CONSIDERAZIONI SUI RIFIUTI SANITARI PRODOTTI DALLE ATTIVITÀ DI ASSISTENZA SANITARIA DOMICILIARE (A.D.I.)
di Giovanni Tapetto
PREMESSA
Le attività di assistenza sanitaria domiciliare, comunemente denominate con l’acronimo ADI, sono individuate in tutte quelle prestazioni di assistenza sanitaria che vengono erogate a favore della popolazione, secondo quanto previsto dalla Legge 328/2000 istitutiva di tale servizio.
Tali attività, possono essere individuate in prestazioni di:
assistenza infermieristica domiciliare (presenza dell’operatore sanitario nel domicilio della persona assistita);
vaccinazioni;
prelievi diagnostici,
e, per la loro particolarità prestazionale, possono essere svolte secondo le seguenti modalità:
organizzate ed effettuate dall’Azienda Sanitaria, presso le sedi distrettuali, con personale dipendente od occasionale gestito dall’Azienda Sanitaria;
organizzate ed effettuate dall’Azienda Sanitaria, presso il domicilio degli assistiti, con personale dipendente od occasionale gestito dall’Azienda Sanitaria;
organizzate ed effettuate dall’Azienda Sanitaria, presso locali messi a disposizione dai Comuni, con personale dipendente od occasionale gestito dall’Azienda Sanitaria;
organizzate ed effettuate dai Comuni, in propri locali, con personale gestito e compensato dai medesimi Comuni;
organizzate ed effettuate dalle UTAP (Unità Territoriale di Assistenza Primaria)1 presso locali propri o messi a disposizione dai Comuni o messi a disposizione dall’Azienda Sanitaria.
Tale diversificata configurazione gestionale assume rilevanza nel momento in cui si renda necessario stabilire in modo esatto a chi vada attribuita la produzione del rifiuto sanitario conseguente all’esercizio dell’attività descritta; esigenza particolarmente necessaria nell’attuale frangente in ragione del fatto che i rifiuti prodotti da tali attività sono, secondo quanto previsto dal DPR 254/2003, “rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo” e che a ciò conseguono i correlati obblighi di gestione compreso l’obbligo di iscrizione al SISTRI.
INDIVIDUAZIONE DEL PRODUTTORE
L’assegnazione del ruolo di “produttore di rifiuti” va valutata in base alla definizione di cui all’art. 183, c.1-f) del Dlgs 152/2006 che lo definisce quale “il soggetto la cui attività produce rifiuti (produttore iniziale)…” ed in base alla considerazione che, trattandosi di produzione di rifiuti speciali, l’entità unitaria della produzione di tali rifiuti è l’ente o l’impresa cui corrisponde l’esercizio di un’attività fattiva ai sensi dell’art. 184, c.3 del Dlgs 152/2006.
In base a tali considerazioni si può definire che:
se le attività sono organizzate ed effettuate dall’Azienda Sanitaria, presso le sedi distrettuali, con personale dipendente od occasionale gestito dall’Azienda Sanitaria, il produttore del rifiuto è l’Azienda Sanitaria;
se le attività sono organizzate ed effettuate dall’Azienda Sanitaria, presso il domicilio degli assistiti, con personale dipendente od occasionale gestito dall’Azienda Sanitaria, il produttore del rifiuto è l’Azienda Sanitaria;
se le attività sono organizzate ed effettuate dall’Azienda Sanitaria, presso locali messi a disposizione dai Comuni, con personale dipendente od occasionale gestito dall’Azienda Sanitaria, il produttore del rifiuto è l’Azienda Sanitaria;
se le attività sono organizzate ed effettuate dai Comuni, in propri locali, con personale gestito e compensato dai medesimi Comuni, il produttore del rifiuto è il Comune che effettua il servizio;
organizzate ed effettuate dalle UTAP (Unità Territoriale di Assistenza Primaria) presso locali propri o messi a disposizione dai Comuni o messi a disposizione dall’Azienda Sanitaria, il produttore del rifiuto è l’UTAP.
