TAR Campania (NA) Sez. III n. 862 del 2 febbraio 2024
Beni ambientali.Interventi in area protetta e competenze Ente Parco e Comune 

Il preventivo nulla osta da parte dell’Ente Parco prescritto dall’art.13 della legge 394/1991 è a presidio di un regime di tutela del tutto autonomo ed autosufficiente rispetto alla valutazione tipica dell’autorità comunale preposta alla salvaguardia dell’interesse urbanistico, di razionale e ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che, i due procedimenti – il primo di natura urbanistica, di competenza comunale; l’altro di natura naturalistico/ambientale, di competenza dell’Ente Parco – pur se paralleli, mirano al perseguimento di interessi pubblici coesistenti ma tra loro non sovrapponibili, aventi ad oggetto lo stesso ambito territoriale. Più in particolare, i poteri dell’Ente Parco sono preposti alla tutela di un interesse specifico volto a preservare l’ambiente all’interno di una zona di particolare valore naturalistico qual è il Parco. A tale interesse, l’ordinamento conferisce un particolare spessore, anche di rilievo costituzionale (art. 9 Cost.). Ciò rende del tutto coerente l’attribuzione all’Ente Parco di poteri speciali, ancorché inerenti anche ad interventi di tipo edilizio. La ratio dell’art.13 della 394/1991, è quella di radicare un generale potere di intervento dell’Ente a presidio del vincolo alla cui tutela è preposto, ne consegue che l’oggetto di valutazione propria del nulla osta è costituito, oltreché dall’impatto dell’opera sul contesto ambientale oggetto di tutela, da tutti gli aspetti di protezione del territorio, anche relativi alla disciplina di natura urbanistica ed edilizia recepita dalla normativa del Parco 

 

Pubblicato il 02/02/2024

N. 00862/2024 REG.PROV.COLL.

N. 01127/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1127 del 2020, proposto da
-OMISSIS- -OMISSIS- e -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato -OMISSIS- Messina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Pollena Trocchia, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Cristina Spizuoco, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ente Parco Nazionale del Vesuvio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz, 11;

per l'annullamento

1) dell’ordinanza di demolizione n. 02/19/E.P. del 27 maggio 2019, prot. n. 8391 del 28 maggio 2019, emessa dal Capo p.t. del III Settore del Comune di Pollena Trocchia;

2) dell’ordinanza di ripristino dei luoghi n. 1 del 5 marzo 2019 adottata dal Direttore del Parco Nazionale del Vesuvio;

3) di ogni altro atto e o provvedimento preordinato, connesso, collegato e consequenziale se ed in quanto lesivo degli interessi dei ricorrenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pollena Trocchia e dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, in persona dei rispettivi rappresentanti pro tempore;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 ottobre 2023 la dott.ssa Gabriella Caprini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

I. I ricorrenti, in qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul minore, titolare dell’immobile, impugnano le ordinanze di demolizione e di ripristino dei luoghi, rispettivamente adottate dall’Amministrazione comunale e dal Direttore del Parco Nazionale del Vesuvio, quanto alle opere edili abusive ivi riscontrate.

II. A sostegno del gravame deducono i seguenti motivi di diritto:

A) rispetto all’ordinanza di demolizione resa dal Comune di Pollena Trocchia n. 2.19.E.P. del 27 maggio 2019

a) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 06.06.2001, degli artt. 3 e 6 della legge n. 241 del 7 agosto 1990, dell’art. 97 della Cost., del d.lgs. n. 42 del 22.01.2004, della l. n. 64/1974 e della l.r. n. 9 del 07.01.1983;

b) eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto, carenza di istruttoria, difetto di motivazione e perplessità;

B) in ordine all’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi n. 1 del 5 marzo 2019 del Parco Nazionale del Vesuvio

a) violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 380 del 06.06.2001, della l. n. 394 del 06.12.1991, del d.lgs. n. 42 del 22.01.2004, della l. n. 426 del 09.12.1998, del D.M. del 04.07.2002, della l. n. 457 del 05.08.1978, della l. n. 241 del 07.08.1990, e, in particolare, dell’art. 3, degli artt. 3 e 97 della Cost. e delle Norme tecniche di attuazione del piano del Parco;

b) eccesso di potere per carenza di istruttoria, inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di motivazione, motivazione insufficiente e sviamento.

III. Si sono costituiti l’Amministrazione comunale e l’Ente Parco, concludendo per il rigetto del gravame. Il Comune di Pollena Trocchia ha altresì eccepito, quanto alla ordinanza di demolizione, n° 2/19/EP del 27.05.2019, la tardività del ricorso per avere già notificato al sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, dante causa, nella sua qualità di responsabile delle opere abusive e destinatario della ingiunzione, la presente ordinanza volta al ripristino dello stato dei luoghi mediante demolizione delle opere de quibus. Ciò è tanto vero che lo stesso sig. -OMISSIS- -OMISSIS- impugnava la predetta ordinanza innanzi a questo Tribunale con ricorso R.G. n° 3215/2019 chiedendone la sospensione degli effetti in sede cautelare. Con ordinanza n° 1364/2019 questo tribunale rigettava l’istanza cautelare “considerato che non sembrano ravvisabili profili di probabile fondatezza del ricorso del merito in quanto l’ordinanza impugnata appare legittimamente adottata per gli abusi di non trascurabile impatto in zona sottoposta a numerosi vincoli, non mostrandosi comprovato quanto asserito in ordine alla preesistenza delle opere”. L’allora ricorrente rinunciava al giudizio che, quindi, si concludeva con sentenza n° 701/2020 dichiarativa dell’estinzione del giudizio per rinuncia.

III.1. Controdeduce l’attuale parte ricorrente che, nel caso oggetto di trattazione, i provvedimenti gravati venivano notificati esclusivamente al sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, nonno del sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, loro figlio, e non anche a quest’ultimo, sebbene divenuto proprietario degli immobili, asseritamene abusivi, già con atto di donazione rep. n. 187400 del 3 maggio 2012.

I genitori del sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, a suo tempo minore, sono venuti a conoscenza dell’esistenza dei provvedimenti impugnati solo successivamente, ovvero al momento della proposizione del ricorso di cui trattasi. Ciò posto, nella considerazione che la prova della tardività dell'impugnazione deve essere fornita rigorosamente e incombe, secondo le regole generali, in capo alla parte che la eccepisce, non avendo il Comune fornito alcuna prova volta a dimostrare la pregressa conoscenza da parte degli odierni ricorrenti dei provvedimenti gravati, e, dunque, la tardività dell’impugnazione, i medesimi ricorrenti sostengono che il ricorso deve ritenersi tempestivo e pertanto è infondata l’eccezione di inammissibilità.

IV. All’udienza del 10.10.2023, fissata per la discussione, la causa è stata introitata per la decisione.

V. Si prescinde dalla eccezione in rito e dai possibili profili di inammissibilità attesa, comunque, l’infondatezza del gravame.

V.1. Dal provvedimento demolizione adottato dall’Amministrazione comunale n. prot. 02/19/E.P. del 27 maggio 2019, prioritariamente gravato, risulta, in fatto, che:

a) durante l’accertamento espletato nel corso del sopralluogo del 15.01.2019, è emerso che il sig. -OMISSIS- -OMISSIS- si è reso responsabile delle seguenti opere edili, abusive secondo quanto previsto dall'art. 31 del D.P.R. 380/2001, e, nella specie, “consistenti in:

- Realizzazione di un manufatto in acciaio di dimensioni 15,10 mt x 5,00 mt con copertura in lamiere grecate a doppia falda di altezza alla gronda 3,00 al colmo 3,50 mt. Perimetralmente è stata rilevata una muratura con blocchi di lapil-cemento di spessore 15 cm per un'altezza di 1,30 ml. La Struttura è sorretta da 6 pilastrini in acciaio tipo RE, l'area sottostante pavimentata con soletta di cls”;

- “Realizzazione di un manufatto in muratura di lapil-cemento di dimensioni 7,50 mt x 7,60 mt diviso in due ambienti costituito da una muratura perimetrale di altezza 1,50 mt. l'area interna risultata pavimentata con soletta di cls”.

