Rifiuti e veicoli fuori uso. Gli ultimi chiarimenti della Cassazione

di Gianfranco AMENDOLA

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringraziano Autore ed Editore

Come è noto, più volte la Cassazione si è occupata della qualificazione come rifiuti dei veicoli dismessi. Recentemente è tornata sull’argomento con una sentenza1 ove ricapitola la sua pregressa giurisprudenza aggiungendo alcune specificazioni importanti a proposito della rottamazione.

Vale la pena, quindi, di fornire innanzi tutto, seguendo la struttura della sentenza in esame, un sintetico quadro riassuntivo generale ed aggiornato della materia.

  1. In tema di gestione dei rifiuti, deve essere considerato “fuori uso” in base alla disciplina di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 209 del 2003, sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privo delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, sia quello che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata2.
  2. In particolare, devono ritenersi sostanzialmente abbandonati in maniera del tutto incontrollata, i veicoli rinvenuti insieme a parti di auto e pneumatici, in un’area degradata, con vegetazione, senza che fossero state adottate misure di protezione come l’impermeabilizzazione del terreno volte ad evitare il percolamento delle sostanze nocive3. In proposito, peraltro, la giurisprudenza amministrativa ha anche recentemente precisato che la permanenza dei veicoli, prolungata nel tempo per svariati anni, nel cortile di un privato, unitamente alla loro condizione di esposizione all’acqua e alle intemperie, al loro stato di sostanziale abbandono e alla concreta impossibilità anche di testarne la funzionalità a causa dell’accumulo incontrollato al loro interno di oggettistica varia, lungi dal poter essere considerata come un deposito temporaneo di oggettistica funzionale alla passione collezionistica del detentore, invero conferma la distrazione di tali beni dalla funzione loro propria e, al contempo, la malcelata intenzione del privato di evitare di smaltirli4.

Ed è interessante ricordare, a questo proposito, che, secondo la Cassazione, anche l’attività di custodia di veicoli in sequestro può configurare l’abusiva gestione di rifiuti, laddove i veicoli subiscano un processo di deterioramento tale da renderli del tutto inservibili e, dunque, trasformarli in veri e propri rifiuti e ciò è quanto avviene nel caso in cui vi sia uno spargimento disordinato sul terreno di carcasse di autoveicoli in cattive condizioni, nonché di pneumatici o altri materiali e quando vi sia lo sversamento di oli e altri liquidi da parti dei veicoli verso il terreno Ne consegue che gli obblighi del custode giudiziario di veicoli non si esauriscono con la semplice custodia dei veicoli stessi, perché egli è comunque tenuto ad evitare che questi subiscano un processo di deterioramento tale da trasformarli, in tutto o anche solo in alcune parti, in veri e propri rifiuti.5.

  1. Quanto alla loro qualificazione, la suprema Corte afferma che può trattarsi di rifiuto pericoloso o non pericoloso. Infatti, non tutti i veicoli fuori uso sono solo per questo pericolosi. Invero, affinché un veicolo sia considerato pericoloso, è necessario non solo che esso sia fuori uso, ma anche che contenga liquidi o altre componenti pericolose, perché altrimenti rientra nella categoria 16.01.06 e non è qualificato come pericoloso. Più specificamente, si deve considerare, in proposito, che un veicolo funzionante contiene una serie di elementi e sostanze che ne consentono la normale utilizzazione e che sono normalmente riconducibili nel novero dei liquidi e delle componenti cui il catalogo dei rifiuti attribuisce rilievo ai fini della classificazione del veicolo fuori uso come rifiuto pericoloso; quali, ad esempio, al combustibile, alla batteria, all’olio motore, alle sospensioni idrauliche, all’olio dell’impianto frenante, ai liquidi refrigeranti o antigelo, ai detergenti per i cristalli, ad alcune parti dell’impianto elettrico o del motore. Trattasi, peraltro, di componenti, normalmente presenti in tutti i veicoli marcianti, i quali richiedono, per essere rimossi, operazioni oggettivamente complesse, che comportano non soltanto la previa selezione dei singoli elementi da eliminare, ma anche la disponibilità di particolari attrezzature per lo smontaggio. Si tratta, inoltre, di attività che, per essere eseguite, richiedono una minima competenza tecnica ed il rispetto di specifiche norme di sicurezza o, quanto meno, di una certa prudenza al fine di evitare danni alle persone o alle cose. Tali interventi di “bonifica” risultano, peraltro, ancor più complessi quando le condizioni del veicolo, a causa di precedenti eventi, come, ad esempio, nel caso di danni ingenti alla carrozzeria a seguito di sinistro stradale, rendono meno agevole le operazioni di movimentazione e di smontaggio delle singole componenti. E’ dunque evidente che le effettive modalità di conservazione del veicolo e la presenza o meno dei mezzi necessari per l’espletamento delle attività di cui si è appena detto costituiscono dati obiettivi di valutazione e che l’esclusione dal novero dei rifiuti pericolosi dei veicoli fuori uso non può essere presunta, essendo al contrario pacifico che un veicolo non sottoposto ad alcun preventivo trattamento volto ad eliminarne il liquidi e le componenti pericolose le contenga ancora, considerando la complessità delle operazioni di rimozione6.

