Cass. Sez. III n. 26620 del 21 luglio 2025 (CC 16 apr 2025)
Pres. Ramacci Rel. Noviello Ric. Nexity Milano
Urbanistica.Art. 41-quinquies Legge 1150/42
L'art. 41 quinquies comma 6 della L. 1150/42 (attualmente comma 1 ), stabilisce che nei Comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero siano consentite altezze superiori a metri 25, non possono essere realizzati edifici con volumi ed altezze superiori a detti limiti, se non previa approvazione di apposito piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata estesi alla intera zona e contenenti la disposizione planivolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa. La lettera della norma appare inequivoca, molto chiara, nello stabilire, senza alcun termine o condizione avente portata anche cronologica conclusiva, la necessità del previo piano particolareggiato o lottizzazione planivolumetrica, per i comuni tutti dotati degli strumenti urbanistici ivi citati e per le zone in cui siano consentite costruzioni dalle caratteristiche pure descritte nello stesso articolo. Tale disposizione alla luce, sul piano sistematico, anche delle altre previsioni ivi contenute, seppur abrogate poi ex DPR 380/01, chiaramente inerisce alla materia della regolazione urbanistica del territorio come affidata, mediante regole fondamentali, allo Stato; per cui appare innegabile la sua natura di previsione riconnessa al generale principio della pianificazione, di cui integra necessariamente una esplicazione ulteriore, anche essa di tipo fondamentale e non certamente di dettaglio: ciò in quanto, con la previsione in esame, che sancisce la necessità di piani particolareggiati o di lottizzazioni convenzionate in presenza di date edificazioni edilizie in progetto e in ragione delle loro caratteristiche ritenute particolarmente impattanti, si esprime il senso profondo del principio della pianificazione degli interventi edilizi e di trasformazione urbana, connotato dalla sua precipua funzione di garanzia dell’ordinato sviluppo del territorio.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale del riesame di Milano, adito nell'interesse di Nexity Milano Parco delle Cave s.r.l., avverso il sequestro preventivo disposto dal Gip del tribunale di Milano in relazione ai reati ex artt. 29 44 lett. b), 30, 44 lett. c) DPR 380/01 con riferimento alle fattispecie contravvenzionali inerenti al realizzazione abusiva di edifici e di una attività di lottizzazione, rigettava l'istanza.
2. Avverso la predetta ordinanza, quale terzo, proprietaria dell'area e dei manufatti sequestrati, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi di impugnazione, Nexity Milano Parco delle Cave s.r.l., in persona del suo rappresentante legale e a mezzo del difensore.
3. Con il primo motivo, deduce vizi di violazione di legge anche processuale per la mancata rilevazione della nullità del decreto di sequestro preventivo, conseguente alla mancata valutazione e trasmissione al Gip, da parte del Pubblico Ministero, di elementi probatori fondamentali e favorevoli alla difesa. Si rappresenta che a fronte della già avvenuta presentazione, da parte del P.M., presso il competente Gip, in data 17.4.2024, di una richiesta di sequestro preventivo poi accolta e di cui al presente procedimento, nell'interesse di uno degli indagati, dr. Rodriguez Nicolas Daniel Henri, procuratore della suindicata società, la difesa aveva presentato, il 27.6.2024, presso il medesimo Pubblico Ministero istante e suindicato, un memoria difensiva con sei allegati, idonei a confutare l'ipotesi accusatoria e dimostrativi di come la società qui ricorrente avesse operato con attenzione per la realizzazione del progetto edilizio in contestazione, dialogando con l'Amministrazione e tutti gli Enti competenti e attenendosi alle indicazioni da loro impartite. Con conseguente esclusione di ogni abuso. Tuttavia, la predetta documentazione non sarebbe stata trasmessa dal Pubblico Ministero al Gip, che non sarebbe stato quindi messo in condizione di esaminarla in sede di valutazione della proposta domanda di sequestro della Procura, come confermato anche, si osserva, nella ordinanza impugnata. Tanto premesso, si contesta la decisione del tribunale del riesame per cui non vi sarebbe alcun vulnus a fronte della circostanza per cui il Gip non avrebbe potuto esaminare gli elementi sottoposti al P.M. dalla difesa, dopo la presentazione della richiesta di sequestro, in ragione della mancata trasmissione degli stessi al Gip da parte dell'organo dell'accusa. In particolare, tale determinazione violerebbe il combinato disposto degli artt. 324 comma 7 cod. proc. pen., 309 comma 9 cod. proc. pen. e 292 cod. proc. pen.
Alla luce di tali previsioni, anche in materia di misure cautelari reali vi sarebbe l'obbligo per l'A.G. procedente di valutare gli elementi forniti dalla difesa. Si aggiunge, quindi, che diversamente da quanto sostenuto dal collegio della cautela non si potrebbe affermare che, anche ad escludere il dovere del P.M. di trasmettere nella materia in parola gli elementi a favore della difesa, da ciò discenda anche una mancanza di tutela per l'indagato o per l'interessato alla restituzione dei beni, che abbia tempestivamente prodotto elementi specifici e sostanziali a proprio favore e tuttavia non valutati dalla A.G. per scelta del P.M.
Piuttosto, vi sarebbe pur sempre la omessa valutazione degli elementi forniti dalla difesa che sarebbe garantita dal Legislatore, anche in materia di misure cautelari reali. Tanto più che si tratterebbe di elementi capaci di incidere sulla valutazione della vicenda, come sarebbe stato anche riconosciuto, secondo la difesa, dal tribunale, nella ordinanza impugnata.
La criticata impostazione del collegio della cautela violerebbe il diritto di difesa, perché legittimando il mancato invio degli atti della difesa da parte del P.M. consentirebbe a costui di sterilizzare il rischio che il Gip non li valuti, pur ricevendoli o che li valuti adottando una decisione diversa da quella dallo stesso auspicata.
4. Con il secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge in ordine all'art. 41 quinquies comma 6 della L. 17.8.1942 n. 1150 e dell'art. 8 del DM 2.4.1968 n. 1444, intesi come presupposto per le contravvenzioni ipotizzate. Nonché si deduce il vizio di motivazione mancante ovvero incompleta e irragionevole. Sarebbero apparenti o comunque illogiche le motivazioni dei giudici, con violazione degli artt. 41 quinquies comma 6 della L. 17.8.1942 n. 1150 e 8 del DM 2.4.1968 n. 1444.
L'art. 41 quinquies citato esprimerebbe non una norma generale ma una disposizione di dettaglio e, comunque, nessuna natura di norma di principio è stata rilevata dalla giurisprudenza in ordine al citato comma 6 dell'art. 41 quinquies suindicato. In tale quadro, legittimamente la Regione Lombardia avrebbe dettato una propria disciplina del territorio con L. 11.3.2005 n. 12, superando il PRG con uno strumento più complesso, quale il Piano di Governo del Territorio (PGT). All'interno del PGT, il cosiddetto Piano delle Regole individuerebbe le modalità di intervento e in ultima analisi si sarebbe quindi implicitamente abrogato il citato art. 41 quinquies ad opera della predetta normativa successivamente emanata in ordine al governo del territorio, che detta i casi in cui è necessaria la pianificazione attuativa, che è richiamata solo in alcuni casi dal Piano delle regole e, soprattutto, la disciplina ritenuta vincolante dal tribunale non sarebbe più applicabile in Lombardia. Sarebbe poi apparente la affermazione per cui nessuna norma regionale avrebbe abrogato l'art. 41 quinquies citato, con rigetto della tesi difensiva della abrogazione tacita o implicita della norma ex art. 15 delle preleggi, posto che in realtà la mancata abrogazione da parte dello Stato si giustificherebbe per la possibilità che la predetta norma possa vigere in altre regioni.
Comunque, l'art. 41 quinquies comma 6 non sarebbe da tempo applicabile al Comune di Milano sia perché norma transitoria, sia per il caso di specie, alla luce della giurisprudenza amministrativa oltre che della dottrina. A fronte della predisposizione, con l'art. 41 quinquies citato, di mere disposizioni di salvaguardia, e tenuto conto della incompatibilità del DM 1444/1968 con lo stesso, si sostiene altresì che il comune di Milano da tempo si sarebbe dotato di un Piano Regolatore Generale revisionandolo con una Variante del 1980 e adeguandosi, come previsto dall'art. 41 quinquies, agli standards ex DM citato, così da rendere non più applicabile la salvaguardia sancita con il citato art. 41 quinquies comma 6.
L'art. 41 quinquies citato sarebbe inapplicabile anche per altra ragione: la consolidata giurisprudenza ritiene che lo stato di urbanizzazione delle aree di riferimento renderebbe superflua la necessità della pianificazione attuativa. E in tal senso si richiama anche una circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 1501 del 14.4.1969. In proposito, sarebbe apparente e illogica la tesi del tribunale che respinge una tale ricostruzione. Né i giudici avrebbero illustrato le ragioni per cui sarebbe ininfluente l'adeguamento da parte del Comune di Milano nel 1980 agli standards urbanistici ed edilizi di cui alla d. Legge Ponte e DM 1444/68. Si aggiunge che la giurisprudenza richiamata dal tribunale, per respingere la predetta tesi difensiva, si tradurrebbe in decisioni inconferenti rispetto al caso in esame siccome tutte inerenti a fattispecie connotate da carenza o inidoneità delle opere di urbanizzazione preesistenti né riguardavano il citato art. 41 quinquies. Si contesta, alfine e in conclusione, la tesi per cui il predetto art. 41 quinquies al comma 6 non tiene in considerazione alcuna il livello di urbanizzazione dell'area interessata dall'intervento.
