La normativa all’italiana contro le plastiche monouso
di Gianfranco AMENDOLA
pubblicato su osservatorioagromafie.it si ringraziano Autore ed Editore
Il 14 gennaio 2022 potrebbe essere una data storica per la difesa dell’ambiente in Italia. Perché da quella data sarà in vigore il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 196 per la « Attuazione della direttiva (UE) 2019/904, del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 giugno 2019 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente », e cioè delle plastiche monouso (chiamata comunemente «direttiva SUP»).
Purtroppo, però, dobbiamo usare il condizionale perché, in verità, non cominciamo bene. La direttiva, infatti, doveva essere resa operativa dagli Stati membri entro il 3 luglio 2021 ma, nonostante fosse del 2019, è stata recepita dal nostro Paese solo a novembre, con operatività, appunto, dal 14 gennaio 2022. E, per di più, con alcune aggiunte che rischiano di depotenziarla e, soprattutto, sembrano indicare chiaramente il modo distorto in cui l’Italia intende attuare la famosa transizione ecologica.
Ma andiamo con ordine:
Le premesse.
La direttiva UE 2019/904 si basa su alcune premesse chiarissime (i ‘considerando’ iniziali, che fanno parte integrante della direttiva):
1) «Nell’Unione, dall’80 all’85 per cento dei rifiuti marini rinvenuti sulle spiagge sono plastica: di questi, gli oggetti di plastica monouso rappresentano il 50 per cento e gli oggetti collegati alla pesca il 27 per cento del totale. I prodotti di plastica monouso comprendono un’ampia gamma di prodotti di consumo frequente e rapido che sono gettati una volta usati, raramente sono riciclati e tendono pertanto a diventare rifiuti. Una percentuale significativa degli attrezzi da pesca immessi sul mercato non è raccolta per essere trattata. I prodotti di plastica monouso e gli attrezzi da pesca contenenti plastica sono pertanto un problema particolarmente serio nel contesto dei rifiuti marini, mettono pesantemente a rischio gli ecosistemi marini, la biodiversità e la salute umana, oltre a danneggiare attività quali il turismo, la pesca e i trasporti marittimi» (‘considerando’ 5).
2) «Per concentrare gli sforzi là dove è più necessario, la presente direttiva dovrebbe considerare solo quei prodotti di plastica monouso più frequentemente rinvenuti sulle spiagge dell’Unione, come anche gli attrezzi da pesca contenenti plastica e i prodotti realizzati con plastica oxo-degradabile. Si stima che i prodotti di plastica monouso cui si riferiscono le misure della presente direttiva rappresentino circa l’86 per cento dei prodotti di plastica monouso rinvenuti sulle spiagge dell’Unione…» (‘considerando’ 7).
3) «Le microplastiche non rientrano direttamente nell’ambito di applicazione della presente direttiva, ma contribuiscono ai rifiuti marini e l’Unione dovrebbe pertanto adottare un approccio globale al problema. È opportuno che l’Unione incoraggi tutti i produttori a limitare rigorosamente le microplastiche nelle loro formulazioni. L’inquinamento terrestre e la contaminazione del suolo con oggetti di plastica di grandi dimensioni e con i frammenti o le microplastiche che ne derivano possono essere significativi e questi tipi di plastica possono disperdersi nell’ambiente marino» (‘considerando’ 8 e 9).
Sulla base di queste premesse, «i prodotti di plastica monouso disciplinati dalla presente direttiva dovrebbero essere oggetto di una o più misure, in funzione di vari fattori, quali la disponibilità di alternative adeguate e più sostenibili, la possibilità di cambiare modelli di consumo, la misura in cui essi sono già disciplinati dalla vigente normativa dell’Unione» (‘considerando’ 13).
La strategia di intervento comunitaria.
E pertanto, la direttiva delinea una strategia di intervento basata su sette punti principali:
1) Divieto di immissione sul mercato di determinati prodotti di plastica monouso per i quali sono facilmente disponibili soluzioni alternative adeguate, più sostenibili e anche economicamente accessibili. «In tal modo, sarebbe promosso il ricorso alle alternative facilmente disponibili e più ecocompatibili e a soluzioni innovative verso modelli imprenditoriali più sostenibili, possibilità di riutilizzo e materiali di sostituzione» (‘considerando’ 15 e allegato B).
