TAR Lombardia (MI) Sez. IV n. 4598 del 2 settembre 2009
Rifiuti. Ordinanza di rimozione

L\'art. 192, d.lg. 3 aprile 2006 n. 192, non si limita a riprodurre il tenore dell’abrogato art. 14, d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (cd. decreto Ronchi) con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o di colpa, per l\'obbligo di rimozione dei rifiuti illecitamente abbandonati, ma integra l\'anzidetto precetto precisando che tale ordine può essere adottato esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo, con il palese intento di rafforzare e promuovere le esigenze di effettiva partecipazione dei potenziali destinatari del provvedimento allo specifico procedimento. In merito alla titolarità del potere va precisato che spetta al sindaco, ai sensi dell\'art. 192, comma 3, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, norma speciale sopravvenuta rispetto all\'art. 107, comma 5, d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti abbandonati
N. 04598/2009 REG.SEN.
N. 02194/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA

(Sezione Quarta)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 2194 del 2006, proposto da:
Azienda Agricola “Cascina del Poggio s.r.l.”, in persona del legale rappresentante pro – tempore sig. Pravettoni Gualtiero, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giorgio Razeto, Giuseppe Greppi e Patrizia Capurro, con domicilio eletto presso quest’ultima in Milano, piazza Cinque Giornate 5;


contro


il Comune di Mozzate, non costituito in giudizio;

per l\'annullamento

previa sospensione dell\'efficacia,

- dell’ordinanza contingibile ed urgente n. 28 del 6 giugno 2006 con cui il Sindaco di Mozzate ha ingiunto alla ricorrente di produrre la documentazione ivi indicata, presumibilmente ai sensi del Titolo V del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 e relativi allegati e di rimuovere entro 60 giorni il sottofondo della pista da trotto;

- di ogni altro atto presupposto, conseguente e connesso.


Visto il ricorso con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il referendario dott.ssa Laura Marzano;
Uditi, nell\'udienza pubblica del giorno 2 luglio 2009, i difensori delle parti come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:



FATTO


Oggetto di gravame è un’ordinanza del Sindaco di Mozzate con cui, fra l’altro, si ordina alla ricorrente di procedere, entro 60 giorni dalla notifica, alla rimozione del sottofondo della pista da trotto, composto da sabbia mista a granulato plastico, identificato come rifiuto speciale pericoloso, nonché allo smaltimento di quest’ultimo presso un impianto autorizzato, secondo quanto previsto dall’art. 182 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

Tale ordinanza, adottata con i poteri di cui all’art. 50 del d. lgs. 267/2000 e di cui al d. lgs. 152/2006, si fonda su un verbale del Comando Carabinieri per la Tutela dell’Ambiente, Nucleo Operativo Ecologico di Brescia n. 1/27-6, pervenuto al Comune il 14 febbraio 2006, relativo al traffico e alla gestione illecita di rifiuti da parte della ditta “Com. Steel s.p.a.” di Cernusco d’Adda, la quale ha venduto a varie aziende, tra cui l’Azienda Agricola “Cascina del Poggio”, materiale prodotto dalla macinazione di cavi elettrici, definito “granulato plastico”. Ulteriori atti presupposti sono: il verbale dell’A.R.P.A. Lombardia, Dipartimento di Bergamo, del 15 dicembre 2005 che ha analizzato un campione del suddetto materiale, prelevato presso la ditta che lo commercializza, e ne ha accertato la natura di rifiuto speciale pericoloso; la nota tecnica del 3 aprile 2006 con cui l’A.R.P.A. Lombardia, Dipartimento di Como, ha richiesto ai sindaci di vari Comuni, tra cui il Comune di Mozzate, l’emissione di ordinanze dal contenuto di tenore identico a quello dell’atto impugnato; il verbale di un sopralluogo effettuato da tecnici comunali presso la ditta ricorrente il 30 maggio 2006 in cui si riferisce dell’effettiva presenza del granulato plastico in n loco, come fondo della pista da trotto.

