cenni sulla regolamentazione ed autorizzazione allo stoccaggio provvisorio

E’utile considerare per sommi capi, i principi base della regolamentazione dello

smaltimento, ed evidenziare quale sia il regime autorizzatorio previsto per lo stoccaggio

provvisorio nell’ambito del D.P.R. 915/82, al fine di meglio comprendere, successivamente,

quello previsto dal D.Lgs. 22/97 per le forme di deposito ivi contemplate.

Il criterio della regolamentazione dello smaltimento nel quadro normativo in esame

consiste "nell’obbligo di autorizzazione per tutte quelle attività di smaltimento che possono

12 Di Fidio M., op. cit. supra a nt. 3.

13 Giampietro P., op. cit. supra a nt. 11.

14 Vedi Cass. Pen. Sez. III, sent. 27 giugno 1992 n. 7568 (cc. del 24 aprile 1992), Carobbi (rv 190932) in Rivista

Penale 1993, pag. 503 e ugualmente Cass. Pen. Sez. III, sent. 18 settembre 1996 n. 8481 (cc. del 27 giugno

1996), Peretto (rv 206388).

15 Cass. Pen. Sez. III, 18 settembre 1996, supra a nt. 14.

16 Vedi Cass. Pen., Sez. III, sent. 12 febbraio 1996 n. 310 (cc. del 07 novembre 1995), Ciriani (rv 204245)

17 Cass. Pen., 27 giugno 1992, cit. supra a nt. 14, precisa infatti che „non può ritenersi che lo stoccaggio

provvisorio, essendo contemplato nella lett. b) dell’art. 16 del D.P.R. 10 settembre 1982 n. 915, e cioè dopo

l’indicazione nella lett. a) della raccolta e del trasporto, presupponga che l’operazione in parola sia soltanto

quella che venga effettuata all’esterno dell’insediamento produttore, dopo la raccolta e il trasporto. Ciò in quanto

sarebbero elusi i fini cui tende la disciplina dei rifiuti tossici e nocivi, che sono quelli di prevenire la pericolosità

per l’ambiente e per gli esseri viventi connessa alla natura dei rifiuti".

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creare pericoli per l’ambiente"18. Non tutte le attività di smaltimento19 previste risultano, di

conseguenza, soggette all’obbligo di autorizzazione, in quanto alcune rimangono disciplinate

esclusivamente tramite la previsione di obblighi specifici20.

La sussistenza dell’obbligo e le condizioni per l’autorizzazione sono, inoltre, strettamente

correlate al tipo di rifiuto smaltito, alla fase dello smaltimento coinvolta e alla provenienza del

rifiuto stesso (e cioè se si tratti di smaltimento di rifiuto prodotto dallo stesso smaltitore – in

conto proprio- o se prodotto da terzi – in conto terzi-). In particolare, l’obbligo

dell’autorizzazione risulta regolamentato da norme specifiche contenute nella Delibera del

Comitato Interministeriale 27 luglio 1984 per ognuna delle categorie di rifiuti individuate

all’art. 2 del D.P.R. 915/82:

• i rifiuti urbani;

• i rifiuti speciali;

• i rifiuti tossici e nocivi;

In generale, la giurisprudenza21 ha rilevato che l’autorizzazione allo smaltimento si

configura come "elemento indispensabile per un’attività che non rientra in alcuna facoltà

giuridica dell’agente, ma che è, al contrario, recisamente vietata se non specificamente

consentita e rigorosamente disciplinata". L’autorizzazione22 non costituisce una mera

formalità burocratica, nè può essere tacita e generica, ma deve essere esplicita e specifica "nel

duplice significato di indicare quale o quali attività di smaltimento sono consentite [...], ed a

quali condizioni. Pertanto non è sufficiente un’autorizzazione generica ed indistinta allo

smaltimento dei rifiuti, quale che sia la natura, per poter svolgere tutte le diverse fasi

operative dello smaltimento medesimo ...".

Ci limiteremo ora a considerare per quali ipotesi dello stoccaggio provvisorio sussiste

obbligo di autorizzazione in relazione alla provenienza (propria o di terzi) del rifiuto da

smaltire e di due tipologie specifiche di rifiuto, speciale o tossico-nocivo23.

In relazione a questi fattori, i casi possibili sono riconducibili ai seguenti:

a) stoccaggio provvisorio di rifiuti speciali eseguito dal produttore (in conto proprio);

b) stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi eseguito dal produttore (in conto

proprio);

c) stoccaggio provvisorio di rifiuti speciali prodotti da terzi (in conto terzi);

d) stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi prodotti da terzi (in conto terzi);

L’ ipotesi prospettata sub a) non comporta, secondo la dottrina24, obbligo di autorizzazione

allo stoccaggio provvisorio, in quanto facilmente desumibile dal combinato disposto dell’art.

18 Amendola G., op. cit. supra a nt. 2. Per un’applicazione concreta del principio di prevenzione dalla

pericolosità dello stoccaggio provvisorio per l’ambiente e per gli esseri viventi, vedi Cass. Pen., 27 giugno 1992,

cit. supra a nt. 14 e Cass. Pen., Sez. III, sent. 30 luglio 1991 n. 8429 (cc. del 5 luglio 1991), Jeanmonod (rv

188793).

