GIP Tribunale Verona ordinanza 5948 del 26 novembre 2007

In materia di associazione per delinquere ed attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (trattasi della “Operazione Cagliostro”). L’ordinanza affronta varie questioni, tra le quali la competenza territoriale, l’utilizzabilità delle intercettazioni, la costituzione delle parti civili
 
 

A questo punto il giudice (dott.sa Paola VACCA) dà lettura della seguente

 

O R D I N A N Z A

 

pronunciando sulle eccezioni sollevate dalle difese nel corso della precedente udienza, sentite le controparti

osserva:
 

1. ECCEZIONI DI INCOMPETENZA TERRITORIALE

 
  1. è stata da molte difese sollevata e variamente articolata un’eccezione di incompetenza territoriale di questo Tribunale, competenza che dovrebbe essere declinata a favore di volta in volta di diverso Tribunale (per la individuazione specifica dei Tribunali a favore dei quali le varie Difese hanno  chiesto il declino di competenza si fa integrale rinvio al verbale di udienza 22.11.2007 alle conclusioni da ciascuno rassegnate, che pertanto non si riproducono qui);
  2. sostanzialmente esse si possono riassumere in sintesi come segue:

-         viene da molti (ricettori finali dei rifiuti) eccepito che, per quanto li concerne, la condotta contestata è costituita dalla mera ricezione e che pertanto, per ciascuno, la competenza territoriale andrebbe stabilita in relazione al luogo ove era posto il sito recettore;

-         altri hanno invece argomentato sul fatto che, essendo impossibile determinare il luogo di consumazione del reato più grave (la associazione per delinquere), posto che il pactum sceleris sarebbe stato stretto in un luogo indeterminato e non ricavabile dagli atti (addirittura attraverso conversazioni telefoniche originate da apparati cellulari...), la competenza andrebbe determinata in base all’accertato luogo ove sarebbe stato commesso il primo atto realizzativo della serie dl reati fine della associazione;

-         che tali reati vanno identificati nelle cessioni dei rifiuti a monte delle singole catene di trasporto, trasformazione e conferimento finale, e che quindi si incardinerebbe la competenza, per ogni catena, nei luoghi da cui i rifiuti partivano.

 

Le eccezioni suddette tutte come sopra richiamate e in sintesi riassunte sono infondate e vanno respinte.

 
Va infatti osservato che:

-         per giudicare della competenza territoriale occorre necessariamente prendere le mosse dalla impostazione del processo data dal P.M. attraverso la strutturazione dell’impianto accusatorio nel suo complesso;

 

-         alla luce di essa si rileva che tutto il traffico illecito di rifiuti, a ciascuno contestato in relazione alla singola condotta posta in essere soggettivamente (di cessione, ricezione, trasporto o “gestione”), richiede l’approntamento di un sistema organizzato di persone, mezzi e strutture, finalizzato in via continuativa a dissimulare lo smaltimento illecito attraverso un la cortina fumogena di operazioni apparentemente legali, ed è appunto la predisposizione di mezzi e strutture a tale scopo che costituisce l’ossatura, e la ragione, della imputazione di associazione a delinquere di cui al capo A);

 

-         l’attività fondamentale, necessaria per l’operazione illecita, consiste nella “ripulitura formale” dei rifiuti, operata attraverso vari passaggi di mano dei rifiuti stessi, ai quali si accompagna la loro progressiva sistematica “declassificazione”. L’ultimo passaggio è lo smaltimento di questi rifiuti in modo apparentemente legale in quanto conforme alla loro ormai fasulla classificazione.

