Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16048 del 21/04/2006 Ud. (dep. 11/05/2006 ) Rv. 234265
Presidente: Postiglione A. Estensore: Fiale A. Relatore: Fiale A. Imputato: D'Antoni Adolfo. P.M. Passacantando G. (Conf.)
(Dichiara inammissibile, App. Roma, 31 marzo 1999)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - Interventi di restauro e risanamento conservativo - Condizioni - Individuazione.

In materia edilizia, ai fini della configurabilità di un intervento quale restauro e risanamento conservativo non possono essere mutati la qualificazione tipologica del manufatto preesistente, ovvero i caratteri architettonici e funzionali che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie, gli elementi formali che configurano l'immagine caratteristica dello stesso e gli elementi strutturali, che materialmente compongono la struttura dell'organismo edilizio.


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente - del 21/04/2006
Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 665
Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 23083/1999
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D'ANTONI ADOLFO, n. a Supino (FR), il 10/10/1948;
avverso la sentenza 31/03/1999 della Corte di Appello di Roma;
visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dr. FIALE Aldo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Dr. PASSACANTANDO G., che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 31.3.1999 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza 30.11.1996 del Pretore di quella città, ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di D'Antoni Adolfo in ordine ai reati di cui:
- alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), (per avere realizzato in zona sottoposta a vincolo di uso civico, in assenza della necessaria concessione edilizia, un manufatto su una superficie di circa mq. 111 x 80 ed un muro - acc. in Torvaianica, fino al 6.2.1993);
- alla L. n. 1086 del 1971, artt. 1, 2, 4, 13 e 14;
- alla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies;
e, con le riconosciute circostanze attenuanti generiche, essendo stati già unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., riduceva la pena a mesi due, giorni cinque di arresto e L. 21 milioni di ammenda, confermando il concesso beneficio della sospensione condizionale e gli ordini di demolizione dei manufatti abusivi e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il D'Antoni, il quale ha eccepito: - la nullità del giudizio di appello, prospettando che sarebbe stata illegittimamente disattesa una certificazione medica attestante il proprio assoluto impedimento a comparire all'udienza; - l'insussistenza dei reati, in quanto egli si sarebbe limitato ad effettuare un intervento di mero restauro conservativo su manufatti preesistenti.
Tenuto conto della domanda di "condono edilizio", presentata dal ricorrente dalla L. n. 724 del 1994, ex art. 39, questa Corte - all'udienza del 3.2.2000 - ha disposto la sospensione del procedimento L. n. 47 del 1985, ex art. 38.
Il Comune di Ardea - con nota pervenuta il 27.3.2000 - ha riferito circa lo stato della pratica di condono edilizio in oggetto, comunicando che la stessa non si è conclusa non avendo il ricorrente trasmesso i documenti integrativi, necessari per la valutazione dell'abuso (L. n. 47 del 1985, ex art. 35), richiesti in data 22.2.1996.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché le doglianze in esso svolte sono manifestamente infondate.
1. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, il legittimo impedimento a comparire dell'imputato, ai sensi dell'art. 420 ter c.p.p., deve essere attuale ed assoluto; la relativa prova deve essere fornita dall'interessato ed il giudice, nel valutare tale prova secondo il proprio libero convincimento, ben può disattendere la prognosi contenuta in un certificato medico senza ricorrere a nuovi accertamenti ed avvalendosi di comuni regole di esperienza o di conoscenze mediche di base.
Nella fattispecie in esame la difesa ebbe a produrre certificazione di un medico privato attestante che, il giorno precedente l'udienza, il D'Antoni era affetto da "febbre - tonsillite acuta", per cui si consigliavano "tre giorni di riposo per le cure del caso", e la Corte territoriale ha dato ragione del suo convincimento di non-assolutezza di un impedimento siffatto con motivazione adeguata, corretta ed immune da vizi logici e giuridici, tenuto conto della natura dell'infermità attestata e della mancata indicazione del grado di alterazione febbrile.
Assolutamente legittima appare, conseguentemente, l'adottata dichiarazione di contumacia.
2. Manifestamente infondata è altresì la doglianza di immotivata esclusione della riconducibilità delle opere realizzate al regime del "restauro e risanamento conservativo".
Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. c), (con definizione già fornita dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), della identifica gli interventi di restauro e risanamento conservativo come quelli "rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che - nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso - ne consentano destinazioni d'uso con esso compatibili. Tali interventi, in particolare, possono comprendere: - il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio;
- l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso;
- l'eliminazione di elementi estranei all'organismo edilizio. La finalità è quella di rinnovare l'organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata - poiché si tratta pur sempre di conservazione - nel rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici, formali e strutturali".
Ne deriva che non possono essere mutati:
- là "qualificazione tipologica" del manufatto preesistente, cioè i caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie;
- gli "elementi formali (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l'immagine caratteristica di esso;
- gli "elementi strutturali", cioè quelli che materialmente compongono la struttura dell'organismo edilizio.
Nella fattispecie in esame, invece, i giudici del merito hanno accertato che non e ravvisabile un'attività di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, secondo le modalità e con i limiti dianzi delineati, bensì la prosecuzione della realizzazione di un edificio abusivo, i cui muri perimetrali in parte erano stati già costruiti (attività illecita per la quale l'imputato era stato pure condannato con sentenza definitiva), con creazione "ex nova" di volumetria.
3. La domanda di "condono edilizio" proposta dal ricorrente è divenuta improcedibile ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 4, in quanto l'Amministrazione comunale, con nota del 22.2.1996, ha richiesto l'integrazione sostanziale della documentazione e detto adempimento non è stato compiuto. 4. La inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati che venga a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell'atto di gravame (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca). 5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 500,00.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 aprile 2006.
Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2006