19 Il conferimento di rifiuti, quale fase dello smaltimento di cui all’art. 1, non risulta, ad esempio, sottoposto ad

autorizzazione, così come precisato nella Circolare 4 marzo 1983 del Comitato dei Ministri per cui „la normativa

de qua [ il D.P.R. 915/82] non contempla l’autorizzazione per la fase di conferimento dei rifiuti".

20 Si tratta degli obblighi previsti dagli art. 3 , comma 3, (obbligo di comunicazione al comune entro due mesi

dall’inizio di ciascun anno il quantitativo , la natura e le tecniche di smaltimento relativi all’anno precedente dei

rifiuti smaltiti) e dell‘art. 4 (competenze dele Stato) ed art. 11, c. 2, (accessi ed ispezioni) nonchè dell‘art. 19

(obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico).

21 Cass. Pen. Sez. III, sent. 27 giugno 1992 n. 7567 (cc. del 22 aprile 1992), Abortivi (rv 190926).

22 Vedi Cass. Pen., Sez. III, sent. 11 aprile 1992 n. 4493 (cc del 25 marzo 1992), Beozzi (rv 189851). Nello

stesso senso Cass. Pen., Sez. III, sent. 8 febbraio 1989 n. 73 (ud. del 12 gennaio 1989), Paulicelli (rv 180377) e

Cass. Pen., Sez. III, sent. 08 settembre 1993 n. 8439 (cc. del 02 luglio 1993), Cocchia (rv 194983), ed anche

Cass. Pen., Sez. III, sent. 15 aprile 1991 n. 4261 (cc. del 08 febbraio 1991), Vandelli (rv 187271).

23 Per quanto riguarda l’applicazione del principio autorizzatorio per lo smaltimento dei rifiuti urbani, vedi

Giampietro F., Giampietro P., op. cit supra a nt. 3..

24 Giampietro F., Giampietro P., op. cit. supra a nt. 3.

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1 e dell’art. 6, lett. d) del D.P.R. 915/8225. La giurisprudenza si è, su questo punto, divisa: da

una parte è stato affermato26 che "ogni fase dello smaltimento dei rifiuti speciali e non solo

dei tossici e nocivi, a prescindere dal soggetto che opera, deve essere autorizzata ...". D’altra

parte27, é stato anche espresso orientamento opposto, secondo il quale "per lo smaltimento di

rifiuti urbani e speciali, l’autorizzazione è richiesta per i soggetti diversi dai produttori e copre

qualsiasi fase operativa ...".

Le ipotesi alle lett. b) e d) di cui sopra necessitano, invece, incontrovertibilmente di

autorizzazione, in quanto trattasi di obbligo specifico comune a qualsiasi fase dello

smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi, così come previsto all’art. 16, c. 1, lett. b). Per tale

tipologia di rifiuti l’obbligo di autorizzazione allo stoccaggio, così come per le altre

operazioni di smaltimento, prescinde totalmente dalla provenienza, propria o di terzi dei rifiuti

da trattare.

Lo stoccaggio di rifiuti speciali prodotti da terzi (ipotesi c) dell’elenco) é pure soggetto a

provvedimento di assenso sulla base del combinato disposto dell’art. 1 e dell’esplicita

previsione di "autorizzazione ad enti o imprese ad effettuare lo smaltimento dei rifiuti speciali

prodotti da terzi" di cui all’art. 6, lett. d).

Il regime autorizzatorio dello stoccaggio provvisorio permette, quindi, di comprendere (e

condividere) l’affermazione28 espressa in riferimento al complessivo regime individuato dal

D.P.R. 915/82, e cioè che "una coerente normativa di tutela ambientale dai rifiuti dovrebbe

consentire il controllo costante e continuo del loro "itinerario", dalla fase della produzione

sino a quello del destino finale. ... Questo obiettivo risulta compiutamente realizzato soltanto

nell’ambito del regime dettato nel titolo III, per lo smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi ....".

Solo quest’ultimo risulta, infatti, seguire una linea unitaria e coerente: ogni tappa della vita di

un rifiuto é disciplinata compiutamente, dalla sua produzione fino all’ultima fase dello

smaltimento, anche attraverso la previsione di obblighi di documentazione di ogni flusso dei

prodotti, che non ricomprendono necessariamente le fasi dello smaltimento29. Il regime che

regola lo smaltimento dei rifiuti speciali si articola, al contrario, "secondo linee spezzate,

difficilmente giustificabili in astratto..."30, così come esemplificato nel caso dello smaltimento

di rifiuti speciali propri.

3. La nozione di gestione di rifiuti, smaltimento e stoccaggio ai sensi del D.Lgs. 22 del 5

febbraio 1997

Il D.Lgs. n. 22 del 5 febbraio 199731 costituisce il fondamentale provvedimento legislativo

dell’attuale sistema normativo in materia di rifiuti, che abroga32 il D.P.R. 915/82 e recepisce

le direttive CEE 91/156 del 18 marzo 1991 sui rifiuti, 91/689 del 12 dicembre 1991 sui rifiuti

pericolosi e la direttiva CE 94/62 del 20 dicembre 1994 sugli imballaggi e sui rifiuti da

imballaggio.

