Cass. Sez. III n. 372 del 9 gennaio 2020 (UP 9 ott 2019)
Pres. Izzo Est. Reynaud Ric. Acampora
Urbanistica. Lottizzazione confisca ed interesse ad impugnare
In difetto dell’allegazione di uno specifico interesse, concreto ed attuale, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall’imputato del reato di lottizzazione abusiva, prosciolto per intervenuta prescrizione, con riguardo alla legittimità della confisca, disposta ai sensi dell’art. 44, comma 2, TUE, dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite che appartengano a terzi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’8 giugno 2017, la Corte d’appello di Napoli, accogliendo parzialmente il gravame proposto dall’odierno ricorrente ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione in ordine a tutti i reati a lui ascritti ed in primo grado ritenuti, riformando conseguentemente l’impugnata sentenza, confermata invece in ordine alla confisca disposta ai sensi dell’art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (TUE), per essere stato accertato il contestato reato di lottizzazione abusiva materiale.
2. Avverso la sentenza, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione Vincenzo Acampora, deducendo innanzitutto la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione per aver la sentenza d’appello ritenuto provato la lottizzazione abusiva, senza prendere in esame le specifiche censure mosse con il gravame alla sentenza di primo grado, incentrate sull’inidoneità delle opere abusive a conferire un diverso assetto al territorio con conseguente significativa modifica degli standard di zona e necessità di predisporre od integrare le opere di urbanizzazione. Errata, inoltre, era l’affermazione secondo cui vi sarebbe stata prova della destinazione del complesso a struttura turistico-alberghiera, nonostante la modesta dimensione degli abusi edilizi e pur in assenza dei presupposti previsti dall’art. 9 d.lgs. 79/2011 (c.d. codice del turismo), senza peraltro considerare che la l.r. Campania 24 novembre 2001, n. 17 disciplina l’utilizzo di strutture ricettive extralberghiere, che alle prime non possono essere assimilate e che non determinano la modifica degli standard urbanistici di zona.
3. Con il secondo motivo si deducono violazione della legge sostanziale e processuale (in particolare, gli artt. 125 e 192 cod. proc. pen.) e mancanza di motivazione con riguardo all’omesso accoglimento di specifiche doglianze contenute nell’appello afferenti a questioni di carattere tecnico – desumibili dalle dichiarazioni rese dall’ing. Graziosi e dalla relazione di consulenza tecnica dell’ing. Elefante, acquisita sull’accordo delle parti nel giudizio di appello - circa l’assenza dei presupposti per poter ritenere provata una lottizzazione abusiva con modificazione della destinazione urbanistica dell’area, tenendo anche conto del fatto che la stessa era già fortemente urbanizzata ed era caratterizzata da un’economia principalmente basata sul turismo. Manifestamente illogica, poi, sarebbe la conclusione circa la ritenuta destinazione alberghiera delle opere, tenendo conto che l’uso dell’area era in astratto compatibile con molteplici attività – non di per sé estranee all’oggetto sociale della società proprietaria – che vi erano soltanto sette ambienti di modeste dimensioni in ipotesi destinati all’ospitalità e che mancavano totalmente i servizi caratterizzanti una struttura alberghiera.
4. Con il terzo motivo, si lamenta violazione dell’art. 44 d.P.R. 380/2001 in relazione al precedente art. 30 per essere stata ritenuta la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato soltanto in base alle caratteristiche delle opere abusive realizzate, senza che sia stata provata la consapevolezza di una macroscopica trasformazione del territorio e omettendo di considerare che la legge regionale autorizza lo svolgimento di attività extra alberghiere negli immobili destinati ad uso residenziale collocati in zona agricola.
5. Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 157 cod. pen. per non essere stata ritenuta l’intervenuta prescrizione del reato già al momento della sentenza di primo grado e addirittura prima dell’esercizio dell’azione penale con conseguente impossibilità di disporre la confisca. Le condotte che avrebbero caratterizzato la trasformazione urbanistica dell’area erano risalenti ad epoca certamente precedente il 2006, a nulla rilevando le mere opere di manutenzione in corso al momento del sequestro ed illogicamente valorizzate nella sentenza impugnata per segnare il decorso del termine di prescrizione del reato.
6. Con l’ultimo motivo si deducono violazione di legge processuale e sostanziale – ed in particolare dell’art. 7 C.E.D.U. – per essere stata disposta la confisca pur in presenza di una sentenza di prescrizione del reato e senza verificare in modo stringente la sussistenza della responsabilità oggettiva e soggettiva. In violazione dei principi affermati nella sent. Corte E.D.U. 28 giugno 2018, in causa GIEM Srl, la sanzione era peraltro stata irrogata nei confronti della società AVI Srl, proprietaria dell’area e degli immobili, benché la stessa non fosse stata parte del procedimento.
