TAR Umbria Sez. I n. 484 del 2 settembre 2019
Rifiuti.Effluenti di allevamento
Occorre che non vi sia soluzione di continuità tra il processo di produzione del materiale e la sua diretta destinazione alla fertirrigazione o il suo conferimento all’impianto di biogas, affinché sia integrata la condizione prevista dall’art. 184 bis, c. 1, lett. b), d.lgs. n. 152/2006 (così come dalla normativa europea) e l’effluente sia qualificabile come sottoprodotto. Se tale cesura si verifica, perché il materiale viene stoccato in un sito privo di autorizzazione a tal fine e dunque “abbandonato”, esso deve necessariamente considerarsi rifiuto e non è più suscettibile di perdere questa qualifica. Anche l’art. 3, c. 1, lett. j), d.m. 25 febbraio 2016 precisa che, ai fini dell’utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento, per stoccaggio debba intendersi il “deposito di effluenti…effettuato nel rispetto dei criteri e delle condizioni di cui al presente decreto”.
Pubblicato il 02/09/2019
N. 00484/2019 REG.PROV.COLL.
N. 00390/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 390 del 2018, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Azienda Agricola di Checcarini Giulietto & C. Ss, in proprio e quale capofila mandataria dell’ATI con l’Azienda Agricola di Mariano Checcarini & C. Ss, quest’ultima anch’essa in proprio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati David Zaganelli ed Alessandro Formica, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio David Zaganelli in Perugia, via F.lli Pellas, 44;
contro
Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale - Arpa Umbria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Paolo Sportoletti, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, via XIV Settembre 69;
Comune di Marsciano;
nei confronti
Regione Umbria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Luciano Ricci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Perugia, corso Vannucci n. 30 - Pal. Ajo';
per l'annullamento
previa sospensiva
-dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Marsciano n. 127 dell'8.06.2018, prot. n. 16227, notificata in pari data, con la quale è stato ordinato all'a.t.i. Azienda Agricola Checcarini Gulietto & C. SS - Azienda Agricola di Mariano Checcarini & C. SS di “sospendere da subito ed immediatamente l'attività di trasferimento dei rifiuti, costituiti da effluenti di allevamento, dalla laguna situata in località ‘Le Masse' al biodigestore dell'Az. Agr. Pambuffetti di Montefalco”, nonché di “conferire gli stessi rifiuti presso impianti autorizzati per lo smaltimento/recupero, tramite ditta autorizzata”;
- dell'atto, registrato al protocollo comunale n. 16176 dell'8.06.2018, di estremi e contenuto ignoti alle ricorrenti, emesso da ARPA Umbria nei confronti del Comune di Marsciano e contenente “richiesta di provvedimento”, di cui si fa espressa menzione nella nota di accompagnamento in pari data a firma congiunta del Responsabile della Polizia Locale e del Responsabile dell'Area Lavori pubblici, Manutenzione e Ambiente del Comune di Marsciano;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.
con i primi motivi aggiunti:
- della nota dell'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale dell'Umbria in data 7.06.2018, prot. n. 10088, già impugnata con ricorso c.d. al buio, di cui la ricorrente ha acquisito piena conoscenza a seguito di deposito in giudizio in data 1.09.2018;
- dell'ordinanza del Sindaco del Comune di Marsciano n. 127 dell'8.06.2018, prot. n. 16227, nella parte in cui, ai fini dell'applicazione delle misure restrittive ivi contemplate, ha richiamato, mediante motivazione “per relationem”, i contenuti della nota ARPA predetta.
con i secondi motivi aggiunti:
per la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni consequenziali ai sensi dell’art. 30 c.p.a.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale - Arpa Umbria e della Regione Umbria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 giugno 2019 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.-L’a.t.i. odierna ricorrente svolge attività di allevamento di suini presso l’impianto sito in località Vallone, nel Comune di Marsciano ed è titolare di Autorizzazione Integrata Ambientale (A.I.A.), rilasciata dalla Regione Umbria con D.D. 10860 del 22 dicembre 2014 per lo stoccaggio, tra l’altro, dei reflui prodotti dai propri allevamenti presso apposite vasche di contenimento (denominate “laguna 1”e “laguna 2”ed ubicate in Loc. Vallone nella Fraz. di San Valentino della Collina di Marsciano).
