Cass. Sez. III n. 15560 del 18 aprile 2007 (CC14-03-2007)
Pres. Onorato P. Est. Ianniello A. Imputato: Andreani.
(Rigetta, Trib. lib. Udine, 20 ottobre 2006)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione di rifiuti - Inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione - Natura di reato di mera condotta.

In tema di gestione dei rifiuti, il reato di cui all'art. 256, comma quarto, D.Lgs. 3 aprile 2006 n. 152, gestione dei rifiuti con inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione, ha natura di reato di mera condotta, per la cui integrazione non assume rilievo l'idoneità della condotta a recare concreto pregiudizio al bene finale, atteso che il bene protetto è anche quello strumentale del controllo amministrativo da parte della pubblica amministrazione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. ONORATO Pierluigi - Presidente - del 14/03/2007
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere - SENTENZA
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 220
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere - N. 45539/2006
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) ANDREANI ROBERTO, N. IL 06/09/1948;
avverso ORDINANZA del 20/10/2006 TRIB. LIBERTÀ di UDINE;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. IANNIELLO ANTONIO;
sentite le conclusioni del P.G. Dr. Francesco Salzano rigetto del ricorso.
Udito il difensore Avv. Viciconte Gaetano (Firenze). La Corte:
OSSERVA
Con ordinanza del 20 ottobre 2006 il Tribunale di Udine ha respinto la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo dell'impianto, sito in San Giorgio di Nogaro, di trattamento dei rifiuti liquidi (per poi immettere l'acqua depurata nella pubblica fognatura) della Fingel s.r.l., emesso dal G.I.P. presso il medesimo Tribunale nei confronti di Roberto Andreani, amministratore unico di tale società, indagato, in particolare, in ordine alle ipotesi di reato di cui all'art. 260 (attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti), all'art. 256 c.p.p., comma 4 (gestione di rifiuti con inosservanza delle prescrizioni imposte dall'autorizzazione) e al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 1 (gestione di rifiuti non autorizzata).
L'ipotesi investigativa riguardava i seguenti fatti, come commessi in concorso con altre persone.
Quanto alla contestazione di cui all'art. 260 per avere a fini di lucro: a) gestito abusivamente in maniera sistematica e organizzata ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi, ricevendo rifiuti pretrattati provenienti da altro impianto esercente analoga attività, gestito dalla società Depura, previa assegnazione concordata fraudolentemente di un codice, CER 1908-14 diverso da quello di pertinenza, del gruppo CER 1902-XX, che Fingel non era autorizzata a trattare; b) ricevuto con abitualità liquidi anche pericolosi, contenenti alte concentrazioni di inquinanti incompatibili con l'impianto, successivamente smaltendoli in fognatura, previa miscelazione con altri rifiuti in diluizione; c) gestito i carichi in ingresso senza preventivo e sistematico controllo ed analisi delle caratteristiche chimiche degli stessi, causando modalità approssimative di trattamento e superamento dei limiti di scarico in fognatura.
Per ciò che riguarda il reato di cui al D.Lgs. citato, art. 256, comma 4 di gestione di rifiuti con inosservanza delle prescrizioni imposte dall'autorizzazione, l'ipotesi investigativa è quella di avere violato le prescrizioni contenute nell'autorizzazione della Provincia di Udine, in particolare non effettuando sistematicamente i controlli in ingresso dei carichi, consentendo così il rilascio dall'impianto di odori irritanti per l'uomo.
Infine quanto al reato di cui al primo comma dell'art. 256 citato, relativo all'attività di gestione di rifiuti senza autorizzazione, viene ipotizzato che l'impresa abbia effettuato lo smaltimento dei rifiuti liquidi provenienti da Depura, denominati "pretrattati a basso carico" con le modalità fraudolente con riguardo al codice indicate al precedente punto a) al fine di farle apparire compatibili con le autorizzazioni in possesso di Fingel.
Avverso tale ordinanza propone ora ricorso per Cassazione l'indagato Roberto Andreani, a mezzo dei propri difensori, deducendo:
1 - la violazione dell'art. 321 cod. proc. pen., in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 256 e 260, con riferimento alle allegazioni del P.M. in sede di richiesta del sequestro e relative all'accusa di aver gestito un rifiuto sotto la denominazione di "fanghi pompabili", con l'attribuzione della sottoclasse 19.08 del codice europeo, riservata ai "rifiuti prodotti dagli impianti di trattamento delle acque reflue, non specificati altrimenti" mentre si tratterebbe di "rifiuti provenienti da specifici trattamenti chimico- fisici di rifiuti industriali", cui andava attribuito il codice del gruppo 19.02.
Tale addebito non sarebbe fondato su reali analisi dei rifiuti da parte degli inquirenti e sarebbe contraddetto dal fatto che gli enti di controllo (ARPA), ricevendo settimanalmente dal conferente dei rifiuti l'elenco dei carichi ritirati e dei conferimenti effettuati, non avevano operato rilievo alcuno in ordine alla classificazione operata.