 

-         Quello descritto è il c.d. “sistema di triangolazione” o di “giro bolla” per cui i rifiuti viaggiano da un sito di stoccaggio all’altro (siti che si trovano nei più diversi luoghi d’Italia) perdendo via via le loro caratteristiche identificative e quindi trasformandosi, venendo alla fine smaltiti in siti di destinazione finale ovviamente del tutto inadeguati rispetto alle loro reali caratteristiche, ma conformi ai documenti, alterati, da cui sono accompagnati;

 

-         A nulla rilevano quindi i siti dai quali i rifiuti sono “partiti”, dato che al momento essi viaggiavano con l’esatta qualificazione “CER”: tale fase fu solo prodromica alla realizzazione del delitto, ma non costituisce neppure atto idoneo ad integrare tentativo (in effetti, salvo che in un caso, i soggetti originari cedenti dei rifiuti non risultano avere mai assunto neppure la qualità di indagati a riprova della estraneità di questa fase rispetto alla consumazione del reato);

-         rileva invece il fatto che gli stessi  vennero convogliati alla ditta “E. A.” di B. (in provincia di Verona) e in quel luogo (quindi nel territorio di questo Tribunale) venne operata la illecita alterazione dei codici CER sui formulari di trasporto, senza che i rifiuti avessero ricevuto alcun trattamento, per essere poi trasportati ai siti di destinazione finale;

-         in quel luogo ed in quel momento è quindi da considerare iniziata l’attività esecutiva materialmente constatabile e collocabile geograficamente rilevante penalmente (posto che, come detto, allo stato non risulta determinato il luogo in cui venne stretto il pactum sceleris costitutivo del sodalizio criminoso contestato al capo A, vale a dire il luogo di commissione del reato più grave);

-         a nulla rileva quindi anche il luogo di finale destinazione dei rifiuti, ai fini della determinazione della competenza territoriale, che rimane fissata sulla base del criterio sopra enunciato, trattandosi di reati necessariamente connessi al primo di quelli geograficamente accertati, essendo ovviamente imprescindibile per una ricezione illecita la preventiva alterazione dei codici identificativi dei rifiuti sui formulari di trasporto degli stessi.

 

Le eccezioni di incompetenza territoriale sono pertanto tutte infondate e vanno conseguentemente respinte.

 
 

2. ECCEZIONI DI LITISPENDENZA E CONTINENZA SOLLEVATE DALLA DIFESA TIZIO

 

La difesa dell’imputato Tizio, soggetto imputato della ricezione finale dei rifiuti, viaggianti coi formulari alterati, nel sito ambientale di C. di Viterbo, oltre a sollevare un’eccezione di incompetenza territoriale, già come sopra respinta, ha allegato la contemporanea pendenza innanzi al Tribunale di Viterbo di processo penale (la richiesta di rinvio a giudizio risulta depositata in data 14 novembre 2007) per gli stessi fatti dei quali il Tizio è chiamato oggi a rispondere, o comunque con un’imputazione che senz’altro li ricomprenderebbe totalmente al proprio interno.

 

La difesa ha illustrato i propri assunti con un’ampia ed articolata memoria cui si fa pertanto rinvio senza riprodurli qui.

 

In sintesi si assume che il traffico per cui pende l’odierno processo altro non sarebbe se non una porzione di quello di cui il Tizio è chiamato a rispondere avanti il Tribunale di Viterbo: sarebbe stato infatti il recettore di rifiuti provenienti da molti siti di origine, tra i quali l’E. A.: le contestazioni di cui al capo 2E) e 2F) della richiesta di rinvio a giudizio di Viterbo conterrebbero al loro interno quanto contestato ai capi J) e V) delle odierne contestazioni.

 

Laddove si giungesse positivamente a determinare la medesimezza dei fatti in contestazione nei due processi di cui si discute si innescherebbe un conflitto positivo di competenza da far dirimere al Supremo Collegio, posto infatti che questo Giudice ha già delibato in modo positivo sulla propria competenza (si veda sopra la punto 1).

 

Va premesso peraltro che:

-         si ha identità di fatti (indipendentemente dalla qualificazione giuridica loro attribuita dai P.M: procedenti) quando vi è assoluta coincidenza di tutte le componenti identificative della fattispecie concreta oggetto dei due processi: condotta, evento, nesso di causalità, stesse condizioni di luogo, tempo e persone coinvolte nei fatti.

-         si ha invece rapporto di continenza tra imputazioni quando una delle regiudicande è più ampia e comprende peraltro integralmente l’altra.