In considerazione della situazione di oggettiva urgenza creatasi a seguito dell’esaurimento della capacità degli invasi per abbondanti precipitazioni piovose, la ricorrente comunicava di aver intenzione di stoccare gli effluenti eccedenti la capacità di stoccaggio delle lagune autorizzate, in via transitoria ed emergenziale, presso altra laguna (non contemplata dalla vigente A.I.A.) sita in loc. Le Masse di propria esclusiva titolarità.
Con ordinanza n. 60 del 22 marzo 2018, prot. n. 8268 il Sindaco del Comune di Marsciano ordinava all’odierna ricorrente di provvedere alla gestione degli effluenti mediante conferimento ad impianti di smaltimento/recupero autorizzati, fino al ripristino delle capacità di stoccaggio degli invasi.
Con successiva Determinazione Dirigenziale n. 3186 del 30 marzo 2018, inoltre, la Regione Umbria, Servizio Autorizzazioni Ambientali, diffidava la ricorrente, ai sensi dell’art. 29-decies, comma 9, lettera a),del D.Lgs. n. 152/2006, a porre in atto le seguenti misure: “a) interrompere immediatamente il conferimento degli effluenti nella laguna non autorizzata; b) conferire, entro 15 giorni dal ricevimento del presente atto, ad impianti di smaltimento/recupero autorizzati gli effluenti eccedenti la capacità di stoccaggio autorizzata, ivi compresi gli effluenti stoccati nella laguna non autorizzata; c) attivare le procedure di cui al Titolo V, Parte IV del D.Lgs. 152/2006 e s.m.i. e ripristinare lo stato originario dei luoghi”. In riscontro a tale diffida la ricorrente inviava alla Regione Umbria, in data 12 aprile 2018 una nota nella quale rappresentava tra l’altro che i liquami temporaneamente stoccati presso la laguna non autorizzata sita in loc. Le Masse, possedendo i requisiti all’uopo previsti dalla vigente normativa (come risultante dalle analisi chimiche allegate alla nota in commento), sarebbero stati conferiti presso l’impianto di recupero per la produzione di biogas dell’Azienda Agricola Pambuffetti, sito in loc. Cerreto, nel Comune di Montefalco, autorizzato dalla Regione Umbria con Autorizzazione Unica Ambientale n. 10/2017.
Con Determinazione Dirigenziale n. 82667 del 19 aprile 2018 (trasmessa anche ad ARPA Umbria e Comune di Marsciano) la Regione Umbria, preso atto di quanto rappresentato nella nota testé richiamata e delle richieste ivi formulate, avallava la proposta di procedere al conferimento dei liquami stoccati nella laguna non autorizzata presso l’impianto di recupero summenzionato, differendo il termine per il compimento delle relative operazioni alla data del 18 giugno 2018 ed invitando la ditta, “Al termine delle operazioni di recupero degli effluenti nell’impianto di Biogas dell’Azienda Agricola Claudio Pambuffetti, impianto sito nel Comune di Montefalco, e la rimessa in pristino dello stato dei luoghi”, a “trasmettere allo scrivente Servizio, ARPA Umbria e al Comune di Marsciano una relazione tecnica e documentale delle attività svolte”.
A seguito di accertamenti compiuti dall’Arpa il Sindaco adottava, ai sensi dell’art. 50 T.u.e.l., l’ordinanza impugnata con la quale ordinava all’ATI ricorrente di “sospendere da subito ed immediatamente l’attività di trasferimento dei rifiuti, costituiti da effluenti di allevamento, dalla laguna situata in località ‘Le Masse’ al biodigestore dell’Az. Agr. Pambuffetti di Montefalco”, nonché di “conferire gli stessi rifiuti presso impianti autorizzati per lo smaltimento/recupero, tramite ditta autorizzata”.
