Cass. Sez. III n. 23466 del 24 giugno 2025 (CC 12 giu 2025)
Pres. Ramacci Rel. Noviello Ric. PM in proc. Grassia
Urbanistica.Condono e acquisizione dell'immobile abusivo al patrimonio del comune

Come si evince da una lettura sistematica, che tenga conto sia delle disposizioni in tema di acquisizione al patrimonio comunale sia del riferimento, nel  comma 25 dell'art. 32 del d.l. 369/2003, al "proprietario", quale avente diritto, a seguito di condono, all'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di sedime e delle opere abusive sopra questa realizzate e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare, deve ritenersi che tale diritto di revoca spetti, successivamente all'intervenuto condono, solo a colui che, al momento della domanda di condono medesima era ancora proprietario dell'opera abusiva, e come tale regolarmente, quindi, legittimato, al deposito dell'istanza di sanatoria. Così che, in tal caso, l'acquisizione al patrimonio dell'opera ancora abusiva e, quindi, non ancora sanata attraverso il condono poi susseguente, deve ritenersi maturata successivamente alla istanza medesima, regolarmente proposta, così coincidendo con una data successiva alla legittima domanda di sanatoria la maturazione dei novanta giorni dall'ordine di demolizione, senza alcun adempimento dello stesso. 

RITENUTO IN FATTO 

    1. Con ordinanza di cui in epigrafe, il Gip del tribunale di Santa Maria Capua a Vetere, quale giudice dell’esecuzione revocava, su richiesta di Grassia Giuliano, - donatario di un immobile abusivo da parte di Di Puorto Lidia, che era stata condannata in ordine alla realizzazione della predetta opera con sentenza irrevocabile del 3.12.2001, del tribunale di Santa Maria Capua A Vetere, sezione distaccata di Aversa -, l'ordinanza di demolizione adottata dal predetto tribunale contestualmente alla predetta sentenza. 

    2. Avverso la predetta ordinanza il Procuratore della Repubblica del tribunale di Santa Maria Capua a Vetere ha proposto ricorso per cassazione deducendo un unico motivo. 

    3. Si rappresenta il vizio di violazione di legge, rilevandosi che il giudice, revocando la predetta ordinanza sul rilievo dell'intervenuto condono dell'opera abusiva, adottato su richiesta della Di Puorto, non avrebbe tenuto conto della circostanza per cui prima della domanda di condono, a seguito di regolare notifica nei confronti della Di Puorto dell'ordine di demolizione comunale, l'opera abusiva sarebbe stata acquisita ope legis dal Comune di riferimento, in ragione del decorso di 90 giorni senza che la Di Puorto avesse proceduto alla ingiunta demolizione. Pertanto, la domanda di condono sarebbe stata presentata da soggetto non legittimato, avendo ormai la Di Puorto perso la titolarità dell'opera e quindi non sussisterebbe alcun regolare condono idoneo a giustificare la intervenuta e contestata revoca. Si allega in proposito la citata ordinanza di demolizione, recante anche la relata di notifica nei confronti della Di Puorto a mani proprie, dell' 11.11.1997.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è fondato, atteso il principio per cui, da una parte, l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di demolizione dell'opera abusiva e alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notifica dell'ingiunzione a demolire, emessa dall'Autorità amministrativa, determina l'automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera e dell'area pertinente, indipendentemente dalla notifica all'interessato dell'accertamento formale dell'inottemperanza (Sez. 3, n. 17418 del 04/04/2023, Rv. 284661 - 01); dall'altra (Sez. 3, n. 38071 del 19/09/2007) Rv. 237824 – 01), in tema di condono edilizio, il giudice ha il potere - dovere di controllare la sussistenza delle condizioni di applicabilità del condono in quanto si tratta di un potere di controllo strettamente connesso all'esercizio della giurisdizione, il cui mancato esercizio determina inevitabilmente ed inutilmente la dilatazione dei tempi del processo. (in motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha poi esemplificato ciò che deve costituire oggetto del controllo giudiziale: a) data di esecuzione delle opere; b) rispetto dei limiti volumetrici; c) eventuali esclusioni oggettive della tipologia d'intervento dalla sanatoria; d) tempestività della presentazione, da parte di soggetti legittimati, di una domanda di sanatoria riferita alle opere abusive contestate nel capo di imputazione). 
Nel caso in esame, il ricorrente ha allegato una relata di notifica con cui il messo comunale notificatore attesta, senza che risulti proposta alcuna querela di falso, la intervenuta notifica, in data 11.11.1997, della ordinanza di demolizione dell'opera abusiva in questione, a Di Puorto Lidia, mediante consegna di copia della stessa a mani proprie della predetta. Per cui appare corretto il rilievo secondo il quale, a fronte della attuale persistenza dell'opera, deve ritenersi decorso inutilmente il termine di 90 giorni per la demolizione, la cui maturazione dà luogo ope legis alla acquisizione al patrimonio comunale del manufatto abusivo. 