25 L’art. 6, lett. d) prevede infatti che alla Regione compete [...]l'autorizzazione ad enti o imprese ad effettuare lo

smaltimento dei rifiuti urbani e speciali prodotti da terzi; le autorizzazioni ad effettuare le operazioni di

smaltimento dei rifiuti tossici e nocivi; le autorizzazioni alla installazione e alla gestione delle discariche e degli

impianti di innocuizzazione e di eliminazione dei rifiuti speciali, approvati ai sensi della precedente lettera c).

26 Cass. Pen., Sez. III, sent. 19 novembre 1994 n. 11549 (cc del 30 settembre 1994), Zerulo (rv 200518). Al

riguardo vedi anche Cass. Pen., sent. 3 febbraio 1989 n. 73 (ud. del 12 gennaio 1989), Ponticelli (rv 180375).

27 Cass. Pen., Sez. III, sent. 24 agosto 1988 n. 9045 (cc. del 10 giugno 1988), Bianchi (rv 179113).

28 Giampietro F., Giampietro P., op. cit. supra a nt. 3.

29 Ci si riferisce all’obbligo della tenuta dei registri di carico e scarico di cui all‘art. 19 e di emissione del

formulario di identificazione di cui all’art. 18.

30 Giampietro F., Giampietro P., op. cit. supra a nt. 3.

31 Pubblicato in Supplemento ordinario alla G.U. del 15 febbraio 1997, n. 38.

32 All’art. 56, c. 1, lett. b.

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A differenza di quanto accaduto nel D.P.R. 915/8233, le definizioni di "gestione" e

"smaltimento" sono entrate nel nostro ordinamento giuridico tal quali rispetto al dettato

comunitario, mentre altre, quali quelle di "stoccaggio" e "deposito temporaneo" sono di

ispirazione tutta italiana. Le definizioni ed i principi base dell’impianto normativo in esame

sono le chiavi di lettura per l’interpretazione del regime autorizzatorio e sanzionatorio ed il

governo degli aspetti gestionali relativi allo stoccaggio ed al deposito temporaneo.

L’art. 6, c.1, lett. d) definisce la gestione come "la raccolta, il trasporto, il recupero, lo

smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni, nonchè il controllo delle

discariche e degli impianti di smaltimento dopo la chiusura": il "decreto Ronchi" esprime,

quindi, la nozione in modo preciso ed in un’accezione estremamente ampia34 indicando tutte

le fasi ed attività connesse ai rifiuti. La "gestione" costituisce "il cuore vitale dell’asse

costruttivo del decreto n. 22/97"35: essa è considerata all’art. 2, c. 3) attività di pubblico

interesse ed è informata ai principi di responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti

coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzazione e nel consumo dei beni da cui

originano i rifiuti. Si tratta di un concetto nuovo e centrale attorno al quale fa perno l’intero

sistema autorizzatorio36 e sanzionatorio.

Appare quindi evidente che "mentre il D.P.R. 915/82 era incentrato sullo "smaltimento", il

nuovo decreto si basa sulla "gestione" dei rifiuti"37, e che "mentre prima tutto rientrava nello

smaltimento, per cui la raccolta era smaltimento, il trasporto era smaltimento, il recupero era

smaltimento, oggi invece la parola d’ordine è la gestione dei rifiuti, nell’ambito della quale le

attività di smaltimento si distinguono nettamente da quelle di raccolta, trasporto, smaltimento

e recupero"38.

Lo smaltimento riceve attenzione specifica all’art. 6, lett. g), in cui si statuisce che esso

consiste nelle operazioni previste nell’allegato B del decreto: tra di esse si annoverano le

operazioni D1, deposito sul suolo o nel suolo (ad es. la discarica), e D15, deposito preliminare

prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14 (escluso il deposito temporaneo,

prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti)". I confini di questa nozione sono quindi

ben definiti, ed il concetto risulta, di conseguenza, più circoscritto. La definizione di

smaltimento che si ricava dal dettato del D.Lgs. 22/97 risulta essere, quindi, cosa ben diversa

dalla corrispondente nozione prevista dal D.P.R. 915/82: l’art. 5, c.1 afferma che esso va

effettuato in condizioni di sicurezza e costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti. Il

nuovo sistema privilegia, infatti, il recupero che assurge ad elemento portante del complessivo

impianto giuridico ed obiettivo politico istituzionale del "decreto Ronchi"39.

La definizione di stoccaggio riceve una precisa previsione normativa40 all’art. 6, lett. l),

che lo qualifica come "le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito

preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell’allegato B, nonchè le attività di recupero

consistenti nella messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell’allegato C". Esso risulta

essere una delle fasi della gestione dei rifiuti41 che, a differenza di quanto contenuto nel

33 Vedi prf. 1.1, circa il contenuto della nozione di smaltimento ed i problemi interpretativi ad essa connessi.

34 Analogamente Santoloci M., Maglia S., Il nuovo decreto legislativo sui rifiuti: una prima analisi dei principi

generali e degli aspetti applicativi, in Rivista Penale, n. 12, 1996, pag. 1297 ss.