A sostegno del ricorso deduce motivi così riassumibili:
I) Falsa e/o erronea applicazione degli artt. 24 e 97 Cost. Falsa e/o erronea applicazione dell’art. 3, comma 3, della L. n. 241/1990. Eccesso di potere per insufficienza della motivazione: l’amministrazione civica, nel motivare “per relationem” il provvedimento impugnato mediante pedissequo ed acritico richiamo ai contenuti della “richiesta di provvedimento” di ARPA, non avrebbe comunque potuto sottrarsi all’obbligo, previsto dal summenzionato art. 3, comma 3, della l. n. 241/1990, di mettere a disposizione del destinatario l’atto oggetto di richiamo, in modo da consentire a quest’ultimo di acquisire una compiuta cognizione delle motivazioni di fatto e di diritto poste alla base della decisione, anche in vista di un’eventuale contestazione del medesimo in sede giurisdizionale; l’ordinanza sindacale impugnata sarebbe priva dei presupposti tipici di contingibilità ed urgenza richiesti per l’esercizio di un potere “extra ordinem” quale quello di specie;
II) Falsa e/o erronea applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Eccesso di potere per perplessità ed incoerenza della motivazione, difetto di istruttoria, carenza dei presupposti e travisamento dei fatti: ove non si rendano note, come avvenuto nel caso di specie, le motivazioni in fatto ed in diritto che hanno indotto l’autorità a ritenere non idonee le modalità di conferimento e/o l’impianto di recupero prescelto, non può nemmeno pretendersi che il destinatario del provvedimento sia in condizione di individuare, con sufficiente sicurezza, le azioni da intraprendere per conformarsi alle direttive ricevute;
III) Falsa e/o erronea applicazione dell’art. 50, comma 5, del D.Lgs. n. 267/2000. Incompetenza assoluta del Sindaco all’emanazione di provvedimenti di competenza esclusiva regionale. Eccesso di potere per contraddittorietà manifesta, irragionevolezza ed arbitrarietà: la scelta di procedere al conferimento degli effluenti presso l’impianto biodigestore suindicato, peraltro, era stata espressamente avallata dalla Regione Umbria con Determinazione Dirigenziale n. 82667 del 19 aprile 2018 (trasmessa anche al Comune di Marsciano e all’ARPA) ragion per cui ogni eventuale intervento destinato a modificarne o addirittura revocarne il contenuto dispositivo avrebbe potuto essere legittimamente disposto soltanto dall’autorità che l’aveva adottato e competente per materia; non ricorrerebbe alcuna situazione emergenziale di carattere sanitario o di igiene pubblica.
Si è costituita l’Arpa Umbria depositando la propria nota prot. 10088 del 7 giugno 2018 richiamata nell’ordinanza sindacale, eccependo l’infondatezza di tutti i motivi “ex adverso” dedotti, poiché in sintesi: - l’impianto ricevente Pambuffetti non sarebbe autorizzato al trattamento dei rifiuti, in quanto impianto di biodigestione che ai sensi del regolamento regionale 4/2011 può ricevere soltanto effluenti zootecnici provenienti da soggetti consorziati e l’Azienda Pambuffetti non sarebbe consorziata con la ricorrente; - il materiale in questione sarebbe qualificabile come rifiuto in quanto effluente proveniente da sito di stoccaggio non autorizzato.; -verrebbe in rilievo anche la distanza eccessiva tra i due siti superiore al limite di 30 km di cui al suddetto R.R. 4/2011.