Quindi vi sarebbe carenza di accertamento quanto ai presupposti di fatto su cui vuole essere fondata l'accusa: l'ordinanza impugnata qualifica conseguentemente i rifiuti come industriali, senza che sia stata compiuta alcuna analisi; afferma inoltre che tali rifiuti liquidi sono stati pretrattati solo perché provengono da Depura e non dall'impresa che li ha prodotti.
D'altra parte il Tribunale incorrerebbe in errore laddove non considera che ad attribuire il codice del rifiuto è l'ente che lo conferisce e non quello che lo riceve, che si limita a verificare i parametri chimico-fisici del rifiuto al fine di accertare se esso può essere trattato.
Per cui la Fingel non avrebbe posto in essere l'ipotesi di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, perché non ha apposto codici fraudolenti, non ha omesso i controlli, che anzi hanno rivelato la piena compatibilità della classificazione fornita con la reale natura del rifiuto da trattare; e non sarebbe ravvi-sabile neppure l'ipotesi riconducibile all'art. 260 D.Lgs. cit, poiché l'impianto opera secondo regolare autorizzazione della provincia di Udine, che è stata sempre pedissequamente rispettata.
Il Tribunale avrebbe in sostanza ritenuto la violazione delle prescrizioni di questa autorizzazione - nonostante i continui controlli operati dall'ARPA e dal consorzio gestore della pubblica fognatura e senza aver mai fatto alcuna verifica - sostanzialmente in ragione del fatto che ha valutato come inutile una tale verifica in quanto l'autorizzazione sarebbe insufficiente a garantire un efficace controllo. Obietta al riguardo il ricorrente che se è l'autorizzazione ad essere in difetto, allora il fatto non rientra nell'ipotesi investigativa di mancato rispetto delle prescrizioni dell'autorizzazione. Non si può sostenere allo stesso tempo il mancato rispetto delle prescrizioni dell'autorizzazione e insieme l'inutilità di tali prescrizioni.
2 - ancora la violazione delle norme di legge citate, sotto l'ulteriore profilo della emissione di odori irritanti. Secondo il ricorrente, le emissioni vietate penalmente sono infatti unicamente quelle che superano gli standards fissati dalla legge e non ogni emissione fastidiosa. D'altronde la società sarebbe dotata di un impianto di abbattimento degli odori efficiente e lo stabilimento è all'avanguardia sul piano tecnologico; di tutto ciò, tuttavia, il Tribunale non avrebbe tenuto adeguato conto.
3 - la violazione dell'art. 321 c.p.p. sotto l'autonomo profilo dell'assoluta mancanza di prova di alcuno degli elementi di fatto posti a fondamento della richiesta di provvedimento cautelare:
avrebbero potuto essere fatte ispezioni e analisi a sostegno dell'ipotesi investigativa, che invece erano state omesse pur in presenza di controlli e analisi di enti terzi che dimostravano come le ipotesi accusatorie fossero infondate.
Ne conseguirebbe la mera apparenza della motivazione del provvedimento.
4 - la violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 27 e D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256: l'impresa era stata autorizzata alla realizzazione dell'adeguamento dell'impianto in questione con provvedimento della Giunta provinciale del 20 settembre 2002 e quindi al relativo esercizio con provvedimento del 18 luglio 2003, con atti che quindi non potevano essere ignorati dal Tribunale. Sebbene sembri ventilarsi nel provvedimento gravato una implicita necessità di disapplicazione di tali provvedimenti, quanto ai controlli con essi disposti, ritenuti alla stregua del parere di un consulente del P.M. del tutto inefficaci, ciò, con la conseguente finctio juris della assenza di una autorizzazione, non sarebbe possibile, se non quando possa essere valutata come abnorme la procedura autorizzatoria, cosa esclusa dallo stesso G.I.P. nel decreto di sequestro.
Donde l'inapplicabilità della normativa che sanziona l'effettuazione di attività di trattamento dei rifiuti senza autorizzazione (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1).
Il ricorrente conclude pertanto chiedendo l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
Il ricorso non è fondato.
Va premesso che, come ricorda anche l'indagato, il ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza pronunciata a seguito di istanza di riesame o di appello in materia di misure cautelari reali è ammissibile unicamente per violazione di legge (art. 325 c.p.p., comma 5), ricomprendendosi in tale ipotesi anche il caso di assoluta inesistenza o di mera apparenza della motivazione (che si verifica quando questa sia del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l'iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento: cfr., al riguardo, di recente, Cass. S.U. 28 gennaio 2004 n. 5876), ma non anche il vizio di essa in termini di a-deguatezza e di congruenza logica del discorso giustificativo della decisione. Va inoltre ribadito che il compito assegnato al Tribunale in sede di riesame del sequestro, quanto all'accertamento del fumus commissi delicti relativo all'ipotesi investigativa sulla cui base è stato pronunciato il sequestro, non può tradursi in una anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità dell'indagato in ordine al reato oggetto di indagine, ma va limitato ad un controllo di compatibilità tra fattispecie concreta rappresentata e fattispecie legale ipotizzata, mediante la valutazione dell'antigiuridicità penale del fatto così come contestato, tenendosi conto, nell'accertamento della sussistenza del "fumus commissi delicti", della congruità degli elementi dedotti dall'accusa, risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive (cfr., tra tante, la sentenza 18 maggio 2004, n. 23214 di questa sezione).