In sostanza, quindi, la circostanza che un veicolo contenga ancora liquidi considerati rifiuti pericolosi, va puntualmente provata e non può essere presunta7, ma la natura di rifiuto pericoloso di un veicolo fuori uso non necessita di particolari accertamenti quando risulti, anche soltanto per le modalità di gestione, che lo stesso non è stato sottoposto ad alcuna operazione finalizzata alla rimozione dei liquidi e delle altre componenti pericolose. Peraltro, in proposito la Cassazione ha anche precisato che le operazioni per la messa in sicurezza dei veicoli fuori uso, necessarie per determinare il loro recupero con conseguente cessazione della qualifica di rifiuto, prevedono la rimozione dell’olio (motore e del circuito idraulico) e, se pure può accettarsi una piccola tolleranza, vale a dire che ne rimangano tracce, certo non può ritenersi recuperato e messo in sicurezza un motore usato da cui fuoriescano cospicui spandimenti di olio8 .

Una volta riassunto il quadro complessivo, come già si è anticipato la sentenza in esame contiene ulteriori, interessanti precisazioni in tema di “cannibalizzazione” di auto per rivenderne alcuni pezzi. Infatti, la difesa dell’imputato aveva prospettato la circostanza che, in realtà, egli, gestore di una officina, aveva ricevuto l’auto dal proprietario per ripararla ma costui, di fronte al preventivo per le riparazioni, aveva deciso di non procedere e di lasciare l’auto sul posto affinché l’imputato potesse ricavarne pezzi da rivendere, e pertanto non vi sarebbe stata alcuna operazione relativa ad un rifiuto tanto più che era stato lasciato integro il numero del telaio. Secondo la difesa, peraltro, sarebbe comunque mancata la coscienza e volontà dell’imputato di riciclare l’autovettura.

Ma a tale proposito – osserva la suprema Corte- la circostanza di aver ricevuto l’auto dal proprietario proponendogli di lasciarla in officina per estrarvi dei pezzi di ricambio, in quanto era antieconomico ripararla, integra una condotta colpevole di disfarsi del rifiuto, atteso che la ricezione da parte del proprietario del mezzo per “cannibalizzarlo” senza poi seguire la procedura prevista dal d. lgs. n. 209 del 2003 per lo smaltimento dei veicoli fuori uso, integra all’evidenza l’elemento psicologico del reato contestato, punibile a titolo di colpa. E che si trattasse di rifiuto -aggiunge la Cassazione- l’imputato non poteva non saperlo in quanto aveva consentito al proprietario di prelevare la targa e i documenti per procedere alla cancellazione dal PRA; e, inoltre, la stessa attività di demolizione e recupero di parti di veicoli rientra nella nozione di gestione e smaltimento dei rifiuti di cui all’art. 256, comma 1, d. lgs. 152/2006 ed è specificamente disciplinata dal d. lgs. 24 giugno 2003 n. 209.

