Cass. Sez. III n. 24973 del 2 settembre 2020 (UP 10 lug 2020)
Pres. Izzo Est. Cerroni Ric. Cacciola ed altri
Rifiuti.Centri comunali di raccolta differenziata dei rifiuti urbani

I centri comunali di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, o “ecopiazzole”, necessitano, anche dopo l’introduzione dell’apposita disciplina di cui all’art. 183, comma 1, lett. mm) del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, del rilascio dell’autorizzazione regionale laddove non rispondano ai requisiti previsti dai decreti ministeriali in materia o le attività in essi svolte esulino dalle funzioni proprie di tali centri


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 27 giugno 2019 il Tribunale di Reggio Calabria ha condannato Antonio Vincenzo Luppino e Antonia Forgione, nella rispettiva qualità di responsabile di fatto e di titolare della ditta individuale di quest’ultima, alla pena di euro 10.000 di ammenda per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 256, comma 1, lett. a) d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152; nonché Luppino e Forgione, nella ridetta qualità, e Raimondo Cacciola, quale dipendente del Comune di Bagnara Calabra, alla pena di euro 10.000 di ammenda per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 256, comma 3, d.lgs. 152 cit..
La pena era sospesa quanto a Forgione e Cacciola, con confisca di quanto in sequestro.
2. Avverso la predetta decisione sono stati proposti separati ricorsi per cassazione.
3. Ricorsi Luppino e Forgione
3.1. Le separate impugnazioni si articolano su tre comuni motivi di censura, mentre il Luppino si è altresì doluto della mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
Col primo motivo, quanto all’applicazione delle norme in tema di discarica abusiva di rifiuti, è stato osservato che, oltre all’elemento oggettivo rappresentato dal collocamento fisico dei detriti, andava provata anche l’esistenza dell’elemento soggettivo del dolo, consistente nella specifica consapevolezza di agire in contrasto col vincolo gravante sulla cosa.
In specie, le attività erano state svolte in osservanza delle direttive imposte relativamente alla classificazione di isola ecologica temporanea dei rifiuti prodotti e gestiti in autonomia dalla ditta, prima dello smaltimento secondo legge. Quanto all’elemento soggettivo, dato dal dolo specifico di volere realizzare una discarica abusiva in spregio alle regole di ordine pubblico e di convivenza civile nel difetto di titolo autorizzativo, vi era stata omessa ovvero insufficiente motivazione, tanto più che risultava essere stata stipulata altresì una convenzione col Comune di Bagnara Calabra per la messa a disposizione del sito territoriale quale area di stoccaggio temporaneo, dal momento che erano state conseguite tutte le autorizzazioni necessarie.
Oltre a ciò, l’area interessata altro non era che luogo deputato alla raccolta temporanea di rifiuti, e non una discarica abusiva come erroneamente affermato, dove vi era raccolta di rifiuti non pericolosi infine smaltiti nei modi di legge, trattandosi di isola ecologica temporanea, in cui la sede individuata per lo stoccaggio costituiva area di collocamento di ordinari detriti di lavori edili, collocati in via preliminare rispetto allo smaltimento di legge.
3.2. Col secondo motivo, in relazione all’errata applicazione della norma di cui all’art. 81 cod. pen., è stato osservato che il trasporto di rifiuti avrebbe dovuto considerarsi propedeutico al reato di discarica abusiva, unico per il quale gli imputati avrebbero dovuto rispondere in sede penale.
3.2.1. In proposito, oltretutto, doveva applicarsi in ogni caso l’istituto della continuazione, già riconosciuto per i reati contravvenzionali di cui al d.lgs. 152 del 2006.
3.3. Col terzo motivo è stato censurato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, mentre – quanto al Luppino – era stata negata altresì la sospensione condizionale della pena, senza alcuna giustificazione sotto il profilo motivazionale. Né vi era indicazione del percorso logico complessivamente seguito, a fronte della positiva condotta processuale, dell’incensuratezza e dell’episodicità, nonché della convinzione di operare in piena legalità.