7. Con memoria contenente motivi aggiunti, si segnala che, nelle more, la Corte d’appello, con ordinanza allegata alla memoria, richiamata la sent. Corte EDU resa in causa GIEM Srl e prendendo atto del fatto che la AVI Srl non aveva partecipato al procedimento, ha disposto la restituzione dei beni confiscati in favore dell’avente diritto, sicché il ricorrente insiste perché anche il provvedimento di confisca sia espressamente revocato.
Si osserva, inoltre, che, il giudice di merito non si era posto il problema della compatibilità della confisca con la necessità di rispettare il principio di proporzionalità ricavabile dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della CEDU, nella specie ritenuto violato in considerazione della modestia degli interventi abusivi e del fatto che la misura aveva interessato immobili storici di pregio utilizzabili anche per attività extra alberghiere. Si segnala, inoltre, che la società proprietaria aveva provveduto a sanare in via amministrativa gli abusi, previa demolizione delle opere non conformi, ottenendo ex post l’accertamento di compatibilità paesaggistica con provvedimento del 24 giugno 2016, con conseguente revoca dei provvedimenti sanzionatori emessi dalle autorità amministrative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I primi due motivi – da esaminarsi congiuntamente perché obiettivamente connessi – sono infondati.
La sentenza impugnata – in uno con quella, conforme, di primo grado – attesta che in un lotto agricolo di circa 10.000 mq., confinante con il mare e ricadente in zona E1 del P.R.G. (“tutela dell’ambiente naturale di primo grado”, comprendente aree inedificate o scarsamente edificate, ove sono vietati sbancamenti, riporti, mutamenti di destinazione dell’attuale edilizia agricola e nuove edificazioni), nonché in zona territoriale 1/A (ove è consentito solo il restauro degli edifici costruiti prima del 1955, essendo vietato qualsivoglia intervento su edifici costruiti successivamente e ogni ulteriore edificazione) erano stati abusivamente realizzati interventi di modifica del prospetto (anche con modesto aumento di cubatura esterna) di una torre costiera risalente all’anno 1540, denominata Torre Toledo, e, nell’area circostante, tutte le opere descritte nei punti da 1) a 17) del capo a) di imputazione (salvo che per taluni profili, già oggetto di proscioglimento nel merito da parte del giudice di primo grado). Tra queste ultime – senza che fosse stato richiesto alcun titolo abilitativo - la realizzazione di numerosi piccoli manufatti, alcuni dei quali adibiti a camera da letto con servizio igienico di pertinenza, l’ampliamento di un preesistente edificio, la realizzazione di una piscina e di un solarium, con terrazzamenti, muri e rampe di collegamento tra i vari manufatti.
Osservando che anche all’interno della torre erano state ricavate camere da letto con servizi igienici privati, dotate di mobilio di recentissimo acquisto, e che la società proprietaria, la AVI Srl – che aveva acquistato l’area nel 2003, effettuandovi poi le opere abusive oggetto di contestazione – aveva ad oggetto sociale lo svolgimento di attività alberghiera, i giudici di merito hanno ritenuto provata la abusiva, e non consentita dallo strumento urbanistico, modifica di destinazione d’uso del complesso e dell’area, da agricola a turistico-alberghiera, con conseguente lesione della funzione di programmazione del territorio comunale e aumento del carico urbanistico.
1.1. La motivazione circa la modifica della destinazione d’uso non è manifestamente illogica ed è conforme a diritto, essendo peraltro generica – perché non specificamente argomentata – la non riconducibilità della struttura in questione quale descritta nella sentenza impugnata alla definizione di strutture ricettive alberghiere e paralberghiere delineata nell’art. 9 del c.d. codice del turismo, non essendo dirimente il fatto che non sia stato dimostrato l’allestimento di servizi alberghieri. Ed invero, il sequestro è intervenuto prima della conclusione delle opere e del loro utilizzo, mentre la predisposizione di impianti (quali la piscina ed il solarium) collegati ai diversi manufatti è perfettamente rispondente alla nozione di servizi accessori alberghieri rispetto all’alloggio «in camere ubicate in uno o più stabili o in parti di stabile» (art. 9, comma 2, cod. tur.) ovvero funzionali a più «stabili facenti parte di uno stesso complesso e inseriti in area attrezzata per il soggiorno e lo svago della clientela» (art. 9, comma 4, cod. tur.).