2) Misure per ridurre il consumo di determinati prodotti di plastica monouso per i quali non sono immediatamente disponibili alternative adeguate e più sostenibili (‘considerando’ 14 e allegato A).
3) I prodotti di plastica monouso che sono spesso gettati nelle reti fognarie o altrimenti impropriamente smaltiti dovrebbero essere soggetti a requisiti di marcatura. «La marcatura dovrebbe informare i consumatori in merito alle corrette opzioni di gestione dei rifiuti per il prodotto o quali sono metodi di smaltimento dei rifiuti che devono essere evitati per il prodotto in linea con la gerarchia dei rifiuti, e alla presenza di plastica nel prodotto, nonché alla risultante incidenza negativa che la dispersione nell’ambiente o altri metodi di smaltimento improprio del prodotto esercitano sull’ambiente» (‘considerando’ 20 e allegato D).
4) Introduzione di regimi di responsabilità estesa del produttore 1 al fine di riversare sul produttore i necessari costi di gestione e di rimozione, nonché i costi delle misure di sensibilizzazione per prevenire e ridurre i rifiuti da prodotti di plastica monouso per i quali non sono facilmente disponibili alternative adeguate e più sostenibili (‘considerando’ 21 e allegato E).
5) Incentivi finanziari destinati ai pescatori per indurli a riportare a terra gli attrezzi da pesca dismessi onde evitare di pagare potenziali aumenti dei contributi indiretti sui rifiuti (‘considerando’ 23).
6) Promozione di sistemi di raccolta differenziata più efficaci per i prodotti di plastica monouso costituiti da bottiglie per bevande che sono i rifiuti marini più frequentemente rinvenuti sulle spiagge nell’Unione (‘considerando’ 27 e allegato F).
7) Adozione di misure per informare correttamente i consumatori di prodotti di plastica monouso e gli utenti di attrezzi da pesca contenenti plastica della disponibilità di alternative riutilizzabili e sistemi di riutilizzo, delle migliori modalità di gestione dei rifiuti e/o di quelle da evitare, delle migliori prassi in materia di corretta gestione dei rifiuti e dell’impatto ambientale delle cattive prassi, nonché della percentuale del contenuto di plastica presente in determinati prodotti di plastica monouso e attrezzi da pesca e dell’impatto sulla rete fognaria dello smaltimento improprio dei rifiuti (‘considerando’ 28 e allegato G).
Il d.lgs. n. 196/2021 e il divieto dal 14 gennaio 2022 di immissione sul mercato di determinati prodotti di plastica monouso.
Per dare esecuzione a questi princìpi comunitari l’Italia, anche se con ritardo, ha emanato il d.lgs. 8 novembre 2021, n. 196; ma, come spesso accade, lo ha fatto all’italiana, aggiungendo molte chiacchiere (del tutto superflue) e molti rinvii (spesso del tutto pleonastici) ad altri testi di legge, in cui nascondere alcune sostanziali modifiche peggiorative del testo comunitario; sterilizzando, nel contempo, la operatività di numerose disposizioni che viene demandata, quasi sempre, a successivi (ed incerti) decreti e interventi governativi.
E, se qualcuno ha dei dubbi, provi a guardare insieme i testi della direttiva comunitaria e del decreto italiano di recepimento e si chieda perché, quasi sempre, gli articoli del nostro decreto sono notevolmente più lunghi dell’articolo-base approvato in sede comunitaria.
Una chiara riprova è offerta dall’esame delle (poche) disposizioni che divengono operative dal 14 gennaio 2022, con l’entrata in vigore del d.lgs. 196/2021.
In realtà, in quella data diverrà immediatamente (ma, come vedremo non è così) operativo solo il divieto di immissione sul mercato di determinati prodotti di plastica monouso (elencati in un allegato) per i quali sono facilmente disponibili soluzioni alternative adeguate, più sostenibili e anche economicamente accessibili (art. 5 della direttiva e del d.lgs. n. 196/2021).
