Consiglio di Stato Sez. VI n. 3788 del 28 luglio 2017
Urbanistica.Lottizzazione abusiva ed individuazione della buona fede o della mala fede dell’acquirente in base all’atto notarile
 
La buona fede dell’acquirente in base all’atto notarile non può essere, in generale, né presunta, né a priori esclusa, ma va accertata caso per caso, secondo specifiche circostanze


Pubblicato il 28/07/2017

N. 03788/2017REG.PROV.COLL.

N. 05360/2016 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5360 del 2016, proposto dalla signora Mirta Nicoletta Fortunato, rappresentata e difesa dagli avvocati Manfredo Napoli e Ferdinando Iazzetta, domiciliata ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, in Roma, piazza Capo di Ferro 13;

contro

il Comune di Giugliano in Campania, nella persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Riccardo Marone, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. L. Napolitano in Roma, via Sicilia, 50;
il Dirigente dell’.Ufficio tecnico e antiabusivismo del Comune di Giugliano, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Immobiliare Aprovitola S.p.A. non costituita in giudizio;

per l’annullamento e la riforma

della sentenza del TAR Campania, sede di Napoli, sezione II 02 dicembre 2015 n.5538, resa fra le parti, che ha respinto il ricorso n.444/2015 R.G. proposto per l’annullamento dell’ordinanza 8 ottobre 2014 n.41 del Comune di Giugliano in Campania, con la quale sono stati ingiunti, fra gli altri, alla parte ricorrente: a) l’immediata sospensione di ogni attività edilizia e l’immediata interruzione delle opere in corso, relativamente a opere ritenute abusive, consistenti: 1) nel cambio di destinazione d’uso dell’intero complesso immobiliare sito in via Madonna del Pantano 44, da residence turistico a parco residenziale per civili abitazioni; 2) nel cambio di destinazione d’uso dei sottotetti, da deposito a residenza; 3) nell’aumento da sette ad otto dei numero dei fabbricati realizzati; 4) nella diversa ubicazione dei manufatti rispetto a quanto assentito nel permesso di costruire; 5) nella variazione delle distanze dal confine; b) il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse già realizzate e il divieto di stipula di atti fra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata; il tutto con trascrizione nei registri immobiliari dell’ordinanza stessa e avvertimento che, in caso di sua mancata revoca nel termine di 90 giorni le aree lottizzate devono intendersi acquisite di diritto al patrimonio comunale;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Giugliano in Campania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 aprile 2017 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti gli avvocati Manfredo Napoli, Ferdinando Iazzetta e Riccardo Marone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’ordinanza 41/2014 indicata in epigrafe, il Comune di Giugliano in Campania ha provveduto in merito ad una asserita lottizzazione abusiva sul terreno sito in corrispondenza del numero 44 della via Madonna del Pantano, originariamente distinto al catasto al foglio 55/d, particella 3183, nei termini che seguono.

Con l’ordinanza in questione, il Comune ha anzitutto richiamato una precedente propria ordinanza di demolizione, n.77/2008, con la quale aveva contestato come abusi le opere sempre descritte in epigrafe, nei confronti della società immobiliare che le aveva eseguite.

Il Comune stesso ha poi richiamato una relazione di sopralluogo, prot. n.9052 del 16 dicembre 2013, redatta dai propri tecnici, dalla quale risulterebbe una lottizzazione abusiva materiale realizzata sulla particella di terreno sopra citata, mediante le opere abusive in questione e gli atti catastali e notarili con i quali sono state di conseguenza create 212 unità abitative subalterne, con destinazione catastale A2, ovvero “abitazione di tipo civile” e C2 ovvero C6, corrispondente a locali accessori.