35 Maglia S., Santoloci M., Il codice dell’ambiente, La tribuna, Piacenza, 2000, nota 3 all’art. 6 del D.L.vo 22/97

alla voce Rifiuti, pag. 1783 ss.

36 Per alcuni brevi cenni sul sistema autorizzatorio vedi il sottoparagrafo successivo.

37 Amendola G., Il d.leg. n. 22 del 1997: primi appunti, in Il Foro Italiano, p. V, 1997, pag. 106 ss.

38 Maglia S., Santoloci M., op. cit. supra a nt. 35, pag. 1780.

39 Maglia S., Santoloci M., op. cit. supra a nt. 35.

40 Santoloci M., Maglia S., op. cit. supra a nt. 34, osservano l‘anomalia della definizione di stoccaggio in quanto

trattata autonomamente rispetto alle altre attivitá di smaltimento.

41 La Corte di Cassazione, Sez. III, in sent. 26 marzo 1999 n. 4003 (ud. del 19 febbraio 1999) in Rivista Penale,

p. I, 1999 pag. 460 ss, ha sottolineato infatti che „lo stoccaggio inteso come „deposito", era, invero, secondo il

D.P.R. 915/82 (art. 16 e 26), una fase dell’attività di smaltimento e lo è anche ai sensi del D.Lgs. 22/97, che,

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D.P.R. 915/82, si articola in un’attivitá di smaltimento preliminare alle altre operazioni di

smaltimento di cui all’allegato B del decreto e in un’attività di recupero preliminare alle altre

operazioni di recupero previste nell’allegato C.

"Il concetto di stoccaggio corrisponde [quindi] a quello elaborato dalla giurisprudenza in

riferimento allo "stoccaggio provvisorio" (della previgente normativa sui rifiuti)"42, ma non

coincide in toto con esso: l’espressione ha ottenuto con il D.Lgs. 22/97 una chiara ed univoca

definizione normativa, che ha meglio specificato i contenuti generali del concetto, precisando,

attraverso l’art. 6, lett. l) ed i punti D15 di cui all’allegato B ed R13 di cui all’allegato C del

decreto, le operazioni effettivamente ricomprese nella definizione di stoccaggio ed il carattere

prodromico delle medesime in funzione dell’effettuazione di successive fasi dello

smaltimento o del recupero. La fig. 1 rappresenta sinteticamente i rapporti tra stoccaggio

provvisorio previsto dal D.P.R. 915/82, le forme di stoccaggio introdotte dal D.Lgs. 22/97 ed

il deposito temporaneo.

Fig. 1. Il rapporto tra stoccaggio provvisorio ai sensi del D.P.R. 915/82, deposito

temporaneo, deposito preliminare e messa in riserva come previsti dal D.Lgs. 22/97.

Fonte: propria elaborazione.

nell’elenco delle operazioni di smaltimento [...] include nelle varie operazioni, sotto la lettera D15, anche quello

di deposito preliminare (da intendersi „provvisorio" in quanto temporaneamente precedente altre operazioni)"

42 Pret. Ud., decreto 21 luglio 1997, Est. Beltrame, Imp. X ed altri, in Rivista Penale 1998, pag. 180 ss.

Stoccaggio provvisorio

(ex D.P.R. 915/82)

Stoccaggio

(ex D.Lgs.. 22/97)

Deposito temporaneo

(ex art. 6, lett. m, D.Lgs.

22/97)

Deposito preliminare

(ex all. B, D.Lgs. 22/97)

Messa in riserva

(ex all. C, D.Lgs. 22/97)

E'operazione di recupero

(all. C, R13)

E' operazione di

smaltimento (all. B, D15)

Escluso dalle operazioni di

smaltimento e di recupero

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3.1. La regolamentazione della gestione dei rifiuti: cenni e rinvio.

Le basi del regime autorizzativo per lo smaltimento dei rifiuti poste dal D.P.R. 915/82

rimangono nel quadro del D.Lgs. n. 22/97 sostanzialmente invariate, in quanto si consolida il

principio dell’obbligatorietà dell’autorizzazione per ogni fase della gestione dei rifiuti43, quale

principio fondamentale in considerazione dei valori della salute che si intendono tutelare in

modo omogeneo sull’intero territorio nazionale.

Il sistema autorizzatorio prevede un duplice regime: un regime ordinario per cui rimane

inderogabile l’obbligo di autorizzazione per le sole attività di smaltimento, previsto dagli art.

27 (per l’approvazione del progetto ed autorizzazione alla realizzazione degli impianti) e 28

(per l’esercizio delle operazioni di smaltimento), ed un regime semplificato mediante il quale

viene parzialmente sostituito l’obbligo di autorizzazione generalmente previsto con forme

diverse di iscrizione a seconda delle fasi della gestione dei rifiuti effettuata44.