E riportiamo, quindi, anche la parte B dell’Allegato che elenca i prodotti vietati:
Prodotti di plastica monouso di cui all’articolo 5 sulle restrizioni all’immissione sul mercato 1) Bastoncini cotonati, tranne quando rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 90/385/CEE del Consiglio 2 o della direttiva 93/42/CEE del Consiglio 3 ; 2) posate (forchette, coltelli, cucchiai, bacchette); 3) piatti; 4) cannucce, tranne quando rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 90/385/CEE o della direttiva 93/42/CEE; 5) agitatori per bevande; 6) aste da attaccare a sostegno dei palloncini, tranne i palloncini per uso industriale o altri usi e applicazioni professionali che non sono distribuiti ai consumatori, e relativi meccanismi; 7) contenitori per alimenti in polistirene espanso, vale a dire recipienti quali scatole con o senza coperchio, usati per alimenti che soddisfano congiuntamente i seguenti criteri: a ) sono destinati al consumo immediato, sul posto o da asporto; b ) sono generalmente consumati direttamente dal recipiente; c ) sono pronti per il consumo senza ulteriore preparazione, per esempio cottura, bollitura o riscaldamento, compresi i contenitori per alimenti tipo fast food o per altri pasti pronti per il consumo immediato, a eccezione di contenitori per bevande, piatti, pacchetti e involucri contenenti alimenti; 8) contenitori per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi; 9) tazze o bicchieri per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi |
Le deroghe italiane al divieto comunitario di immissione sul mercato di determinati prodotti di plastiche monouso.
Dalla semplice lettura della normativa sopra riportata, appare visivamente evidente che nel testo di recepimento l’Italia si è notevolmente allargata, aggiungendo ben tre commi all’unico comma della direttiva. Ed è proprio questo il problema. Perché, in realtà, con il secondo comma si consente alle aziende di immettere sul mercato fino al 14 gennaio 2022 plastiche monouso vietate nella UE, con facoltà di utilizzazione fino all’esaurimento delle scorte. Insomma, un chiaro invito ad una massiccia immissione sul mercato, fra novembre 2021 e il 14 gennaio 2022, di prodotti che dovevano già essere vietati dal 3 luglio 2021, senza neppure prevedere per la reale entrata in vigore del divieto una data certa, sostituita da quella (variabile) di esaurimento delle scorte.
Ma il vero capolavoro italico è costituito dalla lunga aggiunta delterzo comma, con cui, in presenza di alcune condizioni, siesonerano dal divieto i «prodotti realizzati in materiale biodegradabile e compostabile… con percentuali di materia prima rinnovabile»; deroga di cui non v’è traccia nella norma comunitaria che si limita al divieto di immissione sul mercato dei prodotti di plastica monouso elencati nella parte B dell’allegato e dei prodotti di plastica oxo-degradabile 4.
Per comprendere le ragioni di questa deroga tutta italiana, allora, bisogna ricordare che il nostro Paese detiene il 60 per cento del mercato europeo dell’usa e getta e produce il 66 per cento di tutta la c.d. plastica biodegradabile d’Europa e che la nostra industria cartaria è specializzata nella produzione di piatti e bicchieri monouso in carta, ma ricoperti da un velo di plastica. E, pertanto, la deroga al divieto, aggiunta al terzo comma mira a «salvare» la produzione italiana di bioplastiche e di involucri di carta ricoperti di plastica . Senza, tuttavia, avere alcun appiglio nella normativa comunitaria.
Il contrasto delle deroghe italiane con la normativa comunitaria.
Se, infatti, a questo punto, andiamo a leggere la definizione di «plastica», comunitaria ed italiana [art. 3, comma 1, lett. a)], apprendiamo che si tratta del «materiale costituito da un polimero, quale definito all’articolo 3, punto 5, del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, cui possono essere stati aggiunti additivi o altre sostanze, e che può funzionare come componente strutturale principale dei prodotti finiti, a eccezione dei polimeri naturali che non sono stati modificati chimicamente… »; definizione che viene chiaramente spiegata dalle Linee guida per l’applicazione della direttiva emanate dalla Commissione UE a giugno 2021 , secondo cui: «La plastica fabbricata con polimeri naturali modificati o con sostanze di partenza a base organica, fossili o sintetiche non è presente in natura e dovrebbe pertanto rientrare nell’ambito di applicazione della presente direttiva. La definizione adattata di plastica dovrebbe pertanto coprire gli articoli in gomma a base polimerica e la plastica a base organica e biodegradabile, a prescindere dal fatto che siano derivati da biomassa o destinati a biodegradarsi nel tempo ». In sostanza, cioè, anche le plastiche biodegradabili/a base biologica sono considerate plastica e rientrano nel divieto ai sensi della direttiva SUP, in quanto, come chiarito espressamente dalla Commissione UE nel documento di presentazione, « attualmente non esistono norme tecniche ampiamente condivise per certificare che un determinato prodotto di plastica sia adeguatamente biodegradabile nell’ambiente marino in un breve lasso di tempo e senza causare danni all’ambiente »5.