Ciò premesso, il Comune ha ordinato agli attuali proprietari, e fra essi alla parte ricorrente appellante, di sospendere le opere in corso; ha loro intimato il divieto di disporre dei suoli e delle opere stesse già realizzate e il divieto di stipula di atti fra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata; ha disposto contro di loro la trascrizione dell’ordinanza nei pubblici registri immobiliari e ha dato atto che che, in caso di mancata revoca dell’ordinanza stessa nel termine di 90 giorni le aree lottizzate devono intendersi acquisite di diritto al patrimonio comunale (v. per tutto ciò l’ordinanza impugnata).

Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha respinto il ricorso proposto contro tale ordinanza, ritenendo in sintesi estrema che la lottizzazione abusiva sussista e che le relative sanzioni vadano a carico anche degli attuali proprietari, anche se costoro, acquirenti in buona fede degli immobili, sono estranei alle opere e agli atti mediante i quali la lottizzazione è stata realizzata.

Contro tale sentenza, la parte ricorrente in primo grado propone impugnazione, con appello contenente quattro censure in diritto, corrispondenti secondo logica ai tre motivi che seguono:

- con il primo di essi, corrispondente alle censure contenute nei §§ III e IV alle pp. 8 e 22 dell’atto, deduce in sintesi eccesso di potere per illogicità manifesta ovvero difetto di istruttoria e motivazione, perché, in sintesi estrema, a suo dire il Comune non avrebbe contestato l’illecito, comunque a dire della parte non configurabile come lottizzazione abusiva (v. pp. 12 decimo rigo dal basso e 21 dell’atto), in modo tale da consentire di comprendere le norme urbanistiche violate, la tipologia e la natura dell’abuso, nonché l’entità della sanzione (in particolare, v. p. 9 in fine dell’atto). In proposito, fa presente (pp. 15 e ss.) che lei stessa e gli altri interessati potrebbero presentare all’amministrazione una proposta di piano di recupero, che consentirebbe di sanare l’abuso stesso

- con il secondo motivo, corrispondente al § V a p. 27 dell’atto, deduce propriamente violazione degli artt. 30 e 44 del T.U. 6 giugno 2001 n.380, perché non sussisterebbero i presupposti per l’acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale, sotto i profili sia della mancanza del parere della Sezione urbanistica regionale, sia della mancata dimostrazione che la demolizione delle opere abusive non recherebbe pregiudizio alle parti regolari dell’edificio, sia infine della buona fede del proprietario intimato, che si afferma non responsabile dell’abuso;

- con il terzo motivo, corrispondente al § VI a p. 34 dell’atto, deduce infine eccesso di potere per asserita ingiustificata disparità di trattamento, perché l’ordinanza impugnata non avrebbe valutato la possibilità di applicare semplici sanzioni pecuniarie.

Il Comune intimato appellato ha resistito con memorie 30 giugno e 20 luglio 2016, ed ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile, in quanto non contenente una critica precisa alla sentenza impugnata, e comunque respinto nel merito; ha in particolare dedotto (memoria 20 luglio 2016 p. 9 ultime quattro righe) che la parte acquirente avrebbe avuto uno specifico dovere di informazione e di diligenza, non mitigato dall’intervento del notaio rogante, e quindi si sarebbe dovuta accorgere che il permesso di costruire, pur esistente, consentiva di edificare un residence, e non un complesso di villette a schiera di civile abitazione.

Con ordinanza 14 settembre 2016 n.3875, la Sezione ha accolto la domanda cautelare.

Con memorie 16 marzo 2017 per la parte ricorrente appellante e 29 marzo 2017 per il Comune, le parti hanno infine ribadito le rispettive difese.

All’udienza del giorno 20 aprile 2017, fissata con l’ordinanza cautelare sopra citata, la Sezione ha infine trattenuto il ricorso in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è ammissibile, e quindi va respinta l’eccezione preliminare proposta dal Comune come in narrativa.

Per costante giurisprudenza, che come tale non richiede puntuali citazioni, la critica alla sentenza impugnata, che comunque nell’atto si ritrova, si veda ad esempio la p. 12 ultime cinque righe, da parte dell’appellante che sia il ricorrente soccombente in primo grado ben si può risolvere nella riproposizione dei motivi dedotti in quella sede, sull’implicita premessa che il primo Giudice non li abbia correttamente valutati.

