Rifiuti con codici a specchio. La prima ordinanza di tribunale dopo Cassazione e Corte Europea

di Gianfranco AMENDOLA

NOTA: l'ordinanza in commento è pubblicata qui

Questo sito si è più volte occupato della delicata questione dei rifiuti con codici a specchio, di quei rifiuti, cioè, indicati con un asterisco, che possono essere classificati con codici CER speculari, uno pericoloso ed uno non pericoloso; a seconda se presentino o meno proprietà di pericolo .

La questione è esplosa, in particolare, nel gennaio 2017, con la cd. “ Operazione Maschera”, coordinata dalla DDA di Roma ed estesa a varie province laziali (con il coimvolgimento della galassia Cerroni) che portava al sequestro di 19 impianti di trattamento rifiuti e di una discarica per rifiuti non pericolosi, con 25 indagati cui veniva contestato, tra l’altro, il delitto di traffico illecito di rifiuti basato sulla circostanza che ingenti quantitativi di rifiuti rientranti nelle voci a specchio erano stati classificati come non pericolosi in base ad analisi ritenute totalmente insufficienti al fine di escluderne la pericolosità; ipotizzando, peraltro, la complicità dei rispettivi chimici e dei titolari dei laboratori interessati, con un illecito profitto di circa 26 milioni di euro.

Si apriva, quindi, un contenzioso giudiziario, ove il nodo centrale era costituito dalla procedura e dalle condizioni necessarie per valutare la pericolosità di questi rifiuti 1, con due teorie contrapposte, della certezza o della probabilità 2, con alterne vicende che approdavano infine in Cassazione ed in Corte europea di giustizia.

Rinviando in proposito alla lettura dei relativi provvedimenti, tutti riportati su questo sito, ed alla copiosa dottrina 3 formatasi, spesso con toni accesi e non sempre corretti (stigmatizzati espressamente dalla Suprema Corte 4), sulla questione, oggi sembra opportuno dare notizia del primo provvedimento giudiziario relativo al procedimento penale sopra ricordato, depositato dal Tribunale del riesame di Roma il 2 settembre 2020, dopo gli interventi della Cassazione e della Corte europea di giustizia.

Rinviando alla lettura integrale dell’ordinanza e senza alcuna pretesa di completezza, ci permettiamo di segnalarne brevemente alcuni punti particolarmente rilevanti.

In primo luogo , vengono, infatti, individuate le due tesi contrapposte: la prima, << della “certezza” -formulata e sostenuta dal P.M. nel ricorso- in base alla quale, in caso di impossibilità di un campionamento ragionato e rappresentativo per l’inesistenza di informazioni utili a conoscere la composizione del prodotto conferito, il detentore del rifiuto sarebbe onerato dall’effettuare un’analisi diffusa, idonea ad escludere con certezza l’esistenza nei rifiuti di sostanze pericolose o, in alternativa, di classificarlo come pericoloso; e quella- sostenuta dalle difese ed avallata dal Tribunale del riesame nell’impugnato provvedimento- della “probabilità” in base alla quale, essendo inesigibile l’analisi e la caratterizzazione della quasi totalità del rifiuto conferito, l’analisi dovrebbe necessariamente riguardare le sole sostanze che, in base al processo produttivo, è possibile possano conferire al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo >>.

In secondo luogo , applicando i dettami della Cassazione e della Corte europea, si evidenzia finalmente, senza ombra di equivoci, quale deve essere la dinamica circa l’onere della prova sulla pericolosità del rifiuto; chiarendo una volta per tutte che “ il Tribunale del riesame, nella sua prima ordinanza, ha errato nell’addossare agli inquirenti l’onere di effettuare un’attività investigativa volta a dimostrare la pericolosità del rifiuto, in tal modo scaricando su di essi un dovere che la pronuncia della Corte di giustizia esclude, attribuendo al detentore del rifiuto, quando la composizione del rifiuto non sia immediatamente nota, l’onere di raccogliere le informazioni idonee a consentirgli di acquisire una conoscenza sufficiente di detta composizione ”.

Così come ha errato quando ha avallato, << quale unica metodologia di indagine, unicamente il campionamento e l’analisi chimica: e nella parte in cui ha stabilito che, nei rifiuti a specchio, al fine di determinarne la pericolosità, l’analisi deve riguardare solo le sostanze che, in base al processo produttivo, “è possibile possano conferire” al rifiuto stesso caratteristiche di pericolo, in quanto riduttiva della metodologia individuata nella pronuncia della Corte di giustizia >>.

In questo quadro , approfondendo le condizioni necessarie per garantire la rappresentatività del campionamento ai fini di determinare la composizione del rifiuto, l’ordinanza ricorda che << nella richiesta di sequestro — né dall'Arpa o dai consulenti —, non è stata contestata la mancata effettuazione delle analisi o del campionamento dei rifiuti da analizzare, né che tale campionamento non sia stato rappresentativo, e neppure è stato sostenuto che l'analisi dovesse riguardare tutte le sostanze pericolose e non solo quelle presumibilmente presenti….. La tesi accusatoria che h a trovato numerosi riscontri ruota intorno alla contestazione che la parte campionata dei rifiuti conferiti non sia stato analizzata, se non in minima parte, con la conseguenza che le analisi di laboratorio svolte — a prescindere dalla attendibilità e rappresentatività del campionamento effettuato — non erano attendibili e che, di conseguenza, l'analisi del rifiuto non era più rappresentativa, oltre che, verosimilmente, tesa a celare la presenza di sostanze pericolose >>5. In particolare, “ si evince che la parzialità. delle analisi effettuate nella quasi totalità dei casi scaturisce dalla non esaustività dell'analisi dei campioni, che pur consistendo in piccole porzioni dell'intero rifiuto conferito (poche centinaia di grammi o di centilitri a fronte di rifiuti quantificati in centinaia o migliaia di tonnellate) viene quasi sempre effettuata con riferimento a una quantità risibile minima del campione, pari a pochi punti percentuali dello stesso, lasciando indeterminata la composizione della maggior parte dello stesso ”. Il che non avveniva per caso ma attraverso la “ reiterata e deliberata alterazione dei risultati delle analisi dei campioni raccolti e caratterizzati, effettuata mediante la consapevole omissione delle analisi del campione raccolto nella sua interezza 6.