Peraltro, nella definizione (art. 3, n. 2 della direttiva) di « prodotto di plastica monouso» viene ricompreso «il prodotto fatto di plastica in tutto o in parte», e pertanto vi rientrano (e rientrano nel divieto) anche piatti e bicchieri monouso in carta, ma ricoperti da un velo di plastica 6 . In altri termini, come spiega la Commissione UE, «l’inclusione di prodotti monouso a base di carta con rivestimenti o strati di plastica è in linea con gli obiettivi principali della direttiva, ovvero ridurre i rifiuti di plastica e promuovere un’economia più circolare, in cui la prevenzione dei rifiuti è fondamentale. Quando questo tipo di prodotti – come tazze, contenitori o piatti per alimenti – vengono gettati via, la carta si degrada in maniera relativamente rapida, ma la parte di plastica può rimanere nell’ambiente per molti anni e può potenzialmente disintegrarsi ulteriormente in particelle di microplastica. L’esclusione di tali prodotti dall’ambito di applicazione della direttiva indebolirebbe il suo impatto sulla riduzione dei rifiuti marini e sulla promozione di un’economia più circolare, non da ultimo a causa del rischio che le tazze fatte interamente di plastica siano semplicemente sostituite da altre a base di carta con rivestimenti o strati di plastica, senza modificare i relativi modelli di consumo che incoraggiano gli sprechi»7.
Peraltro, si deve ricordare che, nel maggio-giugno 2021, ben prima dell’approvazione del decreto legislativo di recepimento, su pressione della Confindustria, il nostro Governo aveva tentato di ottenere in sede comunitaria una modifica della direttiva o almeno un rinvio per la sua applicazione onde introdurre una esenzione per le plastiche biodegradabili e compostabili e per piatti e bicchieri che contengono uno strato di plastica 8 ; ricevendo, tuttavia, solo una generica assicurazione che questi argomenti sarebbero stati oggetto di approfondimento nel 2022.
Ciò nonostante, si è preferito approvare, a novembre 2021, un d.lgs. di recepimento che, come abbiamo visto, contiene, all’art. 5, comma 3, deroghe palesemente contrastanti con il dettato comunitario, anche se con notevoli limitazioni, fra cui spicca quella [lett. a)] che condiziona la legittimità della deroga alla impossibilità di utilizzare « alternative riutilizzabili ai prodotti di plastica monouso destinati ad entrare in contatto con alimenti elencati nella parte B dell’allegato». Determinando, così, tuttavia, una ulteriore confusione con il dettato comunitario in quanto i prodotti in plastica monouso oggetto del divieto, elencati nell’allegato B, sono solo quelli per i quali, con una valutazione non modificabile in sede nazionale, la UE ritiene che « sono facilmente disponibili soluzioni alternative adeguate, più sostenibili e anche economicamente accessibili »9.
E, come se non bastasse, l’art. 4, comma 7 del d.lgs. n. 196/2021, « al fine di promuovere l’acquisto e l’utilizzo di materiali e prodotti alternativi a quelli in plastica monouso », riconosce addirittura un contributo pubblico a tutte le imprese che acquistano e utilizzano prodotti « che sono riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile o e compostabile, certificato secondo la normativa UNI EN 13432:2002 », anche se si tratta dei prodotti dell’allegato B, vietati in sede comunitaria ma ammessi dalla deroga italiana.
Resta da aggiungere che il divieto di cui sopra risulta sanzionato dall’art. 14 il quale punisce l’immissione sul mercato o la messa a disposizione di prodotti in violazione di quanto disposto all’art. 5, comma 1 con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 euro a 25.000 euro 10, aumentata fino al doppio del massimo in caso di immissione di un quantitativo di prodotti del valore superiore al 10 per cento del fatturato del trasgressore.