2. Ciò posto, l’appello è fondato nel merito, perché ne è fondato il primo motivo, che riveste altresì carattere assorbente, nei termini di cui subito.

In ordine logico, ci si deve anzitutto chiedere se la lottizzazione abusiva di cui l’ordinanza parla sussista come fatto materiale, in secondo luogo si deve verificare se essa sia correttamente contestata al destinatario dell’ordinanza, ovvero alla parte ricorrente appellante, nel senso che siano correttamente evidenziati gli elementi da cui deriverebbe la sua responsabilità in merito.

3. Quanto al fatto, la lottizzazione abusiva, per cui è processo, attualmente è prevista in via generale dall’art. 30, comma 1, del T.U. 6 giugno 2001, n. 380; norma che, peraltro, nell’ordinamento non costituisce una novità assoluta.

La prima norma storicamente intervenuta in materia era infatti l’abrogato art. 28, comma 1, legge 17 agosto 1942, n. 1150, che disponeva: “Prima dell’approvazione del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione di cui all’art. 34 della presente legge è vietato procedere alla lottizzazione dei terreni a scopo edilizio”, senza peraltro dare un’esplicita definizione della “lottizzazione”.

Quest’ultima, infatti, compare soltanto nell’art. 18 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, in senso sostanzialmente identico alla norma attuale.

4. L’art. 30 del T.U. 380/2001 al comma 1 prevede dunque che “Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione; nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”.

L’illecito previsto dalla norma ha anzitutto conseguenze amministrative sul piano urbanistico.

In base ai commi successivi dello stesso articolo, infatti, l’ordinanza che accerta la lottizzazione abusiva, come avvenuto nella vicenda per cui è processo, deve disporre l’immediata sospensione delle opere in corso; va trascritta nei registri immobiliari e comporta da quel momento l’impossibilità di disporre per atto fra vivi degli immobili interessati; a pena di nullità degli stessi atti di alienazione, comporta altresì che gli immobili, decorso un breve termine, siano acquisiti di diritto al patrimonio comunale e che l’Ente proceda d’ufficio alla demolizione delle opere abusive.

La lottizzazione abusiva costituisce anche illecito penale, ai sensi dell’art. 44 comma 1 lettera c) dello stesso T.U. 380/2001; nondimeno, in forza del principio di autonomia tra processo amministrativo e penale, nonché tra i relativi giudicati, tale profilo non assume particolare rilevanza ai fini della presente decisione.

5. Ciò posto, la giurisprudenza è concorde nell’individuare che l’interesse protetto dalla norma è, in sintesi, quello di garantire un ordinato sviluppo urbanistico del tessuto urbano, in coerenza con le scelte pianificatorie dell’amministrazione: si vedano in generale, come particolarmente approfondite, C.d.S., IV, 7 giugno 2012, n. 3381, e 19 giugno 2014, n. 3115, nonché Cass. pen., Sez. III, 3 dicembre 2013, n. 51710.

In merito, si parte dal presupposto di fatto per cui le scelte espresse nel piano urbanistico generale di un Comune di regola non possano essere attuate mediante il diretto rilascio di permessi di costruire agli interessati, ma richiedano l’intermediazione di uno strumento ulteriore, rappresentato dai piani attuativi.

Il piano attuativo infatti, come osserva in motivazione la citata Cass. pen. n. 51710/2013, ha la funzione di “precisare zona per zona”, con i dettagli necessari, “le indicazioni di assetto e sviluppo urbanistico complessivo contenute nel piano regolatore”, e quindi di attuarle “gradatamente e razionalmente” e di garantire che ogni zona disponga di “assetto ed attrezzature rispondenti agli insediamenti”, ovvero delle opere di urbanizzazione, e tutto ciò, all’evidenza, trascende il possibile contenuto di un singolo permesso di costruire.

