TAR Emilia Romagna (BO) Sez. II n.125 del 15 febbraio 2017
Rifiuti.Inquinamento del suolo ed obblighi di bonifica
L'obbligo di messa in sicurezza e di successiva bonifica è la semplice conseguenza oggettiva dell'aver cagionato l'inquinamento. Il complesso delle norme in tema di bonifica non sono altro che l'applicazione alla materia in esame (si potrebbe dire, la procedimentalizzazione nella materia in esame) della norma generale dell'art. 2043 c.c. (il cui disposto esiste da quando esiste il diritto), secondo cui ogni soggetto è tenuto a reintegrare il danno che abbia cagionato con il proprio comportamento. Norma generale che, d'altronde, è a sua volta espressione del principio, ancor più generale, di responsabilità, in base al quale ciascuno risponde delle proprie azioni (ed omissioni, naturalmente) (il c.d. principio comunitario del chi inquina paga ne costituisce ulteriore specificazione in materia ambientale). La circostanza che il danno (nel caso di specie, la contaminazione dei suoli e delle acque) sia scoperto a distanza di anni o decenni non impedisce di attivare la norma dell'art. 2043 c.c., né evita l'applicazione del principio di responsabilità.
Pubblicato il 15/02/2017
N. 00125/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00571/2016 REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 571 del 2016, proposto da:
Solvay s.a., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Dario Bolognesi e Fabio Cintioli, con domicilio eletto presso lo studio Andrea Aufiero in Bologna, via Santo Stefano 25;
contro
Agenzia Reg. per la Prevenzione l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia Romagna – ARPAE,
rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Fantini e Patrizia Onorato, con domicilio eletto presso l’ente medesimo in Bologna, via Po 5;
ARPAE - Struttura Autorizzazioni Concessioni di Ferrara, non costituita in giudizio;
Provincia di Ferrara, non costituita in giudizio;
Comune di Ferrara, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Cristina Balli, Barbara Montini, Edoardo Nannetti e Matilde Indelli, con domicilio eletto presso lo studio Cristina Balli in Bologna, via Altabella 3;
nei confronti di
SE.F.IM. s.r.l., non costituita in giudizio;
EDIL PROGRAM s.r.l., non costituita in giudizio;
per l'annullamento
- della determinazione dirigenziale dell'Agenzia Regionale per la Prevenzione l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia-Romagna prot.1356 del 9 maggior 2016 avente ad oggetto "Ordinanza ai sensi della parte quarta titolo V del d.lgs. 152 nei confronti di Solvay S.A. Comune di Ferrara Quadrante Est”;
- della nota dell'Agenzia Regionale per la Prevenzione, l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia-Romagna dell’11 aprile 2016;
- nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente o comunque connesso, ancorché non conosciuto dalla ricorrente;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Agenzia Reg. per la Prevenzione l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia Romagna - ARPAE e del Comune di Ferrara;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2017 la dott.ssa Rosalia Maria Rita Messina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il presente provvedimento viene redatto, nei limiti del possibile, in conformità al principio di sinteticità di cui all’art. 3/2 c.p.a., applicativo del principio di ragionevole durata del processo sancito dall’art. 11 Cost.
La ricorrente Solvay s.a. è destinataria di un’ordinanza emanata dall’Agenzia Regionale per la Prevenzione l'Ambiente e l'Energia dell'Emilia-Romagna (ARPAE) ai sensi dell’art. 244 del d. lgs. n. 152/2006 (codice dell’ambiente), in quanto ritenuta responsabile della contaminazione del sito Quadrante Est, in particolare per avere utilizzato a fini di smaltimento di rifiuti industriali l’area denominata fornace ex cave SEF (o fornace Masotti).
A Solvay è stato quindi ordinato di effettuare tutte le attività di bonifica e ripristino ambientale di cui agli artt. 242 e ss. del codice dell'ambiente, con possibilità di scegliere fa la presentazione di un nuovo piano di caratterizzazione ovvero il proseguimento delle attività già previste dal piano di caratterizzazione approvato.
In fatto la società ricorrente osserva che il sito in questione dista 4 km in linea d’aria dal suo stabilimento (in cui si producono PVC e clorometani) e che la contaminazione deriverebbe non dallo stabilimento ma dai percolati di discariche comunali, cioè siti gestiti e custoditi dal Comune.