Avverso l’ordinanza in discorso, notificata il 12 giugno 2006, è insorta la ricorrente con il ricorso in epigrafe, notificato il 19 luglio 2006 e depositato il 30 agosto successivo.

Alla camera di consiglio del 7 settembre 2006, tenutasi dinanzi la II Sezione, la ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare, tuttavia, con successiva istanza notificata il 9 gennaio 2007, ha riproposto l’istanza di sospensione degli effetti dell’atto impugnato.

Con ordinanza n. 168 del 31 gennaio 2007 la II Sezione ha accolto l’istanza cautelare apprezzando sia la carenza di istruttoria in sede procedimentale, sia l’illegittimo esercizio di poteri ordinatori contrastanti e fondanti su presupposti affatto diversi della cui sussistenza era dato dubitare.

In vista dell’udienza di discussione la ricorrente ha prodotto ulteriori documenti e ribadito le proprie tesi difensive con breve memoria.

Il Comune intimato non si è costituito in giudizio.

Alla pubblica udienza del 2 luglio 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.


DIRITTO


1. Il ricorso è articolato nei seguenti undici motivi.

I) Violazione dell’art. 50 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, degli artt. 192, 240 comma 1, lett. b) e d), e 244 del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152; eccesso di potere per perplessità e contraddittorietà dell’atto in ordine al potere esercitato, per difetto di motivazione. La ricorrente sostiene che il richiamo a discipline differenti e tra loro contrastanti impedisce al destinatario dell’atto di conoscere quale dei poteri sia stato in concreto esercitato e vizia l’atto per perplessità; inoltre l’ordinanza contingibile ed urgente è un rimedio residuale ed atipico utilizzabile soltanto laddove la legge non contempli un rimedio tipico, come, nel caso di specie, lascia presumere il richiamo al codice dell’ambiente.

II) Violazione degli artt. 183, comma 1, lett. a), 184, comma 5, 192, 240, comma 1, lett. b) e d) e 244 del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152; eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione. La ricorrente osserva che la disciplina del codice dell’ambiente, richiamata genericamente nell’ordinanza impugnata, postula innanzitutto che si tratti di un “rifiuto”, tale dovendosi intendere quello di cui un soggetto intenda disfarsi, si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi; nel caso di specie il granulato plastico viene utilizzato, quindi non è qualificabile come rifiuto né è annoverabile tra i rifiuti di cui vi sia l’obbligo di disfarsi atteso che tale obbligo sussiste soltanto per i rifiuti pericolosi elencati nell’art. 184, comma 5, del d. lgs. 152/2006 o in altra apposita norma di legge. Di conseguenza non ricorre l’ipotesi dell’abbandono o deposito incontrollato di rifiuti, né l’ipotesi di un sito potenzialmente inquinato per il quale sia necessaria la caratterizzazione analitica, stante il mancato superamento dei valori di concentrazione soglia di contaminazione. Infine non si tratta di rifiuto perché il granulato plastico deriva da attività di recupero che lo ha trasformato in materia prima secondaria.

III) Violazione degli artt. 183, comma 1, lett. a), 184, comma 5, 192, 240, comma 1, lett. b) e d) e 244 del d. lgs. 152/2006; eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione. Si evidenzia che l’atto impugnato è stato adottato senza che sia stata accertata effettivamente la pericolosità del materiale o la potenziale contaminazione del sito ma, al contrario, basandosi su rilevi effettuati presso la venditrice il 20 ottobre 2005, quindi a distanza di un anno e mezzo dall’ultimo acquisto e di oltre due anni e mezzo dal primo acquisto compiuto dalla ricorrente, in altri termini sulla base di analisi effettuate su materiale completamente diverso; inoltre non è dimostrato che il materiale presente presso la ricorrente superi i valori di concentrazione previsti dalla legge e sia come tale qualificabile rifiuto pericoloso, né è dimostrabile con il sistema adoperato dall’amministrazione atteso che il granulato è ivi mescolato a sabbia, mentre presso la Com. Steel s.p.a., giaceva “puro” in quanto accatastato per la vendita. Tant’è che nella relazione relativa ai rilievi effettuati dall’A.R.P.A. di Asti presso altri due allevamenti, sulle cui piste è stato utilizzato lo stesso granulato acquistato dalla Com. Steel s.p.a., si conclude che trattasi quanto meno di “rifiuto speciale non pericoloso”.