    2. Non osta, nel caso di specie, alla predetta impostazione, la previsione di cui all'art. 39 della L. 724/94 comma 19 per cui "per le opere abusive divenute sanabili in forza della presente legge, il proprietario che ha adempiuto agli oneri previsti per la sanatoria ha il diritto di ottenere l'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di sedime e delle opere sopra questa realizzate disposte in attuazione dell'articolo 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare dietro esibizione di certificazione comunale attestante l'avvenuta presentazione della domanda di sanatoria. Sono in ogni caso fatti salvi i diritti dei terzi e del comune nel caso in cui le opere stesse siano state destinate ad attività di pubblica utilità entro la data del 1 dicembre 1994". 
Si tratta di disposizione peraltro richiamata anche nell'ultima disciplina di condono ex art. 32 comma 25 e 28 Decreto-Legge 369/2003, convertito con modificazioni dalla L.24 novembre 2003, n. 326  L. 269/2003 per cui :
- "25. Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, nonché dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi (..) 
- 28. I termini previsti dalle disposizioni sopra richiamate e decorrenti dalla data di entrata in vigore dell'articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, ove non disposto diversamente, sono da intendersi come riferiti alla data di entrata in vigore del presente decreto. Per quanto non previsto dal presente decreto si applicano, ove compatibili, le disposizioni di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, e al predetto articolo 39".

    3. Come si evince da una lettura sistematica, che tenga conto sia delle disposizioni in tema di acquisizione al patrimonio comunale sia del riferimento, nel prefato comma 25, al "proprietario", quale avente diritto, a seguito di condono, all'annullamento delle acquisizioni al patrimonio comunale dell'area di sedime e delle opere abusive sopra questa realizzate e la cancellazione delle relative trascrizioni nel pubblico registro immobiliare, deve ritenersi che tale diritto di revoca spetti, successivamente all'intervenuto condono, solo a colui che, al momento della domanda di condono medesima era ancora proprietario dell'opera abusiva, e come tale regolarmente, quindi, legittimato, al deposito dell'istanza di sanatoria. Così che, in tal caso, l'acquisizione al patrimonio dell'opera ancora abusiva e, quindi, non ancora sanata attraverso il condono poi susseguente, deve ritenersi maturata successivamente alla istanza medesima, regolarmente proposta, così coincidendo con una data successiva alla legittima domanda di sanatoria la maturazione dei novanta giorni dall'ordine di demolizione, senza alcun adempimento dello stesso. 
Solo tale ricostruzione consente, da una parte, di dare senso alle due citate discipline, dall'altra, di coordinarle, consentendone la coerente efficacia: a fronte di una procedura di condono legittimamente avviata da chi era ancora proprietario al momento della relativa domanda e di un procedimento di acquisizione al patrimonio altrettanto regolarmente operativo a seguito dell'inutile decorso dei 90 giorni dalla notifica dell'ordine di demolizione, siccome maturato dopo la presentazione della istanza di condono ma in pendenza di esso, si possono configurare i seguenti effetti giuridici alternativi. Ove intervenga il condono, esso risulterà incompatibile con la già avvenuta acquisizione e si darà luogo, per legge, alla relativa revoca; nel caso in cui invece mancassero i requisiti per il rilascio del condono pur regolarmente proposto (diversi, per quanto qui di interesse, dalla assenza di legittimazione  dell'istante) rimane operativa e dunque efficace la intervenuta acquisizione dell'opera abusiva e dell'area di sedime relativa. Manca invece ab imis, lo si ripete, ogni avvio di regolare procedura di sanatoria e tantomeno, in ultima analisi, ogni diritto alla revoca della acquisizione in favore del comune, nel caso in cui la domanda di "sanatoria" sia proposta in un momento in cui si sia già acquisita l'opera abusiva al patrimonio comunale, per la già intervenuta maturazione dei 90 giorni dalla notifica dell'ordine di demolizione senza il relativo adempimento: in tale caso,  l'assenza di legittimazione alla domanda di un privato proprietario o di un suo regolare avente causa esclude a monte ogni legittimo svolgimento e conclusione della procedura di condono.  