1.2. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il reato di lottizzazione abusiva presuppone un'illegittima trasformazione urbanistica od edilizia del territorio, da intendersi come trasformazione di consistenza tale da incidere in modo rilevante sull'assetto urbanistico della zona, sia nel senso d'intervento innovativo sul tessuto urbanistico, che sotto il profilo della necessità dell'esecuzione di nuove opere d'urbanizzazione o di potenziamento di quelle già esistenti (Sez. 4, n. 33150 del 08/07/2008, Nicoletti e aa., Rv. 240970) ed è integrato non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata (Sez. 3, n. 37383 del 16/07/2013, Desimine e aa., Rv. 256519). In particolare, ci si trova di fronte ad una lottizzazione abusiva cd. "materiale" o fisica – e non soltanto all’illecito di costruzione senza titolo abilitativo – quando l'intervento consista nella realizzazione di un’opera che, per caratteristiche o dimensioni, sia idonea a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale (Sez. 3, n. 15404 del 21/01/2016, Bagliani e a., Rv. 266811): mentre, nel primo caso, l'intervento, per le sue dimensioni o caratteristiche, è idoneo a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale, diversamente, nel secondo, l'intervento, per la dimensione del manufatto, non presuppone opere di urbanizzazione primaria e secondaria (Sez. 3, n. 9446 del 21/01/2010, Lorefice, Rv. 246340). In quest’ottica, dunque, anche l'immutazione di un terreno che conferisca un diverso assetto ad una porzione del territorio comunale integra il reato di lottizzazione abusiva e non quello d'esecuzione di lavori in assenza di permesso di costruire (Sez. 3, n. 3481 del 18/12/2008, dep. 2009, Guttà, Rv. 242289).
I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione di questi principi, non illogicamente osservando che, con opere abusive, era stata avviata la trasformazione di un sito agricolo - che per la sua importanza naturalistica andava salvaguardato con l’assoluto divieto di nuove edificazioni o di ampliamenti di quelle preesistenti - in un sito inequivocabilmente destinato ad uso turistico-ricettivo e caratterizzato da interventi di significativa modifica del territorio incompatibili con la pianificazione. Che, poi, tale diversa destinazione inevitabilmente incidesse sugli standard e richiedesse – anche in prospettiva futura – l’implementazione di opere di urbanizzazione è conclusione non certo illogica e non inficiata dall’osservazione secondo cui in zona vi erano altri insediamenti. Deve ribadirsi, infatti, il risalente principio secondo cui il reato di lottizzazione abusiva è configurabile con riferimento a zone di nuova espansione o scarsamente urbanizzate relativamente alle quali sussiste un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione (Sez. 3, n. 6629 del 07/01/2014, Giannattasio e aa., Rv. 258932), sicché deve escludersi con riferimento a zone completamente urbanizzate, laddove è invece configurabile sia con riferimento a zone assolutamente inedificate, sia con riferimento a zone parzialmente urbanizzate in cui sussista un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo (Sez. 3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi e a., Rv. 241097).
1.3. Ciò premesso, sono generiche – perché non idonee ad inficiare la correttezza delle conclusioni raggiunti – le contestazioni effettuate dai consulenti tecnici, dedotte nel gravame ed alle quali la Corte territoriale non avrebbe dato risposta. Va ricordato, peraltro, che in tema di ricorso per cassazione, l'emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all'esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l'impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M. e aa., Rv. 271227). Il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa della sentenza rispetto ad un tema contenuto nell'atto di impugnazione può essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisività (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Perna e aa., Rv. 267723), nel senso che una loro adeguata valutazione avrebbe dovuto necessariamente portare, salvo intervento di ulteriori e diversi elementi di giudizio, ad una decisione più favorevole di quella adottata (Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 253445). L'obbligo di motivazione del giudice dell'impugnazione non richiede necessariamente che egli fornisca specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole argomentazioni, osservazioni o rilievi contenuti nell'atto d'impugnazione, se il suo discorso giustificativo indica le ragioni poste a fondamento della decisione e dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio, sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte a sostegno dell'appello, ed incompatibili con le motivazioni contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente, esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui all'art. 606, comma primo, lett. e), cod.proc.pen. (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, Amaniera e aa., Rv. 260841).
2. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
Come lo stesso ricorrente riconosce, il reato di lottizzazione abusiva è configurabile a mero titolo di colpa (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 38799 del 16/09/2015, De Paola, Rv. 264718; Sez. 3, n. 17865 del 17/03/2009, Quarta e aa., Rv. 243750; Sez. 3, n. 36940 del 11/05/2005, Stiffi e aa., Rv. 232189; Sez. 3, n. 39916 del 01/07/2004, Lamedica e aa., Rv. 230084), essendo stato da tempo superato il contrario e non condivisibile principio affermato in un risalente precedente delle Sezioni unite (Sez. U, n. 2720 del 03/02/1990, Cancilleri, Rv. 183493), che non teneva conto della regola generale codificata nell’art. 42, quarto comma, cod. pen.
