Pres. Vitalone Est. Ianniello Ric. Roma
Rumore. Articolo 659 secondo comma c.p.
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, la condotta costituita dal superamento dei limiti di accettabilità di emissioni sonore derivanti dall'esercizio di mestieri rumorosi (nella specie, attività industriale) integra gli estremi di un illecito amministrativo ai sensi dell'art. 10, comma secondo, legge n. 447 del 1995, mentre la rilevanza penale della condotta prevista dal secondo comma dell'art. 659 cod. pen. è circoscritta alla violazione di prescrizioni diverse da quelle concernenti i limiti delle emissioni o immissioni sonore.
Svolgimento
del
processo
Con sentenza del 10 gennaio 2005, la Corte d’appello di Torino ha confermato integralmente la sentenza in data 2 luglio 2003, con la quale il locale Tribunale aveva dichiarato Paola Thabata Roma responsabile del reato di cui agli artt. 81 cpv., 674 e 659 comma 1° c.p., per avere determinato in Torino dalla metà del 2001, nella sua qualità di titolare della Sara Arredamenti, al di fuori dei casi consentiti dalla legge, emissioni di odori in particolare da vernici e da solventi nonché rumori, tutti derivanti dall’attività di falegnameria oggetto dell’impresa, tali da superare oggettivamente i limiti di normale tollerabilità ex art. 844 cc. e idonee a molestare i soggetti residenti nella zona limitrofa, condannandola alla pena di giorni dieci di arresto, coi benefici di legge.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo del proprio difensore, deducendo:
1 - la mancata assunzione di una prova decisiva, richiesta dalla parte e consistente in una consulenza tecnica d’ufficio sia in ordine allo stato dei luoghi che relativamente all’eventuale superamento dei limiti di legge La Corte aveva ritenuto inutile un tale accertamento, anche argomentando dal fatto che la situazione delle emissioni moleste sarebbe mutata per effetto dell’introduzione nel gennaio 2003 di nuovi macchinari per la verniciatura, non tenendo conto che il reato era stato contestato ed accertato dal giudice di prime cure come permanente e trascurando i risultati di analisi compiute il 26 maggio 2003 dalla Cooperativa italiana tecnici ambiente, frettolosamente valutati come unilaterali.
La
ricorrente ribadisce infine
che il superamento dei limiti di legge di cui all’art. 674
c.p. deve risultare
dalle leggi speciali nella materia, facendo in particolare riferimento
ai
valori di cui al D.G.R. 16 ottobre 1995 n. 82-
2
- l’erronea applicazione della
legge penale per la mancata derubricazione del secondo reato contestato
nella
fattispecie di cui al 2° comma dell’art. 659
c.p., depenalizzata dall’art. 10,
comma 20 della legge 26 ottobre 1995 n. 447. Sarebbe
infatti assurda al
riguardo la motivazione della Corte, secondo cui nel caso in esame
sarebbe “ravvisabile
l’illegittima violazione della
quiete pubblica” di cui al primo comma
dell’art.
3 - la carenza di motivazione della sentenza in ordine all’esatta individuazione del tempus commissi delicti, nonostante la deduzione e documentazione da parte dell’imputata che il proprio insediamento nella falegnameria in precedenza gestita da altri era avvenuto solo a partire dal mese di novembre 2001.
4 - la carenza di motivazione in ordine alla mancata irrogazione della sola pena pecuniaria: non sarebbero stati al riguardo adeguatamente valutate circostanze fondamentali come l’incensuratezza della ricorrente, la sua buona condotta processuale, chiaramente indicativa della volontà di rispettare le regole vigenti nella materia nonché la sua buona fede.
Motivi
della decisione
Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
Col primo motivo di ricorso, relativo al reato di cui all’art. 674 c.p., l’imputata, attraverso la censura relativa alla omessa ammissione di una consulenza tecnica ritenuta di natura decisiva, investe altresì l’interpretazione data dai giudici di merito alla norma di cui all’art. 674 c.p., laddove questi hanno ritenuto che l’espressione “nei casi non consentiti dalla legge” rinvii al criterio di cui all’art. 844 c.c.
Al
riguardo, viceversa, la giurisprudenza
più recente di questa sezione della Corte, condivisa dal
collegio, ritiene
necessario che, nell’ipotesi in cui il reato di cui
all’art. 674 c.p. venga
realizzato provocando, nei casi non consentiti dalla legge, emissioni
di gas
(come nel caso in esame), di vapori o di fumo atti a offendere o
imbrattare o
molestare persone, l’emissione avvenga in violazione delle
norme statali o
regionali o dell’autorità che fissano i limiti di
tollerabilità delle emissioni
per la prevenzione dell’inquinamento atmosferico e che, in
mancanza di tali
norme, debba farsi riferimento al criterio della stretta
tollerabilità e non a
quello della normale tollerabilità previsto
dall’art. 844 cod. civ. il cui
superamento dà luogo unicamente ad una
responsabilità civile dell’agente (cfr., tra le altre, Cass. sez. 3^,
sent. nn. 11556/06, 8299/06, 19898/05, 9503/05,
38297/04, 25660/04 e 9757/04).