Sarebbe altresì apparente e illogica la tesi del tribunale per cui l'amministrazione non avrebbe mai illustrato, nel corso dell'iter amministrativo inerente l'intervento, con riguardo alle caratteristiche dell'intervento stesso e dell'area di riferimento, i motivi di superfluità sostanziale del piano attuativo, a fronte di un obbligo in tal senso. Ciò perché invece tale verifica vi sarebbe stata, alla luce del PGT applicabile, del Piano dei Servizi, e del PUGSS. Come anche sostenuto in proposito con consulenza di parte. Inoltre, in sede di rilascio di permesso di costruire del 2019 e di SCIA del 2022 si sarebbero espressi i soggetti gestori delle reti di infrastruttura primaria. I giudici invece, non avrebbero dimostrato che l'area avesse bisogno di altre opere di urbanizzazione, piuttosto adagiandosi su teorie del PM riguardanti la necessità di altre opere di urbanizzazione.
In ogni caso, anche a volere ritenere necessaria la pianificazione attuativa come sostenuto dal tribunale, si osserva che essa sarebbe comunque intervenuta, essendosi adottato un permesso di costruire convenzionato ex art. 28 bis del DPR 380/01, quale strumento idoneo a sostituire il piano attuativo e sul punto il tribunale non avrebbe formulato alcuna motivazione.
Sarebbero poi contraddittorie ed apparenti le motivazioni del collegio con cui si è sostenuta, a pagina 21 della ordinanza, l'applicabilità anche dell'art. 8 del DM 1444/68, posto che l'art. 103 della L. della regione Lombardia lo avrebbe disapplicato, salvo facendo il rispetto delle distanze tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti oltre che del rapporto minimo di 18 mq. di aree per servizi per ogni abitante. Ciò perché, comunque, l'intervento in questione è in attuazione del previgente PGT del 2012, atteso che lo stesso è in attuazione di una convenzione stipulata il 31.1.2019, in piena vigenza dello strumento urbanistico, stante anche l'art. 52 comma 1 del PGT 2020 in tema di salvaguardia di talune previsioni urbanistiche e prescrizioni adottate siccome da reputare come valide "fino alla scadenza per loro previste dalla legislazione vigente o dallo strumento stesso". E secondo la giurisprudenza amministrativa sarebbe legittimo inserire norme transitorie nei nuovi piani urbanistici senza ritenerle in contrasto con la disciplina di legge sulle misure di salvaguardia del piano urbanistico generale adottato. In tale quadro, il collegio della cautela negando valenza alla convenzione sottoscritta in data 31.1.2019 avrebbe violato il citato art. 52 delle norme del PGT 2020. Per cui stante tale ultima norma, la Scia del 7.7.2022 sarebbe stata presentata in conformità della disciplina urbanistica del PGT applicabile ossia quello del 2012 siccome in attuazione della convenzione urbanistica del 31.1.2019, i cui effetti, come quelli del PGT 2012, erano e sono fatti salvi dalla applicazione in salvaguardia, della previsione citata di cui all'art. 52. del PGT 2020. Da qui la applicazione all'intervento edilizio della deroga dell'art. 8 del DM suindicato, come prevista dall'art. 103 comma 1 bis della L. regionale 12/2005, trattandosi di intervento regolato dal PGT del 2012.
5. Con il terzo motivo rappresenta il vizio di violazione di legge per erronea qualificazione dell'intervento in esame, quale nuova costruzione piuttosto che ristrutturazione, oltre che dello strumento SCIA, quale presupposto delle contravvenzioni contestate. Si deduce altresì il vizio di motivazione mancante o comunque incompleta, incoerente e irragionevole. La qualifica dell'intervento quale nuova costruzione violerebbe anche l'art. 3 del DPR 380/01, comma 1 lett. d), in virtù del quale l'intervento in esame integrerebbe piuttosto una ristrutturazione. Tanto sarebbe supportato anche dalla giurisprudenza amministrativa e da Circolare congiunta del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministero per la Pubblica Amministrazione. Si aggiunge poi un rinvio ad una consulenza "per la puntuale contestazione della (inconferente) giurisprudenza citata nell'ordinanza impugnata". Si tratterebbe dunque di una ristrutturazione mediante integrale demolizione di un preesistente complesso edilizio con destinazione produttiva e ricostruzione di un complesso residenziale utilizzando la preesistente volumetria, ampliandola, e sfruttando una prerogativa del PGT. L'ulteriore conseguenza di tale ultima qualificazione sarebbe la correttezza, esclusa dal tribunale, del ricorso a SCIA alternativa a permesso di costruire ex art. 23 comma 1 del DPR 380/01, come anche previsto dalla convenzione del 31.1.2019. E anche ove si trattasse di nuova costruzione l'intervento sarebbe comunque assentibile con SCIA. E si contesta la tesi del tribunale che esclude questa ultima prospettazione negando la assimilazione della convenzione ad accordi negoziali aventi valore di piano attuativo come contemplati dall'art. 23 comma 1 lett. b) del DPR 380/01 in punto di Scia alternativa per interventi di nuova costruzione, sul rilievo, contrastato in ricorso con apposita illustrazione al riguardo, per cui la convenzione del 31.1.2019 sarebbe priva di valido fondamento giuridico (che invece la difesa individua nell'art. 28 bis comma 3 del DPR 380/01 oltre che nell'art. 39 comma 2 bis del regolamento edilizio comunale) nonché indeterminata nei suoi contenuti.
In ogni caso, a rigore e stante il principio di prevalenza della sostanza sulla forma la predetta Scia in ultima analisi integrerebbe tutti i requisiti di un permesso ma sul punto, illustrato in una consulenza cui si rinvia in ricorso, il tribunale non avrebbe risposto alcunchè.
Si contesta nuovamente la tesi della mancanza di base giuridica per la convenzione citata,
6. Con il quarto motivo deduce vizi di violazione di legge sulla ritenuta sussistenza del fumus circa l'elemento soggettivo e di motivazione mancante o irragionevole, posto che le condotte della società ricorrente sarebbero prive di colpa. E si sarebbe ingenerato un legittimo affidamento in capo alla stessa.
7. Con il quinto motivo si deduce il vizio di violazione di legge per insussistenza del periculum in mora, e la violazione del principio di proporzionalità oltre che di motivazione inesistente e illogica.
8. La ricorrente ha anche depositato note difensive.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Si procede in relazione alla ordinanza del tribunale del riesame di Milano confermativa del decreto con il quale il Gip presso il Tribunale di Milano disponeva li sequestro preventivo impeditivo dell'area di cantiere sita in Milano, di proprietà della società odierna ricorrente. L'area complessiva di intervento, originariamente di proprietà della società Lakes Park dal 23/12/2004, riguardava una superficie di 9.680,13 mq; sulla stessa insisteva un complesso industriale dismesso con una superficie lorda di pavimento (s.l.p.) complessiva di 6.196,08 mq. Ferma restando l'unitarietà dell'area di intervento, la stessa era stata suddivisa in due autonomi lotti funzionali, di cui il primo, di 5.650 mq circa, avrebbe ospitato un edificio commerciale, li secondo, di circa 4.030 mq e prospiciente il Parco Sud, avrebbe ospitato nuovi distinti corpi residenziali in corso d'opera. Il sequestro ha riguardato solo questo secondo lotto, in ordine al quale, previe operazioni di totale demolizione dell'edificio preesistente (uno stabilimento industriale dismesso) era stata prevista la realizzazione di tre torri residenziali, con numero di piani tra i 9 e i 13 ed altezze dai 27 ai 43 metri, su piastra verde rialzata, con volume pari a 4,06 metri cubi su metro quadrato, destinate a 77 appartamenti, per un numero di 217 abitanti teorici. Secondo la ricostruzione dei giudici della cautela, le opere (sia quelle relative al lotto 1 sia quelle relative al lotto 2 in sequestro) erano state oggetto di un atto denominato "convenzione urbanistica" a firma del direttore dell'area SUE del comune di Milano e in seguito erano stati presentati permesso di costruire convenzionato in relazione al lotto 1 e SCIA condizionata per il lotto 2. Innanzitutto, il Gip riteneva la violazione dell'art. 41 quinquies comma 6 della legge urbanistica n. 1150/1942 (attualmente art 41 quinquies comma 1 a seguito della abrogazione dei precedenti commi del medesimo articolo ai sensi dell'art. 136 del dpr 380/01), a norma del quale, alla luce delle caratteristiche dell'intervento, l'amministrazione comunale avrebbe dovuto procedere a mezzo di pianificazione attuativa, tematica quest'ultima che nella pratica edilizia in questione non era stata affrontata, procedendosi solo a convenzione di cui sopra; si ritenevano dunque vincolanti la disposizione di cui al comma 6 dell'art. 41 quinquies citato e le disposizioni del DM 1444/68 in relazione alla necessità di pianificazione attuativa, non risultando alcun margine per affermare la derogabilità della disposizione da parte della legge regionale o da parte del comune di Milano, rimarcandosi, sotto tale profilo, che il PGT applicabile in nessuna disposizione prevedeva che fosse esclusa l'applicabilità del DM suindicato. La mancanza del piano attuativo conduceva i giudici della cautela a ritenere che i reati ipotizzati ex artt. 44 comma 1 lett. b) e c) ( di costruzione abusiva e lottizzazione) del DPR 380/01 sussistessero pur in presenza di una cd. convenzione urbanistica di cui sopra e di un titolo abilitativo poi (nel caso di specie, per il lotto in sequestro, identificato in una SCIA per ristrutturazione “pesante” e giudicata inidonea). Con riguardo al reato edilizio il Gip, nel ricostruire la vicenda, evidenziava altresì alcune contraddizioni che avrebbero caratterizzato la pratica rispetto alla qualificazione stessa dell'intervento edilizio nell'ambito dell'una o dell'altra categoria indicata dall'art. 3 DPR 380/2001: intervento per opere nuove o per ristrutturazione. Il periculum in mora, sub specie, in particolare, di prosecuzione e aggravamento della lesione dell'interesse protetto dai reati ipotizzati, era riconosciuto a fronte del dato per cui i lavori erano ancora in corso di esecuzione (come si evinceva dal sito della società Nexity ove era possibile "monitorare" lo stato di avanzamento dei lavori).