IV) Violazione degli artt. 183, comma 1, lett. a), 184, comma 5, 192, 240, comma 1, lett. b) e d) e 244 del d. lgs. 152/2006; eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione. La relazione dell’A.R.P.A. di Asti e le relazioni tecniche di parte prodotte da altre aziende in giudizi identici hanno dimostrato che non si tratta di rifiuto, tanto memo di rifiuto pericoloso, anche perché è proprio la trasformazione eseguita presso la Com. Steel s.p.a. che rende il prodotto con caratteristiche merceologiche comparabili a quelle del prodotto vergine e, pertanto, legittimamente commercializzabili; in ogni caso resta il dato della mancanza di qualunque istruttoria presso la ricorrente, al fine di accertare l’eventuale superamento dei valori soglia di concentrazione e, quindi, della pericolosità del materiale ivi presente.

V) Violazione degli artt. 139, 240 e 244 d. lgs. 152/2006; eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà, illogicità manifesta, carenza di istruttoria e difetto di motivazione. La totale assenza di istruttoria si desume anche dal fatto che è la stessa ordinanza impugnata ad ingiungere una serie di attività, finalizzate all’accertamento della potenziale pericolosità, che invece spetterebbero all’amministrazione ai sensi dell’art. 244 del codice dell’ambiente.

VI) Violazione dell’art. 50 d. lgs. 267/2000, dell’art. 3 L. 241/90; eccesso di potere per difetto di motivazione e carenza istruttoria. La ricorrente opina che, se l’ordinanza impugnata dovesse essere intesa quale contingibile ed urgente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L., la carenza istruttoria sarebbe ancora più macroscopica mancando ogni dimostrazione della situazione di pericolo e della sua immediatezza.

VII) Violazione dell’art. 192 del d. lgs. 152/2006; eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza di istruttoria, difetto di motivazione con riferimento alla valutazione dell’elemento soggettivo della colpa. In subordine la ricorrente osserva che, anche a voler considerare il granulato plastico come rifiuto, difetterebbe il presupposto di cui all’art. 192 del codice dell’ambiente, secondo cui l’ordinanza può essere diretta al proprietario dell’area solo quando questi sia imputabile a titolo di dolo o di colpa, laddove l’utilizzo di detto materiale è avvenuto da parte della ricorrente in perfetta buona fede; buona fede che si desume proprio dal rapporto del 14 febbraio 2006 del Comando Carabinieri N.O.E. di Brescia in cui si afferma che il ridetto materiale è stato fornito come materia prima secondaria, quindi proveniente da operazioni di recupero conformi agli artt. 31 e 33 del d. lgs. 22/97, e che la Com. Steel s.p.a. ha falsificato la dicitura di granulato plastico.

VIII) Violazione dell’art. 244, comma 2, d. lgs. 152/2006; eccesso di potere per travisamento dei fatti, contraddittorietà, illogicità manifesta, carenza di istruttoria, difetto di motivazione. La documentazione, secondo la ricorrente, dimostra che l’unica destinataria di provvedimenti sanzionatori poteva essere la Com. Steel s.p.a..

IX) Violazione dell’art. 244, comma 2, d. lgs. 152/2006; eccesso di potere per incompetenza del Comune e per difetto di motivazione. La competenza ad emettere le ordinanze in materia di bonifica dei siti è della Provincia e non del Comune, ai sensi della nuova disciplina introdotta dalla parte quarta del d. lgs. 152/2006, entrata in vigore il 29 aprile 2006 e, pertanto, applicabile all’atto impugnato poiché adottato successivamente a tale data.

