Cass. Sez. III n. 55313 del 30 dicembre 2016 (Ud 28 set 2016)
Presidente: Fiale Estensore: Di Stasi Imputato: Ferraro
Urbanistica. Concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori nel reato urbanistico
Ai fini del disconoscimento del concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori nel reato previsto dall' art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, è necessario escludere l'interesse o il suo consenso alla commissione dell'abuso edilizio ovvero dimostrare che egli non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione. Non è sufficiente, dunque, per escludere il concorso nel reato, che il proprietario del terreno non abbia commissionato materialmente i lavori. Perché il proprietario non committente vada esente da responsabilità occorre qualcosa in più e, cioè, che dagli atti emerga che lo stesso non abbia interesse all'abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte Suprema si è stabilmente assestata nell'affermare che, in tema di reati edilizi, l'individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell'abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria: piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo, interesse specifico ad edificare la nuova costruzione, rapporti di parentela o di affinità tra l'esecutore dell'opera abusiva ed il proprietario; eventuale presenza "in loco" di quest'ultimo durante l'effettuazione dei lavori; lo svolgimento di attività di materiale vigilanza sull'esecuzione dei lavori; la richiesta di provvedimenti abilitativi anche in sanatoria; il regime patrimoniale fra coniugi o comproprietari; e, in definitiva, tutte quelle situazioni e quei comportamenti, positivi o negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove circa la compartecipazione, anche morale, all'esecuzione delle opere, tenendo presente pure la destinazione finale della stessa ( Sez. 3, 27.9.2000, n. 10284, Cutaia; 3.5.2001, n. 17752, Zorzi; 10.8.2001, n. 31130, Gagliardi; 18.4.2003, n. 18756, Capasso; 2.3.2004, n. 9536, Mancuso; 28.5.2004, n. 24319, Rizzuto; 12.1.2005, n. 216, Fucciolo; 15.7.2005, n. 26121, Rosato; 2.9.2005, n. 32856, Farzone; Sez.3, n. 39400 del 21/03/2013, Rv.257676; Sez.3, n.52040 del 11/11/2014, Rv.261522).
Inoltre, la valutazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell'abuso edilizio si sottrae al sindacato di legittimità della Suprema Corte, in quanto comporta un giudizio di merito che non contrasta ne' con la disciplina in tema di valutazione della prova nè con le massime di esperienza (sez. 3, n. 35631 dell'11.7.2007, Leone ed altri, rv. 237391).
Quindi, ai fini del disconoscimento del concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori nel reato previsto dall' art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, è necessario escludere l'interesse o il suo consenso alla commissione dell'abuso edilizio ovvero dimostrare che egli non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione (così questa sez. 3, n. 33540 del 19.6.2012, Pmt in proc. Grillo ed altri rv. 253169; conforme sez. 4 n. 19714 del 3.2.2009, Izzo F., rv. 243961). Questa Corte di legittimità non ritiene sufficiente, dunque, per escludere il concorso nel reato, che il proprietario del terreno non abbia commissionato materialmente i lavori. Perché il proprietario non committente vada esente da responsabilità occorre qualcosa in più e, cioè, che dagli atti emerga che lo stesso non abbia interesse all'abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione.
Alla stregua di tali principi, nella fattispecie in esame, i Giudici del merito - con motivazione adeguata ed immune da vizi logico- giuridici - hanno ricondotto all'imputato l'attività di edificazione illecita in oggetto sui rilievo che il predetto era proprietario del fondo oggetto dei lavori abusivi, ne aveva la piena disponibilità ed il pieno godimento ed aveva sicuro interesse all'esecuzione delle opere, come evincibile dalla presentazione da parte dello stesso sia una richiesta di manutenzione ordinaria o straordinaria in tempi antecedenti al sopralluogo eseguito dalla Polizia Municipale sia di una successiva istanza volta ad attivare l'accertamento in conformità delle opere.
Le censure concernenti asserite carenze o illogicità argomentative non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nel caso in oggetto, da logico e coerente apparato argomentativo e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della questione in fatto.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
2.1. Va ricordato che il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l'attività edilizia illecita, ed il suo momento di cessazione va individuato o nella sospensione di lavori, sia essa volontaria o imposta ex auctoritate, o nella ultimazione dei lavori per il completamento dell'opera o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti dopo l'accertamento e sino alla data del giudizio (Sez.U,n.17178 del 27/02/2002, Rv.221399; Sez.3, n.38136 del 25/09/2001,Rv.220351; Sez.3, n.29974 del06/05/2014,Rv.260498).