Ciò premesso, si rileva che le valutazioni del Tribunale in ordine alla riconducibilità del fatto rappresentato alle ipotesi di reato indicate, sono, alla stregua del controllo di congruità ad esso demandato, esplicitamente ancorate alle valutazioni tecniche del Nucleo Operativo Ecologico dei carabinieri di Udine e fondano sulla considerazione secondo la quale i rifiuti prodotti da Depura, ancorché denominati fanghi pompabili, non sono prodotti dalla depurazione di acque reflue, ma dal trattamento di altri liquidi industriali conferiti dalle industrie produttrici degli stessi all'impianto di Depura e da questa successivamente trasferiti a Fingel.
Il fatto che tali rifiuti ricevano speciali trattamenti da Depura prima del trasferimento è poi dal Tribunale ragionevolmente ritenuto pressoché certo, come logica spiegazione del conferimento intermedio presso Depura dei rifiuti industriali, con evidenti costi aggiuntivi, nella fase di passaggio degli stessi dalle imprese produttrici a Fingel.
Il Tribunale ha pertanto correttamente ritenuto gli elementi così enucleati sufficienti, nell'ambito della valutazione propria del procedimento di sequestro, a garantire l'esattezza della classificazione pretesa dall'accusa.
Al riguardo, i più specifici accertamenti di cui l'indagato lamenta l'assenza da parte del P.M. richiedente il sequestro dovranno trovare adeguata collocazione nell'ambito del procedimento relativo ai reati oggetto di indagine, senza che la mancata effettuazione nell'ambito del presente procedimento di sequestro possa trasformare il ragionamento del Tribunale in una motivazione apparente, secondo la definizione di essa prima ricordata.
L'indagato obietta peraltro che il conferimento dei rifiuti avveniva secondo la direttiva ministeriale del 9 aprile 2002 senza che TARPA avesse mai formulato al riguardo rilievo alcuno in ordine alla classificazione operata.
Tale obiezione ha peraltro già ricevuto dal Tribunale adeguata risposta attraverso il rilievo che l'elenco europeo dei rifiuti, ancorché in molte parti lacunoso e approssimativo, consente nello specifico una inequivoca codificazione del rifiuto in esame e che T "adeguamento operato da Depura alla direttiva ministeriale in materia di raccordo tra i preesistenti e i nuovi codici ... non può valere a "restituire" la natura di rifiuti di acque reflue, mai posseduta dai fanghi di Depura ... risultato di conferimento industriale e successivo trattamento".
Infine, anche la deduzione secondo la quale, poiché il codice viene attribuito dall'ente conferente, la società di cui l'indagato è amministratore unico sarebbe estranea al fatto, appare infondata, avendo il Tribunale dato atto che, sulla base delle indagini svolte, il P.M. ha ipotizzato al riguardo l'esistenza di un accordo tra Depura e Fingel, raggiunto col fine di conseguire dall'operazione un ingiusto profitto nei modi descritti in premessa.
Sulla base delle considerazioni svolte si rivelano infondati buona parte del primo e il terzo motivo di ricorso.
Con riguardo alla omissione da parte di Fingel dei controlli sistematici dei carichi in ingresso prescritti dall'autorizzazione della Provincia di Udine, con conseguente rilascio dall'impianto di odori sgradevoli e di sostanze irritanti per l'uomo, l'indagato obietta che ciò non risulterebbe dagli atti e comunque che l'ordinanza ha ritenuto ampiamente insufficiente il sistema di controlli prescritto dalla provincia, per cui non potrebbe essere rimproverato alla società l'omissione di un controllo ritenuto contemporaneamente inutile.
In proposito il Tribunale ha dato peraltro atto che l'assenza di periodicità e sistematicità di tali controlli era stata desunta non irragionevolmente dal contenuto di alcune intercettazioni telefoniche e che le emissioni nocive, eccedenti o meno gli standard fissati dalla legge (problematica peraltro attinente il diverso profilo della configurabilità o meno del reato di cui all'art. 674 cod. pen., comma 2), erano state ampiamente documentate dal P.M.. Seppure appaia poi esatto il rilievo secondo cui il Tribunale ha comunque ritenuto inefficaci i controlli prescritti dall'autorizzazione provinciale, ciò non esclude che la ritenuta omissione di questi ultimi sia astrattamente riconducibile alla fattispecie tipica ipotizzata (D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4), in quanto questa assume la struttura di reato di mera condotta, rispetto alla cui configurazione non assume rilievo l'idoneità della condotta a recare concreto pregiudizio, il bene protetto dalla relativa norma dovendosi ritenere quello strumentale al controllo amministrativo.
Sulla base di tali considerazioni vanno ritenute infondate anche le cen-sure svolte nel secondo e nel quarto dei motivi nonché nell'ultima parte del primo.
Il ricorso va pertanto respinto, con la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2007.
Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2007