In tale contesto, la lottizzazione abusiva, in sintesi, sottrae all’amministrazione il proprio potere di pianificazione attuativa e la mette di fronte al fatto compiuto di insediamenti in potenza privi dei servizi e delle infrastrutture necessari al vivere civile; ciò che, com’è notorio, è fra le principali cause del degrado urbano e dei gravi problemi sociali che ne derivano.

6. Di conseguenza, sempre secondo Cass. pen. n. 51710/2013, si ha in generale lottizzazione abusiva fondamentalmente in tre casi.

Il primo è quello in cui si utilizzi un suolo libero realizzandovi, in via contemporanea o successiva, una pluralità di edifici – non rileva se a scopo residenziale, turistico o industriale – a prescindere dalle opere di urbanizzazione primaria o secondaria che si richiederebbero.

Il secondo è quello in cui, pur in presenza di opere di urbanizzazione già esistenti, non si tenga conto della necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso una pianificazione intermedia adeguata al nuovo intervento.

Il terzo è quello in cui si violino puramente e semplicemente le previsioni dello strumento urbanistico generale, che non consente, nemmeno per tramite di un piano attuativo, di intervenire in quella zona con le modalità in concreto adottate.

7. Ciò posto, l’art. 30 individua due modalità alternative fra loro con quali la lottizzazione abusiva si può realizzare.

La prima è quella della cd lottizzazione reale o materiale, la quale si verifica “quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione”.

La seconda è quella della cd lottizzazione formale, ovvero negoziale o cartolare, che invece si verifica “quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio”, ed esula dalla materia in esame, se non altro perché nel caso di specie si ragiona di immobili già edificati, e non di terreni con “destinazione” edificatoria.

8. Nell’ambito della lottizzazione reale, la giurisprudenza, per tutte le citate C.d.S. n. 3381/2012 e n. 3115/2014, e per implicito anche la pure citata Cass. pen. n. 51710/2013, ha individuato una fattispecie particolare, partendo dal rilievo per cui il concetto di “opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia”, che integra la condotta materiale dell’illecito, va interpretato in base allo scopo della norma che, come si è detto, è quello di salvaguardare il corretto sviluppo urbanistico del territorio.

Di conseguenza, per verificare se il divieto è stato violato si deve guardare non solo e non tanto alle singole opere realizzate, le quali isolatamente considerate ben potrebbero essere assistite ciascuna dal necessario titolo edilizio, ma “alla complessiva trasformazione edilizia che di quelle opere costituisce il frutto”. Può quindi costituire lottizzazione abusiva reale anche il cambio di destinazione d’uso di un complesso immobiliare formato da singoli elementi legittimamente edificati, se in tal modo si è imposto al territorio un carico urbanistico diverso da quello in origine previsto, e tale quindi da necessitare un adeguamento degli standard: nel caso allora deciso, una struttura abitativa era stata trasformata in turistica, realizzando al posto delle abitazioni un albergo con piscina.

Sulle contrarie deduzioni della parte appellante di cui a p. 12 ultime otto righe, secondo le quali il cambio d’uso non esisterebbe perché fra il residence turistico e l’abitazione, nella specie affittata ad uso turistico, non vi sarebbe una vera differenza, è sufficiente rilevare in sintesi estrema, che anche in base al significato proprio del termine nella lingua corrente, la differenza sussiste, perché il residence è una struttura ricettiva, formata da più unità gestite in via unitaria, e non è certo una casa privata o un insieme di case private, quale che sia l’uso che se ne fa.

9. Applicando i principi appena delineati al caso di specie, la fattispecie astratta di una lottizzazione abusiva reale, nel senso appena spiegato, nel momento in cui essa fu contestata effettivamente non sussisteva, se pure nel limitato senso di cui subito si dirà.