È la stessa Solvay a precisare in ricorso che nel proprio stabilimento sito in Ferrara, via Marconi 73, essa ha svolto, nel periodo 1951 - 1984, attività di produzione di clorometani e polivinilcloruro (PVC).
Nel 2010 il Comune ha approvato un piano di caratterizzazione dell’area del Quadrante Est, realizzando un progetto di messa in sicurezza con asporto di percolato nelle due discariche in essa presenti.
Il Comune ha invitato la Provincia a effettuare le indagini di individuazione del responsabile della contaminazione. Le indagini isotopiche hanno constatato un collegamento diretto tra sostante inquinanti rinvenute nel Quadrante Est e produzione di sostanze quali i clorometani e il PVC, sicché Solvay sarebbe responsabile della contaminazione (o, come preferirebbe la ricorrente, originario produttore del rifiuto).
In sede di contraddittorio procedimentale la Solvay ha contestato l’esito della fase istruttoria e, in via subordinata, ha sostenuto l’assenza di ogni responsabilità a proprio carico, distinguendo tra inquinamento e conferimento di una minima parte del rifiuto in questione nelle discariche comunali, in accordo con il Comune.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto accertata la responsabilità di Solvay, sicché l’ha invitata a bonificare il sito scegliendo fra la predisposizione di un nuovo piano di caratterizzazione e la prosecuzione delle attività previste dal precedente piano.
Il Comune di Ferrara, costituitosi in resistenza, nega dal canto suo la liceità del conferimento dei rifiuti nelle discariche di cui trattasi, invoca atti regolamentari e rappresenta che è in corso una bonifica del sito in cui sorge lo stabilimento Solvay, contaminato dalle medesime sostanze che sono state rinvenute nel sito Quadrante Est.
Anche ARPAE si è costituita in resistenza contestando le deduzioni di parte ricorrente e insistendo sulla prova dei fatti dai quali scaturisce la responsabilità e sulla ricostruzione della normativa anteriore al 2006; inoltre, le stesse osservazioni della società confermerebbero il deposito delle peci clorurate, mentre non sarebbero provati gli accordi tra la società stessa e il Comune di Ferrara..
Con ordinanza cautelare n. 297/2016 è stata fissata la trattazione in pubblica udienza ai sensi dell’art. 55/10 c.p.a.
Alla pubblica udienza del 31 gennaio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.
2a. Con il primo motivo di doglianza parte ricorrente deduce la violazione della disciplina del codice dell’ambiente e dell’art. 244 di esso in particolare. Le argomentazioni della ricorrente possono essere sintetizzate come segue.
A) Solvay, negando di poter essere ritenuta responsabile dell’inquinamento in quanto l’utilizzazione del metano nei processi produttivi era all’epoca dei fatti (un trentennio e oltre, fra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta) diffusa e riconducibile a diversi soggetti, indica come possibili responsabili il gestore e/o il proprietario del sito e sostiene che la compromissione ambientale deriverebbe dal modo in cui la discarica è stata gestita.
B) Erronea sarebbe l’impostazione di ARPAE, basata sulla qualificazione del conferimento dei rifiuti da parte di Solvay come abusivo; infatti – sostiene la ricorrente – il Comune non avrebbe distinto tra tipologie di rifiuti, tutti ugualmente conferibili (richiama in proposito la deliberazione consiliare n. 26348/1952).
C) Il principio “chi inquina paga” implicherebbe che il regolare conferimento dei rifiuti in discarica determina l’interruzione del nesso causale fra il comportamento e l’effetto di inquinamento.
D) La natura industriale del rifiuto neppure rileverebbe, in quanto all’epoca del conferimento in regolare discarica la distinzione non era presente nell’ordinamento.
E) La prova dell’adombrata abusività dello sversamento incombeva su ARPAE.
F) In ogni caso, vi sarebbero prove documentali dalle quali emergerebbe l’impossibilità di addossare alla Solvay la responsabilità dell’inquinamento del Quadrante Est (si tratta di deliberazioni consiliari sulla discarica di vario contenuto, una delle quali accenna alla Solvay, che allora si chiamava Società dell’Aniene).
