Cass. Sez. III n. 44049 del 3 dicembre 2024 (CC 26 sett 2024)
Pres. Ramacci Est. Vergine Ric. Sanfilippo
Urbanistica.Fiscalizzazione dell'abuso applicabile solo alle difformità parziali
Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità del permesso di costruire, se ad uso residenziale e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite a usi diversi da quello residenziale. Il provvedimento adottato dall'autorità amministrativa a norma dell’art 34, comma 2 TU, di cosiddetta fiscalizzazione dell'abuso edilizio, trova però, applicazione solo per le "difformità parziali", che vengono tollerate, nello stato in si trovano, solo in funzione della conservazione di quelle realizzate legittimamente e non in caso di nuova unità abitativa con aumento di volume e superficie
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 13 marzo 2024 il Tribunale di Catania , in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di revoca dell’ordine di demolizione avanzata da Sanfilippo Maria Rosa, condannata, con sentenza del medesimo Tribunale del 29 giugno 2001, per violazione della normativa in materia edilizia in quanto aveva realizzato, in zona sismica, in assenza della prescritta autorizzazione, una sopraelevazione al piano secondo in cemento armato di un immobile sito in Paternò, Contrada Priolo sn., censito al catasto al foglio n. 41, part.n. 551. Con la sentenza era stata disposta la demolizione delle opere abusivamente realizzate.
Argomenta l’ordinanza che
a. Il tecnico della difesa aveva espletato un sopralluogo sui luoghi il 20 gennaio 2023 e aveva dedotto che la demolizione del fabbricato avrebbe minato la stabilità dell’intero immobile in quanto ne avrebbe comportato una variazione strutturale, con conseguente rischio di sicurezza per i residenti.
b. Su sollecitazione della Procura distrettuale della Repubblica di Catania l’Ufficio tecnico del Comune di Paternò in data 17 febbraio 2023 aveva proceduto a sopralluogo sull’immobile de quo, e, all’esito, accertato che “tenuto conto che trattasi di edificio singolo, le opere potrebbero essere demolite senza pregiudizio alcuno alle parti precedentemente edificate, quali pareti interne ed esterne e solaio di copertura in latero cemento, non agendo invece su pilastri e sulle travi.
c. Delibata l’assenza di qualsivoglia pericolo per le parti dell’edificio preesistenti agli interventi in sopraelevazione di cui era stata ordinata la demolizione il tribunale ha ritenuto la richiesta infondata e l’ha rigettata.
2. Sanfilippo Maria Rosa ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso per cassazione avverso la predetta ordinanza, affidandolo ad un unico motivo con cui lamenta mancanza della motivazione ex art. 606, comma 1, lett e., cod.proc.pen., per aver l’ordinanza assertivamente richiamato quanto rilevato dall’Ufficio tecnico comunale “senza nulla verificare in termini di conseguente cambiamento strutturale e quindi di solidità del fabbricato a seguito della demolizione”. Profilo, questo, asseritamente esaminato dalla consulenza tecnica di parte privata la cui mancata valutazione da parte del Tribunale avrebbe determinato un vuoto argomentativo riverberantesi in termini di assenza di motivazione, anche in ordine a “ulteriori quesiti sulla staticità dell’immobile posti con la consulenza, così limitando il piano di osservazione e di lettura al mero profilo di staticità e non di solidità né di conseguente comportamento strutturale in relazione alla demolizione” (così, testualmente, nel ricorso che lascia intendere che i quesiti ulteriori dedotti da ultimo sarebbero stati oggetto della consulenza di parte di cui si fa cenno).
3. La Procura generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso, in quanto solo reiterativo delle argomentazioni oggetto dell’istanza proposta al giudice dell’esecuzione senza indicazione effettiva della pretesa violazione nel percorso motivazionale del Tribunale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Si premette che quello della Cassazione è giudizio di legittimità a critica vincolata, e resta comunque esclusa, per la Corte di legittimità, la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova. Va infatti ribadito che, secondo il costante insegnamento di questa Corte, esula dai poteri della Corte di Cassazione quello della rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è in via esclusiva riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (così SS. UU 30/04/1997, n. 6402- RV207944; Cass.Pen. Sez. 4, n.4842 del 02/12/2003-06/02/2004 RV229369).
1.1. Si ribadisce, sempre in via preliminare, che eccede dai limiti di cognizione della Corte di cassazione ogni potere di revisione degli elementi materiali e fattuali, trattandosi di accertamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito, posto che il controllo sulla motivazione rimesso al giudice di legittimità è circoscritto, ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., alla sola verifica dell'esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l'hanno determinata, dell'assenza di manifesta illogicità dell'esposizione e, quindi, della coerenza delle argomentazioni rispetto al fine che ne ha giustificato l'utilizzo e della non emersione di alcuni dei predetti vizi dal testo impugnato o da altri atti del processo, ove specificamente indicati nei motivi di gravame, requisiti la cui sussistenza rende la decisione insindacabile. (Conf.: Sez. 6, n. 5334 del 1993, Rv. 194203-01).
1.2. Né può trascurarsi che il motivo sì come proposto risulta, ab imis, inammissibile ove si consideri che è, da un lato, meramente assertivo, dall’altro elude, totalmente, l’obbligo di puntuale indicazione e allegazione degli aspetti della consulenza di parte -solo evocati così come l’intera consulenza- dei quali asseritamente l’ordinanza impugnata non ha compiuto adeguata analisi e che non ha posto in comparazione critica con gli asserti della relazione dell’Ufficio tecnico comunale.