In catasto le opere ricadono nel F. 8 Part. 1081” (rectius, rispettivamente, p.lle nn. 1083 e 1082);

b) “le opere devono ritenersi abusive secondo quanto previsto dall'art. 31 del D.P.R. 380/2001;”

c) “le predette opere sono da considerarsi anche eseguite in assenza dell'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 del D. Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004 ed in violazione della legge 2/2/74 n. 64 trattandosi di territorio con vincolo sismico”.

V.2. Tanto presupposto e “premesso che con CNR n.472019 prot.n.63 del 24.1.2019 (ns.prot. 368 del 28.1.2019) trasmessa dalla Stazione Carabinieri Parco di San Sebastiano al Vesuvio … si comunicava … che il Sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, … si rendeva responsabile, in qualità di committente, della predetta attività edilizia abusiva in difformità del Piano del Parco”, con ordinanza n. 1 del 5 marzo 2019, parimenti gravata, il direttore del Parco Nazionale:

a) “Accertato che l’abuso sopra descritto ricade nella perimetrazione definitiva del Parco Nazionale del Vesuvio nonché in area soggetta alle norme di attuazione del P.T.P. approvato con D.M. 04.07.2002 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali di concerto con il Ministero dell’Ambiente;

b) “VISTO il Piano del Parco Nazionale del Vesuvio adottato con Delibera di Giunta della Regione Campania n. 618 del 13.04.2007, approvato nel 2010 e pubblicato su BURC n. 9 dei 27.01.2010” e “VISTE le Norme Tecniche di Attuazione del Piano del Parco”;

c) “Considerato che l’area oggetto dell’intervento abusivamente realizzato ricade:

- in Zona C di protezione e nello specifico nell’Unità di Paesaggio CI “Paesaggio agrario del Somma" della tavola P2.2d del Piano del Parco e di cui all’art. 14 delle NTA del Piano del Parco. Tale Unità è costituita da un ampio settore dei versanti medi e bassi del Somma esposti a nord e ad est; - su “area agricola di valore storico’’ e “grandi connessioni agrarie” della Tavola P2.2b “Inquadramento strutturale ed aree contigue; sistemi ambientali” del Piano dei Parco; - nell’area SIC IT8030021 ai sensi della Direttiva 92/43/CEE (Direttiva Habitat);

d) e “Considerato altresì che gli interventi abusivi di cui alla richiamata ordinanza sono stati realizzati in assenza della necessaria autorizzazione di cui all’art. 13 della Legge n. 394/91 ss.mm.ii. per cui il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell’Ente Parco”;

e) “Visto l’art. 29 della legge 394/91 ss.mm.ii. per cui la realizzazione di interventi, impianti ed opere all’interno del parco in assenza di preventiva autorizzazione dell’Ente Parco, comporta l’obbligo di riduzione in pristino o la ricostituzione di specie vegetali o animali a spese del trasgressore con la responsabilità solidale del committente, del titolare dell’impresa e del direttore dei lavori in caso di costruzione e trasformazione di opere”;

f) “Considerato, infine, che gli interventi in questione sono in contrasto con le NTA del Piano del Parco”;

g) “INGIUNGEva Al responsabile sopra individuato e generalizzato, di provvedere entro il termine di 90 (novanta) giorni, a decorrere dalla data di notifica della presente, alla eliminazione o rimozione di tutte le opere abusive descritte nella CNR n.472019 prot.n.63 del 24.1.2019 (ns.prot. 368 del 28.1.2019) trasmessa dalla Stazione Carabinieri Parco di San Sebastiano al Vesuvio ed al ripristino dello stato dei luoghi (secondo idonee metodologie da autorizzarsi), con l’avvertenza che trascorso infruttuosamente il termine indicato sarà disposta direttamente e senza ulteriori avvisi, l’esecuzione in danno degli adempimenti secondo la procedura di cui all’art. 41 del D.Lgs. 6.6.2001 n. 380 e s.m.i.”.

A) Quanto all’ordinanza di demolizione n. 02/19/E.P. del 27 maggio 2019 del Comune di Pollena Trocchia

VI. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti lamentano il difetto di istruttoria e di motivazione deducendo che nel ingiungere la demolizione l’Amministrazione comunale si sarebbe limitata unicamente a richiamare il contenuto del verbale di sopralluogo del 15 gennaio 2019 omettendo del tutto di accertare la preesistenza di ciascun manufatto e l’effettiva natura dei lavori eseguiti.

VI.1. L’espletamento di una puntuale e scrupolosa istruttoria avrebbe consentito di appurare, prosegue parte ricorrente, che non vi è stata nuova realizzazione dei manufatti, ma semplicemente l’esecuzione di lavori di manutenzione ordinaria, straordinaria e/o di ristrutturazione edilizia delle preesistenti strutture. Ed invero, con nota prot. n. 3790 del 14 marzo 2018, il responsabile aveva comunicato all’Ufficio Tecnico del Comune di Pollena Trocchia l’inizio dei lavori di sostituzione delle lastre di eternit di copertura dei due manufatti, precisando che siffatti lavori sarebbero consistiti nella: “1. schermatura dei manufatti con teli; 2. opere preventive atte alla salvaguardia e alla sicurezza dei lavoratori; 3. potenziamento degli apprestamenti e delle opere provvisionali, appropriate a scongiurare il potenziale crollo delle due tettoie che versano in uno stato di totale abbandono; 4. sostituzione della copertura con lamiere ondulate”.

VI.1.1. Di contro, la preesistenza dei due beni immobili è dimostrata da una serie inconfutabile di elementi, e, precisamente: 1. dall’atto di acquisto, rogato dal notaio Maria Mercedes di Di Addea rep. n. 32940 del 25 ottobre 2007, ove i due manufatti sono puntualmente descritti all'art. 2. Inoltre, all’articolo 6 “Clausole Urbanistiche” del predetto atto notarile testualmente si legge: “la parte venditrice ... dichiara per gli effetti della vigente normativa urbanistica che i locali, meglio indicati alle lettere B) e C) oggetto del presente, sono stati realizzati in epoca anteriore al 1° settembre 1967 e che da tale data ad oggi non sono intervenute modifiche o variazioni”; 2. dal confronto della vax catastale e lo stato dei luoghi: è evidente che i manufatti riscontrati sono quelli riportati in mappa con le particelle 1082 e 1083; 3. dal verbale redatto dall'Ispettore dell'ASL durante il sopralluogo del 5 marzo del 2018, laddove si attesta la presenza di amianto e lo stato di totale abbandono dei manufatti; 4. dalla circostanza che l'amianto è stato utilizzato in edilizia attraverso l'Eternit (cemento-amianto) ed ha conosciuto la sua massima espansione nel dopoguerra (anni '40 e '50) per poi essere - dagli anni '60 in poi - bandito in quanto dannoso per la salute; 5. dalle foto allegate alla comunicazione d’inizio lavori prot. n. 3790 del 14 marzo 2018 che comprovano la preesistenza delle due strutture.

VI.1.2. Un accurato iter istruttorio avrebbe, altresì, consentito all’Amministrazione di concludere nel senso di ritenere gli interventi eseguiti perfettamente compatibili con la normativa urbanistica. Non vi è stata, infatti, alcuna contestata costruzione di nuovi manufatti bensì la posa in essere di semplici interventi manutentivi/conservativi e/o di ristrutturazione edilizia di carattere trascurabile e marginale, ininfluente sul carico urbanistico preesistente, ante 1967, che, dunque, non hanno alterato la conformazione urbanistica e paesaggistica dello stato dei luoghi: lavori per i quali non è richiesto alcun titolo abilitativo e, nella specie, un permesso di costruire, potendosi, al più, esigere la sola denuncia di inizio attività, comunicazione, quest’ultima, debitamente inoltrata all’Ente con la nota prot. n. 3790 del 14 marzo 2018.