Con atto di motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato anche la suddetta nota, deducendo motivi così riassumibili:
IV) Falsa e/o erronea applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990. Eccesso di potere per insufficienza della motivazione, difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto dei presupposti: gli effluenti in questione non sarebbero rifiuti bensì sottoprodotti, secondo una corretta lettura dei due distinti concetti giuridici; la ricorrente non voleva disfarsi degli effluenti ma depositarli in attesa dell’utilizzo presso i propri terreni; anche i sottoprodotti di origine animale sono passibili di recupero; non sarebbe stata fornita dall’Amministrazione alcuna motivazione sulla presunta natura di rifiuti;
V) Falsa e/o erronea applicazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e dell’art. 184-bis, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006. Falsa e/o erronea applicazione del Regolamento CE n. 1069/2009 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21ottobre 2009. Falsa e/o erronea applicazione del Decreto MIPAAF del 25.02.2016: il conferimento sarebbe possibile anche da parte di aziende non consorziate ai sensi del Decreto MIPAF del 25 febbraio 2016 (diversamente da quanto prescritto dal R.R. n. 4/2011) in considerazione della competenza esclusiva statale nella materia “ambiente”; non sarebbe più in vigore nemmeno il limite di distanza di 30 km previsto dal suddetto regolamento regionale;
VI) Falsa e/o erronea applicazione dell’art. 97 Cost. Violazione del principio del legittimo affidamento. Eccesso di potere per contraddittorietà ed ingiustizia manifesta: la nota impugnata si porrebbe in contrasto sia con precedenti proprie determinazioni della stessa Arpa sia con la DD 82667/2018 si da ledere l’affidamento già ingeneratosi sulla bontà e correttezza delle modalità di gestione degli effluenti.
Si è costituita la Regione Umbria evidenziando l’infondatezza del gravame e dei motivi aggiunti evidenziando in particolare come con la DD, del tutto inoppugnata, del 30 marzo 18 ha intimato la ricorrente a procedere al conferimento “presso impianti di smaltimento autorizzati” unitamente alla prevalenza dell’interesse alla tutela ambientale consistente nel rischio di contaminazione del suolo e delle acque a causa della dispersione del liquame.
Con memoria l’Arpa, in sintesi, ha rappresentato come al di là della parallela vicenda penale quel che conta nell’ambito del presente giudizio è che la ricorrente ha stoccato l’effluente in sito non autorizzato; nel momento in cui esso anziché conferito è stato stoccato presso sito non autorizzato è diventato a tutti gli effetti rifiuto, occorrendo per il sottoprodotto una soluzione di continuità.
Non si è costituito il Comune di Marsciano.
Alla camera di consiglio del 23 ottobre 2018 parte ricorrente ha rinunciato alla domanda incidentale cautelare come da verbale d’udienza.
In prossimità della discussione nel merito parte ricorrente, con memoria, ha rappresentato in punto di fatto di aver dovuto svuotare tutta la laguna in loc. le Masse in quanto ha ricevuto ordinanza comunale di demolizione per abusività edilizia e di aver trasferito tutto in impianto autorizzato come prescritto dall’ordinanza sindacale gravata, pur senza prestare acquiescenza come espressamente comunicato alla Regione. Ha insistito nell’accoglimento del ricorso rilevando l’attualità dell’interesse alla decisione sul piano risarcitorio. Nel merito ha ribadito, quanto al concetto di rifiuto, che la propria intenzione era quella di collocare momentaneamente i liquami presso la laguna non autorizzata per poi procedere allo spandimento nei propri terreni, e che in situazioni d’urgenza sarebbe la stessa legge (art. 29-undecies d.lgs. 152/2006) ad ammettere lo stoccaggio presso siti non autorizzati; quanto infine al rapporto tra norme regionali e statali prevarrebbero queste ultime.
Arpa ha di contro sollevato eccezione di improcedibilità del gravame per sopravvenuto difetto di interesse, essendo il giudizio penale del tutto autonomo e l’interesse risarcitorio del tutto astratto, non avendo alcuna rilevanza in questo giudizio l’elemento soggettivo, contando solamente il fatto oggettivo dello stoccaggio di rifiuti in sito non autorizzato.
