Cass. Sez. III n. 14483 del 24 marzo 2017 (Ud. 7 dic 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Renoldi Imputato: Seno
Alimenti.Presenza di mercurio
Per sostanze alimentari "comunque nocive" ai sensi dell'art. 5, lett. d), della legge n.283 del 1962, devono intendersi quelle che possono arrecare un concreto pericolo alla salute dei consumatori, desumibile dal giudice non soltanto nell'ipotesi di superamento dei limiti massimi di concentrazione dei contaminanti alimentari stabiliti dalla legge - che costituisce un solido elemento indiziario in ordine alla idoneità della sostanza rinvenuta a determinare un "vulnus" alla salute degli eventuali fruitori del prodotto - ma anche da altri elementi, purché il relativo apprezzamento sia sul punto adeguatamente e logicamente motivato. (Fattispecie in cui il reato è stato ritenuto sussistente nell'ipotesi di pesce contenente mercurio in concentrazione pari al triplo rispetto a quella consentita dal punto 3.3.2 all. I Reg. (CE) n. 1881 del 2006).
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 7/05/2015 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano condannò S.M. alla pena di 20.000,00 Euro di ammenda in quanto ritenuto colpevole del reato di cui alla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, comma 1, lett. d), per avere, nella sua qualità di legale rappresentante della società Europesca S.r.l., operante nel settore del commercio all'ingrosso dei prodotti ittici, detenuto per la cessione 300 kg. di smeriglio scongelato avente una concentrazione di mercurio pari a 3,5 mg/kg, ovvero a più di tre volte il limite massimo, pari a 1 mg/kg, previsto dal Regolamento (CE) n. 1881/2006; fatto accertato in (OMISSIS) il (OMISSIS).
2. Avverso la predetta sentenza l'imputato propone formale atto di appello, deducendo, con un primo motivo, l'avvenuta abrogazione della L. n. 283 del 1962 a seguito dell'approvazione della L. n. 246 del 2005 e del D.Lgs. attuativo n. 179 del 2009.
Con il secondo motivo S. lamenta la mancata osservanza delle disposizioni del regolamento CE 836/2011, dettato in relazione alle modalità di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale di alcuni prodotti (tra cui il mercurio) nei prodotti alimentari, atteso che nel corso del giudizio di primo grado non sarebbe stato dimostrato che le porzioni sottoposte ad analisi fossero state prelevate dal corpo dei pesci, con esclusione della testa e della coda dell'animale.
Con il terzo motivo, il ricorrente censura la circostanza che la nocività degli alimenti rinvenuti nella disponibilità dello stesso S. sia stata affermata alla stregua del mero superamento del limite di 1 mg/kg previsto, per il mercurio, dal Regolamento (CE) n. 1881/2006, senza considerare che la tossicità di questa sostanza non sarebbe connessa soltanto al quantitativo eventualmente assunto ma anche alla frequenza con cui ciò avvenga.
Con il quarto motivo, S. si duole del mancato riconoscimento del reato ascrittogli nella forma del tentativo, considerato che i campioni sottoposti ad analisi erano stati prelevati dalle casse, sicchè la merce non era stata ancora distribuita ai dettaglianti e, dunque, non era stata messa effettivamente vendita.
Con il quinto motivo, il ricorrente censura il quantum della pena irrogata, ritenuto eccessivo, non essendo stato provato il suo coinvolgimento in analoghe vicende, stante la sua condizione di incensuratezza; e considerato, altresì, che la merce trovata nella sua disponibilità sarebbe stata, in realtà, importata da un venditore spagnolo, il quale ne avrebbe garantito la conformità, quanto alle percentuale di mercurio, ai limiti previsti dalla legge.
Infine, la Difesa sottolinea che il primo giudice non avrebbe preso in considerazione la tesi contenuta nella sentenza di questa Corte, Sez. 6^, n. 284 del 16/07/1988, che il ricorrente riferisce di aver esposto in una memoria depositata, nel corso del processo di primo grado, in data 22/04/2015.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente rileva il Collegio che l'impugnazione proposta deve essere convertita in ricorso per cassazione, ricorrendone i presupposti di legge, secondo quanto stabilito dall'art. 568 c.p.p., comma 5, avuto riguardo alla nitida voluntas impugnationis dell'imputato e alla prospettazione di taluni vizi della sentenza di primo grado che possono rientrare nella cognizione del giudice di legittimità ai sensi dell'art. 606 c.p.p..
2. Con riferimento al primo motivo, non può essere condivisa la tesi dell'avvenuta abrogazione della L. n. 283 del 1962, che, secondo il ricorrente, sarebbe conseguita all'approvazione della L. n. 246 del 2005 e del D.Lgs. attuativo n. 179 del 2009.