 

Orbene l’esistenza dell’una o dell’altra di tali situazioni, allegate dalla difesa, va concretamente verificata alla luce degli atti posti a disposizione di questo Giudice: gli atti depositati dal P.M. a sostegno della propria richiesta e quelli depositati dalla Difesa del Tizio a sostegno della sollevata eccezione

 

Esaminando le imputazioni sopra richiamate elevate nei due processi non è chi non veda come:

-         in entrambe si parli di un traffico di riifiuti proveniente dalla E. A., in un caso, e dalla P. B. s.p.a. nell’altro ;

-         in entrambi i casi si tratta di rifiuti giunti, accompagnati da formulari alterati, al sito finale della Pozzolane e derivati di cui era amministratore il Tizio;

-         il periodo di tempo in cui si assume commesso il reato per cui si procede qui è ricompreso in quello in contestazione a Viterbo;

-         i formulari risultano alterati nello stesso senso (con l’uso dei medesimi codici identificativi fasulli) in entrambi i processi;

 

Peraltro si deve osservare che:

-         in base alle contestazioni formulate dal P.M. di Verona il flusso di rifiuti di cui si discute qui sarebbe stato gestito come intermediari dai coimputati Caio e Sempronio, che nel processo viterbese non compaiono;

-         in base alle contestazioni formulate dal P.M. viterbese i flussi incriminati in quel processo sarebbero invece stati gestiti con l’intermediazione di tale Mevio, che in questo processo non compare.

 

Ne deriva all’evidenza che trattasi quindi di flussi distinti, in quanto gestiti attraverso intermediari diversi.

 

Non solo quindi non vi è identità tra le contestazioni, ma neppure il sostenuto rapporto di continenza tra le due fattispecie sussiste dato che si parla di flussi che, pur partiti dagli stessi luoghi e giunti al medesimo sito finale, sono stati gestiti da intermediari diversi, prendendo quindi strade diverse.

 

L’eccezione è infondata e va quindi rigettata.

 

3) ECCEZIONI DI INCOMPLETEZZA ED INDETEMINATEZZA DEI CAPI DI IMPUTAZIONE

 

Alcuni difensori hanno adombrato la indeterminatezza dei capi di imputazione ascritti ai loro assistiti, affermando che ciò concreterebbe lesione del diritto di difesa, in quanto gli imputati non avrebbero potuto compiutamente articolare le loro difese in relazione a fatti contestati in modo vago.

 

Si rileva in proposito che:

-         le imputazioni contenute nella richiesta di rinvio a giudizio sono ad avviso di chi scrive sufficientemente analitiche da consentire agli accusati di comprendere con esattezza le condotte loro singolarmente ascritte, che sono nei singoli capi ampiamente descritte, perlomeno negli elementi essenziali di ogni singola fattispecie;

-         laddove mai le imputazioni dovessero risultare carenti non sussiste nessuna nullità: e sistematicamente la Suprema Corte ha statuito in merito giudicando abnormi i provvedimenti dei G.U.P. che tale nullità avevano inventata o che ritrasmettevano gli atti al P.M. per tale motivo (si vedano tra le moltissime tutte conformi Cass V, sent 2299/92; Cass V, sent 42/95; Cass II, sent 1/96, Cass I, sent 6475/99 ecc..);

-         l’imputazione può essere benissimo modificata o integrata anche nel corso dell’udienza preliminare: tale potere è infatti riconosciuto dalla legge al P.M. di udienza;

-         l’imputazione infine va letta alla luce di tutti gli atti di indagine che il P.M. ha il dovere di depositare e di mettere a disposizione delle difese, atti che la integrano e la completano consentendo il più compiuto ed articolato esercizio del diritto di difesa.

 

Anche la detta eccezione è pertanto infondata e va pertanto respinta.

 

4. ECCEZIONI DI NULLITA’ E/O INUTILIZZABILITA’ DELLE INTERCETTAZIONI TELEFONICHE EFFETTUATE NELL’AMBITO DEL PROCEDIMENTO ORIGINATO IN ALESSANDRIA PER MANCANZA NEGLI ATTI DELL’ORIGINARIO DECRETO AUTORIZZATIVO

 

Più difese, si veda il verbale dell’udienza del 22.11, hanno lamentato che tra gli atti non risulterebbe ricompreso l’originario decreto autorizzativo delle intercettazioni telefoniche disposte dal G.I.P. presso il Tribunale di Alessandria (è stato fatto riferimento al fatto che in data 13.5.2004 il G.I.P. ebbe a rigettare la prima richiesta di autorizzazione alle operazioni di intercettazione e che i decreti di proroga farebbero riferimento impropriamente e questa data, che indica un provvedimento di rigetto anzichè di autorizzazione).