Con secondo atto di motivi aggiunti ha proposto azione risarcitoria nei confronti del Comune di Marsciano e dell’Arpa, depositando documentazione a comprova del danno emergente subito pari alle maggiori spese sostenute per lo smaltimento dei rifiuti presso altro impianto, quantificate in 2.326,26 euro unitamente al danno di immagine e opponendosi all’eccezione di sopravvenuto difetto di interesse.
L’Arpa Umbria ha controdedotto anche sui secondi motivi aggiunti eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e comunque la carenza dell’elemento soggettivo della colpa.
All’udienza pubblica del 18 giugno 2019, uditi i difensori, la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1.-E’ materia del contendere la legittimità dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Marsciano n. 127 dell’8 giugno 2018 e della richiamata nota Arpa prot. 10088 del 7 giugno 2018 con cui è stato ordinato all’ATI ricorrente di “sospendere da subito ed immediatamente l’attività di trasferimento dei rifiuti, costituiti da effluenti di allevamento, dalla laguna situata in località ‘Le Masse’ al biodigestore dell’Az. Agr. Pambuffetti di Montefalco”, nonché di “conferire gli stessi rifiuti presso impianti autorizzati per lo smaltimento/recupero, tramite ditta autorizzata”.
La suindicata ordinanza contingibile ed urgente è risultata motivata unicamente “per relationem” mediante richiamo alla presupposta suindicata nota dell’ Arpa secondo cui gli effluenti in questione, in quanto stoccati presso impianto non autorizzato, sarebbero veri e propri rifiuti e secondo cui risulterebbe violato anche il vincolo della provenienza da soggetti consorziati (non essendo la ricorrente consorziata con l’azienda Panbuffetti di Montefalco) posto dal regolamento regionale n. 4 /2011.
In punto di fatto giova rilevare che il trasferimento degli effluenti in questione risulta esser stato effettuato dall’azienda ricorrente per far fronte a situazione di emergenza legata all’esaurimento della capacità degli invasi in località Vallone in seguito alle abbondanti precipitazioni piovose.
2.- Preliminarmente va esaminata l’eccezione di sopravvenuto difetto di interesse sollevata dalle Amministrazioni convenute, avendo la ricorrente allo stato attuale provveduto a svuotare completamente la laguna non autorizzata in esecuzione dell’ordinanza sindacale oggetto del contendere.
2.1.- L'esecuzione dell’ ordinanza sindacale impugnata non può essere interpretata come manifestazione di acquiescenza, giacché il suddetto adempimento non esprime spontanea adesione al precetto amministrativo, ma assume carattere forzoso, valendo ad evitare che il provvedimento sia eseguito d'ufficio a cura del Comune; laddove, come nel caso di specie, la condotta attuativa del provvedimento non è spontanea, ma coartata dalla valenza precettiva del medesimo, non può esservi acquiescenza, ovvero non sussiste volontaria accettazione degli effetti dell'atto impugnato e conseguente dismissione della pretesa azionata (ex multis T.A.R. Toscana, sez. III, 29 gennaio 2009, n. 119; Consiglio di Stato, sez. IV, 12 giugno 2014 , n. 2998). Inoltre, l’azienda ricorrente nel dare esecuzione all’ordinanza si è espressamente riservata la tutela dei propri interessi, così manifestando la propria intenzione di non voler prestare acquiescenza (ex multis T.A.R. Liguria, sez. I, 14 marzo 2015, n. 285).
2.2. - E’ indubbio poi che la ricorrente mantenga interesse all’accertamento della illegittimità degli atti impugnati sotto il profilo risarcitorio, avendo oltre che allegato i presupposti per la proposizione dell’azione risarcitoria (ex multis Consiglio di Stato sez. IV, 18 agosto 2017, n. 4033) concretamente proposto con il secondo atto di motivi aggiunti l’azione stessa, allegando e quantificando il danno subito.