4. Ricorso Cacciola
4.1. Sono stati proposti quattro motivi di impugnazione.
Col primo motivo, sotto il profilo motivazionale, il ricorrente ha osservato che l’area in questione era stata regolarmente autorizzata dal Comune di Bagnara Calabra per il conferimento dei rifiuti ingombranti al fine della prevenzione igienico-sanitaria, dove la ditta Forgione era autorizzata allo smaltimento dei rifiuti prodotti nell’ambito dell’attività lavorativa. Sì che ne derivava l’illegittimità della definizione dell’area come discarica abusiva. Oltretutto la ditta Forgione era autorizzata al deposito ivi di materiale proveniente da movimento terra e demolizioni, sufficiente essendo tra l’altro l’autorizzazione del Comune territorialmente competente.
4.2. Col secondo motivo, quanto al dedotto omesso controllo dei presupposti di legge per lo svolgimento di detta attività sull’area, l’isola ecologica preesisteva all’assunzione del ricorrente come comandante dei vigili del Comune di Bagnara Calabra. Né si comprendeva il contributo causale del ricorrente al reato, laddove l’eventuale inosservanza delle prescrizioni da parte delle imprese operanti nell’area, valutata idonea al deposito temporaneo di materiale ingombrante, non poteva essergli ascritta. Né si ravvisava alcuna ipotesi di responsabilità omissiva a carico del medesimo.
4.3. Col terzo motivo è stato censurato il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, per il quale sussistevano invece tutti i requisiti.
4.4. Col quarto motivo il ricorrente ha eccepito l’intervenuta prescrizione, maturata al 10 settembre 2019, atteso che non doveva porsi mente all’adesione dei difensori all’astensione dalle udienze, laddove l’udienza del 22 maggio 2017, così apparentemente rinviata, andava comunque procrastinata per la contestuale mancata comparizione del teste.    
5. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. I ricorsi degli imputati Luppino e Forgione sono inammissibili, mentre la sentenza va annullata per quanto di ragione nella parte relativa al Cacciola.
7. Ricorsi Luppino-Forgione
7.1. In relazione al primo motivo di ricorso, il Tribunale reggino ha dato conto delle autorizzazioni rilasciate alla ditta Forgione – che di ciò era pienamente consapevole alla stregua anche della documentazione prodotta – solamente per la raccolta, il trasporto e lo smaltimento di rifiuti per conto proprio, e non per conto di terzi, mentre allo stesso tempo la pretesa isola ecologica – su terreno di proprietà - non aveva le caratteristiche oggettive per esserlo, e – in difetto di specifiche autorizzazioni – altro non poteva che essere considerata una discarica abusiva, a prescindere dal contenuto dei provvedimenti amministrativi comunali intervenuti nel tempo.
Infatti, al riguardo, i centri comunali di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, o “ecopiazzole”, necessitano, anche dopo l’introduzione dell’apposita disciplina di cui all’art. 183, comma 1, lett. mm) del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, del rilascio dell’autorizzazione regionale laddove non rispondano ai requisiti previsti dai decreti ministeriali in materia o le attività in essi svolte esulino dalle funzioni proprie di tali centri (da ult. Sez. 3, n. 31403 del 11/05/2018, Ercolini, Rv. 273694; cfr. altresì Sez. 3, n. 1690 del 11/12/2012, dep. 2013, Pellegrino, Rv. 254413).
In specie, tenuto conto che, a norma del richiamato art. 183, comma 1 , lett. mm), per “centro di raccolta” si intende un’area presidiata ed allestita, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, per l’attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento, la descrizione dei luoghi (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata) dava conto di una realtà fattuale ben diversa, né per vero i ricorrenti hanno inteso espressamente confrontarsi con i rilievi del primo Giudice, se non deducendo che si trattava di area di stoccaggio temporaneo di rifiuti, circostanza che non emerge da alcun passaggio argomentativo della sentenza censurata.