2. Quanto al primo motivo, occorrono alcune premesse.
3. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno da tempo chiarito che nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 al comma nono dell'art. 309 cod. proc. pen., sono applicabili - in virtù del rinvio operato dall'art. 324, comma settimo dello stesso codice - in quanto compatibili con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa (cfr. Sez. U, Sentenza n. 18954 del 31/03/2016 Rv. 266789 - 01; Sez. 3, n. 2257 del 18/10/2016 (dep. 18/01/2017 ) Rv. 268800 - 01).
3.1. Quanto poi all'obbligo del P.M. richiedente una misura cautelare, questa Corte ha precisato, in tema di misure cautelari personali, che per garantire all'indagato da una parte, agli organi requirente e decidente dall'altra, la certezza di decisione resa iuxta alligata (pur con i recenti limiti dell'interrogatorio preventivo per le misure personali) con riguardo a un non opinabile dato temporale, si è stabilito, al primo comma dell'art. 291 cod. proc. pen. , che le memorie difensive nelle quali tra l'altro, sono normalmente compendiati gli elementi a favore della difesa, siano da trasmettere solo se "già depositate" al momento della richiesta (in termini Cass. sez. 5^, 28/7/1998, Finocchiaro; Sez. 6, n. 29807 del 20/06/2001 Rv. 220652 - 01; Sez. 1, n. 36246 del 29/05/2012 Rv. 253715 - 01) . In linea con tale indirizzo, si è altresì precisato che la mancata trasmissione, da parte del pubblico ministero, in violazione del disposto di cui all'art. 291,comma 1, ultima parte, c.p.p., delle eventuali memorie difensive già depositate, si traduce in una causa di nullità dell'ordinanza applicativa della misura, per violazione dell'art.292, comma 2, lett.c) bis, c.p.p., nella parte in cui esso impone al giudice l'esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti non rilevanti gli elementi forniti dalla difesa; nullità, quella anzidetta, da qualificare come "intermedia" e quindi destinata ad essere sanata se non rilevata o dedotta, nel caso in cui venga proposta richiesta di riesame, prima che su tale richiesta intervenga il provvedimento del tribunale (Sez. 1, n. 895 del 13/02/1998 (dep. 13/03/1998) Rv. 209904 - 01).
3.2. Il predetto obbligo di trasmissione, circoscritto nei limiti temporali suddetti della previa presentazione di elementi favorevoli difensivi prima dell'inoltro della domanda cautelare da parte del P.M., ha ricevuto talune specificazioni nel senso che in tema di misure cautelari personali il pubblico ministero è tenuto a trasmettere al giudice, ai sensi dell'art.291 cod. proc. pen., le sole memorie difensive depositate dall'indagato nel corso del procedimento in relazione al quale è presentata la richiesta di misura cautelare e non anche quelle depositate in procedimenti diversi, a nulla rilevando che le stesse siano comunque note al pubblico ministero (Sez. 6, n. 29477 del 23/03/2017 Rv. 270560 - 01).
3.3. Quanto, infine, ai contenuti degli elementi difensivi rilevanti ai fini suindicati, questa Corte ne ha precisato la portata, chiarendo e ribadendo che in tema di misure cautelari personali, rientrano nella nozione di "elementi forniti dalla difesa", da valutare nell'ordinanza genetica a pena di nullità ex art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., i soli dati di natura oggettiva e concludente ai fini decisori, essendo escluse, invece, le mere posizioni difensive negatorie, le prospettazioni di tesi alternative, le diverse interpretazioni degli elementi indiziari e gli assunti defatigatori, che restano assorbiti nel complessivo apprezzamento operato dal giudice della cautela. (Sez. 3, n. 47593 del 15/10/2024, Rv. 287275 - 01).
4. Tanto precisato, le argomentazioni difensive tese ad estendere il citato obbligo di trasmissione degli elementi difensivi, dettato dall'art. 291 cod. proc. pen. per le misure cautelari personali, anche al caso di domanda del P.M. diretta ad ottenere una misura cautelare reale, come nel caso di specie, appaiono del tutto infondate. Da una parte, depone in senso ostativo, come rilevato dal tribunale, il dato letterale e sistematico della previsione ex art. 291 cod. proc. pen., che fa riferimento solo al tema delle misure cautelari personali; senza che a ciò sia di intralcio l'apertura sancita da queste Sezioni Unite anche in tema di misure cautelari reali laddove - come sopra riportato - hanno stabilito che nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015, n. 47 al comma nono dell'art. 309 cod. proc. pen., sono applicabili nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa. Ciò in quanto un conto è l'obbligo di esaminare gli elementi difensivi una volta presenti nel compendio indiziario sottoposto al giudice, rispetto ai quali può configurarsi il predetto annullamento per mancanza di motivazione, un conto è sancire l'ulteriore specifico obbligo del P.M. di trasmettere gli elementi difensivi al giudice sulla base di una norma stabilita espressamente per le misure cautelari personali. Tanto più che il Supremo Consesso di questa Corte ha pur sempre condizionato l'estensione della citata regola di annullamento da parte del riesame, valevole in primis per misure cautelari personali, alla considerazione della compatibilità con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale: rispetto alla quale non va dimenticato come per il sequestro probatorio rilevino essenzialmente le esigenze di indagine rispetto a profili di colpevolezza in ordine al reato di riferimento, e analogamente, per quello preventivo, stante la rilevanza oltre che del periculum in mora anche del solo cd. fumus, non è necessario valutare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico della persona nei cui confronti è operato il sequestro, essendo sufficiente che sussista il "fumus commissi delicti", vale a dire la astratta sussumibilità in una determinata ipotesi di reato del fatto contestato. (Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018, Armeli, Rv. 273069 - 01).
Questo più ristretto ambito di valutazione valevole per le misure reali, in altri termini, unito alla peculiarità del bene ristretto (la proprietà piuttosto che la libertà personale) ben può spiegare la scelta, insuperabile allo stato, del Legislatore, di imporre l'obbligo di trasmissione da parte del Pubblico Ministero degli elementi difensivi di cui all'art. 291 c.p.p., con tutte le sue conseguenze in tema di annullamento da parte del riesame rispetto ai correlati contenuti della motivazione del provvedimento genetico, solo al campo delle misure cautelari personali. Rafforza tale ultima notazione finale anche il perspicuo rilievo, di cui alla ordinanza impugnata, secondo il quale, a conforto della necessaria attuale diversità di disciplina tra misure cautelari reali e personali, depone anche il dato, normativo, per cui in tema di riesame dei provvedimenti di sequestro, il pubblico ministero ha l'obbligo di trasmettere al tribunale i soli atti posti a sostegno del decreto impugnato, in quanto l'art. 324, comma 3, cod. proc. pen. non contiene alcun rinvio all'art. 309, comma 5, cod. proc. pen., norma che, in relazione alle misure cautelari personali, impone di allegare anche gli elementi sopravvenuti favorevoli alla persona sottoposta ad indagini (cfr. da ultimo Sez. 6 - n. 13937 del 09/03/2022 Rv. 283141 - 01). L'assenza di un tale obbligo in sede di riesame, non può che confermare l'assenza, in fase di richiesta di misura cautelare reale, di un analogo obbligo da estendersi analogicamente alle misure reali, come in sostanza prospettato dalla difesa, ex art. 291 cod. proc. pen.
4.1. Ad ogni modo, mancherebbero gli ulteriori presupposti che la giurisprudenza di legittimità richiede (e sopra sintetizzati) perché possa ritenersi violato l'obbligo di trasmissione ex art. 391 cod. proc. pen., con incidenza negativa in sede di sindacato da parte del tribunale del riesame: innanzitutto gli elementi difensivi richiamati dalla ricorrente non erano già presenti al momento di inoltro da parte del Pubblico ministero della domanda di misura, come invece richiesto dagli indirizzi di legittimità citati, bensì sono sopravvenuti alla stessa; quanto al contenuto, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, va osservato che il tribunale non ha affatto sancito la loro decisività in favore della ricorrente, ma si è solo limitato, da una parte, a rilevare la astratta rilevanza degli elementi difensivi in questione ai fini del decidere, aggiungendo esclusivamente che le argomentazioni difensive sarebbero state "astrattamente idonee, secondo la prospettazione difensiva di cui veniva fornita rappresentazione nella memoria, a contrastare l'impianto accusatorio". Piuttosto, in luogo di una mera e generica rivendicazione di decisività, non emerge nel motivo in esame la illustrazione - alla luce del già riportato principio per cui rientrano nella nozione di "elementi forniti dalla difesa", da valutare nell'ordinanza genetica a pena di nullità ex art. 292, comma 2, lett. c-bis), cod. proc. pen., i soli dati di natura oggettiva e concludente ai fini decisori, (Sez. 3, n. 47593 del 15/10/2024, , Rv. 287275 - 01, cit) -, di una analitica quanto doverosa specificazione - rispetto alla memoria e ai 6 allegati non trasmessi dal P.M. - di quegli elementi che, al di fuori della articolazione, nei citati atti, di mere posizioni difensive negatorie, di prospettazioni di tesi alternative, di diverse interpretazioni degli elementi indiziari, potessero assumere natura oggettiva e concludente. Tanto più nella limitata prospettiva difensiva consentita alla attuale ricorrente, quale terzo rispetto alla misura in parola, per cui il terzo proprietario non è legittimato a interloquire sulla sussistenza del "fumus" dell'illecito, a lui non addebitato, ma posto a fondamento del sequestro preventivo, ma può dimostrare la sua buona fede, ovvero che l'attività non è collegabile ad un suo comportamento colpevole o negligente (cfr. da ultimo, quale principio generale nella specie dettato in materia di rifiuti, Sez. 3, n. 16088 del 13/02/2025, , Rv. 287998 - 01).