Le procedure relative al regime ordinario e semplificato sono oggetto rispettivamente dei prf.

5.1 e 6.1 a cui si rinvia per chiarimenti ulteriori.

4. Il deposito temporaneo.

Si analizzano ora ciascuna delle figure di deposito menzionate in Fig. 1, soffermandosi

in particolar modo sul deposito temporaneo e sui rapporti tra quest’ultimo ed il deposito

preliminare e la messa in riserva, in quanto si tratta della forma di deposito che più ha

stimolato il dibattito in dottrina ed in giurisprudenza45. Il deposito temporaneo rappresenta

infatti una delle maggiori novità del nuovo sistema normativo in materia di rifiuti che gode di

una regolamentazione propria46.

4.1. La definizione di deposito temporaneo ed i suoi caratteri generali.

Il deposito temporaneo è definito all’art. 6, lett. m) del D.Lgs. 22/97 come il

raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti. Per

"luogo di produzione" si intende, secondo quanto previsto dall’art. 6 lett. i), uno o più edifici

o stabilimenti o siti infrastrutturali collegati tra loro all’interno di un’area delimitata in cui si

svolgono le attività di produzione dalle quali originano i rifiuti.

La definizione di deposito temporaneo risulta, a prima vista, analoga a quella di stoccaggio

provvisorio ai sensi del D.P.R. 915/82: in particolare è evidente che il deposito temporaneo

della nuova disciplina corrisponde ad una delle possibili ipotesi gestionali in cui si

sostanziava lo stoccaggio provvisorio47, e cioé l’ammasso provvisorio; il deposito temporaneo

43 Vedi a tal proposito Corte cost. sent. 20 maggio 1998 n. 173, in Rivista trimestrale di diritto penale

dell’economia, n. 2-3, 1998, pag. 671 ss.

44 Le forme sostitutive di autorizzazione sono l‘iscrizione in un apposito registro provinciale di cui all’art. 33 del

Decreto citato per attività di autosmaltimento e recupero di rifiuti individuati, e l‘iscrizione all’Albo Nazionale

delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti (contemplata all’art. 30 delle imprese che effettuano la

gestione dei rifiuti soprattutto per le attività di raccolta e trasporto di rifiuti, gestione di impianti di smaltimento o

recupero di terzi.

45 Vedi oltre.

46 Vedi prf. 4.1 e 4.3.

47 In questo senso Pret. Udine, Ord. di rinvio del 24 luglio 1997, Bizzaro, in Rivista Penale 1997, pag. 899 ss; ed

ugualmente si esprimono Giampietro F., D’Angiulli S., in Stoccaggio e deposito temporaneo: quali differenze?,

in Ambiente, 1997, pag. 259 ss.

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consiste pur sempre, infatti, nel deposito di rifiuti caratterizzato dalla provvisorietà

dell’ammasso in funzione di successive operazioni di smaltimento o gestione dei rifiuti48.

Tuttavia, l’analisi del combinato disposto49 dell’art. 6, lett. m), del punto D15 di cui

all’allegato B ed R13 di cui all’allegato C, nonchè dell’art. 28 , c. 5 del D.Lgs. 22/97 svela la

portata innovativa della figura del deposito temporaneo rispetto al suo corrispondente

predecessore. I punti di cui agli allegati citati escludono esplicitamente il deposito temporaneo

dal novero delle operazioni di smaltimento e recupero; esso non costituisce, quindi,

operazione di stoccaggio ai sensi dell’art. 6, lett. l) e non integra neanche gli estremi di attività

di gestione rifiuti così come definito in precedenza. La peculiarità del deposito temporaneo

risiede, infatti, nell’essere una fase preventiva ed autonoma rispetto alla raccolta, una delle

fasi della gestione dei rifiuti, di cui costituisce parte integrante ed eccezione nello stesso

tempo50.

Di conseguenza, esso, purchè rispetti51 le condizioni tecniche di cui all’art. 6, lett. m),

risulta pure estraneo all’obbligo di autorizzazione/comunicazione cui le predette operazioni

sono sottoposte per esplicita disposizione di legge. E’ chiaro, quindi, che rispetto al regime

previsto nel quadro normativo previgente per lo stoccaggio provvisorio, il regime

autorizzatorio complessivo attuale subisce un’articolazione ulteriore, in quanto accanto al

principio autorizzatorio generalmente previsto, si aggiunge un sistema in deroga al regime

generale, che permette di effettuare il deposito temporaneo di rifiuti pericolosi e non

pericolosi a determinate condizioni senza alcun provvedimento autorizzatorio.