Questa Corte ha, inoltre, affermato che deve ritenersi ultimato solo l'edificio concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità (Sez. 3, n. 40033 del 18/10/2011, Cappello, Rv. 250826) al punto che anche l'uso effettivo dell'immobile, se pure accompagnato dall'attivazione delle utenze e dalla presenza di persone al suo interno, non è sufficiente al fine di ritenere "ultimato" l'immobile abusivamente realizzato, coincidendo l'ultimazione con la conclusione dei lavori di rifinitura interni ed esterni, quali gli intonaci e gli infissi (Sez. 3, n. 39733 del 18/10/2011, Ventura, Rv. 251424).
Si tratta di un principio affermato anche con riferimento al reato previsto dall' art. 181, comma 1, del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, qualora la fattispecie sia realizzata, come nella specie, attraverso una condotta che si protragga nel tempo, come nel caso di realizzazione di opere edilizie in zona sottoposta a vincolo, trattandosi di reato che ha natura permanente e che si consuma con l'esaurimento totale dell'attività o con la cessazione della condotta per qualsiasi motivo. (Sez. 3, n. 28934 del 26/03/2013, Borsani, Rv. 256897; Sez.3, n. 24690 del 18/02/2015, Rv.263926).
Inoltre, è stato osservato che, in tema di prescrizione, grava sull'imputato, che voglia giovarsi di tale causa estintiva del reato, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali poter desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (Sez. 3, n. 27061 del 05/03/2014, Laiso, Rv. 259181).
2.2. Nella specie, la Corte di appello ha evidenziato come dal verbale di accertamento risultasse che l'opera non fosse completa (in quanto si dava atto di segni evidenti di attività edilizia in corso: edifici con relativi arredi esterni parzialmente realizzati, griglie elettrosaldate da armature pronte per la posa, scavi aperti di recente) e come il teste Claudio Sinzu, agente della Polizia Locale, autore del sopralluogo, specificamente interpellato sulla questione se fosse o meno recente la costruzione, avesse riferito che, anche in base alla documentazione fotografica, il fabbricato - casa di civile abitazione- era costituito da un "basamento in corso di realizzazione", perché in parte non ultimato per la presenza di "griglie elettrosaldate che attendevano la colata" (pag 4 e 5 della sentenza impugnata).
La Corte del merito, inoltre, con specifico riferimento alla prospettazione difensiva circa la data di realizzazione dell'abuso collocata nell'anno 2007, ha ritenuto non dirimente la versione fornita al dibattimento dai testi a discarico, Federico Auro e Meloni Mario, sull'espresso rilievo che il primo aveva, comunque, riferito della presenza di due immobili rifiniti e di un terzo solo parzialmente realizzato ("più grezzo, non finito") ed il secondo riferito solo dei lavori realizzati tra gennaio e maggio 2007 senza fornire ulteriori indicazioni cronologiche sui lavori successivi.
Sulla base di tale ricostruzione fattuale, la Corte di appello ha ritenuto, quindi, non ancora ultimati i lavori alla data dell'accertamento del reato (15.7.2009).
Ha, conseguentemente, argomentato che la consumazione del reato (sia con riferimento al reato urbanistico e sia con riferimento a quello paesaggistico) fosse perdurata fino alla data del 15.7.2009 - data in cui si verificava la cessazione dell'attività edificatoria a seguito della sospensione dei lavori per l'intervenuto accertamento dello stato dei luoghi da parte degli agenti della Polizia Municipalee che da tale data dovesse decorrere il termine massimo prescrizionale; tale termine quinquennale, considerate anche le sospensioni del procedimento, non era ancora decorso al momento della decisione appellata (pagg. 4, 5 e 6 della sentenza impugnata).
La motivazione è congrua e priva di vizi logici e, pertanto non censurabile in sede di legittimità, nonchè giuridicamente corretta, in quanto in linea con i principi di diritto suesposti.
3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura ritenuta equa indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 28/09/2016