I prodotti di plastica monouso che dovranno essere oggetto di riduzione al consumo.
Per completezza di esposizione, sembra opportuno, a questo punto, fornire anche alcuni cenni sulla strategia stabilita al fine di ottenere una «riduzione del consumo» di determinati prodotti di plastica monouso (elencati nella parte A dell’Allegato) per i quali, a differenza di quelli oggetto di divieto di cui all’art. 5, «non sono immediatamente disponibili alternative adeguate e più sostenibili».
In proposito, la direttiva (art. 4) demanda agli Stati membri di adottare « le misure necessarie per conseguire una riduzione ambiziosa e duratura del consumo dei prodotti di plastica monouso elencati nella parte A dell’allegato in linea con gli obiettivi generali della politica dell’Unione in materia di rifiuti, in particolare la prevenzione dei rifiuti, in modo da portare a una sostanziale inversione delle crescenti tendenze di consumo …»; misure che vengono individuate (art. 4, d.lgs. n. 196/2021) dal nostro Paese in « accordi e contratti di programma con enti pubblici, con imprese, soggetti pubblici o privati e associazioni di categoria …» finalizzati, tra l’altro [lett. b)] alla « sperimentazione, promozione, attuazione e sviluppo di processi produttivi e distributivi e di tecnologie idonei a prevenire o ridurre la produzione dei rifiuti derivanti da prodotti in plastica monouso di cui all’Allegato, parte A e ad ottimizzarne la raccolta ed il recupero, nonché promozione di prodotti alternativi purché non comportino maggiori impatti ambientali.. .».
Per l’adozione di queste misure la legge italiana non stabilisce date certe, tuttavia, in armonia con il dettato comunitario, l’obiettivo da raggiungere è quello di « produrre entro il 2026 una riduzione quantificabile del consumo dei prodotti di plastica monouso elencati nella parte A dell’Allegato, rispetto al 2022 e di invertire le crescenti tendenze di consumo ».
Ci riserviamo, quindi, di tornare su questa parte quando e se diverrà operativa, limitandoci, al momento, a riportare la parte A dell’Allegato:
Alcune considerazioni finali non solo strettamente giuridiche.
Molto ci sarebbe da dire a proposito di quanto abbiamo sopra sommariamente esposto ma in questa sede preferiamo, per brevità, limitarci ad alcune semplici considerazioni in parte al di fuori dello stretto ambito giuridico.
1) La prima attiene alla anomalia nel comportamento della nostra industria e delle nostre istituzioni . Infatti, la direttiva n. 904 è stata pubblicata nel 2019 e, come tutte le direttive, è scaturita da un lungo lavoro di elaborazione e mediazione tra Governi nazionali ed istituzioni comunitarie (Commissione e Parlamento europeo). Il nostro Governo, quindi, nel 2019 aveva praticamente dato il suo assenso pur non ignorando che avrebbe profondamente intaccato alcuni interessi commerciali italiani. Sarebbe, pertanto, stato doveroso utilizzare i due anni di tempo prima della entrata in vigore della direttiva per promuovere e realizzare un adeguamento della nostra produzione e della nostre strutture alle disposizioni della stessa prima che i divieti diventassero operativi. Ciò non è avvenuto e ci si è ricordati del problema solo quando è stata approvata dal Parlamento la legge 22 aprile 2021, n. 53 di delegazione europea 2019-2020, la quale dava mandato al Governo di recepire la direttiva, inserendovi l’indicazione (contrastante con la stessa): «ove non sia possibile l’uso di alternative riutilizzabili ai prodotti di plastica monouso destinati ad entrare in contatto con alimenti elencati nella parte B dell’allegato alla direttiva (UE) 2019/904, prevedere la graduale restrizione all’immissione nel mercato dei medesimi nel rispetto dei termini temporali previsti dalla suddetta direttiva (UE) 2019/904, consentendone l’immissione nel mercato qualora realizzati in plastica biodegradabile e compostabile certificata conforme allo standard europeo della norma UNI EN 13432 e con percentuali crescenti di materia prima rinnovabile ». Indicazione che veniva poi trasfusa (con aggiunte) nell’art. 5, comma 3, sopra esaminato, del decreto di recepimento firmato dal Governo. Quindi, in realtà, non adeguamento vero alla direttiva ma trasposizione italiana con essa contrastante.