La giurisprudenza52 ha confermato questa lettura normativa ed ha ulteriormente chiarito53

che " il deposito temporaneo precede un’operazione di gestione ed, in particolare,

l’operazione di raccolta di rifiuti e costituisce un’operazione preparatoria ad una delle

operazioni di recupero o di smaltimento elencate negli allegati IIA e IIB, punti da D1 a D15 e,

rispettivamente, da R1 a R13, della direttiva 75/442/CEE. Di conseguenza il deposito

temporaneo prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, dev’essere definito come

un’operazione preliminare ad un’operazione di gestione dei rifiuti, ai sensi dell’art. 1, lett. d),

della direttiva 75/442/CEE". La nozione di deposito temporaneo si colloca quindi in via

sistematica in una fase della strutturazione del D.Lgs. 22/97 che è precedente rispetto alle

condizioni di gestione in senso stretto54 ed assume un significato suo proprio in funzione della

differente attività che oggettivamente genera il rapporto con il rifiuto55.

I caratteri distintivi fondamentali del deposito temporaneo si possono individuare come

segue:

a) il soggetto che effettua il deposito deve necessariamente essere il produttore dei rifiuti;

48 Si parla di smaltimento nell’ambito del sistema normativo basato sul D.P.R. 915/82 e di gestione dei rifiuti nel

quadro della disciplina fondato sul D.l.vo 22/97.

49 Il ragionamento giuridico è stato svolto in questi termini sia in dottrina ed in giurisprudenza, con la

conseguenza di un unanime approdo in termini interpretativi delle implicazioni di tale impostazione. Numerose

critiche sono invece rivolte alla scelta operata dal legislatore circa il regime di particolare favore accordato al

deposito temporaneo, per cui vedi prf. 4.5.

50 Santoloci M., Maglia S., op. cit. supra a nt. 34. Nello stesso senso vedi Paone V., Deposito temporaneo e

deposito preliminare di rifiuti, in Ambiente&Sicurezza, Pirola, n. 21, 20 novembre 1999.

51 Per il caso di mancato rispetto delle condizioni sopramenzionate, si veda il prf. 4.6.

52 Corte di Giustizia delle Comunità europee, Sez. IV, sent. 5 ottobre 1999, (cause riunite 175/98 e 177/98),

Lirussi e Bizzaro in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 2000, pag. 261 ss. ed in Rifiuti, n. 59, gennaio 2000, pag.

44 ss.

53 Le questioni pregiudiziali poste alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, 5 ottobre 1999, cit. supra a nt.

52, sono contenute in Pret. Udine, Ufficio del G.I.P., 20 aprile 1998 (ord. di rinvio alla Corte di Giustizia delle

Comunità Europee), Est. Beltrame, Imp. Lirussi in Rivista Giuridica dell’Ambiente, 1999, pag. 118 ss.

54 Santoloci M., Deposito temporaneo , una costruzione giuridica che non deve offendere l’ambiente, in Rifiuti,

n. 59, gennaio 2000, pag. 48.

55 Coppini C. L., Ancora dubbi sul concetto di deposito temporaneo dei rifiuti pericolosi e non pericolosi, in

Rivista giuridica dell’ambiente, 1999, pag. 129 ss.

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b) il luogo in cui esso avviene, e cioè il deposito di rifiuti, è legato strettamente al ciclo di

produzione aziendale ed alla delimitata area limitrofa allo/agli stabilimenti, coincidente

con lo stretto perimetro aziendale da cui si presuppone non possa essere rimosso, senza

ricadere in una delle operazioni di gestione soggette ad autorizzazione (ad. es. raccolta e

trasporto);

c) le condizioni56 tecniche di ordine generale, cui esso è sottoposto indipendentemente dal

tipo di rifiuto, il cui contemporaneo verificarsi e permanere permette di qualificare il

deposito di rifiuti come "deposito temporaneo"57;

1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine,

policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5 ppm né

policlorobifenile, policlorotrifenili in quantità superiore a 25 ppm;

2) i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di

smaltimento con cadenza almeno bimestrale indipendentemente dalle quantità in

deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito

raggiunge i 10 metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno se il

quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 10 metri cubi nell’anno o se,

indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo è effettuato in stabilimenti

localizzati nelle isole minori;

3) i rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di

smaltimento con cadenza almeno trimestrale indipendentemente dalle quantità in

deposito, ovvero, in alternativa, quando il quantitativo di rifiuti non pericolosi in

deposito raggiunge i 20 metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un

anno se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 20 metri cubi nell’anno o se,

indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo è effettuato in stabilimenti

localizzati nelle isole minori;

4) il deposito temporaneo deve essere effettuato per tipi omogenei e nel rispetto delle

relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che

disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;

5) devono essere rispettate le norme che disciplinano l’imballaggio e l’etichettatura dei

rifiuti pericolosi.

4.2. Le condizioni previste ai punti 2) e 3) dell’art. 6, lett. m): problemi interpretativi.

La lettura delle condizioni cui il deposito temporaneo è soggetto, rappresenta un nodo

interpretativo complesso ed attuale: il dibattito circa l’esatta determinazione dei criteri

quantitativo-temporali per la gestione del deposito temporaneo si è sviluppato sin

dall’emanazione del D.Lgs. 22/97 (ed ancora prima) ed è stato inasprito da una recente

sentenza della Corte di Cassazione58.