4. A questo punto va qui riaffermata la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui le verifiche del giudice penale in materia di consumazione di reati edilizi come anche in ordine alla loro eventuale estinzione per sanatoria, non implicano anche la potenziale “disapplicazione” degli eventuali titoli amministrativi intervenuti ab origine rispetto all’edificazione ovvero sopravvenuti poi "a sanatoria"", bensì impongono un più ampio e complesso vaglio di conformità della fattispecie concreta rispetto ai requisiti urbanistici e/o di sanatoria stessa; cosicchè, l’esito negativo di tali accertamenti non determina, anche in presenza di provvedimenti autorizzativi o di sanatoria rilasciati (tantomeno per presunto silenzio assenso), la loro “disapplicazione”, ma un più generale giudizio negativo sulla sussistenza dei requisiti di legge per la realizzazione dell'opera o per la sua stessa sanatoria (sul punto cfr. più ampiamente Cass sez. 3 n. 483/2025 del 19.3.2025 Colella). 

    5.Deve dunque concludersi che, nel caso concreto, emerge, in base agli atti disponibili per questa Corte,  la assenza di legittimazione alla presentazione della domanda di condono per intervenuta precedente acquisizione al patrimonio comunale dell'opera abusiva, e l’assenza di essa implica la mancanza di un requisito definito, anche in sede amministrativa, come essenziale, dell’atto (cfr. a tale ultimo riguardo Cons. St., sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746). 
Va ribadito che nel caso di specie si deve disquisire di un formale provvedimento positivo che, comunque, per quanto sinora osservato, deve essere sindacato nella sua non conformità ai requisiti normativi e non può ritenersi, in caso di carente legittimazione, produttivo degli effetti ritenuti dal giudice. 