 

Anche decreti di proroga, secondo questa impostazione, sarebbero nulli poichè motivati per relationem a quello originario mancante.

 

Conseguentemente è stata chiesta l’espunzione dei verbali/brogliacci delle suddette intercettazioni.

 

La richiesta di cui sopra è totalmente infondata e non può essere accolta per i seguenti motivi:

-         risulta dagli atti trasmessi dalla Autorità Giudiziaria originariamente procedente che, ad un primo decreto in data 13 maggio 2004 che negava l’autorizzazione alla effettuazione delle intercettazioni, seguì un decreto di tenore contrario, quindi autorizzativo, il giorno seguente: 14.5.2007;

-         tale decreto è versato in atti;

-         le proroghe successive, che si concatenano temporalmente a questo decreto, non fanno affatto richiamo ad esso, ma sono motivate sulla base del richiamo alle varie informative degli organi investigativi ed alle acquisizioni via via conseguite con le prime intercettazioni

Il decreto autorizzativo che ha dato il via alla catena delle proroghe è quindi presente (probabilmente non è stato reperito dai difensori per via della mole degli atti) e come anticipato la eccezione è infondata.

 

Per mera completezza argomentativa si osserva infine che:

-         le difese non hanno né sostenuto apertamente né adombrato che il G.I.P. di Alessandria abbia prima omesso di autorizzare le intercettazioni e poi formato atti di proroga ideologicamente falsi in quanto palesemente riferiti ad una autorizzazione primigenia mai concessa;

-         l’ipotesi più ovvia infatti, vista la mole degli atti depositata con la richiesta di rinvio a giudizio, è che l’atto autorizzativo ci fosse e fosse andato smarrito: o nella massa degli atti stessi, o che per errore non fosse  stato trasmesso con quelli qui giunti per competenza;

-         di fronte alla mancanza di un atto, che costituisce comunque il presupposto logico e giuridico dei successivi, il provvedimento corretto da assumersi non è certo quello di dichiarare una inesistente nullità, bensì quello previsto dagli artt. 112 e 113 c.p.p.;

-         laddove taluna delle difese fosse  in possesso di una copia autentica dell’atto mancante dovrebbe quindi consegnarla alla Cancelleria del Giudice procedente;

-         laddove tale via non fosse percorribile, andrebbe seguita la procedura di cui all’art. 113 c.p.p. che dispone che il giudice accerti il contenuto dell’atto mancante e ne ordini ove possibile la ricostruzione ed ove non possibile la rinnovazione

 
 

5. ECCEZIONI RELATIVE ALLE COSTITUZIONI DI PARTE CIVILE

 

Le difese hanno sollevato varie eccezioni in ordine alla ammissibilità della costituzione delle parti civili, ad eccezione del Ministero dell’Ambiente, muovendo censure volta a volta di carattere formale o sostanziale; esse verranno pertanto qui di seguito vagliate, venendo raggruppate in base alle comuni argomentazioni.

 
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Per quanto riguarda le eccezioni di carattere sostanziale in linea generale si premette comunque che la base comune del percorso argomentativo di chi ha eccepito la carenza di legittimazione ad causam degli enti territoriali e delle associazioni ambientaliste, è costituita:

-         dall’art. 18 L. 349/86 che, come è noto, imponeva il risarcimento del danno in favore dello Stato a carico di chiunque commettesse un fatto doloso o colposo in violazione di legge che cagionasse un danno ambientale; precisava che l’azione del risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, spettava allo Stato nonché agli enti territoriali sui quali incidevano i beni oggetto del fatto lesivo; ed aggiungeva che associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 13 stessa legge potevano denunciare i danni ambientali ed intervenire nei giudizi relativi al danno ambientale;

-         nonchè da T.U. in materia ambientale (D.L.vo 152/2006 entrato in vigore il 29.4.2006), che, all’art. 318, contenente norme transitorie e finali, abrogava il sopracitato  l’art. 18, che attribuiva l’azione di risarcimento del danno ambientale, anche in sede penale, oltre che allo Stato, agli enti territoriali sui quali incidevano i beni oggetto del fatto lesivo. 