4.2. Né può trascurarsi come gli elementi difensivi rivendicati dalla ricorrente come non trasmessi siano stati prodotti da una delle persone fisiche indagate, e non dalla società in questione, con un onere ancor maggiore di specificare, nel motivo in esame, rispetto ad essi quali dati dovessero avere connotazione oggettiva e concludente per la peculiare posizione di terzo della ricorrente, non autrice del deposito.
5. Anche il secondo motivo è inammissibile. Esso riguarda il vizio di violazione di legge in ordine all'art. 41 quinquies comma 6 della L. 17.8.1942 n. 1150 e all'art. 8 del DM 2.4.1968 n. 1444, intesi come presupposto per le contravvenzioni ipotizzate. Nonché il vizio di motivazione mancante ovvero incompleta e irragionevole.
5.1. Preliminarmente, vanno considerate inammissibili tutte le censure con cui si sollevano carenze di illogicità della motivazione, atteso che, come noto, in tema di misure cautelari reali costituisce violazione di legge deducibile mediante ricorso per cassazione soltanto l'inesistenza o la mera apparenza della motivazione, ma non anche la sua illogicità manifesta, ai sensi dell'art. 606, comma primo, lettera e), cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 5807 del 18/01/2017, Rv. 269119 - 01).
5.2. Quanto al dedotto vizio di violazione di legge e al vizio, pure dedotto, di carenza di motivazione, in via preliminare essi sono inammissibili, atteso che mediante la loro prospettazione si vuole incidere sul cd. fumus del reato che esonda dalla portata della azione difensiva riservata alla ricorrente quale terzo, stante il principio, inerente le censure deducibili in questa sede cautelare da parte del terzo proprietario e già sopra richiamato (Sez. 3, n. 16088 del 13/02/2025, cit.), limitante l'azione difensiva alla dimostrazione della buona fede e della estraneità al reato.
5.3. In ogni caso e per completezza, si osserva che i predetti rilievi critici sono comunque manifestamente infondati.
Ai sensi dell'art. 41 quinquies comma 6 della L. 1150/42, nei Comuni dotati di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione, nelle zone in cui siano consentite costruzioni per volumi superiori a tre metri cubi per metro quadrato di area edificabile, ovvero siano consentite altezze superiori a metri 25, non possono essere realizzati edifici con volumi ed altezze superiori a detti limiti, se non previa approvazione di apposito piano particolareggiato o lottizzazione convenzionata estesi alla intera zona e contenenti la disposizione planivolumetrica degli edifici previsti nella zona stessa.
La lettera della norma appare inequivoca, molto chiara, nello stabilire, senza alcun termine o condizione avente portata anche cronologica conclusiva, la necessità del previo piano particolareggiato o lottizzazione planivolumetrica, per i comuni tutti dotati degli strumenti urbanistici ivi citati e per le zone in cui siano consentite costruzioni dalle caratteristiche pure descritte nello stesso articolo; le quali ultime, in maniera incontestata, paiono corrispondenti a quelle interessate dagli interventi in questione.
Tale disposizione peraltro, alla luce, sul piano sistematico, anche delle altre previsioni ivi contenute, seppur abrogate poi ex DPR 380/01, chiaramente inerisce alla materia della regolazione urbanistica del territorio come affidata, mediante regole fondamentali, allo Stato; per cui appare innegabile la sua natura di previsione riconnessa al generale principio della pianificazione, di cui integra necessariamente una esplicazione ulteriore, anche essa di tipo fondamentale e non certamente di dettaglio: ciò in quanto, con la previsione in esame, che sancisce la necessità di piani particolareggiati o di lottizzazioni convenzionate in presenza di date edificazioni edilizie in progetto e in ragione delle loro caratteristiche ritenute particolarmente impattanti, si esprime il senso profondo del principio della pianificazione degli interventi edilizi e di trasformazione urbana, connotato dalla sua precipua funzione di garanzia dell’ordinato sviluppo del territorio. La Corte costituzionale, è opportuno in proposito ricordarlo, ha sul punto sottolineato che il senso del principio di pianificazione sta nella esigenza di "una visione integrata di una determinata porzione di territorio, sufficientemente ampia da poter allocare su di esso tutte le funzioni che per loro natura richiedono di trovarvi posto", esigenza "funzionale all’ordinato sviluppo del territorio" (da ultimo v. Corte cost., 4 luglio 2024, n. 119).
In proposito, non può trascurarsi, altresì, la chiara correlazione con l'art. 13 della L. 1150/42, secondo il quale il piano regolatore generale è attuato a mezzo di piani particolareggiati di esecuzione i cui contenuti sono ivi stabiliti. La regola per l’attuazione della pianificazione urbanistica generale del Comune è dunque la formazione di piani particolareggiati di esecuzione, e non l’attuazione dello strumento urbanistico generale in via "diretta", ossia mediante rilascio del permesso di costruire (o presentazione di segnalazione certificata di inizio attività, ove consentito).
Il portato, sul piano penale, di tale prospettiva normativa, si esprime nella lottizzazione abusiva, che mira ad un duplice scopo di tutela (cfr. per tutte Sez. 3, n. 36940 del 11/05/2005 Rv. 232190 – 01), rivolto ad impedire, come noto:
sia che venga compromessa la potestà, attribuita agli enti locali, di effettuare razionali ed armoniche scelte urbanistiche mediante gli specifici strumenti di pianificazione previsti dalla legge;
sia che un processo di urbanizzazione incontrollata comporti la nascita di agglomerati edilizi privi delle infrastrutture primarie e secondarie necessarie per la loro integrazione urbanistica, con conseguente imposizione alla Pubblica Amministrazione competente di ingenti spese per dotazioni infrastrutturali.
Invero, interventi costruttivi di consistente rilievo, anche se unitari, ben possono richiedere, e ragionevolmente, per la loro complessità e per l'incidenza urbanistica che siano in grado di sviluppare rispetto alla situazione in atto, la realizzazione di un apposito strumento attuativo, sia esso di iniziativa pubblica o privata. In tal senso la giurisprudenza ha utilmente rilevato (cfr. tra le altre Consiglio di Stato 4 agosto 2000, n. 4295) che le opere di urbanizzazione sono interventi che trascendono le dimensioni del singolo lotto edificabile, per cui la loro pianificazione è effettuabile soltanto con uno strumento urbanistico attuativo. Lungo tale linea si è altresì osservato, da parte della stessa giurisprudenza amministrativa, che persino in presenza di porzioni di territorio completamente edificate ed urbanizzate, il Comune legittimamente respinge la richiesta di rilascio della concessione (C.d.S., Sez. V, 7.9.2000 n. 4741; C.d.S., Sez. V, 1.7.2002 n. 3587) in assenza di previa adozione di piano attuativo per un intervento edilizio (che prevedeva la realizzazione non solo di fabbricati per civile abitazione, ma anche di fabbricati destinati ad attività commerciali, negozi, uffici, market, ristorante ed altro) di consistenza e complessità tali da realizzare una notevole trasformazione del territorio, inammissibile in assenza di un piano per la realizzazione degli interventi infrastrutturali idonei a sostenere il modificato assetto territoriale. Il Comune, pertanto, in ogni caso, si è osservato, non può consentire la realizzazione di tale insediamento senza la previa approvazione di un piano particolareggiato o di un piano di lottizzazione, anche al fine di soddisfare un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione.
Si è anche rilevato, attraverso l'analisi di fattispecie abusive lottizzatorie, che consistenti interventi edili implicano un'esigenza ineludibile non solo di potenziamento locale delle opere di urbanizzazione ma anche di raccordo con il preesistente assetto abitativo, come tale richiedente una specifica e concreta e razionale riprogrammazione.
Cosicchè, è la consistenza dell’intervento edificatorio, con il suo impatto sul territorio, a spiegare la necessità di una pianificazione nei termini scelti insindacabilmente dal Legislatore ed esplicitati dall'art. 41 quinquies comma 6 citato: in altri termini, la innegabile circostanza per cui interventi edificatori consistenti sono come tali dotati di una inevitabile incidenza anche sul piano della rielaborazione e rimodulazione delle opere di urbanizzazione, comunque da affidarsi alla programmazione pubblica, pur in presenza di opere di urbanizzazione già esistenti, ma comunque non modulate sull’intervento realizzato o realizzando posto in rapporto al contesto circostante, rientra tra le ragioni giustificative della previsione di cui all'art. 41 quinquies comma 6; la quale, quindi, appare, in tale quadro, connotata da un'ineludibile portato generale. Con la lottizzazione ex art. 44 lett. c) DPR 380/01 che si pone quale suo possibile risvolto penale.