VI.1.3. L’omessa attività istruttoria spiega l'evidente difetto di motivazione dell’ordinanza di demolizione n. 02/2019, posto che l’Ente resistente, con una motivazione vaga e generica, da un lato, ha omesso qualsivoglia indagine sulla preesistenza dei locali de quibus nonostante fosse stata resa edotta, nel 2018, dell'inizio dei lavori di sostituzione della copertura dei locali medesimi, dall’altro, ha sanzionato le opere omettendo una valutazione concreta degli effettivi interventi eseguiti al fine di una loro esatta qualificazione e di una corretta valutazione della conformità delle opere con la normativa locale e paesaggistica.

VI.1.4. La censura è priva di pregio.

VI.1.5. Quanto alla asserita preesistenza dei manufatti, parte ricorrente richiama una serie di indici presuntivi che, complessivamente valutati, dovrebbero costituire un principio di prova a sostegno delle argomentazioni proposte. Orbene, il ricorrente a supporto della presunta preesistenza dei manufatti rimanda, preliminarmente, ad una consulenza tecnica nella quale il tecnico di parte si limita a riportare il contenuto dell’art. 6, rubricato Clausole Urbanistiche, dell’atto di compravendita intervenuto con il dante causa dell’attuale parte ricorrente, laddove i venditori dichiararono che i due locali deposito erano stati realizzati in epoca anteriore al 1 settembre 1967.

All’uopo, non appare ultroneo osservare, in primo luogo, che “Nel processo, la consulenza tecnica di parte, anche quando è confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico priva di valore probatorio” (Cons. di St., sez. IV, 12.11.2015, n. 5143). Ed invero, “La perizia di parte, anche se asseverata con il giuramento, non ha valore di prova ma di semplice indizio ed il suo apprezzamento è affidato alla valutazione discrezionale del giudice, che non è obbligato a tenerne conto. La perizia di parte, infatti, costituisce un semplice allegato difensivo di carattere tecnico, senza una autonoma efficacia probatoria” (T.A.R. Basilicata, Potenza, sez. I, 08.07.2015, n. 405).

VI.1.6. Ciò posto, volendo prendere come riferimento probatorio l’atto di compravendita, si osserva come la dichiarazione sulla preesistenza dei manufatti non può ritenersi sufficiente elemento probante l’epoca di realizzazione dei manufatti, peraltro, nell’attuale conformazione. Ed invero, come già osservato in fattispecie analoghe, “Nell’atto di acquisto prodotto dalla ricorrente … non viene menzionato alcun titolo edilizio idoneo a legittimare l’edificazione, rinvenendosi esclusivamente una dichiarazione resa dalla venditrice, previa ammonizione da parte del Notaio delle responsabilità penali ad essa connesse, attestante l’avvio dell’edificazione in epoca precedente al 1° settembre 1967. Tale atto non è idoneo a dimostrare, in mancanza di ulteriori, significativi e concomitanti elementi, che l’edificazione sia realmente avvenuta prima della suddetta data [...]. La circostanza che la ricorrente abbia ritenuto la dichiarazione rilasciata dall’alienante una garanzia sufficiente della legittimità dell’edificazione, se certamente assume rilievo nei rapporti tra le parti contrattuali, non può giustificare, di per sé considerata, la mancata produzione di sufficienti elementi di prova in merito alla preesistenza del manufatto, idonei a smentire i presupposti di fatto dell'ordinanza. Alla stregua di tali considerazioni risulta privo di pregio il primo motivo di ricorso incentrato, appunto, sull’asserita ma non provata preesistenza del manufatto alla data del 1° settembre 1967” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, n° 2083/2012).

VI.1.7. Peraltro, come osservato dalla stessa Amministrazione resistente, se anche tale dichiarazione dovesse essere ritenuta sufficiente, il territorio del Comune di Pollena Trocchia già con D.M. 03.10.1961, pubblicato nella G.U. n° 258 del 16.10.1961, era stato riconosciuto di notevole interesse pubblico ai sensi della L. n° 1497/1939 e, quindi, sottoposto a tutte le disposizioni della legge stessa prevedente la necessaria previa acquisizione dell’autorizzazione della Soprintendenza, nel caso di specie, assente, circostanza tale da giustificare, comunque, un provvedimento repressivo-ripristinatorio.

Né assume valore dirimente la circostanza che il 10 giugno 2021, con sentenza R.g.n. 1311/2021, si concludeva il procedimento penale incardinato innanzi al Tribunale di Nola, recante R.g.n. 1726/2020 nei confronti del sig. -OMISSIS-, per il reato di cui all’art. 44 lett. C) del DPR n. 380/2001, con l’assoluzione dell’imputato “perché il fatto non sussiste”, essendo stata accertata la preesistenza delle costruzioni rispetto al settembre 1967. Orbene, si specifica, nei motivi di diritto, che “la presenza di tali costruzioni sul fondo risulta chiaramente dal titolo di proprietà ed è stata confermata da tutti i testi escussi, anche dall’architetto -OMISSIS-” e che “Quanto all’eventuale aumento di volumetria, il tecnico non era in grado di riferire, non potendosi risalire al volume originario dei manufatti”. (doc. n. 1 depositato il 28 luglio 2023). Tali considerazioni, presumendo la preesistenza, effettivamente nulla dicono, però, in ordine alla reale consistenza volumetrica de manufatti de quibus, come di fatto accertata nel corso del sopralluogo in sede.

VI.1.8. Ora, secondo condiviso e consolidato orientamento, “l’onere di fornire la prova dell'epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull’interessato e non sull’Amministrazione la quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione. Ai sensi dell'art. 63, comma 1, e dell'art. 64, comma 1, c.p.a. spetta al ricorrente l'onere della prova in relazione a circostanze che rientrino nella sua piena disponibilità. Nello specifico, la prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie è stata sempre posta sul privato e non sull'Amministrazione, dato che solo l'interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto (cfr. T.A.R. Campania, Napoli Sez. II, 27 novembre 2014, n. 6118). In tali casi, il privato dispone, ed è normalmente in grado di esibire, la documentazione idonea a fornire utili elementi di valutazione quali fotografie con data certa dell'immobile, estratti delle planimetrie catastali, il progetto originario e i suoi allegati, ecc.” (T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. II, n. 970/2023; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VI, n. 1200/2023; Cons. giust. Amm. Sicilia, n° 218/2023).

VI.1.9. In definitiva, in mancanza di ulteriori elementi di prova che possano contribuire a delineare un quadro probatorio affidabile, la sola dichiarazione non può dirsi idonea a corroborare la presunta preesistenza dei manufatti come rilevati, tale da escludere la necessità del permesso di costruire per la relativa edificazione, non risultando adeguatamente assolto l’onere della prova quanto alla data di edificazione.

VI.2. Con il secondo motivo di gravame, ad integrazione del primo, la parte lamenta, in subordine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 06.06.2001.

VI.2.1. Deduce parte ricorrente che la demolizione delle opere de quibus è stata irrogata ai sensi dell’art. 31 del T.U. citato in mancanza di qualsivoglia valutazione in ordine alla effettiva natura e portata degli interventi realizzati: non è stato, cioè, accertato se le summenzionate opere potessero o meno integrare un’ipotesi di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, tale da essere assoggettata al previo rilascio del permesso di costruire. La necessità di munirsi di un titolo autorizzatorio prima di intraprendere un’attività su un immobile di cui se ne abbia, a qualsiasi titolo, la disponibilità è dall’ordinamento (art. 10, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) imprescindibilmente ricollegata ad interventi di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, comprensivi degli “interventi di nuova costruzione, di ristrutturazione urbanistica e di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”.

Orbene, nel caso in esame, prosegue parte ricorrente, le opere eseguite sono finalizzate solo e soltanto a garantire una manutenzione ed un recupero conservativo dei preesistenti manufatti e non possono ricomprendersi tra siffatti interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.