X) Violazione dell’art. 107 d. lgs. 267/2000; eccesso di potere per incompetenza del Sindaco. Qualora l’ordinanza impugnata venga riguardata come esercizio dei poteri di cui al testo unico degli enti locali, vi sarebbe, comunque, incompetenza del Sindaco atteso che, non trattandosi di atto di indirizzo politico esso, ai sensi dell’art. 107 d. lgs. 267/2000, rientra nella competenza dei dirigenti.

XI) Violazione degli artt. 7, 8 e 10 L. 241/90. L’ordinanza impugnata è illegittima anche per l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, in assenza di ragioni di urgenza, laddove la partecipazione della ricorrente al procedimento avrebbe potuto condurre all’adozione di un diverso provvedimento; peraltro neanche sussistevano le ragioni di urgenza poste alla base delle ordinanze di cui all’art. 50 T.U.E.L. visto che l’atto impugnato è stato adottato dopo quasi quattro mesi dalla ricezione del rapporto del N.O.E. di Brescia che classificava il materiale come rifiuto speciale pericoloso.

2. Il ricorso è fondato e merita accoglimento.

Ragioni di ordine logico inducono ad esaminare congiuntamente i motivi di ricorso e in un ordine diverso da quello prospettato dalla ricorrente.

2.1. Innanzitutto coglie nel segno la censura contenuta nel primo motivo di ricorso.

Come già osservato dalla II Sezione in sede cautelare, appare illegittimo l’esercizio congiunto dei poteri di cui all’art. 50 del d. lgs. 267/2000 e di quelli di cui al d. lgs. 152/2006, considerato che si tratta di poteri distinti che hanno presupposti diversi.

A tale proposito, giova richiamare l\'orientamento della giurisprudenza secondo cui la mera indicazione nel preambolo e nello stesso corpo del provvedimento amministrativo di una serie di disposizioni di legge senza la specificazione delle norme di riferimento, non implica la illegittimità dell\'atto solo qualora la formulazione letterale delle ragioni, l\'esposizione del fatto e il contenuto del dispositivo siano sufficientemente chiari ad individuare in concreto il potere esercitato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 luglio 2008, n. 3351; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 5 febbraio 2008, n. 554). Nel caso di specie il potere esercitato non è pacificamente desumibile dall’atto impugnato tant’è che la ricorrente ha dovuto argomentare le sue difese sulla base di presumibili intenzioni dell’amministrazione, svolte in via alternativa per l’eventualità che l’atto impugnato debba qualificarsi come ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L. ovvero come ordinanza di rimozione, avvio a recupero o smaltimento di rifiuti abbandonati e ripristino dello stato dei luoghi ai sensi dell’art. 192, comma 3, del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ovvero ancora come ordinanza preordinata alla bonifica di siti contaminati, qualora i livelli di contaminazione siano superiori ai valori di concentrazione soglia di contaminazione, ai sensi dell’art. 244, comma 2, dello stesso d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152.

2.2. La prima questione che il Collegio, pertanto, ritiene debba essere risolta è quella della esatta qualificazione del provvedimento impugnato e ciò in quanto i motivi di ricorso sono sostanzialmente riconducibili: alla totale assenza di attività istruttoria che dimostri sia l’esistenza di una situazione di pericolo tale da giustificare l’adozione di un’ordinanza contingibile ed urgente, sia la qualificabilità come rifiuto, per di più pericoloso, del granulato plastico utilizzato dalla ricorrente per il fondo della pista da trotto; alla circostanza che destinatario del provvedimento non poteva essere il proprietario dell\'area in mancanza dell’elemento soggettivo della colpevolezza e che l\'atto avrebbe dovuto essere adottato dal Dirigente e non dal Sindaco ovvero dalla Provincia ove qualificabile come ordine di bonifica di sito inquinato; alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, in assenza di ragioni di urgenza.

Dalle premesse del provvedimento impugnato sembrerebbe che il Comune abbia voluto costruire un provvedimento di natura complessa, avendo richiamato sia l\'art. 50 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sia, genericamente, il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

Tale ipotesi, tuttavia, non convince.