E’ un fatto accertato quanto risulta dalla sentenza di primo grado, ovvero che nella zona interessata, a destinazione urbanistica G3–Turistico-alberghiera, fosse stato in origine assentito un complesso di unità abitative da adibire a residence, e che le stesse unità siano stante invece destinate, in contrasto con la citata previsione di piano, a villette di abitazione, locali deposito e autorimesse (sentenza di I grado, p. 8 prime righe).

10. Nel caso in esame, però, l’ordinanza di cui si tratta risale al giorno 8 ottobre 2014, e quindi per decidere della sua legittimità, si deve tener conto di un dato ulteriore, ovvero del fatto che essa è stata emanata nel periodo di provvisoria vigenza del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in tale data, che all’art. 17 inseriva una serie di modifiche al T.U. 380/2001, in particolare inserendovi, con la relativa lettera n), un art. 23-ter, rubricato “Mutamento d’uso urbanisticamente rilevante”, che al comma 1 così recitava: “ Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d'uso ogni forma di utilizzo dell'immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall'esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l'assegnazione dell'immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale e turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale”.

In base alla norma suddetta, quindi, il mutamento di destinazione d’uso da residenziale a turistico ricettivo era all’epoca certamente irrilevante, e quindi non avrebbe potuto costituire lottizzazione abusiva la condotta che lo realizzasse.

La norma stessa non è stata riprodotta nella legge di conversione 11 novembre 2014, n. 133, ma ciò, come subito si dirà, non rileva.

11. I decreti-legge convertiti in legge con modifiche, infatti – all’opposto di quegli altri che, ex art. 77, III comma, Cost., “perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione” – non perdono efficacia sin dall’inizio, neppure nelle loro disposizioni modificate o soppresse, ma sono integralmente ratificati ex tunc, pur se con le modifiche, integrazioni e soppressioni che siano state apportate dalla legge di conversione: ciò in quanto – ai sensi dell’art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400 – “Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest'ultima non disponga diversamente”.

Sono dunque tali modifiche – e soltanto esse – che, rispetto al testo originario del decreto, entrano in vigore il “giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione”; con l’ineludibile corollario che per il periodo anteriore resta vigente il testo originario del decreto, proprio perché si tratta di decreto convertito in legge, con modificazioni, e ovviamente non rileva se molte o poche, e di qual tipo.

12. Ne deriva, di necessità, che, dalla data di emanazione del decreto e fino alla sua conversione in legge con modifiche, e dunque anche sotto la data indicata del 8 ottobre 2014, la norma recata dal cit. art. 23-ter è stata certamente in vigore, con l’effetto che l’ordinanza impugnata andrebbe per ciò solo annullata, essendo in contrasto con la normativa primaria vigente al momento della sua adozione.

13. Nondimeno, nella disamina del motivo di appello di cui si sta trattando, non ci si potrebbe fermare a questo solo profilo, perché gli effetti ripristinatori e conformativi dell’annullamento che fosse disposto solo in relazione ad esso sarebbero di per sé poco più che meramente formali, in quanto non ostativi a considerare esistente la lottizzazione abusiva che tale sia qualificabile secondo le norme successivamente vigenti, ossia sulla base della abolizione della norma dell’art. 23-ter ad opera della legge di conversione.

La lottizzazione abusiva, infatti, è un illecito di carattere permanente, che continua a sussistere nel tempo in dipendenza dalla volontà del responsabile.

Vale allora il principio, ben noto alla giurisprudenza penale, per cui la condotta di illecito permanente la quale, pur incominciata in un momento anteriore, sia protratta in contrasto con una norma successivamente intervenuta va sanzionata esclusivamente in base a quest’ultima: così, in termini generali, fra le molte, Cass. pen., sez. III, 9 settembre 2015, n. 43597.

In tali termini, non sarebbe allora impossibile reiterare l’ordinanza repressiva.

