Consiglio di Stato Sez. VI n. 7311 del 2 novembre 2021
Urbanistica.Ordine di demolizione
Se il decorso del tempo non può incidere sulla doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo (pur se tardivamente adottata) debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata.
Pubblicato il 02/11/2021
N. 07311/2021REG.PROV.COLL.
N. 02143/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2143 del 2019, proposto da
GIUSEPPE DELLE MACCHIE, rappresentato e difeso dall’avvocato Stefano Goretti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesca Buccellato in Roma, via Cosseria, n. 2;
contro
COMUNE DI CHIUSI, in persona del Sindaco rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Sergio Gherardelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, sezione terza, n. 1624 del 2018;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Chiusi;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 ottobre 2021 il Cons. Dario Simeoli e udito l’avvocato Sergio Gherardelli;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell’art. 74 c.p.a.;
Rilevato in fatto che:
- il signor Giuseppe Delle Macchie è proprietario di una unità immobiliare di mq 144, posto al quarto piano di un edificio condominiale, sito in Chiusi Scalo via Redi n. 9, assentito dal Comune di Chiusi con licenza edilizia n. 215 del 29 agosto 1968, per il quale successivamente, in data 21 maggio 1970, il Comune aveva autorizzato l’innalzamento del sottotetto, con destinazione a stenditoio e volume tecnico;
- il signor Delle Macchie acquistava il predetto sottotetto, in virtù del decreto di trasferimento del giudice delle esecuzioni del Tribunale di Montepulciano del 10 maggio 1993;
- nell’ambito del procedimento esecutivo, il consulente tecnico d’ufficio, nel redigere la perizia di stima, aveva evidenziato che l’appartamento era urbanisticamente destinato a stenditoio e che la difformità avrebbe potuto essere sanata ai sensi dell’art. 40, comma 6, della legge n. 47 del 1985;
- sennonché, il proprietario non si avvaleva della possibilità di chiedere la sanatoria entro 120 giorni dal decreto di trasferimento e, solo in data 3 ottobre 2015, presentava domanda di sanatoria edilizia ai sensi dell’art. 208 della legge della Regione Toscana n. 65 del 2014;
- il Consiglio Comunale di Chiusi, con deliberazione n. 86 del 21 ottobre 2015, in relazione alla predetta istanza di sanatoria, dichiarava l’insussistenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica violata, subordinando gli effetti della dichiarazione alla presentazione di certificato di idoneità statica, secondo quanto previsto dal citato art. 208, e quantificando (con nota del 20 settembre 2016) la sanzione sostituiva in € 30.000,00;
- l’appellante, tuttavia, non versava la predetta somma, con conseguente mancato perfezionamento della procedura di sanatoria;
- a questo punto, l’Amministrazione comunale, con ordinanza n. 114 del 21 novembre 2017, ordinava al signor Delle Macchie la rimessione in pristino dei luoghi in conformità alle tavole progettuali a corredo della variante n. 30 del 1970 alla licenza edilizia n. 215 del 1968, secondo la quale, come si è detto, il sottotetto era destinato a volume tecnico e stenditoio;
- il proprietario impugnava l’ordine demolitorio ‒ e, in via eventuale, la deliberazione consiliare n. 86 del 21 ottobre 2015 nella parte in cui qualifica come contrastanti con lo strumento urbanistico gli interventi edilizi in questione ‒, ponendo a fondamento della domanda di annullamento le seguenti censure:
i) il certificato di abitabilità del 29 dicembre 1970 aveva formalmente riconosciuto la destinazione a civile abitazione dell’appartamento di cui si discute;
ii) sussisteva una contraddittorietà tra l’ordinanza di demolizione e la deliberazione di Consiglio Comunale n. 86 del 2015 che aveva statuito per l’insussistenza dell’interesse pubblico alla remissione in pristino delle opere difformi dal titolo abilitativo (censurando, nel contempo, la stessa deliberazione consiliare n. 86 del 2015, nella parte in cui sanciva che, per quanto attiene all’immobile del ricorrente, si tratterebbe di opere e di interventi realizzati in difformità dal titolo abilitativo ed in contrasto con gli strumenti urbanistici comunali);
iii) la lesione dell’affidamento maturato in ordine alla regolarità dell’immobile, stante la propria buona fede e la lunga inerzia del Comune nell’adottare atti repressivi;
- il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, con sentenza n. 1624 del 2018, respingeva il ricorso;
- avverso la predetta sentenza ha proposto appello il signor Giuseppe delle Macchie, riproponendo nella sostanza i motivi proposti in primo grado, sia pure adattati all’impianto motivazionale della sentenza appellata;