Costituisce, infatti, un approdo ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che la legge contenente la disciplina igienica della produzione e della vendita di alimenti e bevande non ha subito alcun effetto abrogativo a seguito dell'emanazione dei decreti abrogativi delle leggi pubblicate anteriormente al 1 gennaio 1970 (cosiddetti decreti "taglialeggi": D.Lgs. n. 179 del 2009; D.Lgs. n. 212 del 2010; D.Lgs. n. 213 del 2010), attuativi della delega conferita con L. 28 novembre 2005, n. 246 in materia di semplificazione legislativa (v. Sez. 3, n. 46183 del 23/10/2013, dep. 18/11/2013, Capraro, Rv. 257634; nonchè Sez. 3, n. 9276 del 19/01/2011, dep. 9/03/2011, Facchi, Rv. 249783).
Alla luce dei richiamati arresti giurisprudenziali, alla cui ampia motivazione si rimanda, il motivo di ricorso in questione deve essere ritenuto inammissibile in quanto manifestamente infondato.
3. Per quanto poi concerne il secondo motivo, con il quale S. lamenta la mancata osservanza delle disposizioni comunitarie in relazione alle modalità di campionamento, occorre in primo luogo osservare che il regolamento U.E. n. 836/2011 della Commissione del 19/08/2011 - il quale ha modificato il regolamento (CE) n. 333/2007, relativo ai metodi di campionamento e di analisi per il controllo ufficiale dei tenori di piombo, cadmio, mercurio, stagno inorganico, 3-MCPD e benzo(a)pirene nei prodotti alimentari - stabilisce, al punto B.2.2. alla tabella 3^ allo stesso allegata, recante "Numero minimo di campioni elementari da prelevare da una partita o da una sottopartita", che nel caso in cui il peso della partita/sottopartita sia compreso tra i 50 e i 500 kg. il numero dei campioni debba essere pari a 5. Inoltre, i campioni da sottoporre a controllo devono riguardare la parte centrale del pesce, o meglio, non devono concernere la testa o la coda dell'animale.
Secondo, il ricorrente, dal momento che l'atto recante le operazioni di campionamento si sarebbe limitato ad indicare, genericamente, le casse dalle quali sarebbero state prelevate le porzioni di pesce da sottoporre ad analisi, non sarebbe stato dimostrato l'avvenuto rispetto delle prescrizioni che, come detto, impongono che non si debba campionare la testa o la coda dell'animale.
Tale assunto è stato però smentito, in fatto, dalla sentenza impugnata la quale ha espressamente evidenziato che il campionamento riguardava, appunto, le fette di pesce; e che "le fette di pesce deriva(va)no tutte dalla parte centrale del pesce" (pag. 4, settultimo rigo, della sentenza). E', peraltro, evidente che attenendo il profilo appena indicato ad una questione di fatto, ogni censura volta a dimostrare l'infondatezza dell'accertamento si connota come inammissibile, in quanto non pertinente rispetto alla piattaforma cognitiva del giudice di legittimità.
4. Venendo, quindi, al terzo motivo, il ricorrente censura la circostanza che la nocività degli alimenti rinvenuti nella disponibilità dello stesso S. sia stata affermata, dalla sentenza di primo grado, alla stregua del mero superamento del limite di 1 mg/kg previsto per il mercurio.
In proposito, deve osservarsi che la L. n. 283 del 1962, art. 5, comma 1, lett. d) punisce il fatto di colui il quale viola il divieto di "impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo sostanze alimentari" le quali siano "insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione".
Con specifico riferimento alle sostanze "nocive" la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che in tale nozione rientrino "quelle che possono arrecare concreto pericolo alla salute dei consumatori" e che "tale pericolosità, quindi, non sia data dalla ipotetica ed astratta possibilità di nocumento della sostanza alimentare, ma dalla attitudine concreta di essa a provocare danno alla salute pubblica" (Sez. 3, n. 4743 del 7/03/2000, dep. 18/04/2000, Melloni, Rv. 215960).
Tale attitudine concreta, peraltro, può essere desunta dal giudice da una serie di elementi, purchè il relativo apprezzamento sia, sul punto, adeguatamente e logicamente motivato, senza che debba necessariamente farsi riferimento al superamento del parametro previsto dalla legge, costituito dal punto 3.3.2 dell'allegato 1^ al Regolamento (CE) n. 1881/2006 della Commissione del 19 dicembre 2006 - che definisce i limiti massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari - secondo il quale il quantitativo di mercurio presente nel muscolo degli squali di qualunque specie (e tra questi anche lo smeriglio) non può essere superiore a quello di 1 pg/kg (così Sez. 3, n. 4743 del 7/03/2000, dep. 18/04/2000, Melloni, Rv. 215960). Fermo restando, ovviamente, che il superamento di tale limite costituisce un solidissimo elemento indiziario in ordine alla idoneità della sostanza chimica rinvenuta a determinare un vulnus alla salute dei potenziali consumatori degli alimenti.
Lungo questo crinale, infatti, la giurisprudenza ha ritenuto sussistente il reato de quo sulla base della riscontrata presenza, nel pesce sottoposto a controllo, di una percentuale di mercurio quasi doppia rispetto a quella consentita dal D.M. 9 dicembre 1993, all'epoca applicabile (Sez. 3, n. 4743 del 7/03/2000, dep. 18/04/2000, Melloni, Rv. 215960), evidentemente sulla presunzione che il superamento del "tetto" stabilito dalla normativa amministrativa in una misura così significativa, fondasse una più che ragionevole probabilità che la sostanza rinvenuta potesse provocare danni agli eventuali fruitori del prodotto e, dunque, alla salute pubblica.