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica Dott. POSTIGLIONE Amedeo - Presidente - del 21/04/2006 Dott. GENTILE Mario - Consigliere - SENTENZA Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - N. 665 Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere - REGISTRO GENERALE Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 23083/1999 ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: D'ANTONI ADOLFO, n. a Supino (FR), il 10/10/1948; avverso la sentenza 31/03/1999 della Corte di Appello di Roma; visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso; udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dr. FIALE Aldo; udito il Pubblico Ministero in persona del Dr. PASSACANTANDO G., che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 31.3.1999 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza 30.11.1996 del Pretore di quella città, ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di D'Antoni Adolfo in ordine ai reati di cui: - alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), (per avere realizzato in zona sottoposta a vincolo di uso civico, in assenza della necessaria concessione edilizia, un manufatto su una superficie di circa mq. 111 x 80 ed un muro - acc. in Torvaianica, fino al 6.2.1993); - alla L. n. 1086 del 1971, artt. 1, 2, 4, 13 e 14; - alla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies; e, con le riconosciute circostanze attenuanti generiche, essendo stati già unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., riduceva la pena a mesi due, giorni cinque di arresto e L. 21 milioni di ammenda, confermando il concesso beneficio della sospensione condizionale e gli ordini di demolizione dei manufatti abusivi e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il D'Antoni, il quale ha eccepito: - la nullità del giudizio di appello, prospettando che sarebbe stata illegittimamente disattesa una certificazione medica attestante il proprio assoluto impedimento a comparire all'udienza; - l'insussistenza dei reati, in quanto egli si sarebbe limitato ad effettuare un intervento di mero restauro conservativo su manufatti preesistenti. Tenuto conto della domanda di "condono edilizio", presentata dal ricorrente dalla L. n. 724 del 1994, ex art. 39, questa Corte - all'udienza del 3.2.2000 - ha disposto la sospensione del procedimento L. n. 47 del 1985, ex art. 38. Il Comune di Ardea - con nota pervenuta il 27.3.2000 - ha riferito circa lo stato della pratica di condono edilizio in oggetto, comunicando che la stessa non si è conclusa non avendo il ricorrente trasmesso i documenti integrativi, necessari per la valutazione dell'abuso (L. n. 47 del 1985, ex art. 35), richiesti in data 22.2.1996. MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché le doglianze in esso svolte sono manifestamente infondate. 1. Secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, il legittimo impedimento a comparire dell'imputato, ai sensi dell'art. 420 ter c.p.p., deve essere attuale ed assoluto; la relativa prova deve essere fornita dall'interessato ed il giudice, nel valutare tale prova secondo il proprio libero convincimento, ben può disattendere la prognosi contenuta in un certificato medico senza ricorrere a nuovi accertamenti ed avvalendosi di comuni regole di esperienza o di conoscenze mediche di base. Nella fattispecie in esame la difesa ebbe a produrre certificazione di un medico privato attestante che, il giorno precedente l'udienza, il D'Antoni era affetto da "febbre - tonsillite acuta", per cui si consigliavano "tre giorni di riposo per le cure del caso", e la Corte territoriale ha dato ragione del suo convincimento di non-assolutezza di un impedimento siffatto con motivazione adeguata, corretta ed immune da vizi logici e giuridici, tenuto conto della natura dell'infermità attestata e della mancata indicazione del grado di alterazione febbrile. Assolutamente legittima appare, conseguentemente, l'adottata dichiarazione di contumacia. 2. Manifestamente infondata è altresì la doglianza di immotivata esclusione della riconducibilità delle opere realizzate al regime del "restauro e risanamento conservativo". Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. c), (con definizione già fornita dalla L. n. 457 del 1978, art. 31, comma 1, lett. c), della identifica gli interventi di restauro e risanamento conservativo come quelli "rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che - nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso - ne consentano destinazioni d'uso con esso compatibili. Tali interventi, in particolare, possono comprendere: - il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio; - l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso; - l'eliminazione di elementi estranei all'organismo edilizio. La finalità è quella di rinnovare l'organismo edilizio in modo sistematico e globale, ma essa deve essere attuata - poiché si tratta pur sempre di conservazione - nel rispetto dei suoi elementi essenziali "tipologici, formali e strutturali". Ne deriva che non possono essere mutati: - là "qualificazione tipologica" del manufatto preesistente, cioè i caratteri architettonici e funzionali di esso che ne consentono la qualificazione in base alle tipologie edilizie; - gli "elementi formali (disposizione dei volumi, elementi architettonici) che distinguono in modo peculiare il manufatto, configurando l'immagine caratteristica di esso; - gli "elementi strutturali", cioè quelli che materialmente compongono la struttura dell'organismo edilizio. Nella fattispecie in esame, invece, i giudici del merito hanno accertato che non e ravvisabile un'attività di conservazione, recupero o ricomposizione di spazi, secondo le modalità e con i limiti dianzi delineati, bensì la prosecuzione della realizzazione di un edificio abusivo, i cui muri perimetrali in parte erano stati già costruiti (attività illecita per la quale l'imputato era stato pure condannato con sentenza definitiva), con creazione "ex nova" di volumetria. 3. La domanda di "condono edilizio" proposta dal ricorrente è divenuta improcedibile ai sensi della L. n. 724 del 1994, art. 39, comma 4, in quanto l'Amministrazione comunale, con nota del 22.2.1996, ha richiesto l'integrazione sostanziale della documentazione e detto adempimento non è stato compiuto. 4. La inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto della prescrizione dei reati che venga a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione dell'atto di gravame (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, n. 32, ric. De Luca). 5. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 500,00. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 21 aprile 2006. Depositato in Cancelleria il 11 maggio 2006