Di conseguenza, il motivo di appello in esame va esaminato anche con riguardo agli ulteriori profili di censura prospettati all’interno di esso, che sono in grado di procurare una maggiore utilità alla parte appellante.

14. Come si è detto, per contestare correttamente l’illecito, l’amministrazione avrebbe dovuto anche contestarlo correttamente all’interessato, ovvero prendere in considerazione anche l’elemento soggettivo di esso, e in particolare la possibilità di riconoscere tutela alla buona fede degli acquirenti.

Giova allora ricordare che, come è pacifico in causa, l’abuso fu realizzato dalla società costruttrice, estranea a questo processo, la quale realizzò il complesso immobiliare: la ricorrente appellante si è invece limitata ad acquistare una delle abitazioni così costruite per il proprio uso; e che, ulteriormente, l’originaria ordinanza di demolizione n.77/2008 non risulta essere stata trascritta, con il corollario, da un lato, della sua inopponibilità agli aventi causa nei singoli cespiti immobiliari e, dall’altro lato, della sua inutilizzabilità per desumerne elementi indiziari a riprova dello stato di mala fede degli odierni proprietari. In capo a costoro, anzi, ex art. 1147 cod. civ. “la buona fede è presunta e basta che vi sia stata al tempo dell’acquisto”, ma, ovviamente, “la buona fede non giova se l'ignoranza dipende da colpa grave”.

15. Ciò posto, occorre tener conto dall’orientamento espresso a partire dalla sentenza Corte europea diritti dell’Uomo, sez. II, 20 gennaio 2009, in ricorso n.75909/01, Sud Fondi c. Italia, nonché dalla successiva Corte costituzionale 26 marzo 2015, n. 49, da cui la citazione che segue, secondo cui, in estrema sintesi, la confisca, intesa come spossessamento del bene, disposta a fronte di una lottizzazione abusiva, ha natura di sanzione intrinsecamente penale e, come tale, anche quando venga in concreto applicata da un’autorità diversa dal Giudice penale, ovvero dall’autorità amministrativa, può essere disposta “solo nei confronti di colui la cui responsabilità sia stata accertata in ragione di un legame intellettuale (coscienza e volontà) con i fatti”.

16. Va allora tenuto conto della buona fede dell’appellante, la quale deriva dalla circostanza, in sé pacifica, del suo acquisto per mezzo di un atto pubblico notarile, con le caratteristiche di cui al caso concreto

È ben vero che, in termini assoluti, “l'intervento del notaio non garantisce una sorta di "ripulitura giuridica" della originaria illegalità dell'immobile abusivo” (così la più volte ricordata Cass. pen. n. 51710/2013), se non altro perché l’atto notarile è la normale modalità di acquisto degli immobili, cui si ricorre nella grande maggioranza dei casi, sicché se ad esso si ascrivesse valenza intrinsecamente sanante di ogni illegittimità degli acquisti immobiliari la repressione dell’abuso diventerebbe un fenomeno del tutto eccezionale, limitato ai pochi casi in cui il responsabile della lottizzazione non riuscisse ad alienare gli immobili a terzi.

Nondimeno, per chiarire quando il terzo acquirente, non personalmente responsabile dell’abuso, vada considerato in buona fede, è necessario illustrare in sintesi quale sia, sotto gli aspetti rilevanti, la disciplina di un atto notarile di tal tipo.

17. Va allora chiarito, in primo luogo, che, com’è pacifico anche nella prassi, il fabbricato risultante da lottizzazione abusiva non è per ciò solo incommerciabile, sicché non c’è un divieto generale e assoluto per il notaio di rogare un atto che l’abbia a oggetto.

Ciò si ricava anzitutto argomentando a contrario dall’art. 30 del cit. T.U. 380/2001: se tale divieto generale esistesse, non si comprenderebbe per qual ragione la norma lo ricolleghi invece alla trascrizione nei pubblici registri dell’ordinanza repressiva dell’abuso, nei termini sopra spiegati.