INDIVIDUAZIONE DEL LUOGO DI PRODUZIONE
In relazione ai cinque casi sopra individuati, i corrispondenti luoghi di produzione sono individuati come segue:
nel caso 1), nella sede distrettuale dell’azienda sanitaria dove viene svolta la prestazione;
nel caso 4), nella sede comunale dove viene svolta la prestazione;
nel caso 5), nella sede UTAP dove viene svolta la prestazione;
Per l’individuazione del luogo di produzione nel caso delle prestazioni di assistenza sanitaria presso il domicilio degli assistiti o presso sedi esterne all’azienda sanitaria (casi 2 e 3), si deve procedere all’analisi dell’attività svolta.
Le prestazioni assistenziali ADI di pertinenza dell’Azienda Sanitaria, vengono effettuate dal personale sanitario nell’ambito del territorio di competenza dell’Azienda Sanitaria che, in genere ma non sempre, è suddiviso in distretti territoriali cui il personale sanitario riferisce per la propria operatività quotidiana e da dove, nella quotidiana gestione dell’attività, gli operatori sanitari partono con la loro attrezzatura e rientrano a conclusione dell’opera.
Va considerato anche che, nelle province montane, al fine di agevolare l’effettuazione del servizio anche in località remote durante l’intero arco annuale e ridurre le percorrenze stradali agli operatori sanitari al fine della loro sicurezza, il ciclo operativo dell’assistenza domiciliare viene spesso a protrarsi lungo un arco di più giorni tra la partenza ed il rientro al distretto di competenza.
Le modalità di erogazione delle prestazioni ADI sopra descritte, caratterizzano dunque tali attività secondo i seguenti criteri:
sono svolte in un arco di tempo che può essere di poche ore come di oltre la giornata lavorativa;
sono svolte in un ambito territoriale più o meno ampio e di più o meno facile percorribilità;
sono sempre svolte all’esterno della struttura sanitaria di riferimento.
Il primo ed il secondo criterio consentono di definire tale attività quale “opus in itinere” in quanto svolta in più momenti discontinui nell’arco del periodo lavorativo ed in più luoghi nel territorio assegnato al singolo operatore.
Il terzo criterio costituisce riferimento necessario per l’individuazione del luogo di produzione.
Siamo infatti del parere che tale criterio riferisca al disposto congiunto degli artt. 4, c.22 e 8, c.3-a)3 del DPR 254/2003 ma senza scomodare una presunta “fictio juris” che “considera il rifiuto prodotto nella struttura di riferimento ancorché prodotto in sede diversa” bensì in conseguenza del fatto che la generazione del rifiuto può essere correttamente individuata solo al termine dell’attività che, quale “opus in itinere”, si conclude al rientro dell’operatore nella sua sede di competenza e dopo che questi ha “chiuso il contenitore” e lo ha posizionato nel deposito temporaneo.
La logica di riferimento si rifà ad una qualsiasi attività d’impresa che, ad esempio, possiamo individuare in un’azienda meccanica con una sala macchine con “n” torni ed altrettanti addetti:
lo sfrido di tornitura si considera rifiuto nel momento in cui cade a terra o quando, a fine turno di lavoro, viene raccolto e portato nel deposito temporaneo?
Siamo dell’avviso che, in applicazione delle definizioni di rifiuto e di deposito temporaneo di cui all’art. 183 del DLgs 152/2006, si costituisce rifiuto ed in particolare rifiuto speciale, solo quando questo viene posizionato nel deposito temporaneo;
è solo a quest’atto formale infatti che corrisponde l’individuazione giuridica del rifiuto e l’inizio dei corrispondenti obblighi normativi di gestione amministrativa ed operativa.
Come già espresso in un altro nostro intervento a proposito delle attività manutentive e sanitarie4, non siamo dell’opinione che si debba ricorrere alla “fictio juris” quando la realtà dei fatti consente di sussumere l’esatta fattispecie giuridica applicabile;
ciò in condivisa considerazione dell’antico brocardo “Fictio iuris cessat, ubi veritas locum habere potest" cioè “Una presunzione cessa, quando la verità può aver luogo”.
Siamo infatti del parere che dall’attenta analisi della realtà dei fatti si possano individuare e distinguere i diversi presupposti giuridici che attendono, nella fattispecie, alla diversificata sussunzione delle attività manutentive dalle attività di prestazione sanitaria.
Ritornando alla fattispecie di rifiuto in esame, possiamo concludere che, nei casi 2) e 3) del paragrafo precedente, si ha produzione del rifiuto solo nella “struttura di riferimento” dell’attività ADI e solo “dal momento della chiusura del contenitore”, atto dal quale inizia la gestione del rifiuto giuridicamente individuato.