In realtà il provvedimento deve essere qualificato come provvedimento volto alla rimozione di rifiuti ai sensi delle disposizioni contenute nella parte quarta del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, non essendo possibile la qualificazione del ridetto provvedimento come atto complesso contenente anche un’ordinanza contingibile ed urgente in difetto di uno dei presupposti fondamentali del potere di ordinanza, cioè di una situazione di eccezionalità che non sia fronteggiabile con gli strumenti giuridici ordinari previsti dall\'ordinamento.

La fattispecie in esame appare chiaramente riconducibile alla previsione di cui all’art. 192 del d. lgs. 152/2006.

L\'art. 192, d.lg. 3 aprile 2006 n. 192, non si limita a riprodurre il tenore dell’abrogato art. 14, d. lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (cd. decreto Ronchi) con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o di colpa, per l\'obbligo di rimozione dei rifiuti illecitamente abbandonati, ma integra l\'anzidetto precetto precisando che tale ordine può essere adottato esclusivamente in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo, con il palese intento di rafforzare e promuovere le esigenze di effettiva partecipazione dei potenziali destinatari del provvedimento allo specifico procedimento (Cons. Stato, sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061).

In merito alla titolarità del potere va precisato che spetta al sindaco, ai sensi dell\'art. 192, comma 3, d. lgs. 3 aprile 2006 n. 152, norma speciale sopravvenuta rispetto all\'art. 107, comma 5, d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, la competenza a disporre con ordinanza le operazioni necessarie per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti abbandonati (Cons. Stato, sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061).

Non è pertanto condivisibile la censura contenuta nel decimo motivo di ricorso che vorrebbe attribuita ai dirigenti la competenza de qua in ragione della natura di fonte legislativa rinforzata delle norme contenute nel Testo unico degli Enti Locali.

Che l\'ordinanza impugnata debba ricondursi nella fattispecie astratta di cui all’art. 192 cit. è confermato dalla circostanza che essa non menziona neppure una situazione di particolare pericolo per la sanità e l\'igiene pubblica da fronteggiarsi con mezzi extra ordinem ma si limita ad elencare una serie di prescrizioni a carico della azienda destinataria, sostanzialmente afferenti la procedura di caratterizzazione dell’area, senza tuttavia specificare alcun profilo di urgenza dell\'intervento di ripristino imposto alla ricorrente.

Né a tale conclusione può essere di ostacolo il richiamo espresso, contenuto nell’atto impugnato, all’art. 50 del d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267, a tenore del quale (comma 5) le ordinanze contingibili e urgenti sono adottate dal sindaco, quale rappresentante della comunità locale “in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale”.

In proposito va richiamato il costante orientamento giurisprudenziale per cui il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti, spettante al sindaco, in qualità di ufficiale di governo, ai sensi dell\'art. 50 comma 5, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, è correlato all\'urgente necessità di dare risposta immediata a situazioni assolutamente eccezionali e non prevedibili e deve specificamente fondarsi, non già su generiche esigenze di sicurezza o di igiene o di tutela della salute pubblica, ma sull\'esistenza concreta di "gravi pericoli" incombenti, di dimensioni tali da costituire una concreta ed effettiva minaccia per l\'incolumità dei cittadini; le ordinanze contingibili ed urgenti si atteggiano, pertanto, come rimedi extra ordinem, da utilizzare quando non si possa ricorrere ai rimedi ordinari (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 8 maggio 2007, n. 1832; cfr. anche T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 13 marzo 2008, n. 593).

Se, dunque, per l\'esercizio di tale potere sindacale non si può prescindere dalla ricorrenza di un pericolo concreto e attuale di danno grave e imminente per la salute pubblica, la conseguenza è che tali provvedimenti devono normalmente essere preceduti da un\'adeguata attività istruttoria finalizzata all\'accertamento del predetto requisito (T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 5 febbraio 2008, n. 555).