Il D.l.vo 22/97 disponeva, infatti, in origine che:

• il quantitativo di rifiuti pericolosi depositato non deve superare 10 metri cubi, ovvero i

rifiuti stessi devono essere asportati con cadenza almeno bimestrale;

• il quantitativo di rifiuti non pericolosi non deve superare 20 metri cubi, ovvero i rifiuti

stessi devono essere asportati con cadenza trimestrale.

L‘individuazione delle concrete modalità gestionali in riferimento a queste condizioni si

fondava sul significato attribuito alla congiunzione coordinante „ovvero": parte della

56 Il testo delle condizioni qui riportato, cui è soggetto il deposito temporaneo, tiene conto delle modifiche

intervenute ad opera del D.Lgs. n. 389 del 8 novembre 1997.

57 In caso di mancanza delle condizioni previste dalla legge per il deposito temporaneo, vedi prf. 4.6.

58 Cass. Pen., Sez. III, sent. 21 aprile 2000 n. 4957, imp. Rigotti ed altri, in Rifiuti, n. 67, ottobre 2000, pag. 30.

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dottrina59 considerava il termine disgiuntivo e riteneva possibile configurare un deposito

temporaneo di rifiuti non pericolosi (o, rispettivamente, pericolosi) sia nel caso in cui questi

non superassero i 20 metri cubi (10 metri cubi per i rifiuti pericolosi), sia nel caso in cui,

indipendentemente dal limite quantitativo, questi fossero asportati con cadenza trimestrale

(bimestrale per i rifiuti pericolosi); Il criterio c.d. quantitativo e quello c.d. temporale si

presentavano quindi come alternativi ed autonomi60, così che il produttore dei rifiuti

disponeva di due possibilitá gestionali di deposito distinte.

Altra parte conferiva al termine „ovvero" significato esplicativo e congiuntivo, con la

conseguenza che il limite temporale bimestrale (o trimestrale) risultava essere condizione

aggiuntiva e concorrente rispetto al vincolo quantitativo dei rifiuti (20 metri cubi per i rifiuti

non pericolosi o 10 metri cubi per i rifiuti pericolosi); solo il verificarsi di entrambe le

condizioni quantitative e temporali permetteva di individuare il deposito di rifiuti come

temporaneo. Il mancato superamento della soglia di 20 (o 10) metri cubi doveva

necessariamente accompagnarsi all’asporto dei rifiuti ogni 3 mesi (per i rifiuti non pericolosi

o ogni 2 mesi per i rifiuti pericolosi). Qualora invece il quantitativo in deposito di rifiuti

avesse superato il limite fissato, questi dovevano essere asportati anche con cadenza inferiore

alla prestabilita, che costituiva, in ogni caso, il termine massimo entro cui avviarli a

successive operazioni di gestione.

Il D.Lgs. n. 389 del 8 novembre 199761 è intervenuto a chiarire62 parzialmente i dubbi

interpretativi ed applicativi della disciplina del deposito temporaneo, riscrivendo il dettato

delle condizioni sub 2) e 3) così come riportato al punto c) del paragrafo precedente.

L‘introduzione della locuzione „in alternativa" accanto alla congiunzione „ovvero" ha

appianato i contrasti sorti in precedenza: il significato disgiuntivo del termine „ovvero" ha

confermato l‘interpretazione della possibile duplicità applicativa delle condizioni

quantitativo-temporali al deposito temporaneo63; ciò nonstante la lettura della novella si è

presentata tutt‘altro che agevole.

L’incertezza interpretativa nasce dalla scarsa chiarezza dell’inciso „indipendentemente

dalle quantità in deposito" che risulta determinante ai fini di una lettura complessiva delle

condizioni in esame: sarebbero quindi possibili un‘interpretazione letterale64 ed

un‘interpretazione c.d. „logica"65 della norma.

L’analisi letterale induce ad intendere che i rifiuti pericolosi (non pericolosi) devono essere

raccolti ed avviati alle operazioni di recupero e smaltimento con cadenza almeno bimestrale

(trimestrale) indipendentemente dalle quantità in deposito (indipendentemente cioé da

qualsiasi limite quantitativo) ovvero in alternativa i rifiuti pericolosi (non pericolosi) devono

essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento quando il quantitativo

59 D’Angiulli S., Come cambia il deposito temporaneo, in Ambiente, 1998, pag. 63; Santoloci M., Maglia S., op.

cit. supra a nt. 34. Ficco P., Gerardini F., La gestione dei rifiuti, Milano, ed. Ambiente, 1997, pag. 103.

60 La critica mossa a questa lettura della norma evidenzia il fatto che nel caso in cui il quantitativo di rifiuti in

deposito sia pari o inferiore al limite di 10 metri cubi, il deposito risulta sottratto ad ogni limite temporale di

permanenza e potrebbe quindi diventare permanente anzichè „temporaneo" (Amendola G., I nuovi obblighi per

la gestione dei irifuti, Rimini, 1997, pag. 72). A questo proposito si vedano anche le osservazioni ed il „botta e

risposta" tra Ferrara A., (in Ancora in materia di stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi presso il luogo

di produzione, in Rivista giuridica dell’ambiente, n. 3-4, 1993, pag. 469 e in L‘ombrello bucato delle direttive

comunitarie in materia di autorizzazione all’accumulo temporaneo di rifiuti tossici e nocivi presso il luogo di

produzione, in Rivista giuridica dell’ambiente, n. 1, 1994, pag. 39 e ss.) e Beltrame S. (Pret. Udine, Ufficio del

G.I.P., 20 aprile 1998, cit. supra a nt. 53.