Tanto premesso, mentre gli interventi di manutenzione ordinaria sono eseguiti senza alcun titolo edilizio (art. 6 del D.P.R. n. 380/2001), le opere di manutenzione straordinaria e di restauro e risanamento conservativo sono subordinate alla semplice denuncia di inizio attività (art. 22 del DPR n. 380/2001). Parimenti, il D.Lgs. n. 222 del 25 novembre 2016 nell’elencare gli interventi subordinati alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), definisce il concetto di restauro e risanamento conservativo come quell’insieme di opere finalizzate a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio.

VI.2.2. Nello specifico, per quanto riguarda il locale deposito identificato con la particella 1082 “e che attualmente è senza la copertura, gli interventi effettuati sono la rimozione della copertura di amianto, e come riportato nella comunicazione del 14/03/2018, prot. n. 3790 inoltrata al Dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di Pollena Trocchia - che prevedeva non la rimozione ma la sostituzione della copertura con lamiere ondulate -, sono state eseguite solo opere di manutenzione alla muratura (si evince chiaramente dalle foto che sono stati sostituiti alcuni blocchi rotti e fatiscenti, e realizzato un cordonetto di coronamento per poggiare sopra la nuova copertura con relativo telaio, di lamiere ondulate). Trattasi di opere consequenziali e che non comportano aumento di superficie e comunque rientranti nell’attività edilizia libera ex art. 6, comma 1, lettere da a) a e-quinquies), del D.P.R. n. 380/2001 e ex art. 17 del d.lgs. n. 128/2006”. “Come detto ed accertato in avanti, il manufatto preesisteva ed era oggetto di lavori di sostituzione del totale manto di copertura costituito di lastre in eternit (quindi opere di rinnovamento e sostituzione), come dettato dall’art. 6, e come comunicato con nota del 14/03/2018, prot. n. 3790. Ed anche la sostituzione di alcuni blocchi ammalorati ed il cordonetto di coronamento rientrano nella manutenzione ordinaria o straordinaria, ma pur sempre manutenzione di un manufatto preesistente e non nuova realizzazione. Se i lavori effettuati e da completare, rientrano nella manutenzione ordinaria sono opere che si possono eseguire senza alcun titolo abilitativo. Se volessimo ritenere che rientrano nella manutenzione straordinaria occorre fare comunicazione al comune, come in effetti è stata fatta con la nota del 14/03/2018, prot. n. 3790” (cfr. relazione tecnica di parte ricorrente). Tanto specificato, come espressamente precisato nella perizia asseverata, "non vi è stato nessun aumento di superficie e di volume in quanto i muri perimetrali del manufatto sono quelli preesistenti e la copertura non è stata ancora realizzata ... Come si evince chiaramente da queste due orto foto la seconda falda non copre tutta la muratura perimetrale, così come rilevata dall’ufficio, ma la seconda falda è più corta e la muratura rilevata delimita solo l’aia davanti al comodo rurale. Pertanto la copertura rimossa ed ancora da realizzare era e sarà di mq. 36,00, come riportato in catasto".

VI.2.3. Per quanto concerne il locale deposito identificato con la particella 1083, aggiunge parte ricorrente, “a seguito della rimozione della copertura, la preesistente struttura in parte in legno e parte in ferro, completamente fatiscente e prossima al collasso, è stata sostituita da n. 6 pilastrini in ferro, con sovrastanti correnti in ferro idonei ad ancorare le nuove lamiere ondulate. Anche queste opere sono configurabili nella manutenzione straordinaria e comunque previste nella comunicazione del 14/03/2018, prot. n. 3790 inoltrata al Dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di Pollena Trocchia, ... potenziando degli apprestamenti e delle opere provvisionali, appropriate a scongiurare il potenziale crollo delle due tettoie in uno stato di totale abbandono. Nel caso specifico, le opere eseguite sono state la sostituzione delle lastre di amianto e la sostituzione della struttura fatiscente, ma non vi è stata nessuna nuova costruzione né cambio di destinazione d’uso (locale per il ricovero di attrezzi agricoli era prima dell’intervento e quello è rimasto), … come avanti detto comunque previste nella comunicazione del 14/03/2018, prot. n. 3790. Anche in questo caso, non vi è stato alcun aumento di superficie in quanto nella relazione dell’ufficio si dice che è stato realizzato un manufatto dalle dimensioni in pianta di m. 15,10 X 5,00, ma in realtà la copertura misura mt. 12,10 X 5,00, si tratta di un mero errore di digitazione. Inoltre la copertura comprende uno sbalzo sul prospetto anteriore e posteriore di un metro, mente la struttura verticale costituita come avanti detto da n. 6 pilastrini, in pianta, con forma di rettangolo regolare, ha dimensioni di mq. 10,00 X 5,00, con una superficie interna di circa mq. 46,00, come riportato in catasto. Se vi sono state lievi modifiche, rispetto all’esistente, e parliamo solo del locale deposito identificato con la particella 1083, rientrano nelle consolidate tolleranze come normate dall’art. 34 DPR 380/01 e ss.mm.ii. La tolleranza è stata stabilita dall'articolo 5, comma 2, lettera a, legge n. 106 del 2011 (legge di conversione del cd decreto sviluppo) che ha aggiunto il comma 2-ter all’articolo 34 del DPR 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia) nel seguente testo: «ai fini dell'applicazione del presente articolo, non si ha parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2% delle misure progettuali» (cfr. relazione tecnica di parte, allegata).

In definitiva, quindi, conclude parte ricorrente:

1. gli interventi eseguiti sul manufatto identificato con la particella 1082, di sostituzione delle lastre di eternit di copertura del tetto del locale deposito, rientrano nel novero delle opere di manutenzione ordinaria che non necessitano di alcun titolo edilizio. Ed anche laddove i predetti lavori dovessero ritenersi rientranti nel novero delle opere di manutenzione straordinaria e/o di restauro e risanamento conservativo sarebbero soggette a d.i.a. che, nel caso in esame, si rinviene nella nota prot. n. 3790 del 14 marzo 2018;

2. i lavori che hanno interessato il manufatto identificato con la particella 1083 rientrano nel novero delle opere di manutenzione straordinaria e /o di restauro e risanamento conservativo per i quali era necessaria la semplice comunicazione di inizio lavori: comunicazione inoltrata con la nota sopra citata, la quale, oltre a richiamare la sostituzione della copertura, preannunciava il “potenziamento degli apprestamenti e delle opere provvisionali, appropriate a scongiurare il potenziale crollo delle due tettoie che versano in uno stato di totale abbandono”. E le lievi e marginali modifiche avutasi nella sostituzione della struttura fatiscente rientrano nel concetto di tolleranze previste dall’art. 34, comma 2 ter, del D.P.R. n. 380/2001, ergo sono irrilevanti (Cons. di St., sez. VI, 30 marzo 2017, n. 1481).

VI.2.4. Il motivo è infondato.

VI.2.5. Ed invero, stante quanto riportato dal tecnico di parte nella consulenza, i manufatti preesistenti alla data del 1967 consistono in un:

a. un “locale terraneo adibito a deposito insistente sul detto appezzamento di terreno di circa metri quadrati 36 (trentasei)” insistente sulla part.lla n° 1083.

Su tale manufatto sarebbe stati eseguiti lavori di manutenzione straordinaria per i quali è stata presentata comunicazione prot. n° 3790 del 14.03.2018. Come, infatti, riportato dal tecnico “a seguito della rimozione della copertura la preesistente struttura in parte in legno e in parte in ferro, completamente fatiscente e prossima al collasso, è stata sostituita da n. 6 pilastrini in ferro con sovrastanti correnti in ferro idonei ad ancorare le nuove lamiere ondulate”;

b. un “locale terraneo adibito a deposito insistente sul detto appezzamento di terreno di circa metri quadrati 46 (quarantasei)” insistente sulla part.lla n° 1082.