Trasferendo in questa sede considerazioni altresì sviluppate dalla giurisprudenza nell'ambito dell'analisi di condotte lottizzatorie illecite, per le quali tutte tali fattispecie presentano il dato, per così dire ontologico, secondo cui attività atte ad incidere sulla programmazione urbanistica richiedono comunque un piano razionale di realizzazione degli interventi infrastrutturali, idonei a sostenere il modificato assetto territoriale, come tale affidato all’ente programmatore (o a date condizioni a strumenti convenzionali e analitici), anche al fine, come è stato rilevato, di soddisfare un'esigenza ineludibile non solo di potenziamento locale delle opere di urbanizzazione ma anche di raccordo con il preesistente aggregato abitativo, richiedente una specifica e concreta e razionale riprogrammazione, si comprende ulteriormente che quanto disposto con l'art. 41 quinquies comma 6 in esame costituisce una scelta fondamentale del Legislatore statale, in materia di governo del territorio.
In altri termini ed in sintesi, in linea con quanto anche osservato in dottrina, la disposizione prevede, secondo una scelta fondamentale e insuperabile del Legislatore, a date condizioni, il previo ricorso allo strumento urbanistico attuativo (piano particolareggiato o piano di lottizzazione convenzionata), così da escludere la realizzazione degli interventi, consistenti, ivi contemplati, in regime di “edilizia diretta”, ossia sulla base del solo permesso di costruire, che deve invece essere preceduto dai predetti strumenti urbanistici attuativi. In tal senso si è espressa la stessa Cassazione civile, avendo essa evidenziato che "la disposizione era volta ad autorizzate la realizzazione di costruzioni con le altezze e le volumetria già consentite ai sensi dello strumento locale solo nel complesso di un più ampio assetto del territorio, allo scopo di subordinare lo sfruttamento intensivo del territorio all'elaborazione di un disegno urbanistico complessivo della zona, in modo che il processo edificatorio fosse visto nel suo insieme e fosse accompagnato dalla realizzazione delle necessarie opere di urbanizzazione primaria e secondaria, nel quadro di una razionale distribuzione dei volumi" (cfr. Cass. Civ. n. 1995 del 29.10.2019 dep. il 29.01.2020; Cons. Stato 635/1980). Diversamente, ed in una prospettiva inversa, potrebbe giungersi paradossalmente ad escludersi la lottizzazione, in assenza di un principio di tal fatta e in presenza quindi, di una libera facoltà regolamentativa (o addirittura non regolamentativa) degli enti territoriali, in punto soprattutto di disciplina di profili edilizi in programmata connessione con quelli di urbanizzazione, in presenza di sole opere di urbanizzazione realizzate a completamento e in correlazione del solo intervento edilizio, seppur consistente e come tale "impattante", di volta in volta assentito con il solo titolo abilitativo, oppure in ragione di preesistenti interventi di urbanizzazione solo perché già presenti .
Con buona pace della complessità e interorganicità degli interventi di urbanizzazione - posti in concreto a tutela non solo del territorio ma ormai di plurimi e intercorrelati beni, non escluso la salute e l'ambiente -, di fatto in continuo necessario divenire e in continua correlazione anche con altri aggregati urbani, in presenza di rilevanti interventi edili.
In proposito, a conferma della rilevanza e portata fondamentale della disposizione in esame, è opportuno anche ricordare che secondo la Corte costituzionale, la pianificazione del territorio oltre ad essere funzionale all’interesse all’ordinato sviluppo edilizio del territorio, è volta anche ad assicurare la realizzazione contemperata di una pluralità di differenti interessi pubblici, incidenti sul medesimo territorio, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti (sentenze n. 219 e n. 202 del 2021 e similmente sentenze n. 90, n. 19 e n. 17 del 2023 e n. 229 del 2022) (Corte cost., 23 luglio 2024, n. 142, § 5.3.2. del considerato in diritto).
Il riconoscimento della portata fondamentale dell'art. 41 quinquies comma 6 in esame trae linfa, altresì, anche dal rilievo, già riportato nella ordinanza impugnata, della mancata abrogazione della norma attraverso il DPR 380/01 nonché, dalla impossibilità di rinvenire dalla norma stessa o da altre esplicite disposizioni in tal senso, indicazioni idonee a definirla, piuttosto, secondo la impostazione difensiva, quale disposizione meramente temporanea e di dettaglio. Non temporanea, già per la sua attuale persistenza e la sua formulazione aliena da qualsivoglia termine e condizione diversa dai suoi presupposti edilizi; non di dettaglio, ancora una volta già per la sua formulazione nonché per la ratio, che, per quanto sopra illustrato, ribadisce e risponde a ragioni pregnanti giustificative di un principio statale di portata fondamentale, di pianificazione, di cui è dunque ulteriore esplicazione generale.
Del resto, giova anche osservare che, se da una parte la Corte Costituzionale ha espressamente stabilito, quanto ai limiti fissati dal d.m. n. 1444 del 1968, che essi hanno il proprio fondamento nell’art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica), ed hanno efficacia vincolante anche verso il legislatore regionale [...], costituendo […] principi fondamentali della materia, in particolare come limiti massimi di densità edilizia a tutela del “primario interesse generale all’ordinato sviluppo urbano”» (sentenza n. 217 del 2020), appare significativo, nella prospettiva che si vuole qui sostenere circa la portata dell'art. 41 quinquies comma 6 in esame, che anche quest'ultima disposizione risponde innegabilmente, attraverso la imposizione di piani di attuazione, ad esigenze di tutela dell'interesse generale al corretto sviluppo del territorio.
Da ultimo, appare utile anche evidenziare, a sostegno della tesi qui elaborata, come nella stessa sede parlamentare sia stata presentata una proposta di legge di "interpretazione autentica" in materia urbanistica ed edilizia che ha riguardo anche all'art. 41 quinquies comma 6 in esame, che come tale, piuttosto che esser ritenuto ormai norma di dettaglio superata ovvero abrogata, come si sostiene in ricorso, viene considerato tutt'ora vigente, proponendosene una rielaborazione.
5.4. Affermata la portata di disposizione fondamentale, dell'art. 41 quinquies comma 6, e la sua attuale vigenza (come del resto confermato anche da altra sentenza di questa Corte, Sez. 3, n. 38795 del 2015, seppur aderente, quanto ai presupposti di applicazione concreta, alla tesi della possibile esclusione di sua attuazione in casi, pur riconosciuti di difficile determinazione, di piena urbanizzazione delle aree interessate), devono formularsi ulteriori osservazioni.
Questa Corte ritiene di dover condividere il rilievo esposto in ordinanza, che del resto trova riscontro anche in decisioni giurisdizionali amministrative (cfr. tra le altre Consiglio di Stato, sentenze n. 511 dell’8 giugno 1971, n. 881 del 16 dicembre 1973 e n. 369 del 22 aprile 1977), per cui la norma in esame impone sempre e comunque il ricorso agli strumenti attuativi contemplati (nel caso di specie assenti), in presenza di interventi edilizi che posseggano le caratteristiche citate nella stessa disposizione.
Tanto si spiega alla luce della lettera dell'articolo, della sua ratio come sopra esposta, della più volte rilevata, in dottrina e giurisprudenza, complessità, dinamicità e interconnessione delle esigenze di urbanizzazione del territorio, per cui non può escludersi che il medesimo ambito, pur già urbanizzato, richieda - per il nuovo intervento - una rimodulazione delle opere di urbanizzazione, poiché comunque non strutturate rispetto all’intervento realizzato posto in rapporto al contesto circostante, sia con riguardo a quelle già realizzate in loco che con riferimento a quelle, correlate, di altri aggregati, su cui potrebbe incidere il progetto edilizio nuovo. E tale valutazione e disciplina non può che rinvenirsi nella sede prescelta dal Legislatore, quale quella costituita dagli strumenti di pianificazione citati nell'articolo in parola.
Del resto la tesi, anche giurisprudenziale, secondo la quale non sarebbe necessario lo strumento attuativo o quello equivalente contemplato dall'art. 41 quinquies comma 6 citato, in caso di zona già pienamente urbanizzata (cd. lotto intercluso o similare), da una parte, non trova conforto nella predetta disposizione, dall'altra, rischia di trascurare la soluzione del conseguente problema ove la si volesse accogliere: quello di individuare, attraverso chiari riferimenti normativi e valevoli in via generale, la sede nell'ambito della quale si dovrebbe addivenire alla certificazione di non necessità di nuovi interventi di urbanizzazione e di adeguatezza di quelli preesistenti nel supportare il nuovo intervento edilizio; con contestuale completezza, altresì, delle preesistenti opere di urbanizzazione anche nel quadro del rapporto del nuovo intervento con aggregati vicini.
Consegue, in altri termini, che, da una parte, non può che condividersi l'orientamento giurisprudenziale per cui l’esigenza di previo piano regolatore particolareggiato (o atto equiparato) assume tutta la sua importanza, non solo nelle ipotesi estreme di zone assolutamente inedificate, ma anche in quella intermedia di zone parzialmente urbanizzate, nelle quali viene per lo meno a configurarsi una esigenza di raccordo col preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione, e tale esigenza è tanto più intensa quanto più l’insediamento progettato sia di rilevante entità (Sez. V, 8 ottobre 2002 n. 5321; 1 luglio 2002, n. 5387; 14 febbraio 2003 n. 802; 9 maggio 2003 n. 2449).