La difesa di Solvay si sviluppa, in sostanza, lungo tre direttrici: la natura non abusiva del conferimento che afferma essere stato autorizzato e comunque consentito dal Comune di Ferrara, l’addossamento della responsabilità al Comune stesso per le modalità di gestione della discarica, l’impossibilità di essere individuato come unico soggetto alla cui produzione ricondurre le peci clorurate.
2b. ARPAE sostiene che dagli studi effettuati risulta il quadro fattuale di seguito sintetizzato:
– le due discariche presenti nel Quadrante Est della città di Ferrara erano destinate allo scarico soltanto di rifiuti solidi urbani, inerti e immondizie;
– in tale area sono state reperite sostanze contaminanti riconducibili a scarti di attività petrolchimica o di chimica pesante (peci clorurate);
– sia nel sito Quadrante Est che nel sito Solvay è stata riscontrata una famiglia di solventi clorurati dalla cui natura si evincerebbe che per la produzione sia stato usato metano impoverito in 13 C che ha dato origine a idrocarburi clorurati con composizione isotopica impoverita;
– la produzione di clorometani e PVC è riconducibile unicamente allo stabilimento Solvay di Ferrara, dove tale produzione è avvenuta tra il 1951 e il 1984;
– in sede dapprima procedimentale e poi processuale Solvay ha ammesso e confermato di avere conferito in quelle discariche i propri materiali di scarto, pur sostenendo di averlo fatto sulla base di un accordo con il Comune e dietro pagamento di corrispettivo;
– non è stato prodotto alcun contratto a titolo oneroso, autorizzazione o atto di consenso del Comune allo sversamento di tali materiali pericolosi nell'area in contestazione.
ARPAE invoca la giurisprudenza consolidata e i principi che in materia sono stati elaborati: gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale l'inquinamento sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo (art. 244/2 del d.lgs. n. 152 del 2006); solo se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato) – Cons. Stato n. 4119/2016, Cons. Stato, V, n. 3756/2015 e Adunanza Plenaria, ordinanza n. 21/2013) – sarà l’amministrazione competente ad adottare gli interventi necessari (art. 244/4 d.lgs. cit.); le spese sostenute per effettuare tali interventi possono essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (che giustifichi tra l'altro l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), mediante azione di rivalsa nei confronti del proprietario.
2c. Anche il Comune di Ferrara ha contestato le deduzioni contenute in ricorso, concentrando i propri sforzi difensivi sulla dimostrazione del fatto che la discarica in cui Solvay ha conferito per decenni i rifiuti inquinanti era una discarica destinata allo smaltimento di rottami inizialmente e, successivamente, di rifiuti comuni; ciò l’ente ha inteso comprovare attraverso il deposito di alcuni atti deliberativi e attraverso l’esame di quelli depositati da controparte.
2d. Il Collegio – per rispetto del principio di sinteticità cui già si è fatto cenno – si esime dal riportare tutti i passi degli atti di causa in questione, limitandosi a constatare come non vi sia alcuna prova del fatto che l’utilizzazione dell’area come luogo di smaltimento dei rifiuti industriali da parte di Solvay avvenisse sulla base di atti autorizzativi o negoziali o comunque con il consenso del Comune.
Risultano invece indizi gravi, precisi e concordanti (prova per presunzioni semplici: art. 2727 c.c.) sui quali basare l’accertamento della responsabilità di Solvay per l’inquinamento del Quadrante Est di Ferrara; si tratta essenzialmente:
– della vicinanza dell'impianto dell'operatore all'inquinamento accertato (vicinanza da intendere non certo come contiguità, bensì come appartenenza alla medesima area e come distanza tale da consentire lo sversamento);
– della corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell'esercizio della sua attività (cfr.:, per la sufficienza di tali elementi a fondare la presunzione di responsabilità dell’operatore, Consiglio di Stato, VI, n. 3165/2014).
Come risulta dagli atti di causa, all’individuazione di Solvay come responsabile dell’inquinamento di cui trattasi si è pervenuti attraverso diversi passaggi istruttori.
