Rifiuti. Pochi controlli nei piatti al veleno
Editoriale pubblicato il 16 settembre 2003 sul Corriere della Sera - Corriere del Mezzogiorno di Luca RAMACCI
Il sequestro di 40.000 quintali di grano gravemente inquinati da metalli
pesanti effettuato nella campagna di Altamura ha destato forte preoccupazione
per le conseguenze che l’utilizzazione di questo prodotto avrebbe potuto
provocare sugli ignari consumatori.
Si tratta, secondo quanto si apprende dalle agenzie di stampa, soltanto di un
episodio – seppure significativo – di un più vasto fenomeno che interessa
centinaia di ettari di Murgia.
Ora, “a babbo morto” come si dice, si scatenerà il consueto teatrino
delle dichiarazioni, delle ferme prese di posizioni, dei moniti e del ricco
armamentario di espedienti per manifestare quell’impegno nella tutela
dell’ambiente che, però, sembra sia mancato in precedenza visto che lo
sversamento di rifiuti dove quel grano cresceva sarebbe avvenuto per anni.
Forse chi ora tuonerà contro gli inquinatori, manifestando una insolita
sensibilità ai problemi dell’ambiente, sarà proprio chi, in precedenza,
aveva bollato vicende quali quella oggi resa nota come le solite esagerazioni di
qualche ambientalista esaltato.
Si spera che fatti come questi, alla fine, aprano gli occhi un po’ a tutti
sulle conseguenze provocate dal dissennato smaltimento dei rifiuti, che dovrebbe
essere finalmente considerato per quello che è: un’emergenza nazionale.
La vera unità d’Italia, infatti, è rappresentata dal modo in cui i
rifiuti attraversano in lungo e in largo il paese, scomparendo spesso nel nulla.
Non si tratta dei sacchetti della nostra spazzatura, che pure inquinano, ma
di centinaia di milioni di chili di sostanze, spesso pericolose, che partono
dagli stabilimenti industriali con la documentazione che ne attesta
l’effettiva natura e che finiscono nelle mani di soggetti senza scrupoli i
quali, avvalendosi anche di efficaci intermediari, li piazzano poi in terreni,
cave ed altri luoghi grazie alla compiacenza di che ne dispone.
Naturalmente, per fare tutto ciò, è necessario che il rifiuto cambi i suoi
connotati, come un ricercato che si sottopone ad una plastica facciale.
L’operazione si chiama “giro-bolla”. Sembra il nome di un gioco da
cortile, ma è in realtà la falsificazione dei documenti che accompagnano il
rifiuto che rende impossibile risalire alla
sua provenienza e composizione.
La nostra legislazione in materia, sebbene sgangherata da un legislatore che
ormai non teme più nemmeno gli strali della Comunità europea, prevede
–almeno in teoria – una serie di verifiche da parte della pubblica
amministrazione per impedire che i rifiuti vengano gestiti in modo non corretto.
Troppo spesso, però, questi controlli non solo non vengono fatti, ma sono
anche considerati inutili formalità.
Si parla così di burocrazia soffocante e dell’esigenza di semplificazione,
dimenticando che i maggiori trafficanti di rifiuti trovano proprio nelle
cosiddette procedure semplificate, previste dalla legge in materia, un utile
paravento per i loro affari in tutti i sensi sporchi.
Quando poi i cittadini, giustamente allarmati, si preoccupano del fatto che,
proprio dove si produce il rinomato pane di Altamura, potrebbe essere utilizzato
grano che anche i topi rifiuterebbero di mangiare, si cerca di rassicurarli
promettendo interventi difficilmente realizzabili.
Sarebbe meglio cominciare a ragionare, seriamente, sulle conseguenze che
fenomeni del genere provocano sulla inconsapevole popolazione, quante sostanze
tossiche finiscono quotidianamente nel ciclo alimentare, quanti animali
pascolano in siti contaminati, quante sostanze inquinanti finiscono ogni giorno
nelle falde acquifere.
Forse è il caso di considerare quale sia il giro di affari dei trafficanti
di rifiuti ed i costi che gravano sulla comunità per le bonifiche e gli altri
interventi necessari dopo episodi del genere.
Qualcuno cominci a pensarci prima che sia troppo tardi. Non bastano una
procura attenta come quella barese e gli uomini dei NOE per risolvere il
problema. I processi si fanno quando il guaio è ormai combinato, si condannano
(purtroppo non sempre) i colpevoli, ma i veleni rimangono nei nostri piatti.
Luca RAMACCI