    6. Neppure vale rivendicare alcuna presunta buona fede del donatario dell'opera abusiva, Grassia, autore della domanda di revoca, quale terzo interessato della procedura esecutiva da cui è scaturita la ordinanza impugnata. Sia perché si tratta di una buona fede solo affermata e non dimostrata, a fronte, piuttosto, di una chiara traccia documentale della intervenuta notifica dell'ordine di demolizione,  certamente non trascurabile da chi aveva l'onere di verificare la piena legittimazione del suo dante causa.  Sia perchè l'eventuale buona fede di terzi è inidonea a disinnescare la misura in parola, e i relativi interessi trovano tutela, piuttosto, in altri strumenti approntati dall'ordinamento, riguardanti i rapporti di diritto civile tra gli stessi e il loro dante causa. 
In proposito, occorre evidenziare che l'ordine di demolizione è disegnato dal Legislatore come assunto in un quadro di garanzie che trovano immediata esplicazione nel contraddittorio del processo e nel contempo, esaurendosi in quella sede la tutela dei contrapposti interessi - privati e pubblici -, la demolizione consegue, necessariamente, per scelta Legislativa, ed  inevitabilmente, all'accertamento penale della abusività dell'opera, di cui costituisce oggettiva quanto ineliminabile, immediata conseguenza. 
Dunque, occorre osservare e precisare che il giudice penale, contestualmente alla condanna, deve adottare l'ordine di demolizione, senza poter esplicare alcuna valutazione e contemperamento tra l'interesse pubblico al ripristino della legalità urbanistica e altri interessi, avendo il Legislatore già elaborato un giudizio di prevalenza dell'interesse pubblico attraverso la previsione dell'ordine di demolizione dell'intervento abusivo, quale strumento di ripristino dell'interesse pubblico tutelato, e violato, in presenza di un avvenuto accertamento di responsabilità penale ex art. 44 DPR 380/01.  
E del resto, eloquente è in proposito quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 146/2021, laddove, da una parte, si è sottolineato, con riguardo alla confisca - ma in una prospettiva che appare estensibile anche alla misura demolitoria, quale forma anch'essa di riaffermazione dell'interesse alla conformità urbanistica violata -, che essa è annoverata tra le misure ricadenti nel perimetro del secondo paragrafo dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, ai sensi del quale resta in capo agli Stati il diritto «di emanare leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale » (paragrafo 291), dall'altra, ha altresì concluso, in via generale, dopo avere escluso nello specifico che l'Autorità Giudiziaria, come chiedeva il remittente, possa nei casi concreti sostituire la confisca con altra misura più "lieve", non contemplata dal legislatore, che «il giudice penale non ha competenza “istituzionale” per compiere l’accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici»: con espressione che può anche intendersi, nel quadro complessivo della sentenza citata, quale riaffermazione di un perimetro ben preciso e vincolante per il giudice penale, quanto alle misure - ripristinatorie - da applicare, (tra cui l’ordine di demolizione) a fronte di opere abusive penalmente accertate con relativa condanna. 
Da tale impostazione conseguono eloquenti principi di legittimità: 
- l'ordine di demolizione dell'opera abusiva, di carattere reale e a contenuto ripristinatorio, conserva la sua efficacia anche nei confronti dell'erede o dante causa del condannato o di chiunque vanti su di esso un diritto reale o personale di godimento, potendo essere revocato solo nel caso in cui siano emanati, dall'ente pubblico cui è affidato il governo del territorio, provvedimenti amministrativi con esso assolutamente incompatibili (Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015, Curcio, Rv. 265193 - 01; Sez. 3„ n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 801 del 02/12/2010, dep. 2011, Giustino, Rv. 249129 - 01; Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009, Arrigoni, Rv. 245403 - 01; Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Berardi, Rv. 2441512 - 01);
- l'operatività dell'ordine di demolizione non può essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile, con la sola conseguenza che l'acquirente potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione (Sez. 3. n. 37120 del 11/05/2005, Morelli, Rv. 232175 - 01); 
- l'ordine di demolizione del manufatto abusivo è legittimamente adottato nei confronti del proprietario dell'immobile indipendentemente dall'essere egli stato anche autore dell'abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa (Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Rv. 244612 - 01);
- l'esecuzione dell'ordine di demolizione del manufatto abusivo, impartito dal giudice a seguito dell'accertata violazione di norme urbanistiche, non è esclusa dall'alienazione del manufatto a terzi, anche se intervenuta anteriormente all'ordine medesimo, atteso che l'esistenza del manufatto abusivo continua ad arrecare pregiudizio all'ambiente (Sez. 3, n. 22853 del 29/03/2007, Coluzzi, Rv. 236880 - 01, che ha ribadito che il terzo acquirente dell'immobile potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione; nello stesso senso, Sez. 3, n. 16035 del 26/02/2014, Attardi, Rv. 259802 - 01; Sez. 3, n. 45848 del 01/10/2019, Cannova, Rv. 277266 - 01).