 

Peraltro si rileva che:

-         poiché l’art. 303 del medesimo testo unico, alla lett. F) afferma chiaramente che la parte sesta del T.U. non si applica al danno causato da una emissione, un evento, o un incidente, verificatosi prima della data di entrata in vigore della stessa (vale a dire prima del 29.4.2006);

-         poichè l’art. 318 fa appunto parte delle norme contenute nella predetta parte sesta del T.U., esso non trova ovviamente e pacificamente applicazione per fatti antecedenti il 29.4.2006;

-         dato che i fatti per cui si procede si collocano temporalmente precedentemente questa data, nel nostro caso pertanto l’art. 318 T.U. 152/2006 non si applica nel contesto del presente processo

 

Viene quindi ad assumere rilevanza applicativa il sopracitato art. 18 L. 349/86.

Tale norma è caratterizzata da rilevanti carenze ed ambiguità che hanno influito negativamente sulla chiarezza della sua interpretazione, ha dato infatti luogo a vari filoni interpretativi, che hanno valorizzato ora l’art. 18 in sé considerato, ora altre norme succedutesi nella specifica materia.

In questa sede, per la soluzione delle questioni sollevate, si farà peraltro riferimento al più accreditato e consolidato filone interpretativo ormai del tutto prevalente in seno alla Suprema Corte, che deve necessariamente fare da linea guida al giudice di merito uniformando le interpretazioni giurisprudenziali in materia.

 
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A) richieste di esclusione degli enti territoriali per difetto di legitimatio ad causam

 

Le stesse sono infondate e vanno tutte rigettate.

 

Come sopra anticipato, in base al disposto dell’art. 303 lett. f) T.U. 152/2006, la norma di cui all’art. 318, contenuta nella parte sesta del detto T.U., non si applica ai fatti verificatisi in data anteriore al 29.4.2006, quindi non si applica ai fatti dedotti nel presente processo.

 

Si deve pertanto necessariamente ritenere che gli Enti territoriali costituiti nel presente processo conservano la legittimazione ad azionare pretese risarcitorie per danno ambientale in base all’art. 18 L. 349/86.

 

Il rischio connesso al concorso di azioni risarcitorie per danno ambientale (rischio di proliferazione di risarcimenti originati dal medesimo fatto) attiene il profilo della liquidazione del danno, ma non può interferire col profilo della legittimazione soggettiva all’azione risarcitoria.

(Vedi Cass Pen. sez. III, sent 33887 del 9.10.2006)

 

Va inoltre osservato che gli enti territoriali possono far valere non solo il danno ambientale, ma anche danni di natura patrimoniale e non patrimoniale, come per esempio il c.d. danno da sviamento di funzione, il danno all’immagine, che dal primo rimangono distinti.

 

In ordine al danno ambientale derivante dal reato si rileva che esso incide sull’ambiente come assetto qualificato del territorio, che è elemento costitutivo di tali enti, e perciò oggetto di un loro diritto di personalità, per cui non può loro negarsi il diritto a costituirsi per far valere tale danno.

 

La legittimazione sostanziale degli enti si desume infine dai compiti istituzionali che tanto la Regione, quanto le Province ed i Comuni hanno nella materia della gestione dei rifiuti, che costituisce materia del presente  processo.

 

Dette competenze sono stabilite dal D.L.vo 22/97, dal D. L.vo 152/06 e da una serie di altri testi normativi che coinvolgono gli enti territoriali in funzioni fondamentali di controllo, vigilanza, autorizzazione, gestione diretta del ciclo dei rifiuti

 

Per quanto poi riguarda le singole posizioni soggettive si rileva come i vari enti territoriali costituitisi nel presente processo hanno correttamente azionato le loro pretese in relazione, ciascuno, ai danni che assumono aver patito per le condotte che hanno direttamente aggredito il loro territorio, per cui è incontestabile il loro interesse a costituirsi nei confronti dei soggetti che, in base all’impostazione del P.M., sono accusati di esserne gli autori.