- in particolare, l’appellante deduce quanto segue:
a) in relazione al capo della sentenza che ha respinto il primo motivo di ricorso: parte degli immobili del patrimonio edilizio di vecchia data, come quello per cui è causa, risulterebbero ancora oggi assistiti, oltre che dalla ‘licenza’ edilizia, ai sensi della legge n. 1150 del 1942, anche dal certificato di ‘abitabilità’, ai sensi dell’art. 221 del regio decreto 27 luglio 1934 n. 1265, avente come presupposto indefettibile l’attestazione della conformità delle opere realizzate al progetto autorizzato; fino all’introduzione, con legge 28 gennaio 1977 n. 10, quando le varianti in corso d’opera non erano ancora disciplinate a livello normativo, la valutazione della congruità del realizzato rispetto a quanto assentito con la licenza sarebbe stata svolta attraverso il procedimento di abitabilità; ne conseguirebbe che, con il rilascio, in data 29 dicembre 1970, del certificato di abitabilità, il Comune avrebbe sostanzialmente assentito la variante realizzata al quarto piano dell’edificio, avendo valutato che non si era verificato alcun incremento di volume dell’edificio, né alcun incremento di altezze o superficie utile, né vi era stato alcun mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante;
b) in relazione al capo della sentenza appellata che ha respinto il secondo motivo di ricorso: la valutazione prevista dal menzionato art. 208 della legge regionale n. 65 del 2014 circa l’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica violata, sarebbe una valutazione che, ancorché prodromica all’applicazione delle varie sanzioni edilizie, «rimane comunque una statuizione di principio riferita ad una fattispecie concreta, con una valenza regolativa di quella fattispecie»; l’impugnazione della deliberazione consiliare n. 86 del 2015 (nella parte in cui sancisce che, per quanto attiene all’immobile del ricorrente, si tratterebbe di opere e di interventi realizzati in difformità dal titolo abilitativo ed in contrasto con gli strumenti urbanistici comunali), non sarebbe affatto tardiva perché, a prescindere dal fatto che l’appellante ne sarebbe venuto a conoscenza solo nel contesto dell’ordinanza n. 114 del 2017, comunque l’interesse a ricorrere sarebbe sopravvenuto solamente in seguito all’emanazione di detta ordinanza;
c) in relazione al capo della sentenza appellata che ha respinto il terzo motivo di ricorso: il signor Delle Macchie Giuseppe avrebbe appreso della vendita all’asta dell’immobile in questione dalla lettura di un avviso del Tribunale di Montepulciano riportato su di un quotidiano locale, che informava circa la vendita all’incanto del predetto immobile, da tenersi il 19 febbraio 1993; in ragione delle sue limitate conoscenze, non sarebbe andato, successivamente all’aggiudicazione, a leggere, né il decreto di trasferimento dell’immobile né, tanto meno, la perizia relativa alla procedura esecutiva, avendo ritenuto, in assoluta buona fede, di aver acquistato un appartamento di civile abitazione che non necessitava di alcuna sanatoria; solamente nel 2014, nel corso di trattative per la vendita dell’immobile, il signor Delle Macchie sarebbe venuto a conoscenza, per la prima volta, che la destinazione dell’appartamento non era a civile abitazione ma a “stenditoio”; l’immobile sarebbe stato effettivamente battuto per un prezzo base di Lire 110.000.000 e il ricorrente se lo è aggiudicato per Lire 155.000.000; la circostanza della presentazione della sanatoria ex art. 208 della legge regionale n. 65 del 2014 non potrebbe certo dare prova di conoscenza del preteso abuso fin dal momento dell’asta giudiziale; non sarebbe affatto plausibile che una persona che acquisti un immobile per un prezzo sicuramente di una certa rilevanza, investendo il risparmio della famiglia e che si intesti il bene come ‘prima casa’, se effettivamente a conoscenza delle norme regolative del settore, non si adoperi immediatamente per la regolarizzazione a sanatoria del preteso abuso, considerato che detta regolarizzazione avrebbe comportato un esborso proporzionalmente minimale rispetto al prezzo pagato e avrebbe scongiurato quello che purtroppo sta accadendo oggi, con il rischio della perdita del bene;
- si è costituito in giudizio il Comune di Chiusi, insistendo per il rigetto del gravame;