Nel caso di specie, dal contenuto dell’atto impugnato, non è dato ricavare né la sussistenza di un grave pericolo per l’incolumità dei cittadini, né di una situazione eccezionale e imprevedibile che minacci la tutela dell’igiene o della salute pubblica, né vi è traccia di una possibile attività istruttoria dalla quale ricavare che sia stato accertato il suddetto pericolo. Ne consegue che difettano in toto i presupposti per il legittimo ricorso al potere extra ordinem di cui all’art. 50 T.U.E.L..

Le conclusioni che precedono portano a ritenere fondati e meritevoli di accoglimento il sesto e l’undicesimo motivo di ricorso: con quest’ultimo, infatti, si deduce l’illegittimità dell’atto per mancata comunicazione di avvio del procedimento in assenza di particolari ragioni di urgenza che ne giustifichino l’omissione ai sensi dell’art. 7, comma 1, della L. 7 agosto 1990, n. 241.

Costituisce ius receptum che l\'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento ha la finalità di consentire, per il tramite dell\'instaurazione di un contraddittorio con il destinatario dell\'atto, una efficace tutela delle ragioni di questi già nell\'ambito del procedimento amministrativo e contestualmente di fornire all\'amministrazione elementi di conoscenza utili all\'esercizio del suo potere discrezionale (Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 2008, n. 880). Né può trovare applicazione, in difetto di documentazione probatoria sul punto, il disposto dell\'art. 21octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, non essendo possibile affermare a priori che l\'eventuale apporto procedimentale della Società ricorrente sarebbe stato certamente inidoneo ad influire sull\'esito del procedimento, con specifico riguardo sia alla qualificazione del prodotto come rifiuto pericoloso sia alla eventuale responsabilità della proprietaria dell’area a titolo di dolo o colpa.

È infatti illegittimo un ordine di smaltimento di rifiuti emanato ai sensi dell\'art. 192 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, nei confronti del proprietario dell\'area, senza che a quest\'ultimo sia stata inviata da parte dell\'Amministrazione formale comunicazione dell\'avvio del procedimento, adempimento obbligatorio dovendosi ritenere recessive, nella specifica materia, le regole di cui agli art. 7 e 21octies L. 7 agosto 1990 n. 241 (Cons. Stato, sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061).

Nel caso di specie, appare evidente che la comunicazione di avvio del procedimento non avrebbe rappresentato l’adempimento di un obbligo meramente formale in quanto la partecipazione della ricorrente avrebbe consentito all’amministrazione di adottare certamente un provvedimento formalmente e sostanzialmente differente.

2.3. Con riferimento all’ulteriore ed ultimo sostanziale profilo di censura, afferente la totale mancanza di istruttoria in forza della quale potersi affermare essere in presenza di un “rifiuto”, che lo stesso sia “pericoloso” e che, in conseguenza, l’ordine di ripristino possa essere impartito al proprietario dell’area, va innanzitutto richiamato il dubbio, espresso dalla II Sezione nell’ordinanza di sospensione, circa la sussistenza dell’elemento soggettivo a carico dell’azienda ricorrente.

In proposito giova rammentare che la disposizione normativa cui appare riconducibile il provvedimento impugnato, l’art. 192, comma 3, del d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sancisce la responsabilità solidale del proprietario o del titolare di diritti reali o personali di godimento sull\'area interessata dalla presenza di rifiuti abbandonati, rispetto all\'autore materiale della trasgressione, nel solo caso in cui la violazione possa essergli ascritta a titolo di dolo o colpa.

Siffatto sistema sanzionatorio esclude la configurabilità di ipotesi di responsabilità oggettiva o di posizione, tale cioè da poter chiamare il proprietario del sito che ospita rifiuti abbandonati, per ciò solo, a risponderne indipendentemente dalla concreta verifica, da parte della Pubblica amministrazione, di una condotta anche semplicemente agevolatrice del fatto illecito del terzo.