Ciò premesso, del tutto logicamente la sentenza impugnata argomenta che l’intervento edilizio oggetto di processo avvenne nella piena consapevolezza dell’esistenza del divieto di realizzare qualsivoglia nuova opera nell’area in questione. Che l’imputato – amministratore di una società avente ad oggetto sociale l’esercizio dell’attività alberghiera – versasse quantomeno in colpa, generica e specifica, rispetto all’attività illecita da lui compiuta ed alla totale incompatibilità della stessa con la pianificazione urbanistica, dunque, è valutazione non certo censurabile e non rileva accertare se egli fosse consapevole di commettere una lottizzazione abusiva piuttosto che una serie di reati urbanistico-edilizi, trattandosi di questione rilevante laddove dovesse accertarsi la sussistenza del dolo.
3. Il quarto motivo è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
Correttamente la sentenza impugnata esclude che il reato fosse prescritto alla data della pronuncia della sentenza di primo grado – resa in data 6 dicembre 2011, nella quale (pagg. 11 e 12) si dà atto che al momento del sequestro era ancora in corso una febbrile attività di costruzione e di finitura dei lavori “in quasi tutti gli ambienti (torre e manufatti vicini o collegati)”- osservando che i lavori erano appunto ancora in atto quando si diede esecuzione al secondo decreto di sequestro (24 maggio 2007). Del tutto genericamente (in contrasto, peraltro, con quanto addebitato in imputazione e accertato in processo), si sostiene che le opere edili in corso non avessero attinenza alla modifica della destinazione d’uso del sito, trattandosi, invece, come attestano le conformi sentenze di merito, proprio dell’ultimazione di parte dei lavori abusivi costituenti lottizzazione illecita materiale di cui si è detto supra, sub §. 1. Va richiamato, pertanto, il consolidato principio di diritto, del quale è stata fatta corretta applicazione, secondo cui il momento consumativo del reato di lottizzazione abusiva si individua nel compimento dell'ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell'esecuzione di opere di urbanizzazione o nell'ultimazione dei manufatti che compongono l'insediamento (Sez. 3, n. 48346 del 20/09/2017, Bortone e aa., Rv. 271330; Sez. 3, ord. n. 24985 del 20/05/2015, Diturco e a., Rv. 264122; Sez. 3, n. 35968 del 14/07/2010, Rusani e aa., Rv. 248483).
4. Il quinto motivo di ricorso è in parte infondato ed in parte addirittura inammissibile.
Richiamato al proposito quanto osservato supra, circa l’accertamento nei confronti dell’imputato del reato di lottizzazione abusiva, sia sul piano oggettivo sia su quello soggettivo, occorre premettere che l’intervenuta prescrizione del medesimo nel corso del giudizio non osta all’obbligatoria applicazione della sanzione della confisca in favore del patrimonio del comune, quale prevista dall’art. 44, comma 2, TUE: «la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite».
4.1. E’ nota, al riguardo, l’evoluzione giurisprudenziale che ha interessato l’interpretazione di tale disposizione e la possibilità di farne applicazione con la pronuncia di sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato, evoluzione che il ricorrente rappresenta soltanto in parte e, comunque, in modo non corretto.
4.1.1. Ed invero, il tradizionale orientamento secondo cui, in tema di reati edilizi, l'obbligatorietà della confisca del terreno abusivamente lottizzato e delle opere sullo stesso abusivamente costruite (art. 19 L. 28 febbraio 1985 n. 47, oggi sostituito dall'art. 44, comma 2, TUE) consegue all'accertamento giudiziale della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva indipendentemente da una pronuncia di condanna, salvo il caso di assoluzione per insussistenza del fatto e a prescindere dall’indagine sull’elemento soggettivo (Sez. 3, n. 9982 del 21/11/2007, dep. 2008, Quattrone, Rv. 238984; Sez. 3, n. 37086 del 07/07/2004, Perniciaro, Rv. 230031) – fondato sulla formulazione della norma e sulla ritenuta natura di sanzione amministrativa della confisca, applicabile anche nei confronti di proprietari del bene rimasti estranei al processo penale – è stato rimodulato dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo, con sentt. 30 agosto 2007 e 20 gennaio 2009, rese in causa Sud Fondi S.r.l. e aa. c. Italia, ha affermato la natura essenzialmente penale della confisca, in ragione degli scopi prevalentemente repressivi dell’istituto, con la conseguente necessità di conformare l’istituto al rispetto dell'art. 7 CEDU. Avendo la Corte di Strasburgo precisato che se un fatto oggettivamente costituente reato non risulta soggettivamente ascrivibile all'agente, quantomeno a titolo di colpa, a questo non può applicarsi alcuna sanzione penale, la successiva giurisprudenza interna ha ritenuto la confiscabilità dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite pur in presenza di una causa estintiva del reato, purché l'accertamento giudiziale del reato di lottizzazione abusiva concernesse tanto il profilo oggettivo quanto quello soggettivo (Sez. 3, n. 21188 del 30/04/2009, Casasanta e aa., Rv. 243630; Sez. 3, n. 39078 del 13/07/2009, Apponi e aa., Rv. 245347), e ciò nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, e che verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere (Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe e aa., Rv. 255112).