Ciò si ricava anche dal successivo art. 46, comma 1, del T.U. , secondo il quale “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell'alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria”.

In tali termini, è senz’altro vero che l’immobile parte di una lottizzazione abusiva potrebbe in concreto essere stato costruito senza alcun titolo edilizio, ma ciò non rappresenta, ancora una volta, la regola assoluta. Nel caso di specie, infatti, un permesso di costruire, quello relativo all’originario residence, esisteva, e averlo citato nell’atto notarile salva lo stesso dalla nullità; ancorché, come subito si vedrà, non significa che esso non possa essere irregolare sotto altri profili.

È solo per chiarezza, poi, che si ricorda come il distinto adempimento formale previsto dall’art. 30 – per cui la compravendita di terreni con dati requisiti richiede, a pena di nullità, l’allegazione del certificato di destinazione urbanistica – non riguardi comunque il caso in esame, in cui si tratta di fabbricati.

Nei termini appena descritti, quindi, l’acquirente non si può dire, all’opposto, nemmeno in mala fede per il solo fatto di aver stipulato l’acquisto del bene irregolare, poiché non si tratta di un atto comunque vietato dalla legge, che il notaio dovrebbe astenersi dal rogare.

18. Bisogna tenere però conto della circostanza per cui sul notaio, in quanto pubblico ufficiale, gravano obblighi di condotta ulteriori, che trascendono il semplice divieto di stipulare atti vietati.

In proposito, la Cassazione ha infatti puntualizzato che il notaio è tenuto anche all’osservanza dei “Protocolli dell’attività notarile”, ovvero di un complesso di regole deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale notarile, la cui violazione ha rilievo disciplinare, e in particolare del protocollo n.13, che si riferirebbe al caso in esame.

In proposito, peraltro, sono necessarie alcune precisazioni.

Il citato protocollo n.13 disciplina infatti la condotta del notaio che venga richiesto di rogare un atto per il quale si potrebbe configurare la lottizzazione abusiva, ma solo nel caso di lottizzazione cartolare, ovvero di atto che abbia per oggetto “trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali relativi a terreni di superficie inferiore a 10.000 mq”.

Risulta quindi inapplicabile a casi come il presente, in cui, come ribadito più volte, oggetto dell’atto sia un fabbricato.

19. In tema di fabbricati, dispone invece il protocollo n. 12, che però, a rigore, di lottizzazione abusiva non parla.

Nei “considerando” iniziali, per quanto qui di interesse, esso esordisce ricordando che “la circolazione dei medesimi si fonda sull’attività assertiva delle parti e non su verifiche dirette, di carattere tecnico, da parte del notaio”, se pur riconosce che questi deve “colmare asimmetrie d’informazione nelle parti in materie complesse come quella urbanistica ed edilizia e rendere quindi le parti stesse consapevoli degli effetti prodotti dalle fattispecie negoziali, anche in rapporto agli scopi pratici perseguiti”.

Ciò posto, il protocollo ricorda le menzioni a pena di nullità di cui si è detto, prescrive di controllare la regolarità della domanda di condono che risulti necessaria in relazione ad un “abuso maggiore”, suscettibile di incidere sulla commerciabilità del bene; prescrive poi un dovere di informazione delle parti e di controllo in relazione agli “abusi minori”.

Non è fatta invece alcuna specifica menzione di casi, come quello in esame, in cui il titolo edilizio sussista, ma l’abuso consista in una lottizzazione abusiva per cambio di destinazione d’uso.

20. Nei termini descritti, si deve allora concludere che la buona fede dell’acquirente in base all’atto notarile non può essere, in generale, né presunta, né a priori esclusa, ma va accertata caso per caso, secondo le specifiche circostanze, sulle quali quindi il Comune avrebbe avuto onere di motivare.

In proposito, ad un estremo, potrà essere ritenuto in linea di principio in buona fede il cittadino non esperto della materia, il quale acquisti un fabbricato con un atto rogato senza obiezioni da un notaio che di nulla ritenga di avvertirlo, ovvero che, interpellato, lo rassicuri sulla regolarità dell’operazione.