In proposito, per deposito controllato o temporaneo si intende ogni raggruppamento di rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti, nel rispetto delle condizioni dettate dall’art. 183 d.lgs. n. 152 del 2006; con la conseguenza che, in difetto anche di uno dei requisiti normativi, il deposito non può ritenersi temporaneo, ma deve essere qualificato, a seconda dei casi, come “deposito preliminare” (se il collocamento di rifiuti è prodromico ad un’operazione di smaltimento), come “messa in riserva” (se il materiale è in attesa di un’operazione di recupero), come “abbandono” (quando i rifiuti non sono destinati ad operazioni di smaltimento o recupero) o come “discarica abusiva” (nell’ipotesi di abbandono reiterato nel tempo e rilevante in termini spaziali e quantitativi)(Sez. 3, n. 38676 del 20/05/2014, Rodolfi, Rv. 260384). Tra l’altro, poi, quale espressione di un principio generale, è stato osservato in materia di reati ambientali che l’onere della prova in ordine alla sussistenza delle condizioni fissate dall’art. 183 cit. per la liceità del deposito cosiddetto controllato o temporaneo, grava sul produttore dei rifiuti, in considerazione della natura eccezionale e derogatoria del deposito temporaneo rispetto alla disciplina ordinaria (Sez. 3, n. 23497 del 17/04/2014, Lobina, Rv. 261507). In proposito, infatti, ricorre la figura del deposito temporaneo solo nel caso di raggruppamento di rifiuti e del loro deposito preliminare alla raccolta ai fini dello smaltimento per un periodo non superiore all’anno o al trimestre (ove superino il volume di 30 mc), nel luogo in cui gli stessi sono materialmente prodotti o in altro luogo, al primo funzionalmente collegato, nella disponibilità del produttore e dotato dei necessari presidi di sicurezza (Sez. 3, n. 50129 del 28/06/2018, D., Rv. 273965).
In specie, comunque, i non contestati rilievi del Tribunale in merito alle condizioni della presunta isola ecologica, all’assenza di opere di canalizzazione, alla presenza colà di autoveicoli in disuso, di parti di mezzi meccanici e di materiali edili direttamente sul terreno unitamente a pneumatici esausti e a rifiuti da demolizione, nonché di rifiuti alla rinfusa nei cassoni, non hanno consentito altra conclusione, nel difetto della prova incombente sugli odierni imputati alla stregua di quanto appena osservato. Né appaiono meritevoli di censura le osservazioni del primo Giudice, il quale - proprio dall’esame delle autorizzazioni rilasciate, quanto ai rifiuti oggetto di trasporto ovvero ai permessi, temporanei, per il deposito di materiali provenienti da movimento terra e demolizioni rocciose – ha non illogicamente annotato che gli imputati, anche in considerazione della loro attività professionale, erano ben consapevoli di ciò che potevano e non potevano fare.
Né risulta specificamente smentita l’affermazione del Tribunale, quanto alla circostanza che ormai da anni era proseguita la raccolta dei rifiuti sul proprio terreno, senza avere ottenuto precise autorizzazioni al riguardo, atteso che il Comune di Bagnara Calabra mai aveva specificamente autorizzato lo svolgimento dell’attività sull’area, essendosi limitato a rilasciare provvedimenti amministrativi di varia natura ma non dotati della richiesta efficacia autorizzatoria.  
7.2. In relazione al secondo profilo di censura, la gestione di discarica abusiva non richiede e non postula necessariamente un’attività di collocamento dei rifiuti tramite locomozione.
Invero, ai fini della configurabilità del reato di realizzazione o gestione di discarica non autorizzata, è sufficiente l’accumulo di rifiuti, per effetto di una condotta ripetuta, in una determinata area, trasformata di fatto in deposito, con tendenziale carattere di definitività, in considerazione delle quantità considerevoli degli stessi e dello spazio occupato, essendo del tutto irrilevante la circostanza che manchino attività di trasformazione, recupero o riciclo, proprie di una discarica autorizzata (Sez. 3, n. 39027 del 20/04/2018, Caprino, Rv. 273918; Sez. 3, n. 47501 del 13/11/2013, Caminotto, Rv. 257996). In specie, pertanto, la gestione di discarica non autorizzata, di cui all’art. 256, comma 3 cit., non assorbe affatto il reato di trasporto di rifiuti eseguito in mancanza di autorizzazione. Né, d’altronde, il comma 1 cit. prevede al riguardo alcuna clausola di salvezza.  