2) La considerazione appena svolta, peraltro, consente di affermare con certezza che, contrariamente a quanto qualcuno vuole far credere, la reazione del Governo, fomentata da Confindustria, del maggio-giugno 2021 a ridosso della scadenza del 3 luglio, non è affatto dovuta al fatto «nuovo» della emanazione delle Linee guida UE del 7 giugno ; non solo perché le prime reazioni sono avvenute prima di questa data ma soprattutto perché queste Linee guida non dicono niente di nuovo ma si limitano a precisare nel dettaglio quello che già risulta con chiarezza dal testo della direttiva, e cioè che il divieto si applica anche alle plastiche biodegradabili e compostabili nonché ai prodotti di carta con pellicola di plastica. E, del resto, già se ne era accorto il nostro Parlamento che, come abbiamo visto, proponeva di derogare al divieto comunitario con la legge di delegazione europea sin dall’aprile 2021, ben prima della emanazione delle linee guida.
3) Certamente, come abbiamo visto, le deroghe al divieto previste nel comma 3 dell’art. 5 costituiscono uno strappo plateale verso il dettato comunitario, anche se, nel testo definitivo, risultano apposte alcune condizioni 11 che ne limitano notevolmente l’ampiezza.
Non siamo in grado di valutare, al momento, quali conseguenze potranno esservi a carico dell’ambiente, ma, in ogni caso, a nostro sommesso avviso, il fatto più grave non è di tipo giuridico o naturalistico ma politico e culturale.
In altri termini, con il divieto dell’art. 5, la UE ha mosso un primo passo importante in armonia con la gerarchia comunitaria dei rifiuti, secondo cui al primo posto va messa la prevenzione perché «il migliore rifiuto è quello che non viene prodotto»; e, pertanto, «con l’obiettivo primario di ridurre la quantità di rifiuti prodotti», occorre, comunque, eliminare alla radice quanto più è possibile la immissione in commercio di prodotti usa e getta altamente pericolosi per il nostro ambiente. Trattasi di un principio base di fondamentale importanza, in quanto agisce non sul rifiuto prodotto ma a monte, impedendone la produzione. In altri termini, non si tratta di sostituire un prodotto monouso con un altro prodotto monouso anche se biodegradabile o compostabile ma di non farlo proprio venire ad esistenza. Tanto è vero che, come abbiamo visto, la Commissione UE motiva il divieto dell’art. 5 con il «rischio che le tazze fatte interamente di plastica siano semplicemente sostituite da altre a base di carta con rivestimenti o strati di plastica, senza modificare i relativi modelli di consumo che incoraggiano gli sprechi».
Ed è proprio questo il nodo da evidenziare, perché la transizione ecologica, che ogni giorno si dimostra sempre più necessaria ed urgente, non può essere attuata solo con misure più o meno tecniche o «contenitive» ma richiede una profonda modifica dei modelli di vita, di produzione e di consumo in funzione della sostenibilità ambientale e della limitatezza delle risorse. Modifica che può avere successo solo se sarà supportata da una corrispondente maturazione culturale collettiva delle istituzioni e dei cittadini.
In questo quadro, lo strappo italiano alla legalità comunitaria concretizzatosi nelle deroghe dell’art. 5 dimostra con chiarezza che siamo ancora ben lontani da questa maturazione e che si vuole continuare a ripercorrere il solito schema della sostenibilità all’italiana per cui, al di là delle chiacchiere più o meno roboanti, la difesa dell’ambiente si può attuare solo se è sostenibile per l’economia e non viceversa. E poco importa se tra pochi anni nei nostri mari ci saranno più plastiche che pesci.
1 Ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. g-bis), d.lgs. n. 152/06 il «regime di responsabilità estesa del produttore» comprende « le misure volte ad assicurare che ai produttori di prodotti spetti la responsabilità finanziaria o la responsabilità finanziaria e organizzativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto ». Per approfondimenti, citazioni e richiami anche con riferimento alla disciplina per gli imballaggi, si rinvia al nostro La responsabilità estesa del produttore quale asse portante dell’economia circolare nella normativa comunitaria e nel d.lgs. n. 116/2020 , in Dir. giur. agr. al. amb. , 2021, 1.