CORRELAZIONI ALLA MOVIMENTAZIONE
Da quanto esposto si evince che caratteristica peculiare dell’attività ADI, quale ”opus in itinere”, è quella di avere inizio e termine presso la “struttura sanitaria di riferimento” indipendentemente dal percorso effettuato e dal tempo impiegato dall’operatore.
Ciò comporta il fatto che, durante l’esercizio dell’attività “in itinere”, non ci possa essere alcuna considerazione di trasporto di rifiuti in quanto il rifiuto stesso, per criterio giuridico, non è ancora identificato come tale; viene quindi a mancare il presupposto dell’oggetto del trasporto, non si trasporta cioè rifiuto ma sostanza residuale in condizione di divenirlo all’avverarsi di una ulteriore condizione che rimane individuata nella chiusura del contenitore dopo il rientro nella sede competente come espressamente previsto dall’art. 8, c.3-a) del DPR 254/2003.
Come diretta conseguenza di quest’ultima considerazione, si realizza che durante l’espletamento dell’attività ADI, nell’arco di tempo e nell’ambito territoriale in cui questa viene eseguita, non sia giuridicamente possibile considerare quali rifiuti i residui prodotti dall’attività medesima in mancanza del presupposto di legge e che quindi non possano essere assoggettati al documento accompagnatorio quale il FIR esulando dal disposto dell’art. 193 del D.Lgs 152/2006.
Va altresì evidenziato che, diversamente dalle conclusioni della presente analisi appena sopra indicate, il disposto dell’art. 15, c.3 del DM 52 del 18/02/2011 “Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti”, prevede, conseguentemente all’entrata in funzione del sistema sistri, l’uso obbligatorio di una copia in bianco della “scheda movimentazione sistri” che accompagni “la movimentazione dei rifiuti dal luogo di effettiva produzione alla sede legale o dell’unità locale dell’ente” in rapporto alle attività di assistenza sanitaria svolta “al di fuori delle strutture”.
Pur ritenendo il provvedimento non supportato da idoneo presupposto giuridico e fermo restando che il luogo di produzione rimane individuato nella “struttura sanitaria di riferimento”, la scheda sistri dovrà essere compilata ed usata, comunque e dopo l’avvio del sistema sistri, nel solo tratto di percorso dall’ultimo luogo di prestazione d’assistenza fino alla sede di competenza.
In modo affatto correlato e conseguente alle nostre osservazioni conclusive, si conviene altresì nel non ritenere applicabile la normativa ADR al trasporto dei residui dell’attività ADI, in ragione del disposto del cap. 1.1.3.1-c)5 di detta normativa.
Nella medesima considerazione costituiscono riferimento per analogia le specifiche tecniche per il trasporto dei “campioni di analisi” di cui alla Circolare del Ministero della Salute n.3 del 08 maggio 2003 “Raccomandazioni per la sicurezza del trasporto di materiali infettivi e di campioni diagnostici” che ripropone quanto previsto dalla normativa ADR, allora in vigore, senza alcuna indicazione d’obbligo di rispondenza a tale normativa.
Rimane fermo il fatto che la movimentazione delle sostanze deve avvenire nella massima sicurezza ed in ottemperanza ad adeguate istruzioni per gli operatori predisposte dalle singole Aziende Sanitarie.
Venezia, 18/06/2011
1 Ex art. 26, c.2 della Convenzione per la Medicina Generale
2 “Nel caso in cui l'attività del personale sanitario delle strutture pubbliche e private (…omissis…), sia svolta all'esterno delle stesse, si considerano luogo di produzione dei rifiuti sanitari le strutture medesime”
3 “il deposito temporaneo di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo (…omissis…) può avere una durata massima di cinque giorni dal momento della chiusura del contenitore.”
4 “Rifiuti da manutenzione e da attività sanitarie tra T.U.A. e SISTRI”: http://www.ambientediritto.it/dottrina/Dottrina_2011/rifiuti_manutenzione_tapetto.htm; http://lexambiente.it/rifiuti/17/7047-rifiuti-attivita-sanitarie-e-sistri.html;
5 “Le disposizioni dell’ADR non si applicano (…) ai trasporti effettuati dalle imprese come complemento alla loro attività principale,(…)”