Su tale manufatto sarebbero stati eseguiti lavori di manutenzione ordinaria rientranti nell’alveo applicativo dell’art. 6 T.U. Edilizia non necessitanti, quindi, di alcun titolo abilitativo o al più catalogabili come di manutenzione straordinaria per i quali è stata presentata comunicazione prot. n° 3790 del 14.03.2018. Come riportato dal medesimo tecnico “gli interventi effettuati sono la rimozione della copertura di amianto e come riportato nella comunicazione del 14/03/2018, prot. n. 3790 … che prevedeva non la rimozione ma la sostituzione della copertura con lamiere ondulate, sono state eseguite solo opere di manutenzione della muratura … che non comportano aumento di superficie”.

Complessivamente, secondo quanto riportato dal consulente tecnico di parte, quindi, “le opere eseguite sono state la sostituzione delle lastre di amianto e la sostituzione della struttura fatiscente ma non vi è stata nessuna nuova costruzione e cambio di destinazione d’uso”.

VI.2.6. Vero è, però, che i rilievi e le qualificazioni attribuite dal tecnico ai lavori eseguiti dal ricorrente non corrispondono all’accertamento dei fatti riportato nel verbale di sopralluogo del 15.01.2019 dal quale emergono, invece, i seguenti abusi:

a) relativamente al manufatto di cui alla part.lla n° 1083, la “realizzazione di un manufatto in acciaio di dimensioni 15,10 mt per 5,00 mt con copertura delle lamiere grecate a doppia falda di altezza alla gronda 3,00 mt e al colmo di 3,50 mt. Perimetralmente è stata rilevata una muratura con blocchi di lapil cemento di spessore 15 cm per un’altezza di 1,30 mt. Struttura sorretta da sei pilastrini in acciaio tipo HE. L’area sottostante pavimentata con soletta di CLS;

b) relativamente al manufatto di cui alla part.lla n° 1082, la “realizzazione di un manufatto in muratura di lapil-cemento di dimensioni 7,50 mt per 7,60 mt diviso in due ambienti costituito da una muratura perimetrale di altezza 1,50 mt l’area interna risulta pavimentata con soletta di CLS”.

VI.2.7. Tali ultime descrizioni rivelano una prima difformità rispetto ai manufatti asseritamente preesistenti consistente, comunque, in un rilevante aumento della superficie.

Ed infatti, mentre nell’atto richiamato nella consulenza tecnica e, quindi, nell’atto di compravendita come nella donazione i manufatti di cui alle part.lle n° 1083 e n° 1082 nella loro preesistenza erano rispettivamente di mq 36 e mq 46, al momento del sopralluogo essi presentano una superficie maggiore, rispettivamente, pari a mq. 75,5 (mt 15,10 x mt 5,00) per il manufatto di cui alla part.lla n° 1083 (contro mq. 36) e mq. 57 (mt 7,50 x mt 7,60) per il manufatto di cui alla part.lla n° 1082 (contro mq 46).

VI.2.8. Ora, l’evidente aumento di superficie (e volumetria) palesa che gli interventi in questione non possono essere ricompresi, contrariamente a quanto affermato dal tecnico di parte, nell’ambito dell’attività edilizia libera e/o della manutenzione ordinaria o straordinaria.

Ed invero, per quanto attiene all’art. 6 D.P.R. n° 380/2001, le previsioni ivi contenute sono da ritenere di stretta interpretazione, in quanto dirette ad affermare l’irrilevanza urbanistica ed edilizia delle opere in esse contemplate, con la conseguente sottrazione alla regola del regime di controllo pubblico sugli interventi edilizi. Ne deriva, allora, che le opere ivi indicate possono ritenersi effettivamente rientranti nel perimetro di applicazione della previsione normativa soltanto laddove, per le loro caratteristiche in concreto, siano del tutto inidonee a influire in modo rilevante sullo stato dei luoghi e quindi non determinino una significativa trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio.

Diversamente, come si evince dalla mera comparazione delle fotografie riportate nella consulenza tecnica e in quelle allegate al verbale di sopralluogo, gli interventi non sono consistiti nella sola sostituzione del materiale della copertura poiché da strutture fatiscenti, approssimative e prive di opere murarie (cfr. fotografie riportate a pag. 3 della consulenza tecnica di parte) si è giunti alla realizzazione di veri e propri manufatti aventi i caratteri della stabilità (cfr. fotografie allegate al verbale di sopralluogo del 15.01.2019).

VI.2.9. Trattasi, dunque, di interventi che non sono stati diretti alla mera conservazione del preesistente ma che hanno portato alla realizzazione di organismi edilizi diversi con aumento di superficie per i quali, quindi, era necessario conseguire il relativo titolo abilitativo.

Ed infatti, in base all’art. 10 D.P.R. n° 380/2001, sono subordinati a permesso di costruire, oltre agli interventi di nuova costruzione, gli “interventi di ristrutturazione urbanistica e di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ... nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”.

Conseguentemente, “L’intervento edilizio, comportante un aumento di volumetria, esula dalla manutenzione straordinaria - limitata ad interventi necessari per rinnovare e sostituire parti di edifici o realizzare e integrare i servizi igienico - sanitari e tecnologici, senza alterazione di volumi e superfici delle singole unità immobiliari - e deve essere qualificato quale ristrutturazione edilizia, con conseguente necessità del permesso di costruire, ai sensi di quanto previsto dall'art. 10, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 (qualora comportino modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici). [...] Ne deriva che, alla stregua di una corretta qualificazione giuridica degli abusi contestati, non si tratta di interventi di manutenzione straordinaria così come disposto dal d.P.R. 380/2001, atteso che, nella fattispecie, si è trattato di interventi di trasformazione edilizia del territorio con creazione di nuove superficie e volumi, riconducibile agli interventi di nuova costruzione di cui all'art. 3, co. 1, lett. e) del d.P.R. n. 380 del 2001, concetto comprensivo di qualunque manufatto autonomo ovvero modificativo di altro preesistente, che sia stabilmente infisso al suolo o ai muri di quella preesistente, ma comunque capace di trasformare in modo durevole il territorio, realizzato senza il previo rilascio di titolo abilitativo edilizio” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 09.04.2018, n° 2274). In altri termini, non costituiscono interventi di manutenzione straordinaria né di restauro, bensì rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia, tutti quegli interventi che comportano un'alterazione dell'originaria consistenza fisica di un immobile e una ridistribuzione dei volumi; in particolare, non può essere ascritto al restauro o al risanamento conservativo l’intervento edilizio implicante un incremento di superficie o un mutamento di sagoma o di destinazione d’uso, trattandosi di ipotesi per le quali è sempre necessaria la preventiva acquisizione del permesso di costruire.

In conclusione, nel caso di specie, è evidente che le opere realizzate esulano dalla manutenzione straordinaria avendo determinato la creazione di organismi edilizi con nuovi volumi e superfici inevitabilmente riconducibili agli interventi di nuova costruzione ex art. 3, comma 1, lett. e), D.P.R. n° 380/2001. Ed invero, per quanto attiene il manufatto insistente sulla part.lla n° 1082, l’unico intervento da realizzare era la sostituzione della copertura di amianto di una struttura fatiscente, sorretta, in maniera approssimativa, da lamiere e pilastrini di legno; allo stato, la struttura si presenta come un vero e proprio manufatto in muratura lapil-cemento, diviso in due ambienti, senza copertura e con evidente aumento di superficie (per mq 57 contro gli originari mq 46). Per quanto attiene il manufatto insistente sulla part.lla n° 1083, la “sostituzione della struttura fatiscente” come affermato dal tecnico di parte nella consulenza, non può che consistere nella demolizione e ricostruzione della citata struttura con le medesime caratteristiche. Trattasi, invece, di intervento che, anche in questo caso, ha condotto ad un organismo totalmente diverso poiché la struttura si presenta come un vero e proprio manufatto in muratura lapil-cemento sorretto da sei pilastrini in acciaio con evidente e rilevante aumento di superficie (mq 75,5 a fronte degli originali mq. 36).