Da indagini affidate alle società COGEF e PARCO emergeva la presenza di rifiuti industriali nelle discariche situate nel Quadrante Est, sicché il Comune di Ferrara, nel 2004, incaricava l’Università di Ferrara di effettuare le opportune ricerche. Si confermava l’inquinamento del sito in questione con composti organici clorurati. Nel 2005 il Comune, in collaborazione con l’Università, proseguiva nelle indagini: si perveniva infine alla redazione del Piano di caratterizzazione approvato con deliberazione di Giunta comunale del 16 marzo 2010.
Le indagini isotopiche della Provincia avevano individuato Solvay come responsabile dell’inquinamento, ovvero del superamento dei limiti tabellari previsti dal d. lgs. n. 152/2006.
Non vi sono ragioni per dubitare dell’attendibilità scientifica delle ricerche sulle quali si è basata la individuazione di Solvay come responsabile del fenomeno inquinante oggetto di controversia. La lettura della relazione tecnica della Provincia e della ponderosa documentazione versata in atti dimostra che l’istruttoria fu tutt’altro che carente.
La su menzionata relazione tecnica si basa, come afferma la premessa, su nove fonti, innanzitutto sul Piano di caratterizzazione del 2010 e, per citare solo alcune delle altre fonti, sullo studio condotto da docenti del Dipartimento di Scienze della Terra dell’ateneo ferrarese, e sul volume La storia delPetrolchimico, CDS Edizioni 2006, dal quale sono state ricavate notizie storiche sul sito Solvay.
Dall’identità fra il tipo di contaminazione del terreno sottostante l'impianto Solvay e il tipo di contaminazione riscontrata nel Quadrante Est si desume la responsabilità della Solvay.
Le argomentazioni addotte dai tecnici di Solvay in sede di contraddittorio procedimentale, nella nota con la quale si afferma che vi erano diversi produttori e utilizzatori di composti chimici a base di metano oltre Solvay, nel periodo considerato, sono troppo generiche.
Deve a questo punto sottolinearsi che parte ricorrente non nega l’utilizzazione dell’area in questione per lo smaltimento delle peci clorurate, bensì tenta di sostenere la legittimità dello sversamento invocando accordi indimostrati con il Comune di Ferrara.
Il nesso di causalità tra attività della Solvay e inquinamento del Quadrante Est appare comprovato. A tal proposito, pur dovendosi motivare in conformità alla doverosa sinteticità da osservare anche nei provvedimenti giurisdizionali, vale la pena di ricordare che, in mancanza di una definizione normativa del nesso di causalità, gli interpreti hanno elaborato, in ambito civilistico, la teoria del "più probabile che non", applicata anche nella materia de qua (cfr.: TAR Abruzzo – Pescara, I, n. 2014/2014).
Secondo tale impostazione, per affermare il legame causale non è necessario raggiungere un livello di probabilità (logica) prossimo a uno (cioè la certezza), bensì è sufficiente dimostrare un grado di probabilità maggiore della metà (cioè del 50%).
La Corte di Giustizia Europea (C-188/07), nell’interpretare il principio “chi inquina paga” (che consiste nell’addossare ai soggetti responsabili i costi cui occorre far fronte per prevenire, ridurre o eliminare l'inquinamento prodotto), fornisce una nozione di causa in termini di aumento del rischio, ovvero come contribuzione da parte del produttore al rischio del verificarsi dell'inquinamento.
Alla luce di detti principi, il quadro indiziario è, come si è detto, sufficiente a individuare Solvay come responsabile dell’inquinamento secondo il su menzionato criterio del “più probabile che non” (si veda la già citata sentenza del TAR pescarese in cui, a fronte di un quadro indiziario corposo, si afferma che il soggetto individuato come responsabile «non avrebbe potuto limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi, ma avrebbe dovuto provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento. »
Orbene, in base al più volte menzionato principio di derivazione comunitaria "chi inquina paga", il produttore responsabile dell'inquinamento deve sostenere i costi della bonifica, a meno che non si riesca a dimostrare un nesso di causalità tra la condotta del proprietario e la realizzazione dell'illecito (da ultimo, CGUE, sez. III, 4 marzo 2015, C-534/13), il che nel caso in esame non è accaduto.
La censura in esame va, in conclusione, respinta.