Dall'altra parte, di diverso avviso è questo Collegio in ordine alla tesi giurisprudenziale del cd. "lotto intercluso", che escluderebbe l'applicazione dell'art. 41 quinquies comma 6 in parola, e con cui la giurisprudenza amministrativa (cfr. tra le altre Cons. di Stato 16.12.2021 sez. IV) intende un’area compresa in zona totalmente dotata di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti, cioè dotata di opere e servizi realizzati per soddisfare i necessari bisogni della collettività quali strade, spazi di sosta, fognature, reti di distribuzione del gas, dell'acqua e dell'energia elettrica, scuole, etc. In particolare, secondo la giurisprudenza amministrativa citata, si realizza la fattispecie del lotto intercluso solo se l'area edificabile: a) sia l'unica a non essere stata ancora edificata; b) si trovi in una zona integralmente interessata da costruzioni; c) sia dotata di tutte le opere di urbanizzazione (primarie e secondarie), previste dagli strumenti urbanistici; d) sia valorizzata da un progetto edilizio del tutto conforme al Piano Regolatore Generale.
In presenza del lotto intercluso, poiché la completa e razionale edificazione e urbanizzazione del comprensorio interessato avrebbe già creato una situazione di fatto corrispondente a quella che deriverebbe dall'attuazione del piano esecutivo (piano particolareggiato, piano di lottizzazione, etc.), lo strumento urbanistico esecutivo si ritiene superfluo. Ne deriverebbe, in casi del genere, l'illegittimità della pretesa del Comune di subordinare il rilascio del titolo edilizio alla predisposizione di un piano di lottizzazione, pur astrattamente previsto dallo strumento generale
Ebbene, alla luce delle considerazioni sopra esposte, con riguardo sia alla concreta problematicità in sé della soluzione giurisprudenziale da ultimo in parola, circa la individuazione delle opere di urbanizzazione necessarie ed esistenti (e quindi circa la non persistente concreta necessità funzionale del piano attuativo ex art. 41 quinques comma 6 in esame) pur in presenza di un nuovo intervento edile consistente ma inserito in area già pienamente urbanizzata, sia con riguardo alla interconnessione che si può porre per gli interventi di urbanizzazione anche tra aggregati vicini e sia, altresì', con riferimento al dato letterale della norma, che evidentemente risente di tali possibili problematiche, la predetta soluzione appare quantomeno di difficile soluzione concreta nonché poco giustificabile - lo si ribadisce - a fronte di una norma che non introduce eccezioni e che, piuttosto, sembra fissare comunque, anche in caso di apparente piena e precedente urbanizzazione, la sede di elaborazione del piano attuativo come luogo di accertamento della situazione urbanistica ed edilizia concreta, in funzione, alfine, della legittima realizzazione dell'intervento. Del resto, lo stesso giudice amministrativo, in taluni casi non esclude che la predetta fattispecie del lotto intercluso (o similare) non sia invocabile pur rispetto ad interventi realizzati in area pur pienamente urbanizzata. Si è infatti rilevato in sede giurisdizionale amministrativa (cfr. TAR Basilicata Sez. I n. 112 del 15 febbraio 2016) che comunque secondo un diffuso orientamento giurisprudenziale (cfr. per es. C.d.S. Sez. V n. 5326 del 6.10.2000 e n. 612 del 5.6.1997 e TAR Napoli Sez. VIII n. 3218 dell’11.6.2009) la predetta fattispecie del cd. lotto intercluso, con esclusione della necessità della preventiva adozione di strumenti attuativi per il rilascio dei permessi di costruire, non può essere applicata anche nelle aree completamente e/o totalmente urbanizzate, dove, però, la pianificazione esecutiva e/o attuativa possa ancora svolgere l’utile funzione di evitare “guasti urbanistici”.
Significativo, alla luce di quanto sinora osservato e a sostegno della qui propugnata tesi della applicazione, senza eccezione, dell'art. 41 quinquies comma 6 citato, è anche il rilievo per cui (cfr. Cons. di Stato Sez. 5^ – 29 febbraio 2012, n. 1177) il concetto di completa urbanizzazione di una determinata area edificabile deve essere inteso in termini dinamici, e quindi adattato al differente contenuto di ogni progetto di edificazione che lo interessi (C. di S., IV, 13 ottobre 2010, n. 7486). L’individuazione dei servizi necessari per rendere abitabile una determinata area presuppone necessariamente la conoscenza del progetto di utilizzazione edificatoria, e quindi del suo impatto in termini di abitanti insediabili e di usi previsti. Tale necessità si presenta quando l’area viene utilizzata per la prima volta, ma può presentarsi anche successivamente, quando ulteriori interventi modifichino radicalmente le caratteristiche dell’insediamento esistente, rendendo palese la necessità di nuove strutture di servizio. Nel medesimo senso, seppur nella prospettiva del sequestro impeditivo, si è espressa sul tema, in sostanza, questa Corte, anche di recente, laddove ha rilevato che in tema di reati edilizi, costituisce carico urbanistico l'effetto prodotto dall'insediamento primario in termini di domanda di strutture e di opere collettive in dipendenza del numero delle persone insediate su un determinato territorio, sicché, ai fini della verifica, in fase cautelare, del pericolo del suo aggravio per effetto della costruzione realizzata, dev'essere compiuta una valutazione dinamica delle conseguenze dell'attività edilizia sul territorio, avendo riguardo anche all'incidenza delle opere in precedenza edificate sulla stessa area, le cui dimensioni possono costituire un valido elemento per apprezzare l'impatto complessivo dell'immobile. (Sez. 3, n. 16085 del 13/02/2025, , Rv. 287986 - 01)
Più di recente, il Consiglio di Stato sembra condividere sostanzialmente (cfr. Consiglio di Stato Sez. IV n. 3809 del 5 maggio 2025) la presente impostazione, laddove ha sostenuto che l'esigenza di un piano di lottizzazione, quale presupposto per il rilascio del permesso di costruire, si impone anche al fine di un armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, allo scopo di potenziare le opere di urbanizzazione già esistenti e, quindi, anche alla più limitata funzione di armonizzare aree già compromesse ed urbanizzate, che richiedano una necessaria pianificazione della maglia e perciò anche in caso di lotto intercluso o di altri casi analoghi di zona già edificata e urbanizzata. In questo quadro sarebbero del tutto eccezionali le ipotesi in cui risulta consentito prescindere dalla formazione del piano attuativo, al quale lo strumento urbanistico di livello superiore subordini il rilascio del permesso di costruire su un dato lotto, essendo le stesse ipotesi limitate ai casi in cui la situazione di fatto, in presenza di una completa edificazione della zona, sia incompatibile con il piano attuativo stesso. L’intervenuta edificazione come causa di esenzione dell’esigenza del piano attuativo non può che porsi come eccezionale in quanto invertirebbe l’ordine logico della pianificazione che si pone come preventiva alla realizzazione degli immobili. Peraltro, poiché il piano attuativo non ha equivalenti non è consentito superarne l'assenza facendo leva sulla situazione di sufficiente urbanizzazione della zona. Ciò impedisce che in sede amministrativa o giurisdizionale possano essere effettuate indagini volte a verificare se sia tecnicamente possibile edificare vanificando la funzione del piano attuativo.
5.5. Rispetto alla condivisibile ricostruzione della attuale vigenza e della portata fondamentale dell'art. 41 quinquies comma 6 di cui alla ordinanza impugnata, e al conseguente rilievo della assenza in concreto dei piani attuativi ivi contemplati e necessari, di fatto incontestata (se non attraverso la tesi, incongrua, e di seguito considerata, della sostituzione con permesso convenzionato ex art. 28 bis del DPR 380/01), nessun rilievo ostativo possono assumere circolari richiamate a supporto dalla difesa, essendo sufficiente qui riaffermare il principio (cfr. da ultimo Sez. 3 - n. 27918 del 04/04/2019 Rv. 276353 - 02) per cui una circolare ministeriale, in quanto norma interna, cioè espressione della supremazia gerarchica di un ufficio rispetto a quelli subordinati, spiega effetto soltanto nell'ambito dell'amministrazione, senza incidere nella sfera giuridica di soggetti estranei (Sez. 3, n. 2757 del 06/12/2017, dep. 2018, Rv. 272029).
Peraltro l'osservanza di una circolare ministeriale non può essere controllata in sede di giudizio di legittimità, non trattandosi di manifestazioni dell'attività normativa cui si riferisce l'articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale (nella parte in cui la disposizione de qua opera il riferimento alle altre norme giuridiche, di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale) e fermo restando che colui il quale richiami una circolare ministeriale ha l'onere, nel caso in esame osservato, di esibirla, proprio perché quest'ultima non costituisce fonte di diritto e non deve pertanto essere necessariamente conosciuta dal giudice in base al principio "iura novit curia" (Sez. 3, n. 3317 del 14/03/1986, Nardi, Rv. 172569). Infine, la circolare amministrativa per le suesposte ragioni che la escludono dalle fonti rilevanti di diritto, non può che essere conforme a legge - e in tal caso quindi conforme alla qui affermata portata dell'art. 41 quinquies -, diversamente non assumendo alcun rilievo.
5.5. La condivisione della ricostruzione del collegio della cautela in ordine all'art. 41 quinques comma 6 citato e alla sua portata e violazione nel caso di specie, rende assorbiti e irrilevanti gli ulteriori rilievi difensivi in ordine al tema del rispetto dei limiti di cui al DM 1444/1968, come del resto già ritenuto dal tribunale nella sua ordinanza, pur con talune considerazioni incidentali sulla loro violazione (cfr. pag. 22) anche attraverso coerenti richiami alla disciplina delle misure di salvaguardia di cui al DPR 380/01 (cfr. sul punto e in motivazione, Sez. 3, n. 21476 del 13/04/2023, Pmt, Rv. 284632 - 01).