7.2.1. Per quanto poi riguarda l’invocata continuazione tra i reati, i ricorsi si pongono in intima contraddizione interna, atteso che la continuazione può essere ravvisata tra contravvenzioni solo se l’elemento soggettivo ad esse comune sia il dolo e non la colpa, essendo richiesto, per la sua configurabilità, l’unicità del disegno criminoso, che consiste nell’ideazione contemporanea di più azioni antigiuridiche programmate nelle loro linee essenziali (Sez. 3, n. 45941 del 01/10/2019, Kasa, Rv. 277269; Sez. 3, n. 10235 del 24/01/2013, Vitale, Rv. 254423; Sez. 4, n. 1285 del 25/11/2004, dep. 2005, Gentilini, Rv. 230715). Ciò posto, l’impugnazione – che prima invoca la carenza dell’elemento soggettivo e poi pretende il riconoscimento della continuazione, e quindi postula l’esistenza del dolo – non può neppure considerarsi specifica, dal momento che l’una istanza sicuramente esclude l’altra.
7.3. In relazione infine al terzo motivo di censura, è nozione consolidata che, nel caso in cui la richiesta dell’imputato di riconoscimento delle attenuanti generiche non specifica le circostanze di fatto che fondano l’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il mero richiamo da parte del giudice alla assenza di elementi positivi che possono giustificare la concessione del beneficio (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, D., Rv. 275440).
Infatti, in proposito, la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, dep. 2016, Piliero, Rv. 266460).
7.3.1. Alla stregua dei rilievi che precedono, tanto dalla sentenza impugnata quanto dai motivi di ricorso non si evince l’esistenza di alcuna specifica richiesta formulata dagli imputati, i quali per vero si erano limitati a richiedere l’assoluzione per insussistenza del fatto ovvero con la formula ritenuta di giustizia (v. anche infra).
In ogni caso, peraltro, in tema di attenuanti generiche il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (ad es. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269). Anche al di là dei rilievi già svolti, il Tribunale ha dedotto un profilo motivazionale certamente non contraddittorio, assumendo l’inesistenza di elementi di favore (che pertanto dovevano ritenersi implicitamente disattesi) tale da attenuare i profili di colpevolezza, all’evidenza ritenuti preponderanti.
7.3.2. Quanto alla sospensione condizionale della pena, oggetto di ricorso da parte del Luppino, in via del tutto assorbente va ricordato al riguardo che, fermo l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376).
Come è già stato osservato (v. supra, sub 7.3.1.), alcuna richiesta risulta essere stata in merito da parte dell’odierno ricorrente.
7.4. Alla stregua di ciò, le impugnazioni in proposito non possono che essere dichiarate manifestamente infondate, con la conseguente inammissibilità dei ricorsi.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
8. Ricorso Cacciola
8.1. In ordine logico va esaminato per primo il quarto motivo di impugnazione, in ragione della prescrizione colà eccepita. Il motivo è infondato.
Vero è, infatti, che contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, all’udienza del 22 maggio 2017, rinviata a seguito della dichiarata adesione dei difensori all’astensione dalle udienze proclamata dalle Camere penali, era presente il teste Lombardo, il cui esame fu necessariamente rinviato proprio a seguito dell’agitazione forense. Ciò posto, venuto meno il dato fattuale, corretto appare il calcolo operato dal Tribunale circa la sospensione del termine della prescrizione tra l’udienza del 22 maggio 2017 e la successiva del 5 aprile 2028, laddove l’eccezione di prescrizione trovava infatti fondamento solamente nel preteso mancato effetto sospensivo.
8.2. Al riguardo, non può che ribadirsi, ai fini dell’infondatezza del primo motivo di impugnazione, quanto è stato già osservato sub 7.1..
8.3. In relazione al secondo motivo di doglianza, vero è che il concetto di gestione di una discarica abusiva deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere il grave stato del fatto-reato, strutturalmente permanente. Di conseguenza, devono ritenersi sanzionate non solo le condotte di iniziale trasformazione di un sito a luogo adibito a discarica, ma anche tutte quelle che contribuiscano a mantenere tali, nel corso del tempo, le condizioni del sito stesso (Sez. 3, n. 12159 del 15/12/2016, dep. 2017, Messina e altri, Rv. 270354).