Nel caso di specie, peraltro, il quantitativo di mercurio rivenuto nei campioni di pesce smeriglio era pari addirittura al triplo del limite menzionato, sicchè deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia fatto buon governo dell'orientamento seguito dalla giurisprudenza di legittimità nel definire i parametri per la qualificazione in termini di nocività delle sostanze alimentari contaminate dal mercurio.
Da ultimo, rileva il Collegio l'inconferenza dell'argomento secondo cui l'eventuale nocività non sarebbe connessa soltanto al quantitativo eventualmente assunto ma anche alla frequenza con cui ciò avvenga. A prescindere dal fatto che in questo modo si attinge a una massima di esperienza dall'incerto fondamento scientifico, non verificato nella sede processuale propria, quella del merito, deve ribadirsi che la fattispecie contestata ha natura di reato di pericolo, sicchè ciò che rileva ai fini della qualificazione della condotta come penalmente rilevante è l'idoneità, ovvero la probabilità, che la sostanza produca effetti di tossicità sulla salute degli eventuali consumatori; probabilità che deve essere valutata secondo un giudizio cristallizzato al momento della realizzazione della condotta senza che possano assumere rilevanza eventi successivi, ovviamente in nessun modo predeterminabili (quali appunto la frequenza dell'assunzione della sostanza o il grado di tolleranza individuale all'azione tossica della sostanza).
Pertanto, anche il terzo motivo di impugnazione deve ritenersi infondato.
5. Con riferimento al quarto motivo, in cui il ricorrente si duole del mancato riconoscimento del reato ascrittogli nella forma del tentativo, giova rilevare che la fattispecie contestata all'odierno imputato ha natura contravvenzionale, sicchè, in relazione ad essa, non è configurabile la forma tentata. E del resto è appena il caso di osservare che la norma incriminatrice contestata contempla, tra le condotte punibili, non soltanto la messa in vendita, ma anche la mera detenzione ad essa finalizzata, ovvero proprio la condotta ascritta all'impugnante. Il motivo in questione è, pertanto, manifestamente infondato.
6. Con il quinto motivo, S. censura il quantum della pena irrogata, ritenuto eccessivo, lamentando che il giudice abbia affermato che "non era la prima volta che l'imputato esponeva per la vendita pesce con quantitativi di mercurio notevolmente superiori alla soglia con pericolo per la salute dei consumatori".
Anche a prescindere dal fatto che la proposizione citata dal ricorrente riguardava, in realtà, il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e non la determinazione del concreto trattamento sanzionatorio, deve osservarsi come in sede di concreta commisurazione della pena entro la cornice edittale prevista dalla norma incriminatrice, il giudice eserciti, alla stregua di una valutazione globale degli indici di commisurazione di cui all'art. 133 c.p., un ampio potere discrezionale che si sottrae, in quanto riconducibile ad apprezzamento di merito, a qualunque sindacato da parte del giudice di legittimità. Quanto agli standard motivazionali che il giudice di merito è tenuto ad osservare nell'ambito di tale apprezzamento, questa Corte ha avuto modo di porre in luce che l'irrogazione di una pena base in misura pari o superiore alla media edittale richiede una specifica indicazione dei criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall'art. 133 c.p., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena (Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, dep. 4/03/2013, Monterosso, Rv. 255153); laddove, al contrario, tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia "medio bassa" rispetto al regime edittale della pena non è neppure necessaria una specifica motivazione (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, dep. 26/10/2004, Nuciforo, Rv. 230278). Fermo restando che, in tali casi, è comunque sufficiente "il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 c.p." (Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, dep. 23/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283), ovvero l'utilizzo di espressioni del tipo: "pena congrua", "pena equa" o "congruo aumento", come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, dep. 18/09/2009, Denaro, Rv. 245596).
6.1. Nel caso di specie, la sentenza di primo grado ha specificamente sottolineato che la pena base doveva ritenersi "equa" nella misura di 20.000,00 Euro di ammenda, avuto riguardo da un lato alla elevata quantità di mercurio riscontrata nei campioni e, dunque, alla rilevante gravità del fatto; dall'altro lato, quale elemento valutabile in bonam partem, all'assenza di precedenti penali dell'imputato. E in questo modo, infatti, il giudice di prime cure si è uniformato al richiamato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte in materia di corretto esercizio della discrezionalità da parte del giudice di merito. Anche il quinto motivo è, dunque, manifestamente infondato.
7. Venendo, infine, alla mancata disamina della tesi contenuta nella sentenza di questa Corte, Sez. 6, n. 284 del 16/07/1988, il motivo è assolutamente generico, non essendo stato specificato, in sede di impugnazione, in cosa consista la tesi de qua e per quali motivi essa avrebbe dovuto essere accolta dal giudice di primo grado e, oggi, da questa Corte. La relativa censura è, pertanto, inammissibile, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono irrisolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità.
8. Alla stregua delle considerazioni il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.