Più ampiamente, a fronte di questo evidente quanto tendenzialmente inossidabile rapporto tra ordine di demolizione e res abusiva, deve ribadirsi che la giurisprudenza (cfr. tra le altre anche in motivazione, Sez. 3, n. 47281 del 2009 e da ultimo Sez. 3 - n. 16470 del 28/03/2024 Cc.  (dep. 19/04/2024 ) Rv. 286151 - 01), con riferimento alla posizione del soggetto proprietario dell'immobile, terzo rispetto al reato, è costantemente orientata, condivisibilmente,  nel senso che le sanzioni ripristinatorie sono legittimamente eseguite nei confronti degli attuali proprietari dell'immobile, indipendentemente dall'essere stati o meno questi ultimi gli autori dell'abuso, salva la loro facoltà di fare valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del dante causa (cfr. anche v. Cons. Stato, Sez. 5, 1.3.1993, n. 308; Cass. Sez. 3, 5.11.1998, Frati; Sez. 3, 24.11.1999, Barbadoro; Sez. 3, 24.4.2001, n. 35525, Cunsolo, m. 220191; Sez. 3, 13.10.2005, n. 37120, Morelli; Sez. 3, 10.5.2006, n. 15954, Tumminello; Sez. 3, 29.3.2007, n. 22853, Coluzzi, m. 236880). 
Tale principio deve valere anche nei confronti del comproprietario estraneo al reato, che avrà anch'egli la facoltà di far valere sul piano civile la responsabilità del comproprietario autore dell'illecito per i danni che l'esecuzione della demolizione potrà arrecare alla sua originaria proprietà (e non ovviamente all'immobile abusivo, la cui demolizione non può evidentemente comportare un danno risarcibile). 
L'ordine di demolizione contiene, infatti, una statuizione di natura reale, che, come il corrispondente ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, produce i suoi effetti nei confronti di tutti i soggetti che, a qualsiasi titolo, siano o diventino proprietari del bene su cui esso incide (Sez. 3, 5.3.2009, n. 16687, Romano, m. 243405). 
L'interesse dell'ordinamento, dunque, è nel senso che l'immobile abusivamente realizzato venga abbattuto, con conseguente eliminazione della lesione arrecata al bene protetto e, se si accedesse alla tesi dell'impossibilità di irrogare la sanzione ripristinatoria nei confronti del proprietario non responsabile dell'abuso, basterebbe una semplice alienazione (reale o simulata) per vanificare l'anzidetta fondamentale funzione (in tal senso, già Sez. 3, 13.7.2009, n. 39322, Berardi). 
L'irrilevanza del regime proprietario dell'immobile abusivo oggetto dell'ordine di demolizione, si armonizza poi, come pure è stato perspicuamente già osservato da questa Corte, con la disciplina della responsabilità solidale del proprietario estraneo all'illecito, posta in materia di sanzioni amministrative, dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 6. 
L'irrilevanza è anche confermata dalla previsione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 2, secondo il quale l'ingiunzione a demolire deve essere disposta dalla autorità comunale anche quando il proprietario del bene non si identifichi con il responsabile dell'abuso (Sez. 3, 13.7.2009, n. 39322, Berardi). 
Questa stessa Corte ha anche osservato che, a ben vedere, "il proprietario o comproprietario (non committente rispetto all'abuso) non ha interesse giuridicamente protetto ad opporsi all'esecuzione dell'ordine di ripristino. Se l'abuso è avvenuto senza o contro la sua volontà, egli non può che trarre vantaggio dal ripristino della legalità. Se l'abuso è avvenuto con il concorso della sua volontà, il fatto di avere evitato il procedimento penale non costituisce una valida ragione perché egli si arricchisca del frutto di un abuso debitamente accertato" (Sez. 3, 14.5.1999, n. 1879, Ricci, punto 13). 
La circostanza che l'ordine di demolizione ha carattere reale e ricade direttamente sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dalla sua partecipazione all'abuso, poi, manifestamente non si pone in contrasto con i principi costituzionali ed in particolare col principio di responsabilità personale (cfr. Sez. 3, 24.4.2001, n. 35525, Cunsolo). 
Innanzitutto, infatti, tali principi valgono solo per le sanzioni penali e per quelle amministrative aventi carattere punitivo e non anche quando, come nella specie, la sanzione è chiamata ad un ruolo di carattere oggettivamente riparatorio, ossia l'eliminazione della causa della lesione. 
In secondo luogo, le opere realizzate senza la necessaria concessione edilizia sono di per sè illecite - indipendentemente dal titolo di proprietà, di possesso o di detenzione - e devono essere eliminate nella loro realtà fisica, chiunque ne sia il proprietario o l'occupante. 
In terzo luogo, il titolare del bene o di diritti minori sullo stesso bene potrà usare gli strumenti privatistici per addossare ai soggetti responsabili dell'attività abusiva gli effetti sopportati in via pubblicistica, secondo le norme di diritto comune.
L'esercizio del potere demolitorio a fronte dell'opera abusiva, consacrato in sede penale con il presupposto contestuale della sentenza di condanna, è del resto vincolato anche in sede amministrativa (in ciò rinvenendosi un punto di contatto tra ordine demolitorio giudiziale e amministrativo), come riconosciuto anche dalla giurisprudenza amministrativa, laddove è stato stabilito che "il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso anche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino" (CdS, Ad. Plen., 9/2017 Cons. di St., 5/12/2024 n. 10000).