Nella fattispecie all’esame del Collegio, la Società ricorrente si è limitata ad acquistare dalla Com. Steel s.p.a., a più riprese negli anni 2003 - 2004, quantità di un prodotto da questa commercializzato come “granulato di plastica”, regolarmente fatturato e descritto come “materia prima secondaria” ricavata da attività di recupero di cui agli artt. 31 e 33 del d. lgs. 22/97.

Ne discende, pertanto, che non sia ascrivibile alcuna responsabilità alla Società proprietaria della pista di trotto, per il cui fondo è stato utilizzato detto materiale, nella produzione dell’ipotetico e indimostrato stato di pericolo ambientale, dovendosi viceversa presumere, con un ragionevole margine di attendibilità, che unica responsabile sia la società che ha commercializzato il prodotto ponendolo in vendita e in distribuzione presso le numerose aziende agricole interessate dalla stessa vicenda per cui è causa. Pertanto la ricorrente non può essere ritenuta, neanche in via solidale, responsabile non essendo dimostrato né dimostrabile che con la propria condotta abbia neppure agevolato il fatto illecito del terzo.

Ai sensi dell\'art. 192, d. lgs. n. 152 del 2006, per ascrivere la responsabilità della condotta di abbandono di rifiuti al proprietario del suolo, appare necessaria, quanto meno, la dimostrazione da parte dell\'amministrazione di un atteggiamento colposo del proprietario medesimo (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 16 gennaio 2009, n. 164).

Il provvedimento impugnato, d\'altra parte, non rende ragione dei congrui accertamenti che l\'Amministrazione procedente avrebbe dovuto farsi carico di svolgere per poter addossare alla Società proprietaria del sito l\'obbligo di rimozione del materiale, qualificato come rifiuto, presente nel suo terreno, essendosi limitata ad attribuire la responsabilità alla Società ricorrente sulla sola base di accertamenti inerenti da una parte alla sola titolarità del terreno in esame e, dall’altra parte, inerenti campioni di prodotto prelevati presso la società venditrice a distanza di oltre un anno e mezzo dall’ultimo acquisto fattone dalla ricorrente.

In proposito il Collegio condivide quanto già affermato dal Tribunale in altra vicenda analoga, per cui gli accertamenti tecnici dell’A.R.P.A. di Bergamo, richiamati nell’impugnata ordinanza, risultano effettuati sul materiale prodotto dalla Com. Steel s.p.a. di Calusco d’Adda (Bg), e non sul materiale utilizzato per la pista per cavalli; non risulta infatti che l’A.R.P.A. abbia effettuato alcun sopralluogo preventivo presso l’azienda ricorrente al fine di accertare la presenza del rifiuto e la corrispondenza dello stesso a quanto rinvenuto presso la venditrice, soprattutto in termini di superamento dei valori soglia di concentrazione stabiliti dalla legge. Resta dubbio, pertanto, che il materiale impiegato sia qualificabile come rifiuto ed abbia le caratteristiche di rifiuto speciale pericoloso, mancando un accertamento tecnico volto ad appurare, in primo luogo, la natura inquinante del granulato plastico effettivamente utilizzato per la pista e, in secondo luogo, il superamento dei valori che in ipotesi imporrebbe - ai sensi dell’art. 239, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 152/06 - di procedere alla caratterizzazione dell’area in funzione di eventuali interventi di bonifica e ripristino ambientale (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 29 marzo 2007, n. 1318).

Ciò porta a concludere per la fondatezza dei restanti motivi di ricorso sotto il profilo del difetto di istruttoria.

3. In ragione delle suesposte considerazioni il ricorso deve accolto con annullamento dell\'atto impugnato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Quarta Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Condanna il Comune di Mozzate, in persona del Sindaco pro – tempore, alla rifusione, in favore della ricorrente, di spese e competenze del giudizio che liquida in complessivi € 3.000,00 (tremila), compreso il rimborso del contributo unificato, oltre oneri previdenziali e fiscali come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall\'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 2 luglio 2009 con l\'intervento dei Magistrati:

Adriano Leo, Presidente
Giovanni Zucchini, Primo Referendario
Laura Marzano, Referendario, Estensore

L\'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/09/2009