In proposito, il provvedimento impugnato ha dato conto delle dichiarazioni - – espressamente valutandone la credibilità - rese dall’imputato in sede di esame, laddove l’odierno ricorrente aveva affermato di essere stato comandante dei Vigili urbani di Bagnara Calabra dal 2014 al 2016 con delega all’area vigilanza, nettezza urbana e verde pubblico; di avere preso atto della preesistenza di isola ecologica, in esito agli accordi conclusi dal Sindaco ed alla relazione dell’ufficio tecnico comunale, che attestava l’idoneità dell’area al deposito temporaneo di materiale ingombrante; di avere redatto una determina in cui erano indicati i criteri che doveva possedere l’area per essere adibita ad isola ecologica; di essersi recato in varie occasioni presso l’isola ecologica.
Al riguardo, il Tribunale ha ravvisato la responsabilità del ricorrente assumendone l’omesso controllo dei luoghi, osservando che il Comune di Bagnara Calabra non aveva mai rilasciato autorizzazioni allo svolgimento dell’attività di isola ecologica, e che erano stati rilasciati un insieme di provvedimenti amministrativi certamente non dotati di efficacia autorizzatoria (la sentenza ha via via in particolare evocato un contratto tra la ditta Forgione e la ditta Geo Ambiente, deputata alla raccolta di rifiuti nel territorio comunale, avente ad oggetto l’utilizzo gratuito del terreno di proprietà della prima per la realizzazione dell’isola ecologica comunale; un accordo scritto del sindaco con la Forgione, ed una relazione del 2012 dell’ufficio tecnico attestante l’idoneità dell’area al deposito temporaneo di materiale ingombrante; un’altra autorizzazione temporanea del 2010 per il deposito di materiale proveniente da movimento terra), tutti precedenti tra l’altro all’entrata in servizio del ricorrente, comandante dei vigili urbani comunali per pochi mesi del 2014, tenuto conto che l’accertamento dei fatti risale al mese di giugno di tale anno.
8.3.1. In siffatta situazione lo stesso Tribunale ha anzitutto dato conto – non vi è questione sulla credibilità delle dichiarazioni dell’imputato, v. supra – che l’odierno imputato aveva redatto “una determina in cui venivano indicati i criteri che doveva possedere l’area per essere adibita ad isola ecologica”. Invero in seguito ha censurato la condotta dell’imputato assumendo invece che il Cacciola, omettendo i controlli dei presupposti di legge per lo svolgimento dell’attività nell’area, aveva “successivamente esitato una determina con cui aveva autorizzato la messa in esercizio del centro di raccolta”.
Va da sé che il percorso argomentativo non appare del tutto coerente, laddove l’eventuale dedotta autorizzazione postulava proprio l’avvenuta verifica positiva dell’adempimento dei criteri dettati per la possibile adibizione dell’area ad isola ecologica, oggetto invece della determina ascritta al ricorrente.
D’altronde – in fatto e tenuto conto dei rilievi del ricorrente – alcuna considerazione è stata allegata circa l’assunzione dell’incarico pubblico da parte del Cacciola solamente dal 2014, allorché da tempo operava la cosiddetta isola ecologica ed erano già intervenuti tutti i provvedimenti comunali, di varia natura, che avevano interessato il sito. Allo stesso tempo, quanto ai pretesi obblighi di vigilanza, solamente il ricorrente – nonostante il tempo trascorso (provvedimenti in merito erano intervenuti quantomeno nel 2010 e nel 2012, v. supra) - aveva inteso fissare i criteri che l’area avrebbe dovuto possedere per essere adibita ad isola ecologica, mentre siffatta determina è stata in seguito diversamente interpretata come se fosse una già disposta autorizzazione alla messa in esercizio del centro di raccolta, laddove per vero mai era intervenuta, neppure ed ancor più nel passato cui il ricorrente era estraneo, formale autorizzazione comunale in tal senso.
In definitiva, quindi, la violazione degli obblighi di vigilanza è sancita senza il corredo di adeguata motivazione, proprio in considerazione della posizione dell’odierno ricorrente e della descritta condotta comunque tenuta da costui, in relazione anche agli atti formali compiuti.
Va quindi disposto un nuovo giudizio al riguardo, con rinvio all’uopo al Tribunale di Reggio Calabria.
8.4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, rimane pertanto assorbito il terzo motivo, concernente il trattamento sanzionatorio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata in relazione all’imputato Cacciola Raimondo con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Reggio Calabria.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Luppino Antonio Vincenzo e Forgione Antonia e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 10/07/2020