- con ordinanza del 19 aprile 2019, n. 2059, la Sezione ‒ «Ritenuto, ad un primo esame tipico della presente fase cautelare, che: l’appello cautelare non è assistito dal fumus boni iuris; appare corretto ritenere che all’unità immobiliare posseduta dal ricorrente sia stata impressa una destinazione difforme rispetto al titolo edilizio assentito; la cubatura espressa dai nuovi locali, peraltro, determinerebbe (alla luce di quanto dedotto dall’amministrazione) il superamento della volumetria massima consentita per l’area di riferimento; sotto altro profilo, poiché il permesso a costruire e il certificato di agibilità sono ancorati a presupposti diversi, il rilascio del certificato di agibilità non preclude di per sé l’esercizio del potere di repressione degli abusi edilizi: in ogni caso, l’appellante, sua pure adducendo l’asserita mancanza della liquidità necessaria per adempiere al pagamento della sanzione amministrativa, ha comunque rinunciato alla regolarizzazione edilizia dell’unità immobiliare» ‒ ha respinto l’istanza di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata;
- nelle more dell’udienza pubblica, il Comune, con atto del 7 ottobre 2021, ha respinto l’istanza di sanatoria dell’abuso per cui è causa;
- in data 18 ottobre 2021, il difensore dell’appellante ha rimesso le seguenti deduzioni per l’udienza di discussione: «la difesa del sig.re Giuseppe Delle Macchie chiede un rinvio della causa a data da destinarsi essendo stata presentata domanda di sanatoria edilizia (già prodotta con la memoria di replica e che per comodità del Collegio si ri-allega) e al momento si sta valutando la risposta data dal Comune di Chiusi con provvedimento del 7 ottobre 2021»;
Considerato in diritto che:
- la richiesta di rinvio della trattazione della causa ‒ possibile solo «per casi eccezionali» (art. 73, comma 1-bis, del c.p.a.) ‒ non può essere accolta, dal momento che l’eventuale iniziativa processuale promossa avverso il rigetto dell’istanza di sanatoria (allo stato, peraltro, soltanto ventilata) riguarderebbe un segmento di azione amministrativa successivo (e autonomo) rispetto a quello oggi in contestazione e dovrebbe essere comunque promossa in primo grado;
- nel merito, la sentenza di primo grado deve essere confermata;
- la tesi secondo cui l’Amministrazione comunale, con il rilascio del certificato di abitabilità per l’intero edificio condominiale del 29 dicembre 1970, avrebbe assentito la trasformazione del quarto piano del fabbricato condominiale ‒ da “stenditoio” a civile abitazione ‒, è stata correttamente ritenuta infondata dal giudice di prime cure;
- risulta agli atti che, con licenza edilizia in variante del 21 maggio 1970, proposta dall’impresa costruttrice del 1970, il Comune aveva autorizzato soltanto la rimodulazione della sagoma del tetto (e la sua elevazione in altezza), al fine di consentire la predisposizione di un ‘volume tecnico’ (ad uso stenditoio), la cui cubatura aggiuntiva non avrebbe dovuto essere conteggiata ai fini del rispetto degli indici di fabbricabilità;
- ne è riprova il fatto che, come eccepito dalla difesa comunale, la precedente richiesta di variante, presentata in data 15 settembre 1969 dalla stessa impresa costruttrice, finalizzata invece ad innalzare il sottotetto allo scopo di realizzarvi due appartamenti, era stata respinta (con atto del 16 ottobre 1969), per contrasto con l’art. 27, comma 5, del regolamento edilizio, vigente ratione temporis, il quale vietava l’ubicazione di locali abitabili nei sottotetti degli edifici di nuova costruzione;
- l’abuso dunque era sostanziale: i locali sottotetto, se considerati a civile abitazione, sviluppano una cubatura aggiuntiva di mc 820, rispetto a quella originariamente autorizzata per l’edificio condominiale, determinando il superamento degli indici di fabbricabilità previsti dallo strumento urbanistico;
- conclusioni diverse non possono trarsi dall’autorizzazione all’abitabilità rilasciata nel 1970: ai sensi dell’art. 220 del testo unico delle leggi sanitarie n. 1265 del 1934 (vigente ratione temporis), la verifica effettuata dall’ufficiale sanitario era incentrata «sulle condizioni di salubrità delle case esistenti», e non sugli elementi rilevanti ai fini dell’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi;
- non può parlarsi di irrilevanza del manufatto ai fini edilizi (almeno fino all’introduzione della legge n. 10 del 1977), trattandosi ‒ come si è detto ‒ di una variante difforme rispetto agli indici di fabbricabilità e comportante l’aumento del carico urbanistico;
- neppure vi è contraddizione tra l’impugnata ordinanza e la deliberazione del Consiglio comunale n. 86 del 21 ottobre 2015, laddove l’organo consiliare, in relazione alla proprietà del ricorrente, dichiara l’insussistenza dell’interesse pubblico alla remissione in pristino delle opere difformi dal titolo abilitativo e contrastanti con gli strumenti urbanistici;