Secondo condivisa giurisprudenza, infatti, “Il criterio discretivo tra l’intervento di «demolizione e ricostruzione» e la «nuova costruzione» è costituito, nel primo caso, dall’assenza di variazioni di volume, dell’altezza e della sagoma dell’edificio, per cui, in assenza di tali indefettibili e precise condizioni si deve parlare di intervento equiparabile a «nuova costruzione», da assoggettarsi alle regole proprie della corrispondente attività edilizia. Detti criteri vanno osservati con particolare rigore, specie a seguito dell’ampliamento della categoria della demolizione e ricostruzione operata dal d.lgs. n. 301/2002, dato che, proprio perché non vi è più il limite della fedele ricostruzione, si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente nel senso che debbono essere presenti gli elementi fondamentali, in particolare, per i volumi, per cui la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, deve conservare le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio deve riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 06.11.2018, n° 10729).

VI.2.10. A tali profili si aggiungono, come evincibile dall’ingiunzione gravata, le ulteriori violazioni normative indicate nell’ordinanza impugnata. Le opere de quibus sono state realizzate anche in violazione delle NN.TT.A. del P.S.A.I., del d.lgs. n° 42/2004, della L. n° 64/1974 e della L.R. Campania n° 21/2003 e n° 9/1983.

VI.3. Con il terzo motivo di ricorso la parte deduce la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 42 del 22.01.2004.

VI.3.1. Osserva, parte ricorrente, che il Comune di Pollena Trocchia ha sanzionato con la demolizione i suddetti interventi, asseritamente abusivi, ritenendo, tra l’altro, “che le predette opere sono da considerarsi anche eseguite in assenza dell’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del D.Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004 ed in violazione della legge 2/2/74 n. 64 trattandosi di territorio con vincolo sismico...VISTO il D.Lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004; VISTA la legge 2/2/74 n. 64; VISTA la legge regionale 7/1/83 n. 9”.

VI.3.2. Orbene, rientrando, a parere di parte ricorrente, nel novero di opere di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e/o di ristrutturazione edilizia, gli interventi edilizi in esame non possono essere considerati in grado di determinare un nocumento al paesaggio. Ciò posto, l’art. 149 del Codice dei beni culturali e del paesaggio stabilisce che non è richiesta l’autorizzazione prescritta dall’art. 146 “per gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”. Ultroneo è, allora, il richiamo del D.Lgs. n. 42/2004: la natura manutentiva e/o conservativa degli interventi edilizi contestati è tale da renderli inidonei ad arrecare un nocumento al territorio dal punto di vista paesaggistico. Per tutto quanto detto è da escludere qualsiasi incompatibilità degli interventi in esame con il contesto ambientale. Parimenti, l’art. 9 del Piano Territoriale Paesistico dei comuni vesuviani prevede che “Per tutte le zone, comprese nel presente piano, sono ammessi, anche in deroga alle norme e prescrizioni di tutela delle singole zone (titolo II), nel rispetto delle prescrizioni di cui agli artt. 6, 7 8 della presente normativa e comunque sempre che non arrechino danni alle essenze arboree di alto e medio fusto, i seguenti interventi: a) Interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di restauro e risanamento conservativo”. La natura delle opere de quibus non determina, altresì, la violazione delle norme sismiche e vulcaniche.

VI.3.3. La censura è priva di pregio, prima in fatto che in diritto.

VI.3.4. Ora, il solo raffronto tra la documentazione fotografica di cui alla relazione tecnica e quella allegata al verbale di sopralluogo evidenzia una apprezzabile alterazione dello stato dei luoghi e dell’aspetto esteriore degli edifici. Ne consegue che le opere realizzate non possono qualificarsi come mere manutenzioni ordinarie o straordinarie, non essendo consistite, come sostenuto, nel mero ripristino o rinnovamento di parti dell’edificio, ma avendo, di contro, determinato la creazione di manufatti diversi e nuovi con aumento di superficie utile di entità non trascurabile, tali, cioè, da comportare un sensibile impatto sul territorio. Si tratta, perciò, di opere che eccedono i limiti della manutenzione straordinaria, come correttamente ritenuto dal Comune resistente, per i quali era necessario il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Peraltro, si è condivisibilmente affermato che, “prescindendo dalla qualificazione dell’intervento edilizio, l’art. 149 del d.lg. n. 42 del 2004 richiede, comunque, l’autorizzazione paesaggistica anche nel caso di interventi minori (di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo) che alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore dell’edificio” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 12.06.2018, n° 6566).

Ciò posto, “L’ordinamento pone l’accento sulla sanzione da irrogare nel caso di assenza dell’autorizzazione paesaggistica che è, in ogni caso, sempre e soltanto quella demolitoria prevista dall’art. 27, d.P.R. n. 380 del 2001, quale che sia il titolo urbanistico ed edilizio richiesto (D.I.A., super D.I.A. permesso di costruire, ecc.) per rendere attuabile l’intervento, ed unico modo per ovviare alla - altrimenti inevitabile - eliminazione delle opere sarebbe - unicamente quello di ritenere l’intervento ricompreso nell’ambito della manutenzione ordinaria, riconducibile alla libera attività edilizia” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 08.01.2016, n°17), comunque, da escludersi, per le ragioni esplicate, nel caso de quo.

VI.3.5. A tali considerazioni si aggiunga che il Comune di Pollena Trocchia, come emerge incontestatamente dal provvedimento gravato, è classificato nelle NN.TT.A. del P.T.P. riapprovato con D.M. 04.07.2002 nella zona di Protezione Integrale nella quale è espressamente vietato “qualsiasi intervento che comporti incremento di volumi”.

VI.3.6. Non ultima è la constatazione che, contrariamente a quanto asserito, il medesimo Comune, oltre ad essere sottoposto a vincolo paesaggistico, è anche incluso nel perimetro della cd. Zona rossa vesuviana ad elevato rischio vulcanico. Nello specifico, l’intero territorio comunale è stato dichiarato sismico con grado di sismicità S = 9. In tali aree, come controdedotto dalla Amministrazione comunale resistente, la realizzazione di lavori comporta la necessità, ai sensi dell’art. 17 L. n° 64/74 e art. 2 L.R. Campania n° 9/83 “di trasmettere agli uffici del Genio Civile (o all'ente delegato ex art. 4 bis, l. reg. n. 9 del 1983) la denuncia di inizio lavori, corredata con il progetto esecutivo asseverato e quant’altro previsto dalla normativa antisismica” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 06.03.2013, n° 1247). Ciò posto, e, più in generale, “Ai sensi degli art. 1 e 2, l. n. 1086 del 1971 (e degli art. 1 e 2, l. reg. Campania n. 9 del 1983), sono sottoposte alla preventiva approvazione di un progetto esecutivo da parte del genio civile le opere in conglomerato cementizio o a struttura metallica, che assolvono ad una funzione statica ed i lavori consistenti in "costruzioni, sopraelevazioni, ampliamenti e riparazioni", per cui devono ritenersi escluse da tale obbligo solo le opere di carattere precario e di facile rimozione” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 08.03.2012, n° 1182 e 09.03.2011, n° 1363), non rinvenibili nel caso di specie.

B) Quanto all’ordinanza di ripristino dei luoghi n. 1 del 5 marzo 2019 adottata dal Direttore del Parco Nazionale del Vesuvio

VI.4. Con il quarto motivo di ricorso, parte ricorrente lamenta, oltre all’eccesso di potere, la violazione e falsa applicazione di legge e precisamente, del d.P.R. n. 380 del 06.06.2001, della l. n. 394 del 06.12.1991, del d.lgs. n. 42 del 22.01.2004, della l. n. 426 del 09.12.1998, del D.M. del 04.07.2002, della l. n. 457 del 05.08.1978 e della l. n. 241 del 07.08.1990.