Nel medesimo senso, quanto alla vincolatività del potere demolitorio, quale che sia l'Autorità a ciò legittimata, lo si ribadisce, si è espressa questa Corte, che ha affermato più volte che  la demolizione ordinata dal giudice penale costituisce atto dovuto, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo a quello dell'autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (cfr. Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258518; Sez.3, n.37906 del 22/5/2012, Mascia ed altro, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511; cfr., altresì, Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, RM. in proc. Monterisi, Rv. 205336; Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep.1997), Luongo, Rv. 206659), un potere che si pone a chiusura del sistema sanzionatorio amministrativo (cfr. Corte Cost. Ord. 33 del 18/1/1990; ord. 308 del 9/7/1998; Cass. Sez. F, n. 14665 del 30/8/1990, Di Gennaro, Rv. 185699).
L'unico profilo in cui sembra venire in rilievo la possibilità che attraverso una valutazione discrezionale, ma non giudiziaria, si escluda, definitivamente, la demolizione dell'opera abusive, appare fornito dalla previsione di cui all'art. 31 comma 5 del DPR 380/01 laddove prevede che "l'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico previa acquisizione degli assensi, concerti o nulla osta comunque denominati delle amministrazioni competenti ai sensi dell'articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241. Nei casi in cui l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico, il comune, previa acquisizione degli assensi, concerti o nulla osta comunque denominati delle amministrazioni competenti ai sensi dell'articolo 17-bis della legge n. 241 del 1990, può, altresì, provvedere all'alienazione del bene e dell'area di sedime determinata ai sensi del comma 3, nel rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione delle opere abusive da parte dell'acquirente……."
Trattasi di ipotesi eccezionale, di stretta interpretazione, che comunque conferma la assoluta vincolatività dell'ordine di demolizione per il giudice penale. 
Altri casi sono pur previsti quali circostanze ostative alla demolizione contestuale ad intervenuta  condanna, ma sono sottratti ad ogni valutazione e potere del giudice penale (a conferma della vincolatività del suo ordine demolitorio) e, piuttosto, affidati all’ente pubblico competente - seppur comunque mediante esercizio di discrezionalità tecnica, come tale sottratta ad ogni libera valutazione della Pubblica Amministrazione -, oltre che evidentemente rilevanti nella fase giudiziaria della esecuzione (altrimenti la portata estintiva del reato di queste fattispecie, appresso indicate, escluderebbe in origine la condanna e la correlata demolizione): si tratta del condono e della rilascio di permesso in sanatoria ex art. 36 DPR 380/01 (purchè legittimamente intervenuti). 
In tal senso si è espressa la consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, in tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, per la sua natura di sanzione amministrativa applicata dall'autorità giudiziaria, non è suscettibile di passare in giudicato essendone sempre possibile la revoca quando esso risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti della P.A. che - purchè legittimamente - abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività (Sez. 3, n. 3456 del 21/11/2012 (dep. 23/01/2013 ) Rv. 254426 – 01), e può essere sospeso solo qualora sia ragionevolmente prevedibile, sulla base di elementi concreti, che in un breve lasso di tempo sia adottato dall'autorità amministrativa o giurisdizionale un provvedimento che si ponga in insanabile contrasto con detto ordine di demolizione, non essendo invece sufficiente una mera possibilità del tutto ipotetica che si potrebbe verificare in un futuro lontano o comunque entro un tempo non prevedibile ed in particolare la semplice pendenza della procedura amministrativa o giurisdizionale, in difetto di ulteriori concomitanti elementi che consentano di fondare positivamente la valutazione prognostica (ex plurimis, Sez. 3, 17 ottobre 2007, n. 42978, Parisi, m. 238145; Sez. 3, 5.3.2009, n. 16686, Marano, m. 243463; Sez. 3, 30 marzo 2000, Ciconte, m. 216.071; Sez. 3, 30 gennaio 2003, Ciavarella, m. 224.347; Sez. 3, 16 aprile 2004, Cena, m. 228.691; Sez. 3, 30 settembre 2004, Cacciatore, m. 230.308).  Ancora, in tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna è suscettibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità, che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività, fermo restando il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014 Cc.  (dep. 18/11/2014 ) Rv. 260972 – 01).

7.    Dunque, in estrema sintesi, l’ordine di demolizione impartito dal giudice a seguito di sentenza di condanna è: doveroso, incide, quale misura amministrativa ripristinatoria, sulla res abusiva e che sia ancora tale, senza che alcun rilievo possa assumere la posizione di terzi non responsabili dell’abuso, ancorchè in buona fede, ed in fase di esecuzione esso è passibile di revoca solo quando risulti assolutamente incompatibile con i provvedimenti - legittimi - della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività.


    8. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che l’ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio al tribunale di Santa Maria Capua A Vetere. 
                                

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Santa Maria Capua a Vetere.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2025