- la suddetta deliberazione si collocava all’interno di un procedimento di sanatoria, disciplinato dall’art. 208 della legge della Regione Toscana n. 65 del 2014, il quale prevedeva la possibilità per gli abusi edilizi ultimati in data successiva al 1 settembre 1967 ed entro il 17 marzo 1985, di pagare una sanzione amministrativa pecuniaria in luogo della demolizione, qualora il Comune avesse dichiarato la non sussistenza dell’interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica violata (la disposizione è stata poi dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 233 del 2015);
- la mancata definizione positiva di tale procedimento eccezionale di sanatoria ‒ dovuta al fatto che l’appellante, pur sollecitato, non ha mai, né pagato la somma dovuta per sanzioni e contributi, né provveduto alla presentazione del certificato di idoneità statica (nonché alla dimostrazione dell’inesistenza di contrasto con le norme di tutela legate alla pericolosità idraulica) ‒ comporta l’applicazione della sanzione ripristinatoria originaria di un abuso che non ha mai smesso di essere tale;
- per i motivi esposti sopra, la contestazione della deliberazione consiliare n. 86 del 2015, nella parte in cui attesta il contrasto degli eseguiti interventi con lo strumento urbanistico comunale, è del tutto infondata (oltre che tardiva in quanto, come eccepito dal Comune avallato dal giudice di primo grado, tale deliberazione è stata legalmente conosciuta dall’appellante in data 29 luglio 2016, in occasione della richiesta d’integrazione documentale);
- neppure può invocarsi la propria buona fede e la lunga inerzia del Comune nell’adottare atti repressivi;
- secondo la giurisprudenza consolidata, la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo;
- allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata;
- non si può applicare a un fatto illecito (l’abuso edilizio) il complesso di acquisizioni che, in tema di valutazione dell’interesse pubblico, è stato enucleato per la diversa ipotesi dell’autotutela decisoria;
- non è in alcun modo concepibile l’idea stessa di connettere al decorso del tempo e all’inerzia dell’amministrazione la sostanziale perdita del potere di contrastare l’abusivismo edilizio, ovvero di legittimare in qualche misura l’edificazione avvenuta senza titolo, non emergendo oltretutto alcuna possibile giustificazione normativa a una siffatta – e inammissibile – forma di sanatoria automatica;
- se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata. In tal caso, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria;
- il decorso del tempo, lungi dal radicare in qualche misura la posizione giuridica dell’interessato, rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento;
- anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse (così la sentenza dell’Adunanza plenaria n. 9 del 2017);
- deve pure rimarcarsi che il ricorrente ‒ il quale, secondo ordinaria diligenza, avrebbe dovuto essere pienamente a conoscenza della consistenza dell’abuso edilizio fin dal 1993, in quanto il decreto di trasferimento n. 247 del 10 maggio 1993 recava lo specifico avvertimento che «l’appartamento non è conforme alla destinazione d’uso della licenza», ed il relativo valore di stima era stato decurtato della somma di Lire 15.000.000 per agevolare la corresponsione degli oneri di sanatoria ‒, non ha mai pervicacemente sanato l’abuso, non avvalendosi, né dell’art. 40, ultimo comma della legge n. 47 del 1985, né dei condoni edilizi del 1994 e del 2003), né ha perfezionato la procedura di sanatoria amministrativa di cui all’art. 208, comma 2, lettera c), della legge regionale n. 65 del 2014, che peraltro aveva iniziato;
- per completezza, si osserva l’inconferenza del richiamo all’art. 3 della legge della Regione Toscana n. 5 del 2010, la quale consente sì il recupero ai fini abitativi dei sottotetti, ma per i soli interventi di recupero ancora da attuare e soltanto per i locali che siano già di pertinenza dell’unità abitativa principale esistente, senza la possibilità di creare nuove abitazioni distinte;
- sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite del secondo grado di giudizio, attesa la particolarità della vicenda;
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso n. 2143 del 2019, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa interamente tra le parti le spese di lite del secondo grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 ottobre 2021 con l’intervento dei magistrati:
Sergio De Felice, Presidente
Alessandro Maggio, Consigliere
Oreste Mario Caputo, Consigliere
Dario Simeoli, Consigliere, Estensore
Davide Ponte, Consigliere