VI.4.1. Deduce parte ricorrente che l’Ente Parco, come già l’Amministrazione comunale - partendo unicamente dal verbale di sopralluogo del 24 gennaio 2019 e senza effettuare alcun doveroso approfondimento istruttorio - ha ingiunto la demolizione delle opere de quibus "Considerato che l’area oggetto dell’intervento abusivamente realizzato ricade: - in zona C di protezione e nello specifico nell’Unità di Paesaggio C1 “paesaggio agrario della Somma” della tavola P2.2d del Piano del Parco e di cui all’art. 14 delle NTA del Piano del Parco", limitandosi poi a riportare testualmente alcune disposizioni delle NTA.

VI.4.2. Ciò posto, osserva la medesima parte ricorrente, l’elencazione degli interventi non ammessi così come pure di quelli da eliminare deve, invero, ritenersi tassativa, nel senso che le opere non consentite e/o da rimuovere sono solo e soltanto quelle espressamente indicate: la ratio sottesa alla disciplina in parola è, infatti, quella di non limitare - in assoluto - il diritto dominicale dei soggetti laddove non vi siano interventi di nuova costruzione che determinano un rilevante mutamento dell’assetto paesaggistico del territorio.

VI.4.3. Ne discende, allora, che gli interventi de quibus - di mera sostituzione e/o di ristrutturazione edilizia a parità di volumetria - per il fatto che rientrano nel novero di opere di manutenzione ordinaria, straordinaria, di ristrutturazione edilizia restauro e/o risanamento conservativo sono di per sé comprese tra quelle consentite dalle NTA del Parco. Conforta tale assunto la circostanza che le predette opere, se. da una parte, non hanno determinato alcuna modifica dell'ambiente circostante né tantomeno uno squilibrio dimensionale e prospettico della zona, dall'altra, si sono rese necessarie per eliminare lo stato di degrado in cui versano entrambi i locali deposito; scongiurare qualsivoglia pericolo per la salute pubblica; consentire una migliore fruizione del terreno agricolo a cui accedono quale pertinenza; conseguentemente, le stesse non rientrano tra quelle vietate dalle previsioni in esame.

VI.4.4. Soffermandosi, poi, su alcuni articoli delle NTA del Parco Nazionale del Vesuvio se ne deduce la conformità delle opere contestate con le previsioni ivi contenute: esse rispettano la tipologia del territorio circostante senza pregiudicare l’area protetta ed il valore estetico della zona. Ed invero, tanto trova ulteriore conferma nella stessa lettura dell’art. 6 della L. 394/91, pure richiamato dall’Ente Parco, il quale se, da una parte, vieta “l’esecuzione di nuove edificazioni e la trasformazione di quelle esistenti”, dall’altra, fa salva proprio “la possibilità di realizzare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di cui alla lettera a) e b) del primo comma dell’art. 31 della legge 5 agosto 1978 n. 457”.

VI.5. Con il quinto motivo di ricorso, la parte deduce, conseguentemente, la violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 per difetto di motivazione.

VI.5.1. Dalla semplice lettura del provvedimento gravato si rileva che l’Ente, senza neppure qualificare giuridicamente il tipo di abuso realizzato, si è limitato genericamente ad affermare il contrasto degli interventi con una serie di norme senza precisare l’effettivo nocumento arrecato all’ambiente ed al paesaggio. Per contro, osserva parte ricorrente, l’Ente Parco avrebbe dovuto giustificare l’irrogazione della sanzione demolitoria a fronte di semplici lavori manutentivi dei preesistenti manufatti. Non avendo l’Ente intimato ottemperato a tale obbligo, il provvedimento adottato risulta illegittimo e va annullato.

VI.5.2. Gli ultimi due motivi di gravame che, per connessione logico- giuridica, possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

VI.5.3. Si premette, in fatto, che, con informativa per CNR n. 47/2019 prot 63/2019 (prot. 368 del 28/01/2019) trasmessa dal Raggruppamento Carabinieri Parco Stazione di San Sebastiano al Vesuvio, veniva comunicato all’Ente Parco che il Sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, si rendeva responsabile, in qualità di committente, in agro del comune di Pollena Trocchia in San Martino, su fondo identificato catastalmente al Foglio 8 particella 1081 delle descritte opere abusive in violazione delle prescrizioni del Piano del Parco vigente ed in assenza di nulla osta ai sensi dell’art. 13 della legge 394/1991. Le predette opere ricadono nella perimetrazione definitiva del Parco nazionale del Vesuvio nonché in area soggetta alle norme di attuazione del P.T.P. approvato con D.M. 04/07/2002 del Ministero per i beni e le Attività Culturali di concerto con il Ministero dell’Ambiente.

VI.5.4. I predetti interventi abusivi sono stati realizzati in assenza della necessaria autorizzazione di cui all’art.13 della legge 394/91 ss.mm. ii. (per cui il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del Parco è sottoposto al preventivo nulla osta).

Pertanto, l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio ha emanato a carico del Sig. -OMISSIS- -OMISSIS-, l’ordinanza di demolizione e riduzione in pristino n. 1 prot 1182 del 07/03/2019, in applicazione dell’art. 29 della legge 394/1991 ss.mm.ii., secondo cui, nello specifico, la realizzazione di interventi, impianti ed opere all’interno del parco in assenza di preventiva autorizzazione dell’Ente Parco comporta l’obbligo di riduzione in pristino o la ricostituzione di specie vegetali o animali a spese del trasgressore con la responsabilità solidale del committente, del titolare dell’impresa e del direttore dei lavori in caso di costruzione e trasformazione di opere.

VI.5.5. Ciò posto, le opere oggetto delle ordinanze di demolizione sono state realizzate in assenza del preventivo nulla osta del Parco nazionale del Vesuvio e, come tali, sono “in re ipsa” abusive. Invero ai sensi dell’art.13 legge 394 del 1991 la realizzazione di interventi, impianti ed opere all’interno del parco è sempre sottoposto al preventivo nulla osta del Parco. In assenza di regolare rilascio di nulla osta, il legale rappresentante dell’organismo di gestione delle aree naturali protette in forza dell’art. 29 della legge quadro sulle aree protette, è tenuto, come visto, a disporre l’immediata sospensione dell’attività medesima ed ordinare in ogni caso la riduzione in pristino o la ricostituzione di specie vegetali o animali a spese del trasgressore con la responsabilità solidale del committente, del titolare dell’impresa e del direttore dei lavori in caso di costruzione e trasformazione di opere.

All’uopo, non appare ultroneo osservare come, in caso di inottemperanza all’ordine di riduzione in pristino o di ricostituzione delle specie vegetali o animali entro un congruo termine, il legale rappresentante dell’organismo di gestione può provvedere, poi, all’esecuzione in danno degli obbligati secondo la procedura di cui ai commi secondo terzo e quarto dell’art. 27 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 in quanto compatibili, e recuperando le relative spese mediante ingiunzione adottata ai sensi del T.U. delle disposizioni di legge relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, approvato con regio decreto 14 aprile 1910 n. 639.

Tutto quanto premesso, è evidente la piena legittimità dell’operato dell’Amministrazione che, a fronte dell’informativa per CNR n.47/2019 prot 63/2019 (prot. 368 del 28/01/2019) trasmessa dal Raggruppamento Carabinieri Parco Stazione di San Sebastiano al Vesuvio, con cui veniva comunicata l’esecuzione di attività abusiva in assenza di nullaosta, ha ingiunto la demolizione.