4.1.2. Sul tema è poi nuovamente intervenuta la Corte EDU con sent. 29 ottobre 2013 in causa Varvara c. Italia - resa in un caso in cui era stata applicata la confisca di cui all’art. 44, comma 2, TUE nonostante l’intervenuta prescrizione del reato - affermando l’incompatibilità con le garanzie previste dalla convenzione di un sistema in cui sia possibile applicare una pena ad una persona la cui responsabilità penale non sia constatata in una sentenza di colpevolezza.
4.1.3. Tenendo conto di tale orientamento – ritenuto applicabile anche con riguardo ad ipotesi di confisca diverse da quella urbanistica (cfr. Sez. 1, n. 7860 del 20/01/2015, Meli, Rv. 262759; Sez. 5, n. 25475 del 24/02/2015, Prestanicola e aa., Rv. 263904) – questa Corte, con ord. dep. il 24/05/2014, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, TUE, in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui, in forza dell’interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, tale disposizione «non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi».
Decidendo la questione di legittimità costituzionale nel senso dell’inammissibilità, con sent. 14/01-26/03/2015, n. 49, la Corte costituzionale ha tra l’altro rilevato che, da un lato, era errato il presupposto interpretativo circa il fatto che la sentenza Varvara fosse univocamente interpretabile nel senso che la confisca urbanistica possa essere disposta solo unitamente ad una sentenza di condanna per il reato di lottizzazione abusiva e, d’altro lato, che la stessa decisione non era espressione di un’interpretazione consolidata nell’ambito della giurisprudenza europea e che pertanto non poteva ritenersi vincolante per il giudice nazionale.
4.1.4. Prendendo atto delle indicazioni contenute in tale decisione (e nell’analoga pronuncia Corte cost., ord. 24/06/23/07/2015, n. 187), la successiva giurisprudenza di legittimità ha ribadito che il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato allorquando sia stata accertata, con adeguata motivazione, la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi oggettivo e soggettivo (Sez. 3, n. 15888 del 08/04/2015, dep. 2016, Sannella e a., Rv. 266628; Sez. 4, n. 31239 del 23/06/2015, Giallombardo, Rv. 264337; Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi e aa., Rv. 270646; Sez. 3, n. 53692 del 13/07/2017, Martino, Rv. 272791), salvo poi sospendere la decisione dei ricorsi ancora pendenti in materia in attesa della pronuncia sul punto della Grande Camera della Corte EDU, nel frattempo investita, tra l’altro, anche della questione sulla compatibilità con l’art. 7 CEDU dell’applicazione della confisca urbanistica conseguente a lottizzazione abusiva nell’ambito di una pronuncia dichiarativa della prescrizione del reato.
4.1.5. Pronunciandosi sul punto con la sent. Corte EDU 28 giugno 2018 in causa G.I.E.M. Srl e aa. c. Italia, la Grande Camera – per quanto qui rileva – confermando la lettura che della sentenza Varvara era stata data dalla Corte costituzionale e dalla successiva giurisprudenza di legittimità, ha affermato che sebbene l’art. 7 CEDU esiga, «per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore» (§. 250) e sebbene «la dichiarazione di responsabilità penale richiesta è spesso contenuta in una sentenza penale che condanna formalmente l’imputato, in ogni caso ciò non costituisce una norma imperativa. In effetti la sentenza Varvara non permette di concludere che le confische per lottizzazione abusiva devono necessariamente essere accompagnate da condanne penali ai sensi del diritto nazionale» (§. 252). La Corte di Strasburgo ha pertanto concluso che «qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell’articolo 7, che in questo caso non è violato» (§. 261).
4.2. Alla luce dell’evoluzione della giurisprudenza sovranazionale e domestica quale sopra riepilogata – che in ricorso viene solo parzialmente e sommariamente ricordata facendosi per lo più riferimento alla sentenza Varvara – deve pertanto ribadirsi il principio secondo cui anche alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza sovranazionale sull’interpretazione dell’art. 7 CEDU, la sentenza definitiva del giudice penale che accerta esservi stata lottizzazione abusiva e conseguentemente dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite ai sensi dell’art. 44, comma 2, d.P.R. 380 del 2001 non è impedita dalla prescrizione del reato, quando ne sia accertata la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo.