Quanto alla contestazione, come apparente, del passaggio motivazionale attraverso cui il tribunale sostiene che l'amministrazione non avrebbe mai illustrato, nel corso dell'iter amministrativo inerente l'intervento - alla luce delle caratteristiche dell'intervento stesso e dell'area di riferimento -, i motivi di superfluità sostanziale del piano attuativo (sostenuta dalla difesa), si osserva quanto segue. Va ribadita da questo collegio la violazione dell'art. 41 quinquies, comma 6, trattandosi di norma da applicarsi a prescindere dallo stato di urbanizzazione dell'area interessata, ove non emergente e consacrato in sede di piani attuativi o equivalenti, e va inoltre osservato che la predetta censura si fonda su considerazioni di natura fattuale: consistenti nel richiamo a contenuti del PGT ritenuto applicabile, del Piano dei Sevizi, e del PUGSS ritenuti applicabili all'area e intervento in esame, e nella affermazione per cui, in sede di rilascio di permesso di costruire del 2019 e di SCIA del 2022 si sarebbero espressi positivamente i soggetti gestori delle reti di infrastruttura primaria quale fonte attestativa della completa urbanizzazione della zona ( sebbene, ad onor del vero, gli interventi di urbanizzazione, come noto, sono non solo di tipo cd. primario ma anche secondario). Così incorrendosi nei limiti del sindacato di questa Corte, cui non possono sottoporsi questioni di merito.
A tale ultimo proposito è utile aggiungere che, anche a condividere l'indirizzo della giurisprudenza amministrativa circa l'inoperatività (relativa) dell'art. 41 quinquies comma 6 citato, in tema di accertamento (inevitabilmente "in fatto") di "lotti interclusi" o similari trova comunque applicazione il principio secondo il quale, in tema di reati edilizi, è insindacabile in sede di legittimità il controllo sulla correttezza dei procedimenti amministrativi finalizzati al rilascio dei titoli abilitativi, essendo altresì precluso alla Corte di cassazione procedere alla verifica di eventuali errori di fatto commessi in sede di merito nell'analizzare tale regolarità. (Sez. 3, n. 45587 del 14/11/2024, Rv. 287326 - 01)
Integra una censura valutativa e di fatto, anche la tesi per cui, in ogni caso, anche a volere ritenere necessaria la pianificazione attuativa come sostenuto dal tribunale, essa sarebbe comunque intervenuta, essendosi adottato un permesso di costruire convenzionato ex art. 28 bis del DPR 380/01, quale strumento idoneo a sostituire il piano attuativo; tale censura, peraltro, oltre a muoversi su un mero piano di merito come sopra osservato, si scontra con una motivazione tutt'altro che inesistente (unico profilo motivazionale qui esaminabile), posto che il tribunale non solo rileva la inapplicabilità dell'istituto richiamato rispetto ad appurate opere nuove ( e non di ristrutturazione, come appresso evidenziato), alla luce della stessa legge regionale lombarda n. 12/2005 art. 14 bis (in assenza di ogni confutazione al riguardo), ma ne evidenzia la insussistenza dei presupposti di fatto, stante il carattere complesso dell'intervento, la mancata approvazione da parte degli organi competenti, e la irrilevanza, in tema di procedura applicabile, secondo la gerarchia delle fonti dei titoli abilitativi, del regolamento comunale. Si aggiunge in ordinanza, ulteriormente eliminando ogni spazio di proponibilità dell'unico vizio motivazionale prospettabile in questa sede, quale quello di carenza di motivazione, che si tratta di un atto privo di fondamento nel PGT, non proveniente dagli unici organi astrattamente competenti nell'adottare un atto di pianificazione urbanistica, dal contenuto "aperto" e come tale estraneo a quello tipico di un piano attuativo, e privo di contenuti specificativi di tipo planovolumetrici, tipologico, formali e costruttivi, espressamente da dichiararsi, peraltro, come sussistenti, secondo l'art. 28 bis citato.
Non osta a questo punto riaffermare, in via generale, in ogni caso, come queste ultime notazioni in sostanza attengono a valutazioni di atti amministrativi e dunque, per quanto già sopra evidenziato, a valutazioni di fatto in questa sede inammissibili. Si tratta di un principio che in materia di analisi urbanistiche, è opportuno sottolinearlo, coinvolge persino gli strumenti superiori quali il PRG ( con peculiare eccezione per il regolamento comunale, come illustrato nella già citata sentenza di questa Corte Sez. 3, n. 21476 del 13/04/2023, Rv. 284632 - 01), atteso che anche di recente questa Corte ha precisato che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale si lamenti l'erronea interpretazione del piano regolatore generale e degli strumenti urbanistici compiuta dal giudice di merito, perché il sindacato del giudice di legittimità sulle questioni di diritto comprende il potere di conoscere le norme contenute nei piani regolatori, che integrano quelle del codice civile, ma non anche quello di interpretarne il contenuto in modo diverso rispetto alla valutazione del giudice di merito, se non nei limiti del rilievo della mancanza o manifesta irragionevolezza (vizio, quest'ultimo, inammissibile in sede di sindacato di legittimità per misure cautelari reali) di tale giudizio. (Sez. 3, n. 17516 del 30/10/2018, dep. 2019, Alongi, Rv. 275596 - 02)
6. Il terzo motivo, manifestamente infondato, riguarda il vizio di violazione di legge per erronea qualificazione dell'intervento quale nuova costruzione piuttosto che ristrutturazione, oltre che dello strumento SCIA, quale presupposto delle contravvenzioni contestate. Si deduce altresì il vizio di motivazione mancante o comunque incompleta, incoerente e irragionevole.
Deve riaffermarsi la non proponibilità in questa sede di vizi di irragionevolezza ovvero di illogicità, peraltro, a rigore, necessariamente "manifesta", della motivazione, come anche la irrilevanza di circolari in tema di valutazione e interpretazione della normativa, atteso che le stesse possono rilevare - a fini meramente interni - solo nella misura della loro piena corrispondenza con la normativa di riferimento.
La prima critica, circa la inadeguata ricostruzione della nozione di ristrutturazione, con conseguente errata qualificazione degli interventi in esame come nuove opere, muove in sostanza su un piano di aperta contestazione della giurisprudenza elaborata al riguardo da questa Corte, che invece non può che decisamente riaffermarsi: in tema di reati edilizi, anche a seguito della modifica all'art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ad opera dell'art. 10 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia solo quelli finalizzati al recupero di fabbricati preesistenti di cui sia conservata traccia, dovendo l'immobile oggetto di ristrutturazione presentare caratteristiche funzionali o identitarie coincidenti con quelle del corpo di fabbrica preesistente. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso che potesse qualificarsi ristrutturazione edilizia l'abbattimento di taluni edifici rurali, ubicati in zona agricola, accessori a una casa colonica e la successiva realizzazione, con aumento di cubatura, di un complesso residenziale formato da dieci villini e un parcheggio costituito da ventiquattro stalli con copertura fotovoltaica). (Sez. 3, n. 1670 del 06/10/2022, dep. 2023, Pmt, Rv. 284056 - 01). L'intervento in esame, con la realizzazione di un complesso di ben tre grattacieli in luogo di un unico preesistente complesso, a destinazione non residenziale, è del tutto estraneo ai parametri sopra indicati come propri della ristrutturazione, quali quelli della connessione materiale o funzionale tra edificio rispettivamente preesistente e successivo, e della inerenza della ristrutturazione a singoli organismi, con impossibilità di ricavare da un singolo edificio, plurimi, distinti e consistenti manufatti, anche funzionalmente diversi dal precedente.
Quanto al rinvio contenuto in ricorso, ad una consulenza "per la puntuale contestazione della (inconferente) giurisprudenza citata nell'ordinanza impugnata", esso è innanzitutto generico, non essendo sufficiente richiamare altri documenti senza precisarne le specifiche argomentazioni rispetto ai precisi passaggi motivazionali che si intendono contestare. Viene in rilievo in tal modo sia la carenza di cd. specificità intrinseca del motivo - per cui il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l'onere di dedurre le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di consentire al giudice dell'impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato (cfr. tra le altre, Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2009, Valentini, Rv. 245907, Sez. 4, n. 24054 del 01/04/2004, Distante, Rv. 228586; Sez. 2, n. 8803 del 08/07/1999, Albanese, Rv. 214249) -; sia l'applicazione del generale principio in tema di impugnazioni, espresso con l'indirizzo giurisprudenziale secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell'impugnazione dei motivi articolati con l'atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell'impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3 - , n. 8065 del 21/09/2018 (dep. 25/02/2019 ) Rv. 275853 - 02).
Quanto alla ulteriore considerazione critica, per cui anche ove si trattasse di nuova costruzione, l'intervento sarebbe comunque assentibile con SCIA ex art. 23 lett. b) del TUE, secondo il quale "in alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante segnalazione certificata di inizio di attività (..): b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal competente organo comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti", si osserva quanto segue. Il tribunale, difformemente dalla difesa che individua il fondamento giuridico della citata "convenzione" nell'art. 28 bis comma 3 del DPR 380/01 oltre che nell'art. 39 comma 2 bis del regolamento edilizio comunale, esclude, in sintesi, questa ultima prospettazione negandone la assimilazione ad accordi negoziali aventi valore di piano attuativo come contemplati dall'art. 23 comma 1 lett. b) del DPR 380/01 in punto di Scia alternativa per interventi di nuova costruzione sul rilievo, pur contrastato in ricorso, per cui la convenzione del 31.1.2019 sarebbe priva di valido fondamento giuridico oltre che indeterminata nei contenuti.