Peraltro, contrariamente a quanto dedotto, il provvedimento repressivo adottato dall’Ente Parco è finalizzato alla piena tutela dell’interesse pubblico alla salvaguardia dell’area protetta, scopo istituzionale dell’Ente resistente. Nell’attuale quadro normativo, infatti, il vaglio dell’Ente Parco sugli interventi modificativi del territorio attua la tutela dell’area protetta del Parco Nazionale del Vesuvio che si concretizza mediante l’esame di compatibilità dell’opera con il vincolo “naturalistico ambientale”. Tale tutela è dettata dalla legge 394/1991 che ha istituito il “Parco Nazionale del Vesuvio” (art. 34). A tale normativa si è aggiunta quella contenuta nel DPR 05/06/1995 che ha definito la perimetrazione del Parco Nazionale, ha istituito l’Ente di gestione ed ha prescritto un ulteriore strumento di operatività ovvero norme più dettagliate e confacenti alle esigenze del territorio vesuviano. Tanto premesso, come osservato dall’Ente Parco resistente, la tutela dell’area secondo un principio di immodificabilità assoluta, in tema di parchi nazionali, è assicurata ex lege già dalla legge n. 431/1985; nel caso specifico, tale principio era da considerarsi vigente anche prima dell’istituzione del parco nazionale, essendo l’area interessata sita nel perimetro del Parco del Vesuvio, espressamente richiamato nella predetta normativa di cui alla legge n. 431/1985. A ciò si aggiunga che anche il P.T.P., successivamente approvato, seppure abbia introdotto delle deroghe, all’art. 1 quinquies, vieta comunque gli interventi che violano tutte le normative dei vincoli posti a protezione dell’area in questione. Nelle previsioni normative finalizzate alla tutela dell’area protetta, da rispettarsi all’interno del Parco Nazionale è previsto, in ogni caso, un bilanciamento tra le esigenze di conservazione e le istanze di trasformazione, attuabili proprio solo previa autorizzazione- nulla osta che l’Ente di gestione può rilasciare esclusivamente in via preventiva.

VI.5.6. Orbene, le opere all’esame, oltre ad essere state realizzate in assenza del necessario preventivo nulla Osta, a tutela del Vincolo naturalistico ambientale, contrastano, come rilevato in ragione della descritta consistenza, con le prescrizioni del Piano del Parco Nazionale del Vesuvio adottato con Delibera di Giunta della Regione Campania n. 618 del 13/04/2007 approvato nel 2010 e pubblicato sul BURC n. 9 del 19/01/2010. Ed invero, l’area oggetto dell’intervento abusivamente realizzato ricade, precisamente, in Zona C di protezione e, nello specifico, nell’unità di Paesaggio C1 “Paesaggio agrario del Somma” della tavola P.2.2.d “del Piano del Parco e di cui all’art. 14 delle NTA del Piano del Parco; tale unità è costituita da un ampio settore dei versanti medi e bassi del Somma esposti a nord e ad est; su “area agricola di valore storico” e “grandi connessioni agrarie” della Tavola P22b “Inquadramento Strutturale ed aree contigue sistemi ambientali” del Piano del Parco. L’intervento in questione viola, come eccepito dall’Ente parco resistente, le NTA del Piano del Parco e nello specifico, a titolo esemplificativo, il comma 2 dell’art. 14, per il quale gli usi e le attività previste “sono prioritariamente finalizzati alla manutenzione, il ripristino e la riqualificazione delle attività agricole e forestali peculiari”, il comma 8 del medesimo art. 14 per il quale nella Zona C sono comunque esclusi “interventi edilizi che eccedano quanto previsto alle lettere a), b) e c) dell’art. 3 del D.P.R. del 6/06/2001 n. 380”, e, da ultimo, l’art. 23 comma 8 per il quale in aree agricole “non sono consentite: b) nuove costruzioni per utilizzi rurali e depositi, infrastrutture stradali, adduzioni della rete energetica ed allacci alla rete fognaria che non siano connessi ad una dimostrata necessità comportata dalle lavorazioni agricole o agrituristiche aziendali”.

VI.5.7. Infondata è, altresì, la censura di difetto di motivazione, essendo principio consolidato che i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, aventi natura vincolata, non devono essere accompagnati da alcuna specifica motivazione, né in particolare esigono la valutazione in ordine alla compromissione dei rilevanti interessi pubblici, di natura urbanistica, paesaggistica. Ed invero, “I provvedimenti di repressione degli abusi edilizi sono atti dovuti con carattere essenzialmente vincolato e privi di margini discrezionali, per cui è da escludere la necessità di una puntuale motivazione sull’interesse pubblico alla demolizione ovvero una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, in quanto non è configurabile alcun affidamento giuridicamente tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente che non può di norma essere sanata dal mero trascorrere del tempo (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 29/04/2014, n.2228). Ne consegue che l’ordine di demolizione è sufficientemente sorretto dalla mera enunciazione dei presupposti di fatto e di diritto rilevanti ai fini della individuazione della fattispecie di illecito e dell’applicazione della corrispondente misura sanzionatoria prevista dalla legge” (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, n. 1169 del 2017). Con specifico riferimento alle ordinanze di demolizione e ripristino adottate dall’Ente Parco, “la motivazione- avuto riguardo alla natura vincolata dell’ingiunzione- può dirsi adeguata e completa laddove contenga una puntuale descrizione delle opere riscontrate, l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera realizzata in zona vincolata, l’individuazione delle norme violate, essendo in re ipsa l’interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione degli abusi edilizi ed ambientali” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 30/08/2018, n. 5295).

VI.5.8. In definitiva, in relazione alle opere realizzate, ai fini della loro legittimità, sarebbe stato necessario acquisire, come contestato, il preventivo nulla osta da parte dell’Ente Parco come prescritto dall’art.13 della legge 394/1991. “Il nulla osta è infatti a presidio di un regime di tutela del tutto autonomo ed autosufficiente rispetto alla valutazione tipica dell’autorità comunale preposta alla salvaguardia dell’interesse urbanistico, di razionale e ordinato sviluppo del territorio. Ne consegue che, i due procedimenti – il primo di natura urbanistica, di competenza comunale; l’altro di natura naturalistico/ambientale, di competenza dell’Ente Parco – pur se paralleli, mirano al perseguimento di interessi pubblici coesistenti ma tra loro non sovrapponibili, aventi ad oggetto lo stesso ambito territoriale. Più in particolare, i poteri dell’Ente Parco sono preposti alla tutela di un interesse specifico volto a preservare l’ambiente all’interno di una zona di particolare valore naturalistico qual è il Parco. A tale interesse, l’ordinamento conferisce un particolare spessore, anche di rilievo costituzionale (art. 9 Cost.). Ciò rende del tutto coerente l’attribuzione all’Ente Parco di poteri speciali, ancorché inerenti anche ad interventi di tipo edilizio” (T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, n. 5303/2018; 8/11/2021, n. 7051 e 11/07/2022, n. 4633).

La ratio dell’art.13 della 394/1991, “è quella di radicare un generale potere di intervento dell’Ente a presidio del vincolo alla cui tutela è preposto” (Cons. di St., sez. VI, 26 gennaio 2015 n. 318) ne consegue che “l’oggetto di valutazione propria del nulla osta… è costituito, oltreché dall’impatto dell’opera sul contesto ambientale oggetto di tutela, da tutti gli aspetti di protezione del territorio, anche relativi alla disciplina di natura urbanistica ed edilizia recepita dalla normativa del Parco” (cfr. Cons. di St., sez. VI, 07/11/2012, n. 5630, T.A.R Campania, Napoli, sez. III, 16/11/2017 n. 5414 e n. 5303/2018).

VII. Sulla base delle sovra esposte considerazioni, il ricorso non è meritevole di accoglimento.

VIII. Ragioni di equità, in considerazione della complessità fattuale e della tecnicità delle questioni trattate, inducono, tuttavia, il Collegio a compensare tra le parti le spese di giudizio, ad eccezione del Contributo unificato, onere che permane in capo alla parte ricorrente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa le spese di giudizio, ad eccezione del C.U., posto a carico della parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria per procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente e il loro dante causa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 10 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati:

Anna Pappalardo, Presidente

Carlo Dell'Olio, Consigliere

Gabriella Caprini, Consigliere, Estensore