Poiché nel caso in esame i giudici di merito hanno esplicitamente adottato il parametro della normale tollerabilità di cui all’art. 844 cod. civ. nel valutare se le emissioni moleste fossero avvenute in maniera non consentita dalla legge, la sentenza impugnata va annullata sul punto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, che applicherà il principio di diritto enunciato, tenendo altresì conto che la contestazione e l’accertamento del reato di cui all’art. 674 c.p., trattandosi di reato giudicato permanente, coprono il periodo fino alla sentenza di primo grado del 2 luglio 2003. Quanto alla fase iniziale di tale consumazione (terzo motivo dì ricorso) la Corte appare avere aderito alla indicazione dell’appellante (secondo cui non poteva essere antecedente all’ottobre 2000), riferendo comunque con certezza l’inizio delle emissioni moleste alta gestione della falegnameria da parte dell’imputata.
Il secondo motivo di ricorso relativo al reato di cui all’art. 659 c.p. è fondato per quanto di ragione.
La
Corte
territoriale ha infatti ritenuto che il fatto al riguardo contestato
all’imputata (emissione, nell’esercizio
dell’attività di falegnameria, di
rumori molesti) concreti la fattispecie di cui al primo comma
dell’art. 659
c.p,, in ragione del fatto che l’attività di
impresa “era svolta con inosservanza delle norme che disciplinano le
attività rumorose, non
essendo state istallate barriere fonoassorbenti a ridosso delle pareti
e del
soffitto”.
Sembra al riguardo pertanto di capire che la Corte di appello di Torino ritenga che il secondo comma dell’art. 659 c.p. riguardi unicamente l’ipotesi in cui l’impresa superi i valori limite di emissione e di immissione di rumori di cui alla legge 26 ottobre 1995 n. 447, ponendo così in essere un comportamento ormai depenalizzato dall‘art 10, comma 2° di tale ultima legge mentre sarebbero riconducibili alla fattispecie di cui al primo comma anche i casi di emissioni sonore provenienti da imprese nell’esercizio della loro attività in violazione di prescrizioni diverse da quelle concernenti i limiti delle emissioni e delle immissioni sonore.
Tale assunto implica, a giudizio del Collegio, l’erronea interpretazione della legge penale.
Dalla comparazione tra il primo ed il secondo comma dell’articolo in esame si desume infatti chiaramente che ogni ipotesi di esercizio di un mestiere naturalmente rumoroso costituisce l’oggetto della disposizione di cui al secondo comma, attenuata rispetto a quella di cui al primo comma per il ritenuto necessario contemperamento tra le esigenze della quiete pubblica con quelle della produzione.
Esigenze di contemperamento che sono altresì all’origine della disciplina dettata in materia di contenimento dei rumori fastidiosi, da quella relativa alle emissioni o immissioni sonore a quelle relative alle cautele da adottare in sede costruttiva o successivamente per contenere la rumorosità di determinati impianti produttivi.
Con l’emanazione della legge quadro sull’inquinamento acustico del 26 ottobre 1995 n. 447, la condotta (proveniente non solo da una fonte produttiva) di superamento dei limiti di accettabilità delle emissioni sonore stabiliti a norma della legge medesima integra gli estremi di un illecito amministrativo, per cui la condotta relativa proveniente dall’esercizio di mestieri rumorosi è stata depenalizzata dalla legge del 1995 citata.
Ne consegue che la rilevanza penale della condotta prevista dal secondo comma dell’art. 659 c.p. non è stata del tutto eliminata (come ritenuto da Cass. sez. l^, 8 settembre 1997 n. 4199), ma resta circoscritta alla violazione delle prescrizioni attinenti il problema della rumorosità ma diverse da quelle concernenti i limiti delle emissioni o immissioni sonore (nel medesimo senso, cfr., tra le altre, Cass. 14 gennaio 2005 n. 530).
Nel caso in esame la Corte d’appello di Torino ha riconosciuto l’imputata colpevole del reato di cui al primo comma dell’art. 659 c.p. avendo accertato la violazione da parte sua, nell’esercizio di una impresa rumorosa, di prescrizioni diverse da quelle relative ai limiti di emissione e immissione di rumori e concernenti l’istallazione di barriere fonoassorbenti all’interno dell’ azienda.
Tale condotta va peraltro qualificata, secondo quanto prima rilevato, nei termini di cui al secondo comma dell’art. 659 c.p., fattispecie punita con la sola pena dell’ammenda.
Poiché tale reato, anche se ritenuto permanente, si è consumato entro la data della sentenza di primo grado del 2 luglio 2003, devesi ritenere nel frattempo intervenuta la prescrizione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 157, comma 1°, n. 6) e 160 c.p. quantomeno alla data del 2 luglio 2006.
Non apparendo allo stato l’evidenza di una delle situazioni che ai sensi dell’art. 129, secondo comma c.p.p. consentirebbero l’immediata assoluzione nel merito dell’imputata in ordine al reato in esame, la sentenza impugnata va al riguardo annullata senza rinvio, essendo il reato estinto per prescrizione.
Il giudice di rinvio dovrà pertanto determinare la pena unicamente per il primo reato, ove ritenuto a carico dell’imputato, affrontando in tale sede anche il tema costituente il quarto motivo del ricorso.