Come già questa Corte ha avuto modo di ricordare affermando il medesimo principio, la conclusione trova peraltro conferma, sul piano sistematico, nel disposto di cui all'art. 578-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21 (Sez. 3, n. 5936 del 08/11/2018, dep. 2019, Basile, Rv. 274860; Sez. 3, n. 8350 del 23 gennaio 2019, Alessandrini, non massimata sul punto). Nel sancire che, «quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell'articolo 240 bis del codice penale e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull'impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell'imputato», la citata disposizione – che pur non riguarda l’ipotesi di confisca delineata dall’art. 44, comma 2, TUE - si colloca nell’interpretazione delle norme convenzionali più sopra delineata e definitivamente consolidata dal recente pronunciamento della Grande Camera della Corte di Strasburgo.
5. Ciò posto quanto alla legittimità della confisca disposta ai sensi dell’art. 44, comma 2, TUE pur in caso di declaratoria di prescrizione del reato, va ulteriormente precisato che qualora i beni da confiscare siano di proprietà di un soggetto – persona fisica o giuridica – diverso dall’imputato, il giudice è chiamato a verificare se anche nei confronti di questo soggetto sussista un coefficiente psicologico quantomeno colposo, non potendo altrimenti applicarsi nei suoi riguardi una sanzione che, sul piano del diritto convenzionale, ha carattere penale.
Quando il soggetto proprietario dell’area abusivamente lottizzata sia la società amministrata da chi è imputato del reato e la condotta illecita sia stata compiuta nell’ambito del rapporto organico e nell’interesse della società, il coefficiente psicologico che consente di attribuire a quest’ultima gli effetti pregiudizievoli derivanti dalla confisca connessa alla commissione del reato può essere ovviamente valutato soltanto in rapporto alla persona fisica che ha agito in rappresentanza della stessa. Su questo piano, dunque – che è quello che interessa il giudice penale nella doverosa applicazione della confisca prevista dall’art. 44, comma 2, TUE – la posizione dell’imputato viene necessariamente a coincidere con quella della persona giuridica nel cui nome ed interesse l’amministratore ha illecitamente agito, a meno che risulti trattarsi di condotta illecita del tutto sconnessa rispetto all’attività economica svolta dalla società.
Va qui richiamato, di fatti, il risalente principio – affermato con riguardo al reato di realizzazione o gestione di discarica abusiva, di cui all'art. 51, comma terzo, del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 - secondo cui, laddove la legge preveda la confisca di beni quale conseguenza di un reato, quando questi appartengano ad una società e l'attività illecita è posta in essere attraverso i propri organi rappresentativi, mentre a costoro sono addebitabili le responsabilità per i singoli reati, le conseguenze patrimoniali ricadono sull'ente esponenziale in nome e per conto del quale gli organi hanno agito, salvo che si dimostri che l'imputato abbia agito di propria esclusiva iniziativa (Sez. 3, n. 44426 del 07/10/2004, Vangi, Rv. 230469; Sez. 3, n. 17349 del 29/03/2001, Mingione, Rv. 219698).
Questo principio è già stato condivisibilmente applicato da questa Corte anche con riguardo alla confisca prevista nel caso di lottizzazione abusiva, ritenendolo conforme ai principi espressi dalla Corte E.D.U. nella citata sentenza G.I.E.M. Srl. Si è al proposito affermato che non è soggetto terzo estraneo al reato la persona giuridica proprietaria dell'area abusivamente lottizzata, che riceve i vantaggi e le utilità conseguenti al reato, essendo normalmente committente degli interventi in essa realizzati e parte degli atti negoziali relativi e di ogni altra attività che viene attuata; nei suoi confronti, pertanto, non si applicano i principi elaborati dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia relativi alla tutela dei diritti della persona giuridica che versi in una condizione di buona fede (Sez. 3, n. 8350 del 23/01/2019, Alessandrini, Rv. 275756, nella cui motivazione si aggiunge che lo stesso vale quando la persona giuridica sia titolare solo apparente dei beni, rappresentando lo schermo attraverso il quale il reo, effettivo proprietario degli stessi, agisce nel proprio esclusivo interesse).
Nel caso di specie, per quanto ricostruito dai giudici di merito, la lottizzazione illecita è stata dall’imputato certamente compiuta nello svolgimento del rapporto organico, in nome e per conto della AVI Srl, la quale era beneficiaria della condotta criminosa. Come già si è evidenziato, di fatti, la società – avente quale oggetto sociale lo svolgimento di attività commerciale nel settore alberghiero - acquistò il fondo agricolo nel 2003 e subito pose abusivamente mano alla sua illecita trasformazione urbanistica allo scopo di destinare il complesso allo svolgimento di attività alberghiera. Nessun dubbio, pertanto, sulla legittimità della disposta confisca anche sul piano del rispetto dei principi convenzionali ricavabili dall’art. 7 CEDU.