61 Pubblicato in G.U. 8 novembre 1997, n. 261.

62 E’stato tuttavia osservato con precise argomentazioni che con la novella del D.Lgs. 22/97 „il legislatore nel

tentativo di semplificare è andato oltre... il limite della chiarezza" (così in D’Angiulli S., op. cit. supra a nt. 59).

63 In questo senso Fregoni M.C., Maglia S., Santoloci M., Prime osservazioni in merito al c.d. „decreto-Ronchi"

alla luce delle modifiche apportate dal D.lvo n. 389/97, in Rivista Penale, 1997, pag. 1104 ss.

64 D’Angiulli S. (in op. cit. supra a nt. 59) evidenzia puntualmente le contraddizioni in cui si incorre attenendosi

semplicemente ad una analisi letterale della norma.

65 Amendola G., Deposito temporaneo di rifiuti: l’affare si complica, in Ambiente, 1998, pag. 215 ss.

pag. 12/29

di rifiuti pericolosi (non pericolosi) raggiunge (ma non supera) i 10 (20) metri cubi. Le due

ipotesi sono palesemente in contraddizione ed il limite quantitativo risulterebbe inoltre

insensato. Questo tipo di lettura presenta, inoltre, ulteriori ostacoli interpretativi: dire, infatti,

che il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno se il quantitativo di rifiuti in

deposito non supera i 10 (20) metri cubi oppure che il termine di durata del deposito

temporaneo è di un anno se, indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo è

effettuato in stabilimenti localizzati nelle isole minori, significa:

a) evidenziare un‘ulteriore contraddizione in riferimento al limite temporale previsto nel

primo (2 – 3 mesi) e nel secondo (1 anno) periodo dei punti 2 e 3 della norma per

situazioni gestionali di deposito analoghe (l’impossibilitá di superare il limite quantitativo

e la possibilità di raggiungere il limite quantitativo – 10 o 20 metri cubi);

b) introdurre un regime di favore inaccettabile dal punto di vista della tutela ambientale per il

deposito temporaneo svolto sulle isole minori rispetto al resto del territorio nazionale.

L’interpretazione c.d. „logica" permette di uscire dall’empasse e di valorizzare „quello che

appare essere il pensiero complessivo del legislatore a proposito del deposito temporaneo"66:

il secondo periodo dei punti 2) e 3) della norma in esame deve essere interpretato nel senso

che il termine per il deposito temporaneo è di un anno, qualunque sia la quantitá di rifiuti

depositati, se il deposito avviene in stabilimenti localizzati nelle isole minori, ed è sempre di

un anno se i rifiuti depositati non superano complessivamente, nell’arco di tutto l’anno, il

limite quantitativo fissato: con ciò si afferma qualcosa di diverso che non si pone in contrasto

con la regola base del primo periodo, ma si introduce un limite temporale diverso per una

situazione diversa. Nel pensiero del legislatore viene considerato come poco rischioso per

l’ambiente, e quindi accettabile, un deposito che, nelle quantità non superi i 10 metri cubi (per

i rifiuti pericolosi, 20 metri cubi per i rifiuti non pericolosi), la cui permanenza puó protrarsi

fino ad un anno, qualora la quantità dei rifiuti depositati non superi complessivamente in

questo arco temporale i limiti predetti.

Sulla base dei contributi elaborati dalla dottrina, l‘interpretazione generalmente67 accolta

del deposito temporaneo può essere, quindi, schematizzato come segue:

• prima ipotesi: un’azienda può decidere di stoccare in deposito temporaneo un qualsiasi

quantitativo di rifiuti pericolosi provvedendo alla raccolta e all’avvio alle operazioni di

recupero o smaltimento entro il termine massimo di 2 mesi (3 mesi per i rifiuti non

pericolosi);

• seconda ipotesi: un’azienda può scegliere di mantenere in deposito temporaneo un

quantitativo massimo di rifiuti pericolosi corrispondente a 10 metri cubi (20 metri cubi per i

rifiuti non pericolosi) esonerandosi dal rispetto del termine massimo di 2 mesi (3 mesi per i

rifiuti non pericolosi); in tal caso ha l’obbligo di provvedere alla raccolta e all’avvio alle

operazioni di recupero o di smaltimento quando avrà raggiunto detto quantitativo massimo, o,

comunque, entro un anno.

La giurisprudenza più recente ha rielaborato ex novo, in una fondamentale sentenza68,

questo indirizzo interpretativo che sembrava consolidato. La Corte di Cassazione compie,

nella motivazione della sentenza annotata, un’esegesi complessiva della disciplina del

deposito temporaneo, che, nelle intenzioni, si vuole aderente al pensiero del legislatore ed in