In proposito deve ribadirsi quanto sopra già rilevato, in sede di analisi del secondo motivo proposto, circa la congruità della suesposta tesi del tribunale in ordine alla esclusione della configurabilità dell'art. 23 lett. b) DPR 380/01 in tema di Scia alternativa a permesso di costruire per nuove opere, per la non assimilabilità a piani attuativi di cui al predetto articolo, della convenzione del 31.1.2019. Con superamento anche della riaffermazione della contestazione della tesi del collegio della cautela, riguardante la mancanza di base giuridica per la convenzione citata.
Puramente in fatto è il rilievo finale e subordinato per cui, in ogni caso ed a rigore, e stante il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, la predetta Scia in ultima analisi integrerebbe tutti i requisiti di un permesso. A tale considerazione deve aggiungersi la incongruità del mero rinvio, altresì, sul punto, ad una consulenza, senza altra specificazione nei termini già in precedenza spiegati come necessari, in sede di ricorso per cassazione.
E deve altresì aggiungersi anche l'osservazione per cui, alla luce dell'inquadramento della vicenda nella fattispecie di cui all'art. 41 quinquies comma 6 più volte citato e quindi della assenza dei piani attuativi, non sarebbe comunque sufficiente per legittimare l'intervento il mero rilascio di un permesso di costruire per opere nuove.
7. Il quarto motivo, inammissibile, rappresenta vizi di violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza del fumus circa l'elemento soggettivo nonché vizi di motivazione mancante o irragionevole, posto che le condotte della società ricorrente sarebbero prive di colpa. E si sarebbe ingenerato un legittimo affidamento in capo alla stessa.
In proposito, il tribunale nel rigettare il predetto rilievo critico in considerazione della qualifica rivestita dalla ricorrente, quale operatore economico esperto, della manifesta assenza di presupposti per il rilascio del titolo abilitativo intervenuto, e della chiara evidenza di profonde discrasie nella istruttoria amministrativa riguardanti proprio la qualificazione degli interventi da assentire, in uno con la considerazione dei vantaggi economici lucrabili con la tipologia edilizia della ristrutturazione piuttosto che con quella di nuove opere ( al di là della tematica della concreta assentibilità), ha fatto corretta applicazione innanzitutto del principio secondo cui la buona fede che, nei reati contravvenzionali, esclude l'elemento soggettivo, ben può derivare da un fattore positivo correlato a un comportamento dell'Autorità amministrativa preposta alla tutela dell'interesse formante oggetto della disposizione normativa, idoneo a determinare nel trasgressore uno scusabile convincimento circa la liceità della condotta tenuta, ma tale principio dev'essere, comunque, valutato alla luce della gerarchia delle fonti di normazione e della conoscenza di esse che può discendere dal ruolo rivestito dal predetto agente. (Sez. 4, n. 14077 del 05/03/2024, Pg, Rv. 286158 - 01). Inoltre, ha fatto buon uso anche dell'altro principio secondo il quale in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al "fumus" del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata; ne consegue che lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, purchè esso emerga "ictu oculi"(Sez. 2, n. 18331 del 22/04/2016, Rv. 266896 - 01).
L'ulteriore prospettazione difensiva, volta a rappresentare una serie di dati documentali e procedurali che dovrebbero fondare la sussistenza ictu oculi della buona fede, si traduce, in concreto, nella manifestazione di dissenso da una motivazione che è tutt'altro che apparente, seppure non condivisa. E prospettando una rivalutazione del fatto, è in questa sede inammissibile.
8. L'ultimo motivo è inammissibile: sia perché il terzo interessato non può interloquire in tema di fumus del cd. periculum in mora riguardo a misure reali, come già sopra evidenziato, ma può solo agire per la restituzione del bene in vinculis in quanto terzo che dimostri la buona fede; sia perché è inammissibile in questa sede ogni dedotto vizio di illogicità di motivazione.
Quanto al dedotto vizio di proporzionalità, ritenuto violato per un mancato bilanciamento tra la compressione del diritto di proprietà mediante il sequestro e la tutela dei diritti di proprietà e di iniziativa economica, anche a fronte di un intervento quasi ultimato che andrebbe ad incidere anche su interessi di terzi acquirenti oltre che dei lavoratori interessati alla prosecuzione del cantiere, esso appare richiamato in maniera incongrua.
Va evidenziato che oggetto del sequestro preventivo di cui all'art. 321 c.p.p., comma 1, può essere qualsiasi bene - a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato - purché esso sia, anche indirettamente, collegato al reato edilizio e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (v. Cass. n. 37033/2006, n. 24685/2005, n. 38728/2004, n. 1246/2003, n. 29797/2001, n. 4496/1999, n. 1565/1997, n. 156/1993, n. 2296/1992, Sez. 3, 17 marzo 2009, n. 17865, Quarta, m. 243751; Sez. 3, 13 luglio 2009, n. 39322, Berardi). In tale prospettiva, il principio di proporzionalità non può certamente pregiudicare, pena la concreta abrogazione della disciplina di riferimento, la funzione tipica dello strumento cautelare in esame, volta a fronteggiare il pericolo della protrazione del reato o dell'aggravio delle sue conseguenze, coerentemente rilevato dal tribunale alla luce della conclamata prosecuzione, ancora in atto, dei lavori. Prosecuzione che peraltro la stessa ricorrente nel ricorso, in sostanza, manifesta di volere riprendere, laddove rappresenta, per la necessità di non ostacolare la piena agibilità del cantiere e quindi tale prosecuzione, presunti interessi di soggetti diversi da sé, e di cui a rigore non è legittimata a rivendicare alcunchè: quali gli operai, che subirebbero "effetti ……direttamente connessi al fermo del cantiere" e i terzi acquirenti, che avrebbero "progettato di trasferirsi l'anno prossimo nella nuova casa". Anche tale prospettiva difensiva non coglie nel segno, atteso che, in ogni caso, l'eventuale annullamento del sequestro come auspicato per tali ultime ragioni, rimanendo inalterato comunque il presente quadro indiziario ormai notorio anche per i predetti soggetti citati dalla ricorrente, certamente non potrebbe fungere da circostanza scriminante per legittimare, da quel momento, il completamento delle opere.
Dunque, il principio di proporzionalità può solo indurre l'A.G. ad assicurarsi che il sequestro impeditivo incida esclusivamente sulle parti abusive e non si estenda su altri ambiti, invece leciti. E nulla è contestato al riguardo.
Gli interessi, invece, dei terzi acquirenti che in buona fede abbiano stipulato contratti per l'acquisto di parti delle opere abusive in corso d'opera, non possono in alcun modo trovare tutela attraverso l'abdicazione, da parte dell'A.G., del suo potere - dovere di sequestro, funzionale all'obbligo di impedire la protrazione dei reati in presenza di tutti i presupposti di legge, legislativamente sancito. Sul punto, occorre sottolineare che il proprietario o comproprietario estraneo al reato ovvero il promissario acquirente, hanno la facoltà di far valere sul piano civile la responsabilità dell'autore dell'illecito per i danni subiti nonché di svincolarsi dal rapporto obbligatorio assunto. E di converso, la omessa attivazione degli strumenti civilistici di tutela, non può che ascriversi ad una deliberata e consapevole scelta dell'interessato, come tale non traducibile in una ragione giustificativa dell'annullamento del sequestro.
9. Non da ultimo, il caso di specie rende opportuno sottolineare come, a ben vedere, in caso di emersione, a fronte di un sequestro, di esigenze abitative, è solo apparente il contrasto tra l'interesse collettivo al ripristino della legalità urbanistica violata e quello alla abitazione. Evitandosi ogni considerazione che non sia strettamente giuridica, deve tenersi presente che la disciplina della pianificazione urbanistica, dell'edilizia oltre che delle regole in tema di normativa antisismica, risponde non semplicemente ad una mera esigenza di prevalenza statale nella gestione del territorio, bensì ad un interesse pubblico all'organizzazione del territorio intesa non in sé bensì quale strumento per assicurare la migliore crescita e sviluppo dei consociati, in termini sia economici, sub specie del migliore sviluppo delle infrastrutture e delle aree destinate ad attività produttive, sia sociali, nel senso della migliore creazione e promozione di centri funzionali di aggregazione, studio, crescita, cura, e formazione della persona, quale singolo e membro di compagini collettive. In tale quadro, la tutela di autonomi diritti personali, quale quello della abitazione (per giunta nella struttura abusiva), non può ricercarsi in contrapposizione e in violazione di quegli strumenti normativi (id est la disciplina dell'urbanistica, dell'edilizia e più in generale dell'ambiente) che rispetto ai primi sono, piuttosto, serventi, nel senso della loro strumentale necessità per lo sviluppo migliore degli altri, ma va piuttosto rinvenuta in distinti e separati ambiti, a partire dalle funzioni e strumenti di tutela della persona, affidata, a seconda dei casi e dello status degli interessati, ai vari livelli della organizzazione della Pubblica amministrazione oltre che, come detto, agli ordinari strumenti civilistici, che non possono esser trascurati se non dimenticati, dietro la creazione di un artificioso contrasto tra beni di per sé non in contrapposizione. Cosicchè, in ultima analisi, la tutela di esigenze abitative - che, per quanto sopra anche evidenziato, coinvolgono, si noti bene, non solo i diretti interessati ad un'opera in fieri ma anche gli altri abitanti della più ampia zona contigua e interessata - non si rimette alla autorità giurisdizionale penale mediante una aprioristica eliminazione di un decreto di sequestro, ma si affida al complessivo sistema statale di tutela delle persone, non da ultimo, anche questo va sottolineato, diretto anche alla corretta pianificazione e alla vigilanza sulla stessa, anche mediante gli ordini comunali di sospensione, di demolizione e di confisca di opere abusive ex art. 27 e 31 del DPR 380/01.
10. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende
Così deciso, il 16/04/2025.