6. Quanto alla doglianza circa il fatto che la confisca non sarebbe legittima perché disposta in contrasto con i principi di cui all’art. 6 CEDU, non essendo stata la AVI Srl formalmente parte del procedimento, la stessa è da ritenersi inammissibile, non avendo l’imputato interesse a dedurla, ed è comunque infondata.
6.1. Quanto al primo profilo, va innanzitutto osservato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la regola generale di cui all'art. 568, comma 4, cod. proc. pen., va interpretata nel senso che per proporre ricorso il soggetto legittimato deve essere portatore di un interesse concreto ed attuale, che deve persistere fino al momento della decisione e che va apprezzato con riferimento all'idoneità dell'esito finale del giudizio ad eliminare la situazione giuridica denunciata come illegittima o pregiudizievole per la parte (Sez. 2, n. 4974 del 17/01/2017, D’Aversa, Rv. 268990; Sez. U, n. 7 del 25/06/1997, Chiappetta e a., Rv. 208165). Il ricorrente non allega quale sia il suo interesse, concreto ed attuale, a dolersi rispetto ad una sanzione che ricade in danno della società, che, in ipotesi, dovrebbe essere terzo di buona fede. Valutata in quest’ottica, la doglianza è pertanto inammissibile, dovendo affermarsi il principio secondo cui, in difetto dell’allegazione di uno specifico interesse, concreto ed attuale, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall’imputato del reato di lottizzazione abusiva, prosciolto per intervenuta prescrizione, con riguardo alla legittimità della confisca, disposta ai sensi dell’art. 44, comma 2, TUE, dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite che appartengano a terzi.
6.2. In ogni caso, la doglianza è infondata perché nella motivazione della citata sentenza Alessandrini – integralmente condivisa dal Collegio ed alla quale si rimanda - questa Corte ha già precisato come il terzo che subisca gli effetti della confisca disposta ai sensi dell’art. 44, comma 2, TUE senza aver partecipato al procedimento penale ha la possibilità di far valere le proprie ragioni nel giudizio di esecuzione, sicché il sistema consente anche nei suoi confronti la piena tutela del contraddittorio (non condivisibile sul punto, dunque, l’ordinanza di restituzione dei beni in sequestro adottata dalla Corte d’appello di Napoli in data 29 novembre 2018, allegata alla memoria contenente motivi aggiunti e comunque irrilevante ai fini del presente procedimento in quanto meramente incidente sulla misura cautelare reale). Ed invero, va in via generale ricordato il consolidato principio giusta il quale, quando la sentenza penale disponga la confisca di un bene, il terzo che assume di esserne proprietario e che sia rimasto estraneo al giudizio di cognizione può far valere le proprie pretese mediante la proposizione di incidente di esecuzione ai sensi dell'art. 676 cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 58444 del 04/10/2018, S.I.E.M. Spa, Rv. 275459; Sez. 6, ord. n. 21741 del 10/04/2018, Barbieri, Rv. 273041; Sez. 1, n. 27201 del 30/05/2013, Can, Rv. 257599). La statuizione, contenuta in una sentenza divenuta irrevocabile, con cui sia stata disposta la confisca, infatti, fa stato nei confronti dei soggetti che hanno partecipato al procedimento di cognizione, con la conseguenza che i terzi che non abbiano rivestito la qualità di parte nel predetto giudizio sono legittimati a richiedere la revoca della confisca in sede esecutiva (Sez. 1, n. 4096 del 24/10/2018, dep. 2019, Lacatus, Rv. 276163). Con specifico riguardo alla confisca disposta ai sensi dell’art. 44, comma 2, TUE per il reato di lottizzazione abusiva, poi, questa Corte ha ripetutamente chiarito che il giudice dell'esecuzione, investito della opposizione del terzo rimasto estraneo al procedimento, è tenuto ad accertare, dal punto di vista oggettivo, l'effettiva esistenza della lottizzazione e, dal punto di vista soggettivo, l'insussistenza della buona fede, trattandosi di verifiche che non si pongono in contrasto con alcun principio costituzionale o convenzionale affermato in materia (Sez. 3, n. 32363 del 24/05/2017, Mantione, Rv. 270443; v. anche Sez. 3, n. 42115 del 19/06/2019, Capital Service Spa, Rv. 277057; Sez. 3, n. 51387 del 24/10/2013, La Nuova Immobiliare Srl, Rv. 258015). Lo svolgimento degli accertamenti nell'ambito del procedimento di esecuzione per verificare la sussistenza delle condizioni per la confisca, di fatti, può essere condotto in modo pieno, assicurando il contraddittorio e il diritto di difesa, atteso che in tale fase il giudice ha ampi poteri istruttori ai sensi dell'art. 666, comma 5, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 1503 del 22/06/2017, dep. 2018, Di Rosa e a., Rv. 273535).