2 Sui dispositivi medici impiantabili attivi.
3 Concernente i dispositivi medici.
4 «Materie plastiche contenenti additivi che attraverso l’ossidazione comportano la frammentazione della materia plastica in microframmenti o la decomposizione chimica» [art. 3, lett. c)].
5 Commissione UE, Orientamenti per l’applicazione delle norme sulla plastica monouso , Bruxelles 31 maggio 2021.
6 In proposito, è appena il caso di notare che su questa conclusione non influisce l’aggiunta, tutta italiana, alla definizione, della eccezione relativa al «prodotto realizzato in polimeri naturali non modificati chimicamente» [art. 3, lett. b) del d.lgs. n. 196/2021]. In realtà trattasi di precisazione superflua in quanto, come abbiamo visto, già la definizione di plastica esclude i «polimeri naturali che non sono stati modificati chimicamente». E pertanto, se pure è vero che «prodotti a base di carta senza rivestimento interno o esterno in plastica sono stati individuati come alternative disponibili, più sostenibili, ai prodotti di plastica monouso», è anche vero che, come spiega la Commissione, «quando viene applicato un rivestimento in plastica interno o esterno sulla superficie di un materiale a base di carta, cartone o altro materiale per proteggerlo dall’acqua o dal grasso, il prodotto finito è considerato un prodotto composito, costituito da più materiali di cui uno è la plastica». In questo caso si ritiene che il prodotto finito sia fatto in parte di plastica e quindi, come abbiamo detto, rientra nell’ambito del divieto comunitario.
7 Commissione UE, Orientamenti per l’applicazione delle norme sulla plastica monouso , cit.
8 Cfr. per tutti Corriere della sera del 2 giugno 2021, pag. 33: «L’applicazione della direttiva a partire dal 3 luglio rischia, insomma, di cancellare un settore dell’industria italiana. Tanto che nelle settimane scorse, prima dell’emanazione del via libera alle linee guida, il Ministro dello sviluppo economico, Giorgetti, ha chiesto a Bruxelles di togliere il bando ai piatti e ai bicchieri che contengono uno strato di plastica. Anche il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha fato un analogo tentativo scrivendo al Commissario all’economia, Paolo Gentiloni, affinché venissero modificate le linee guida. Il pressing però non ha dato l’esito sperato, la scadenza del 3 luglio appare dietro l’angolo e la frettolosa introduzione di una norma che vieta gli imballaggi di carta plastificata si configura come un danno all’economia nazionale. Non a caso, anche ieri Giorgetti è tornato sulla questione spiegando: «La consapevolezza ambientale, progetto condivisibile e obiettivo da perseguire non può ignorare le conseguenze di un approccio ideologico che penalizza le industrie italiane lasciando sul terreno morti e feriti, in termini di fallimenti aziendali e disoccupazione». Cingolani, in veste di titolare della Transizione ecologica, appare più duro e attacca Bruxelles: «si tratta di una direttiva assurda, per la quale va bene solo la plastica che si ricicla. Questo a noi non può andar bene. L’Europa ha dato una definizione di plastica stranissima, solo quella riciclabile - specifica il Ministro -. Tutte le altre non vanno bene». Sul piede di guerra Confindustria, che per bocca del presidente Bonomi lancia l’allarme: «Le linee guida sulla direttiva SUP chiudono di fatto un intero settore industriale. Non vedo reazione decisa e coesa da politica, sindacati, imprese. Sembra non interessi il futuro dei lavoratori del settore del packaging, eccellenza italiana nel mondo».
9 Tanto è vero che, come evidenziato da un particolareggiato rapporto di Greenpeace Italia, alcuni Paesi, come la Francia, hanno subito attuato il divieto, privilegiando strade alternative senza particolari problemi.
10 E, quindi, «conciliabile» con 5.000 euro.
11 In realtà trattasi di condizioni molto generiche e difficilmente controllabili [cfr. lett. c): « laddove tali alternative, in considerazione delle specifiche circostanze di tempo e di luogo non forniscano adeguate garanzie in termini di igiene e sicurezza »].