 

Va infine osservato che, poiché, come detto sopra, i detti enti territoriali si sono costituiti solamente  nei confronti dei soggetti accusati di aver commesso condotte potenzialmente causative di danni in relazione al loro territorio, infondata è pertanto anche l’eccezione formulata a tal proposito dalla difesa Bertagnolli contro la costituzione del Comune e della Provincia di Viterbo, poiché il difensore di tali parti civili ha specificato a verbale che la costituzione era intesa in relazione ai soli capi J) e V) della rubrica, che non vedono imputato il Bertagnolli.

 

B) richieste di esclusione delle associazioni ambientaliste Legambiente e WWF in quanto costituite IN PROPRIO per difetto di legitimatio ad causam

 

Va preliminarmente dato atto del fatto che:

-         la associazione Legambiente si è costituita in surroga del Comune di Bussolengo, della Provincia di Mantova e della Provincia di Viterbo;

-         la medesima associazione si è costituita anche in proprio;

-         il WWF si è costituito in proprio.

 

Nessuna delle difese ha eccepito nulla in ordine alla legittimazione a costituirsi di Legambinete in surroga degli enti territoriali sopra indicati, costituzione che è pacificamente ammissibile in quanto, per consolidata giurisprudenza della Suprema Corte sul punto le associazioni ambientaliste individuate dal Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 13 L. 349/86, a norma dell’art. 4, co. 3, L. 3.8.99 n. 265 poi trasfuso nell’art. 9 co. 3, D.Lvo 18.8.2000 n. 267, potrebbero proporre le azioni risarcitorie per danno ambientale spettanti al Comune ed alla Provincia, ma l’eventuale risarcimento verrebbe liquidato in favore dell’ente sostituito, mentre le spese processuali sarebbero liquidate nei confronti delle associazioni (vedi tra molte in proposito Cass. sez. III n. 43238 del 3.12.2002);

 

Per quanto concerne invece il problema della legittimazione di tali associazioni ambientaliste a costituirsi in proprio, come già anticipato in premessa la giurisprudenza è giunta ad ammetterne consolidatamente la legittimazione processuale, dopo varie oscillazioni che muovevano tutte dall’analisi dell’art. 18 L. 349/86 e dell’art. 4 L. 3.8.99 n. 265.

 

I filoni interpretativi erano essenzialmente 4:

1. in base al primo orientamento le associazioni ambientaliste avrebbero avuto solo una facoltà di intervenire nel giudizio di danno, identica per fictio iuris a quella della persona offesa, ai sensi dell’art. 91 e segg. c.p.p., subordinata perciò al consenso di quest’ultima (Cass. sez III n. 7275 del 23.6.94);

2. in base al secondo orientamento le associazioni ambientaliste sarebbero state titolari di un’azione civile atipica, nel senso di non poter ottenere un risarcimento del danno, ma solo la rifusione delle spese processuali (Cass. sez. III n. 439 del 10.11.93);

3. secondo il terzo orientamento le associazioni ambientaliste individuate dal Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’art. 13 L. 349/86, a norma dell’art. 4, co. 3, L. 3.8.99 n. 265 poi trasfuso nell’art. 9 co. 3, D.Lvo 18.8.2000 n. 267, potrebbero proporre le azioni risarcitorie per danno ambientale spettanti al Comune ed alla Provincia, ma l’eventuale risarcimento verrebbe liquidato in favore dell’ente sostituito, mentre le spese processuali sarebbero liquidate nei confronti delle associazioni (Cass. sez. III n. 43238 del 3.12.2002);

4. l’ultimo orientamento ritiene che le associazioni ambientaliste, anche se non riconosciute ai sensi del già citato art. 13 L. 349/86, sarebbero legittimate all’azione risarcitoria vera e propria anche in sede penale mediante costituzione di parte civile, solo nella misura in cui sono portatrici non di interessi diffusi ed astratti, ma di interessi ambientali concretamente individualizzati;

secondo tale ultima impostazione le associazioni ambientaliste in quanto tali hanno diritto al risarcimento del danno ambientale quando questo offende un diritto patrimoniale oppure un diritto morale del sodalizio, identificato quest’ultimo in un interesse ambientale storicamente e geograficamente circostanziato che il sodalizio ha assunto come proprio scopo statutario