7. In sede di giudizio di esecuzione eventualmente radicato, sarà dunque possibile per la AVI Srl – unico soggetto a ciò legittimato - far valere le proprie ragioni, anche con riguardo al rispetto della previsione di cui all’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU, di cui il ricorrente, nella memoria contenente motivi aggiunti, lamenta la mancata considerazione da parte del giudice di merito con riguardo alla verifica della proporzionalità della misura ablativa.
La notazione del ricorrente si colloca nella corretta prospettiva, che questa Corte ha ripetutamente delineato (cfr., oltre alla già richiamata sentenza Alessandrini, Sez. 3, n. 31282 del 27/03/2019, Grieco e a., n.m.), secondo cui l’art. 44, comma 2, TUE, nel prevedere l’obbligatoria confisca dei “terreni abusivamente lottizzati” e delle “opere abusivamente costruite”, consente – anche alla luce di un’interpretazione convenzionalmente orientata, che tenga nel debito conto gli insegnamenti ricavabili dalla giurisprudenza della Corte EDU, e, da ultimo, proprio dalla sentenza G.I.E.M. – di limitare la misura a quei beni che siano stati di fatto interessati dall’attività illecita, evitando una generalizzata ablazione della proprietà che, in quanto sproporzionata ed eccessivamente onerosa, si porrebbe in contrasto con l’art. 1, del Primo Protocollo CEDU.
Nel caso di specie, le sentenze di merito hanno disposto la confisca dell’intero lotto di terreno acquistato da Avi Srl e delle numerose opere ivi abusivamente realizzate o modificate, quali descritte nel capo a) di imputazione, che, per quanto emerge dalle sentenze e dal ricorso – unici atti ai quali questa Corte ha accesso – erano disseminate nell’area, sì che non vi sono elementi che in questa sede consentono di non ritenere la misura, quale in concreto disposta, proporzionata e legittima ai sensi dell’art. 1, del Protocollo n. 1 CEDU.
In disparte tale rilievo, è tuttavia assorbente, per quanto osservato al § 6.1, che anche in relazione a tale questione il ricorrente non ha un concreto interesse a contestare in questa sede la legittimità della decisione resa sul punto dal giudice di merito, né un’eventuale pronuncia di annullamento con rinvio della stessa, affinché il giudice d’appello esamini lo specifico punto, potrebbe originare una decisione utile, posto che essa sarebbe irrilevante nei confronti dell’imputato ed inidonea a spiegare effetto nei confronti della società proprietaria dei beni, che non è parte di questo procedimento e che, per quanto detto, conserva intatte le proprie prerogative difensive da esercitarsi in sede di giudizio di esecuzione (per l’affermazione secondo cui le prerogative riconosciute al terzo interessato di far valere i propri diritti sui beni in sequestro, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna che disponga la confisca, esperendo incidente di esecuzione, non contrastano con i principi costituzionali a tutela del diritto di proprietà, in quanto incidono soltanto sui modi e sui tempi nei quali il terzo può far valere i propri diritti sui beni, allo scopo di evitare la possibilità che si instauri contestualmente un "procedimento parallelo", che potrebbe portare ad un contrasto di decisioni, v. Sez. 2, n. 5806 del 18/01/2017, D’Alonzo, Rv. 269239).
Allo stesso modo, in sede esecutiva potrà il terzo interessato allegare l’eventuale incompatibilità della confisca con provvedimenti sananti medio tempore adottati dall’autorità amministrativa, ciò che sarebbe avvenuto secondo quanto allegato nella memoria contenente motivi aggiunti, anche in relazione all’avvenuta demolizione delle opere non conformi. Trattandosi di allegazione del tutto generica – che, a quanto consta, non era stata devoluta nel giudizio di appello, benché si richiamino anche provvedimenti resi anteriormente alla pronuncia della sentenza qui impugnata - al riguardo il Collegio si limita ad osservare, in primo luogo, come l’ottemperanza all’ordine di demolizione dei manufatti abusivi incompatibili con la pianificazione urbanistica fosse atto dovuto improduttivo d’effetti ai fini di cui qui si discute. In secondo luogo, che resta fermo il generale principio secondo cui la sanatoria delle violazioni edilizie che, ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, determina l'estinzione del reato, non è applicabile alla lottizzazione abusiva in quanto essa presuppone la conformità delle opere eseguite alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, sia a quello della presentazione della domanda di sanatoria, mentre nel caso di lottizzazione abusiva, le opere non possono mai considerarsi conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente, al momento della loro costruzione (Sez. 3, n. 28784 del 16/05/2018, Amente e aa., Rv. 273307),
8. Il ricorso, nel complesso infondato, deve pertanto essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 9 ottobre 2019.