Sul punto, certamente non è condivisibile, nella sua assolutezza, l’affermazione della giurisprudenza, per cui i soggetti che acquistano un bene devono essere cauti e diligenti nell’acquisire conoscenza del suo regime urbanistico ed edilizio, poiché per le previsioni del piano regolatore generale sussisterebbe una presunzione legale di conoscenza, e comunque una facile verificabilità a mezzo di un certificato di destinazione urbanistica.

Si deve infatti osservare, sul punto, anzitutto che il comune cittadino non dispone, di regola, delle cognizioni necessarie a eseguire in proprio tali verifiche, sicché il suo obbligo di diligenza deve ritenersi assolto già al momento in cui egli si sia rivolto e affidato a un professionista qualificato cui abbia rappresentato lealmente i fatti semplici di cui egli sia a conoscenza e lasciando a questi di verificarne le conseguenze.

Si deve ancora osservare come, fin dalla nota sentenza di Corte cost. 24 marzo 1988, n. 364, il nostro ordinamento abbia abbandonato la responsabilità penale in senso stretto, ovvero anche la responsabilità latamente sanzionatoria, secondo il più recente paradigma esegetico adottato dalla C.E.D.U, fondata su presunzioni legali, e invece tuteli la buona fede derivante da non conoscenza che, nel contesto concreto, sia, anche soggettivamente, inevitabile.

Si deve infine aggiungere che la portata del certificato di destinazione urbanistica è diversa, poiché, come si è accennato, risulta dall’art. 30 T.U. che esso riguarda i terreni e non i fabbricati.

All’opposto, la buona fede sarà esclusa, pur senza che dall’atto notarile nulla traspaia, quando risulti che l’acquirente ragionevolmente poteva avere – anche se per altra via – conoscenza dei fatti, per esempio per aver esercitato il diritto di accesso alla relativa pratica edilizia, atto che presuppone una certa competenza tecnica in materia.

21. L’ordinanza impugnata va quindi annullata, perché, in definitiva, non contiene alcuna motivazione sulla responsabilità dei destinatari, e quindi, così come evidenziato dalla parte ricorrente appellante, non contiene effettivamente la dimostrazione che esistessero tutti gli elementi per contestare l’abuso.

Va però precisato che l’annullamento si riferisce soltanto alla confisca del bene, ovvero all’effetto per il quale la colpevolezza è espressamene richiesta.

Non opera invece per gli altri effetti previsti dall’art. 30 T.U., ovvero per il divieto di proseguire le opere e di disporre del bene dopo la trascrizione, trattandosi di effetti obiettivamente dipendenti dal carattere abusivo del bene e volti non a sanzionare, ma a impedire ulteriori conseguenze dell’abuso stesso.

22. Dall’accoglimento del primo motivo nei termini esposti, discende come già accennato che gli altri vadano dichiarati assorbiti.

Essi infatti prospettano l’illegittimità dell’ordinanza stessa sotto profili più particolari, che ne presuppongono la complessiva validità.

Non vanno quindi, secondo logica, essere esaminati, se l’ordinanza stessa è stata eliminata dal mondo giuridico.

23. Le spese del doppio grado, liquidate nella misura di cui in dispositivo, seguono per legge la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto (n.5360/2016), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n.5360/2013), lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in prime cure.

Condanna il Comune appellato a rifondere alla parte appellante le spese del doppio grado del giudizio, che liquida in complessivi Euro 6.000,00, oltre s.g. e accessori di legge, e rifusione del c.t.u. se versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 aprile 2017 con l'intervento dei magistrati:

Ermanno de Francisco, Presidente

Bernhard Lageder, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Francesco Mele, Consigliere

Francesco Gambato Spisani, Consigliere, Estensore

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Francesco Gambato Spisani        Ermanno de Francisco