(Vedi in proposito Cass. sez III n. 58ì9 del 10.1.90; Cass. sez. III n. 8699 del 26.9.96; Cass sez. III n. 46746 del 2.12.2004 che ha specificamente configurato la risarcibilità della lesione che il danno ambientale apporta allo scopo istituzionale dell’associazione; Cass. sez. III n. 9837 del 1.10.96; Cass sez. III n. 22539 del  10.6.2002 e da ultimo Cass sez. III n. 33887 del 9.10.2006)

 

Il quarto orientamento sopra delineato, quello attualmente assolutamente prevalente, abbandona l’esegesi delle disposizioni processuali e delle norme di legislazione speciale sopra ricordate per utilizzare lo schema generale dell’azione aquiliana di cui all’art. 2043 c.civ., configurando in capo alle associazioni ambientaliste in quanto tali un interesse legittimo alla tutela dell’ambiente, idoneo ad essere leso dal danno ambientale.

 

Trattasi di un interesse collettivo (da distinguersi rispetto agli interessi diffusi, che come tali sono comuni in genere a tutti gli individui di una formazione sociale, riguardano beni insuscettibili di appropriazione individuale e quindi anche di gestione processuale, e che pertanto sono privi di tutela giurisdizionale) , suscettibile di tutela giurisdizionale perchè fa capo, quanto alla sua titolarità, ad enti esponenziali dotati di capacità di agire, enti che si distinguono tanto dalla comunità in generale quanto dai singoli associati nell’organizzazione. Si tratta pertanto di un interesse legittimo per la cui salvaguardia e tutela è consentito agire in giudizio.

 

Infatti in base alla fondamentale pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Unite Civili n. 500 del 22.7.99, è stato stabilito incontrovertibilmente ormai che anche la lesione di un interesse legittimo può essere fonte di responsabilità aquiliana, giacché il danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. è quello che si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento, a prescindere dalla sua qualificazione formale, ed in particolare senza che assuma rilievo la qualificazione dello stesso in termini di diritto soggettivo.

 

Ne deriva che gli enti esponenziali di interessi collettivi possono essere danneggiati in senso proprio da attività lesive degli interessi di cui sono portatori e, conseguentemente il fatto che le associazioni ambientaliste sono legittimate in via autonoma e principale all’azione di risarcimento per danno ambientale, quando siano statutariamente portatrici di interessi ambientali territorialmente determinati, concretamente lesi da una attività illecita. (Cass. sez III n. 33887 del 9.10.2006).

 

In buona sostanza quindi il “bene ambiente” ha carattere complesso e polimorfo e parimenti anche le lesioni ad esso hanno tale caratteristica. La tutela di questo bene giuridico dunque non risiede nell’art. 18 L. 349/86, ma direttamente nella Costituzione, attraverso il combinato disposto degli artt. 2, 3, 9, 41, 42 e il loro collegamento con la norma fondativa della tutela aquiliana (art. 2043 cod. civ.) e in questo senso si è più volte espressa con forza la Suprema Corte , come ricordato in precedenza.

 
 

Venendo quindi in concreto all’esame delle posizioni delle associazioni che si sono costituite si giunge alla conclusione che esse sono portatrici di interessi legittimi, come tali suscettibili di tutela giurisdizionale: a tale conclusione si giunge analizzando gli elementi che, in base alle linee guida dettate dalla giurisprudenza amministrativa e penale in materia, identificano tali interessi differenziandoli da quelli diffusi.

 

Gli elementi dirimenti tra le due categorie sono costituiti:

-         dal collegamento territoriale tra l’ambito operativo della associazione e l’area interessata dalla lesione;

-         dal collegamento con scopi statutari di tutela che l’ente dimostri di aver concretamente perseguito e che i fatti criminosi abbiano frustrato;

-         dalla lesione dell’immagine dell’ente associativo e dalla demoralizzazione dei suoi membri, conseguita al reato ambientale;

-         dalla vanificazione di sforzi economici già profusi dalla associazione per la salvaguardia o il recupero di aree poi devastate dal crimine.