3. - Venendo al merito ritiene il Collegio pregiudiziale in senso logico l’accertamento della natura o meno di rifiuti degli effluenti provenienti dagli allevamenti della ricorrente in loc. Le Masse, come visto posto dall’Arpa a principale motivo dell’antigiuridicità dello stoccaggio effettuato dalla ricorrente presso il biodigestore dell’Azienda agricola Pambuffetti di Montefalco e contestato da parte ricorrente con i primi motivi aggiunti.
3.1. - Secondo la tesi di parte ricorrente tali effluenti sarebbero assimilabili ai liquami prodotti dagli allevamenti zootecnici destinati a fertirrigazione o recupero presso impianti di cogenerazione di biogas e come tali non sarebbero qualificabili come rifiuti bensì come sottoprodotti. Conseguentemente, la qualificazione quale sottoprodotto farebbe completamente venir meno l’antigiuridicità della condotta posta in essere dall’azienda ricorrente.
3.2. - Non ritiene il Collegio di poter aderire a tale assunto.
Dal punto di vista fattuale è anzitutto pacifico che la ricorrente ha stoccato l’effluente proveniente dal proprio allevamento in un sito quale quello in loc. Le Masse non autorizzato al trattamento di rifiuti.
La conseguenza di tale stoccaggio, in disparte ogni accertamento in merito all’elemento soggettivo della condotta del tutto estraneo all’oggetto del presente giudizio, è l’assunzione della qualifica di rifiuto, pur sussistendo sul piano generale perdurante incertezza normativa e giurisprudenziale sulla nozione di rifiuto (ex multis T.A.R. Umbria 22 ottobre 2018, n. 556).
3.3. - Occorre infatti che non vi sia soluzione di continuità tra il processo di produzione del materiale e la sua diretta destinazione alla fertirrigazione o il suo conferimento all’impianto di biogas, affinché sia integrata la condizione prevista dall’art. 184 bis, c. 1, lett. b), d.lgs. n. 152/2006 (così come dalla normativa europea) e l’effluente sia qualificabile come sottoprodotto. Se tale cesura si verifica, perché il materiale viene stoccato in un sito privo di autorizzazione a tal fine e dunque “abbandonato”, esso deve necessariamente considerarsi rifiuto e non è più suscettibile di perdere questa qualifica. Anche l’art. 3, c. 1, lett. j), d.m. 25 febbraio 2016 precisa che, ai fini dell’utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento, per stoccaggio debba intendersi il “deposito di effluenti…effettuato nel rispetto dei criteri e delle condizioni di cui al presente decreto”.
In definitiva è decisivo il rilievo - diffusamente evidenziato dall’Arpa nelle proprie memorie difensive - secondo cui tra il ciclo di produzione e il conferimento all’impianto vi è stata una fase intermedia di stoccaggio non autorizzato. D’altronde, affinché determinati beni, anche di potenziale valore economico e dunque astrattamente riutilizzabili, possano essere ricondotti al di fuori del concetto di rifiuto, è necessario che la possibilità del loro riutilizzo sia celere e certa, altrimenti devono essere considerati, in via di principio, rifiuti (Consiglio di Stato, sez. V, 10 settembre 2012, n. 4790).
3.4. - Non condivisibile, poi, è l’asserita giustificazione data dall’aver agito in situazione di emergenza, ai sensi dell’invocato art. 29-undecies del d.lgs. 152/2006, non autorizzando certo detta norma a trasferire i liquami presso un sito non autorizzato, essendo plausibili soluzioni diverse quali l’utilizzo diretto per fertirrigazione degli effluenti stipati in località Vallone o il loro diretto conferimento ad impianti di biodigestione.
3.5. - Alla luce di tali considerazioni tutte le doglianze di cui al IV motivo dei primi motivi aggiunti non merita adesione.
4. - Tanto premesso risultano parimenti infondati gli ulteriori motivi di gravame di cui al ricorso introduttivo ed ai primi motivi aggiunti.