Per completezza di esposizione, sembra opportuno ricordare, a proposito di pezzi rottamati, che più volte la suprema Corte si è occupata anche della distinzione tra pneumatici usati e pneumatici fuori uso, affermando che la qualifica di rifiuto va attribuita ai soli pneumatici fuori uso, e non ai pneumatici usati ma ancora ricostruibili9. Chiarendo successivamente, che secondo la normativa posta dalla legge n. 179/2002 e dal D.M. 9 gennaio 2003 costituiscono sicuramente “rifiuto” gli pneumatici fuori uso ed essi devono ritenersi destinati ad attività di recupero o smaltimento, sono invece da considerarsi “non-rifiuto” gli pneumatici usati passibili di ricostruzione ed essi possono essere compravenduti come beni10. Pertanto, non viene considerato rifiuto uno pneumatico che resta sul mercato e viene di nuovo impiegato per lo scopo originario, anche se necessita di una attività di ricostruzione, mentre, in caso contrario deve essere considerato rifiuto speciale e la sua gestione deve essere effettuata attraverso specifici canali di raccolta e recupero, gestiti da consorzi autorizzati o direttamente dai gommisti. In questo quadro, gli pneumatici tagliati o squarciati, conservati alla rinfusa e in stato di abbandono, senza prospettive di recupero, sono da considerarsi rifiuti speciali non pericolosi (codice CER 16.01.03) con onere della prova contraria a carico del detentore; e, di conseguenza, rispetto ad essi sono configurabili, secondo i casi, un deposito temporaneo, uno stoccaggio o un deposito incontrollato di rifiuti11.


  1. Cass. pen. sez. 3, 20 marzo-7 apr. 2025, n. 13282, Ndaw,↩︎
  2. ID., 20 gennaio-24 aprile 2015, n. 17121, Arfelli, ivi, 19 maggio 2015, giurisprudenza costante↩︎
  3. ID., 13 settembre 2017- 11 gennaio 2018, Capuano, in www.ambientediritto.it, 2018, giurisprudenza costante↩︎
  4. TAR Veneto Sez. 4, 11 ottobre 2024 n 2392, il quale conclude che non basta l’esistenza di un ipotetico mercato di riferimento dei beni in considerazione al fine di farne cessare la condizione di rifiuto ai sensi dell’art. 184 ter del Codice dell’Ambiente↩︎
  5. Cass. pen., sez. 3, 9 giu-22 ott. 2015, n. 42455, Franzese, ivi, 16 novembre 2015↩︎
  6. ID, 5 febbraio- 16 marzo 2015, n. 11030, Andreoni↩︎
  7. Cfr. anche, in precedenza, ID, 15 luglio-2 agosto 2011, n. 39554, Nobile,↩︎
  8. ID., 25 ott.-27 dic. 2018, n. 583121, Castelli,↩︎
  9. ID., 16 ott.-14 dic. 2007, n. 46643, Messina, ove si precisa che nel caso in esame si era in presenza di “ingenti quantità di cerchi in lega accatastati, molti dei quali arrugginiti anche a causa della loro esposizione alle precipitazione atmosferiche, nonché di un numero imprecisato di pneumatici usati dislocati sul terreno unitamente ad attrezzatura per la separazione del cerchione metallico ed il pneumatico, tutti in quantità certamente idonea a connotare la destinazione del terreno quale luogo di scarico e deposito di rifiuti”. e si conclude che deve quindi escludersi che si sia in presenza di materiali di produzione e consumo che siano destinati ad essere riutilizzati senza subire alcun trattamento preventivo.↩︎
  10. ID., 16 mag-26 giugno 2012, n. 25207, Lanuto, ove si conclude che la ricostruzione del battistrada degli pneumatici (che, pur usurati, conservano integre le loro caratteristiche strutture non si configura come un’operazione di recupero ma come trattamento di risanamento di un bene che mai è stato considerato rifiuto mentre recupero di materia può aversi attraverso le attività di separazione delle varie componenti degli pneumatici non ricostruibili.↩︎
  11. ID, 15 febbraio 2022, n. 5287,↩︎