3. In subordine la società ricorrente deduce violazione dell'art. 244 del d.lgs. n. 152/2006, dell'art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale e del principio di irretroattività delle leggi, dei principi di proporzionalità e ragionevolezza, nonché eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione.
Sostiene la ricorrente che, essendosi esauriti comunque i comportamenti che le sono stati contestati alla fine degli anni Sessanta, epoca in cui sarebbe cessata l’attività delle discariche di cui trattasi, non potrebbe applicarsi la disciplina delle bonifiche ambientali introdotta con il codice dell’ambiente del 2006.
Va in proposito osservato che la giurisprudenza si è già occupata, in relazione ad analoghe fattispecie, della questione, soprattutto in relazione al complesso normativo di cui al d.lgs. n. 22/1997 e del D.M. n. 471/1999, entrato in vigore diversi anni dopo la cessazione dell'inquinamento. È stato condivisibilmente osservato che l’accoglimento di una simile tesi «comporterebbe l'impossibilità di applicare le norme in tema di bonifica a ciascuno degli episodi di inquinamento verificatisi nel corso del '900 nel territorio italiano, svuotando praticamente di significato tutto il sistema normativo delle bonifiche dei suoli inquinati» e che essa «poggia sull'idea che l'obbligo di messa in sicurezza e di successiva bonifica sia la sanzione (retroattiva) per un comportamento illecito tenuto dall'inquinatore (quando non era ancora considerato illecito) » (TAR Lombardia – Brescia, I, n. 1081/2011).
Nella stessa sentenza si chiarisce che «l'obbligo di messa in sicurezza e di successiva bonifica è la semplice conseguenza oggettiva dell'aver cagionato l'inquinamento. Il complesso delle norme in tema di bonifica non sono altro che l'applicazione alla materia in esame (si potrebbe dire, la procedimentalizzazione nella materia in esame) della norma generale dell'art. 2043 c.c. (il cui disposto esiste da quando esiste il diritto), secondo cui ogni soggetto è tenuto a reintegrare il danno che abbia cagionato con il proprio comportamento. Norma generale che, d'altronde, è a sua volta espressione del principio, ancor più generale, di responsabilità, in base al quale ciascuno risponde delle proprie azioni (ed omissioni, naturalmente) (il c.d. principio comunitario del chi inquina paga ne costituisce ulteriore specificazione in materia ambientale).
La circostanza che il danno (nel caso di specie, la contaminazione dei suoli e delle acque) sia scoperto a distanza di anni o decenni non impedisce di attivare la norma dell'art. 2043 c.c., né evita l'applicazione del principio di responsabilità.
Dall'aver cagionato l'inquinamento deriva l'obbligo di bonifica; dalla violazione dell'obbligo di bonifica derivano conseguenze penali, che sono - esse sì sanzioni - per la commissione di un illecito che deve essere stato commesso dopo l'entrata in vigore delle norme stesse (con la precisazione che in questo caso l'illecito è costituito dalla violazione dell'obbligo di bonifica, e non dall'inquinamento pregresso). »
Analogamente, con riguardo alla disciplina di cui al d. lgs. n. 152/2006, la giurisprudenza, decidendo in relazione a fattispecie di contaminazione storica, ha stabilito che le misure di prevenzione e riparazione previste dal predetto testo normativo si applicano anche ai soggetti responsabili di eventi di inquinamento verificatisi anteriormente all’entrata in vigore di esso, ai sensi dei commi decimo e undicesimo dell’art. 242 (si vedano: Consiglio di Stato, VI, n. 4225/2015; TAR Toscana, II, n. 164/2016).
Anche la cesura in esame va dunque respinta.
4. Il ricorso in esame, per tutte le esposte considerazioni, va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna respinge il ricorso in epigrafe.
Pone le spese processuali a carico della società ricorrente, liquidandole, in favore delle amministrazioni resistenti, in € 14.000,00 (quattordicimila/00), oltre accessori di legge, in ragione di € 7.000,00 (settemila/00) per ciascuna di dette parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bologna nella camera di consiglio del giorno 31 gennaio 2017 con l'intervento dei magistrati:
Giancarlo Mozzarelli, Presidente
Rosalia Maria Rita Messina, Consigliere, Estensore
Maria Ada Russo, Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Rosalia Maria Rita Messina Giancarlo Mozzarelli