 

Se si esaminano gli atti di costituzione di parte civile e degli allegati agli stessi depositati dalla Legambiente e dal WWF, si osserva:

-         che tali associazioni hanno esercitato l’azione civile al fine di ottenere il risarcimento di danni patrimoniali e morali che la illecita condotta di tutti gli imputati,, così come descritta nell’ambito dell’impianto accusatorio del P.M., avrebbe loro cagionato, lamentando la subita lesione di un diritto della personalità a causa del pregiudizio che sarebbe derivato dai reati agli interessi propri ed esclusivi dei due sodalizi, interessi che attengono alla tutela dell’ambiente;

-         che nei loro statuti, allegati alle domande risarcitorie, si leggono scopi statutari di protezione e difesa del bene ambientale e di diffusione della cultura ambientale;

-         che tali scopi appaiono essere stati attuati ed essere direttamente collegati con gli ambiti territoriali in cui hanno avuto luogo i fatti illeciti contestati;

-         che esse hanno documentato un poliennale attivismo e la spendita di significative risorse  umane e finanziarie per la salvaguardia dell’ambiente;

-         di essersi attivate concretamente (sia in generale sia attraverso le singole associazioni territoriali) proprio in ordine alle problematiche sollevate dalla materia della gestione dei rifiuti, attraverso attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica locale, di studio ed indagine nella prospettiva della tutela dell’ambiente.

 

Tanto è sufficiente ad indicarle come titolari di un interesse legittimo giurisdizionalmente tutelabile ed a legittimarle a costituirsi parti civili in questa sede nei confronti di tutti gli imputati e per tutti i reati a ciascuno singolarmente ascritti, incluso il reato associativo, essendo evidente che tale condotta, in quanto finalizzata alla consumazione di una serie indeterminata di reati ambientali, astrattamente collide con e frustra gli interessi perseguiti dalle dette associazioni.

 
 

Come già ricordato in precedenza, l’eventuale problema della proliferazione in concreto dei risarcimenti, sollevato  vivacemente da più parti per invocare l’esclusione di queste parti civili, attiene propriamente al profilo della liquidazione del danno, ma non può interferire col profilo della legittimazione soggettiva all’azione risarcitoria; trattasi di un problema la cui soluzione va rimessa alla prudente valutazione del giudice, che dovrà identificare i profili di danno deducibili dai singoli attori della pretesa risarcitoria, al fine di quantificare il risarcimento a ciascuno spettante.

 

C. ECCEZIONI A CARATTERE FORMALE RELATIVE ALLE COSTITUZIONI DI P.C. INTERVENUTE A MEZZO DI SOSTITUTO PROCESSUALE DEL DIFENSORE PROCURATORE SPECIALE

 

Le dette eccezioni sono infondate e vanno pertanto rigettate.

 

Innanzitutto si ricorda che, intervenendo sul punto, la Suprema Corte ha statuito che “il difensore della Parte Civiie può designare a norma dell’art. 102 c.p.p. un sostituto che ha facoltà di svolgere in dibattimento ogni attività in luogo del sostituito” (vedi Cass. sez. V sent. n. 3769 del 5.4.95) .

 

Venendo alla situazione in esame si osserva inoltre che le procure speciali rilasciate in favore dei difensori delle predette Parti Civili hanno previsto espressamente la facoltà per il procuratore speciale nominato di nominare a sua volta sostituti.

 

Si deve pertanto ritenere che il sostituto abbia espresso non soltanto i poteri connessi al mandato ad litem, ma anche poteri sostanziali di rappresentanza della parte, e ciò proprio in virtù dell’espresso potere concesso dal titolare del diritto al procuratore nominato.

 

Tale rilievo è risolutivo nel dirimere la questione e nel determinare il rigetto della eccezione

 
 
P.Q.M.
 

Rigetta tutte le eccezioni come sopra delineate ed analizzate.

 
Verona, 26 novembre 2007.