Insomma, se pure sarebbe irragionevole pretendere la caratterizzazione del rifiuto al 99,9%, è comunque sempre necessario un campionamento adeguato e rappresentativo della sua composizione totale; così come l’analisi dei campioni deve essere totale, e non parziale, anche se la difesa ne sostenga la inesigibilità per costi eccessivi.

Evidenziando, infine, come criterio conclusivo , che la Cassazione, << pur stigmatizzando le declinazioni accusatorie della presunzione di pericolosità e del principio di precauzione, sembra al contempo chiaramente evidenziare che il detentore di rifiuti, che abbia effettuato le indagini di provenienza e di composizione del rifiuto delineate e, ciò nonostante, non sia riuscito ad effettuare un campionamento sufficientemente rappresentativo del rifiuto per comprovate ragioni di impossibilità o inesigibilità, è comunque onerato, in base al principio di precauzione, del dovere di caratterizzare tali rifiuti come pericolosi e, dunque, in tale ipotesi,- dopo aver effettuato tutte le indagini indicate dalla normativa (e non solo il campionamento e l'analisi chimica), in caso di indeterminabilità della natura del rifiuto avrà l'obbligo di attribuire allo stesso un codice a specchio di pericolosità, tutte le volte che persista la probabilità di un danno reale per l'ambiente >>.

A questo punto, dopo un iter giudiziario così complesso, con il coinvolgimento della Corte europea e con due interventi della Suprema Corte, l’ordinanza in commento del Tribunale di Roma, a nostro sommesso avviso, costituisce un chiaro e condivisibile punto di arrivo nella tormentata vicenda dei codici a specchio.

E pertanto, a noi appare inutile e fuorviante proseguire nelle polemiche, alimentando altra confusione. Né ci interessa parlare di vincitori e vinti.

Forse si poteva evitare di scomodare la Cassazione e la Corte europea, ma adesso è ora di chiudere la questione ed applicare finalmente la legge, garantendo la dovuta difesa di ambiente e salute da scorrette e illegali gestioni di rifiuti pericolosi.

1 su cui deve registrarsi anche un intervento del legislatore, con legge 116/2014, poi abrogata

2 si noti che spesso la “teoria della certezza” risulta riportata in modo distorto. In proposito, si rinvia, da ultimo a GALANTI, “Rifiuti. La verità, vi prego, sui codici a specchio”, in www.lexambiente.it , 5 aprile 2019. Nello stesso senso, cfr. AMENDOLA, Rifiuti, codici a specchio e Cassazione in attesa della corte europea. Ogni critica e’ legittima purche’ non travisi la realtà in www.lexambiente.it , 13 aprile 2018, ID., Rifiuti con codici a specchio, fanghi di depurazione contaminati e cessazione della qualità di rifiuto (EOW). La Corte Europea si schiera con la Cassazione e con il Consiglio di Stato , in www.lexambiente.it , 19 aprile 2019, dove evidenziavamo che “… si assiste all’avvilente spettacolo di chi, non avendo valide argomentazioni, mistifica la realtà dei fatti, insulta, o attribuisce a chi la pensa in maniera diversa affermazioni mai fatte, del tutto inverosimili e pertanto facilmente criticabili….”

3 Per primi approfondimenti e richiami, ci permettiamo di rinviare a AMENDOLA, Voci a specchio: l'Ordine dei chimici critica la Cassazione per distorta interpretazione della legge in www.industrieambiente. it, marzo 2017,; ID,Codici a specchio: arriva il partito della scopa, ivi, aprile 2017; AMENDOLA-SANNA, C odici a specchio: basta confusione, facciamo chiarezza, ivi, giugno 2017; AMENDOLA-SANNA , Codici a specchio, cresce il partito della certezza (scientifica) , ivi, 11 luglio 2017; AMENDOLA , Codici a specchio. meno male che la Cassazione c’è!, 1 agosto 2017, in www.lexambiente.it

4 la quale evidenziava “ in alcuni interventi dottrinari, una strumentale lettura dei contenuti dell’ordinanza di rimessione prima e della sentenza della Corte di giustizia poi, chiaramente finalizzata ad attribuire a tali provvedimenti significati rispondenti all’esclusiva esigenza di accreditare la fondatezza di determinate tesi

5 In dettaglio: “ In altre parole, nella presente indagine, non è mai stata in questione l'inottemperanza ad un preteso obbligo di analizzare tutto il rifiuto conferito o di analizzare lo stesso, previo campionamento ragionato, o quello di analizzare lo stesso con riferimento a tutte le sostanze pericolose astrattamente ipotizzabili; essendo stata invece prospettata la reiterata e deliberata alterazione dei risultati delle analisi dei campioni raccolti e catatterizzati, effettuata mediante la consapevole omissione della analisi del campione raccolto nella sua interezza ”.

6 Ciò ha determinato, da un lato, il consapevole sabotaggio di tutte le analisi svolte (dato che, se il campione è stato correttamente estratto per la sua rappresentatività dell'intero coacervo di rifiuti, è indispensabile che esso sia analizzato nella sua interezza) e, di conseguenza, l'erroneità dell'attribuzione del codice a specchio non pericoloso in relazione alle diverse sostanze conferite …”