4.1. - Quanto alla assorbente doglianza di incompetenza, sia l’art. 50 del T.u.e.l., espressamente richiamato nell’ordinanza sindacale, che l'art. 192 del T.U. Ambiente non richiamato ma a cui è riconducibile “ad substantiam” il potere esercitato, attribuiscono espressamente al Sindaco la competenza ad emanare ordinanze in materia di rimozione dei rifiuti (ex multis T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 7 gennaio 2019, n. 18).
4.2. - L’ordinanza sindacale impugnata risulta motivata “per relationem” mediante il richiamo alla nota Arpa, poi gravata con motivi aggiunti, si da soddisfare l’obbligo motivazionale di cui all’art. 3 L.241/90, non dovendo l’Amministrazione allegare materialmente gli atti richiamati ma soltanto di indicarne gli estremi e metterli a disposizione su richiesta dell'interessato (ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 6 marzo 2019, n. 1543) come poi avvenuto mediante il pur successivo deposito in giudizio.
4.3. - Sussistevano anche i presupposti tipici della contingibilità e dell’urgenza richiesti per l’esercizio del potere straordinario di cui agli artt. 50 T.u.e.l. e 192 T.U. Ambiente, in considerazione della esaminata natura di rifiuto degli effluenti stoccati presso l’azienda della ricorrente e del connesso pregiudizio alla salubrità pubblica evidenziato nella presupposta nota dell’Arpa. D’altronde quanto al potere in “subiecta materia” di ordinanza "extra ordinem", esercitato dal Sindaco, non è necessario, al fine della configurazione del requisito dell'urgenza, il verificarsi di una situazione di concreto danno per l'ambiente e la salute pubblica, essendo sufficiente che sussista una situazione di pericolo non fronteggiabile adeguatamente e tempestivamente con misure ordinarie (Consiglio di Stato, sez. V, 2 dicembre 2002, n. 6624). Nel caso di specie lo stoccaggio di liquami provenienti da allevamento suinicolo è indubbiamente fatto idoneo a determinare una situazione di pericolo, non risolvibile con gli strumenti ordinari offerti dall’ordinamento.
4.4. - Nessun legittimo affidamento risulta poi leso nel caso di specie, ove sol si consideri che nella D.D. 3186/2018, inoppugnata, la Regione ha diffidato la ricorrente al conferimento degli effluenti in questione presso “impianti di smaltimento/recupero autorizzati” assegnando all’uopo un termine di 15 giorni, mentre la successiva D.D. prot. 82667 del 19 aprile 2018, pur potendosi obiettivamente interpretare come avallo alle operazioni di recupero effettuate nell’impianto di biogas dell’azienda Pambuffetti, non ha modificato le precedenti prescrizioni regionali e comunali. Tale ultima determinazione è dunque, ad avviso del Collegio, irrilevante ai fini del presente giudizio, pur potendo assumere eventuale rilievo ai fini dell’accertamento delle personali responsabilità di ordine penale demandate all’a.g.o.
5. - Essendo l’ordinanza sindacale gravata e la presupposta nota Arpa atto a motivazione plurima, non residua interesse all’esame delle ulteriori doglianze dirette nei confronti del regolamento regionale n. 4 del 2011 (ex multis Consiglio di Stato, sez. IV, 15 aprile 2019, n. 2423) richiamato nella nota Arpa impugnata.
6. - Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso introduttivo ed i primi motivi aggiunti debbono essere respinti.
7. - L’infondatezza della domanda di annullamento, comportante la legittimità dell’ordinanza sindacale gravata nei limiti delle doglianze dedotte, determina l’infondatezza della domanda risarcitoria di cui ai secondi motivi aggiunti, per carenza del presupposto di cui all’art. 2043 c.c. dell’antigiuridicità del provvedimento.
Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite, in considerazione della obiettiva complessità giuridica delle questioni trattate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso come integrato dai motivi aggiunti, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Perugia nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2019 con l'intervento dei magistrati:
Raffaele Potenza, Presidente
Paolo Amovilli, Consigliere, Estensore
Enrico Mattei, Primo Referendario