Concorda il Collegio con consolidata giurisprudenza al proposito secondo cui il ricorso per cassazione è inammissibile, siccome innanzitutto apodittico e generico, ove rinvia a non specificate doglianze difensive, che non sarebbero state considerate. Invero, i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). La censura di omessa valutazione da parte del giudice delle lagnanze difensive onera il ricorrente della necessità di specificarne il contenuto dell'impugnazione oltre alla decisività del motivo negletto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (in termini Sez. 3 - , n. 8065 del 21/09/2018 (dep. 25/02/2019 ) Rv. 275853 – 02).
1.3. Con tale onere il ricorso neppure si confronta, incorrendo, peraltro in ulteriore causa di inammissibilità per avere semplicemente riproposto, in questa sede di legittimità, doglianze già correttamente disattese, in fatto e diritto, dal Tribunale catanese. E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, Furlan, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217)
2. Si rileva, comunque, che secondo giurisprudenza di questa Corte che il Collegio condivide e ribadisce, le censure difensive risultano infondate.
L’infondatezza del motivo di ricorso risulta di macroscopica evidenza, perché deve concordarsi col giudice dell'esecuzione sulla assenza di qualsivoglia elemento di riscontro all'affermazione secondo cui la demolizione non sarebbe possibile per la ipotizzata, e non provata, possibilità che, intonso il profilo della staticità -al cui proposito la stessa difesa non muove censure rispetto a quanto attestato nel provvedimento impugnato- potrebbe risultarne un vulnus al manufatto in termini di “solidità” e “conseguente comportamento strutturale in relazione alla demolizione”.
2.1. Si osserva, rammentando quanto sopra argomentato, che quelle della difesa sono mere asserzioni svincolate da qualsivoglia addentellato tecnico-documentale in difetto di allegazioni puntuali in tal senso nel corpo del ricorso.
2.2. Si rileva che le allegazioni difensive -come testè argomentato generiche ed ipotetiche- non paiono tecnicamente in linea con quanto attiene alla tecnica costruttiva, in quanto la sicurezza statica degli edifici -nella specie dedotta e valutata nel provvedimento impugnato- è garantita dalla capacità di tutti gli elementi aventi funzione strutturale di sopportare le azioni che possono, per qualsiasi motivo, agire sulla costruzione stessa, laddove l’analisi strutturale -col suo ambito di determinazione degli effetti dei carichi statici e dinamici su parti, assiemi e meccanismi- sembra attenere ad un profilo diverso ed ulteriore rispetto a quello attinente alla valutazione di incidenza, sulla statica dell’immobile, della ordinata demolizione.
2.3. Si ribadisce, comunque, relativamente alla questione della impossibilità della demolizione, ancorché nella specie non dimostrata per le ragioni già dette, la mai contrastata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, l'impossibilità tecnica di dare esecuzione all'ordine di demolizione, oltre a dover essere ovviamente dimostrata, non assume rilievo quando dipende da una causa imputabile allo stesso condannato (Sez. 3, Sentenza n. 7789 del 09/02/2021 Cc. (dep. 26/02/2021 ) Rv. 281474 – 01; Sez. 3, n. 19387 del 27/4/2016, Di Dio, Rv. 267108; Sez. 3, n. 35972 del 22/9/2010, Lembo, Rv. 248569), ritenendo tale il caso in cui sia stato il medesimo a realizzare l'abuso sull'iniziale manufatto o, comunque, a tollerare la realizzazione delle opere.
I richiamati principi sono stati successivamente ribaditi, ritenendoli applicabili anche ad analoga situazione dedotta in corso di incidente di esecuzione concernente l'ordine di demolizione di un manufatto abusivo (Sez. 3, n. 28740 del 27/4/2018, Ferrante, non massimata; Sez. 3 n. 51056 del 9/10/2018, Chimirri, non massimata).
Si tratta di conclusioni pienamente condivise dal Collegio, dovendosi conseguentemente affermare che l'impossibilità tecnica di dare esecuzione all'ordine di demolizione, oltre a dover essere ovviamente dimostrata, non assume rilievo quando dipende da una causa imputabile allo stesso condannato, giacché altrimenti si consentirebbe, realizzando opere in assenza di permesso di costruire in aderenza, in appoggio o in sopraelevazione a porzioni di immobili regolarmente edificate o sanate, di evitarne la demolizione, in tal modo frustrando la necessità di ripristinare l'assetto urbanistico preesistente cui è strumentale l'ordine di demolizione.
L'unica ipotesi, diversa da quella in esame, nella quale rileva detta impossibilità tecnica di procedere alla demolizione, è quella degli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire di cui all'art. 34 d.P.R. 380/2001, i quali devono essere rimossi o demoliti a cura e spese dei responsabili dell'abuso entro
il termine congruo fissato dalla relativa ordinanza del dirigente o del responsabile
dell'ufficio e, decorso tale termine, sono rimossi o demoliti a cura del comune e a
spese dei medesimi responsabili dell'abuso.
Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità del permesso di costruire, se ad uso residenziale e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite a usi diversi da quello residenziale. Il provvedimento adottato dall'autorità amministrativa a norma dell’art 34, comma 2 citato, di cosiddetta fiscalizzazione dell'abuso edilizio, trova però, applicazione solo per le "difformità parziali", che vengono tollerate, nello stato in si trovano, solo in funzione della conservazione di quelle realizzate legittimamente e non in caso di nuova unità abitativa con aumento di volume e superficie (Sez. 3, n. 28747 del 11/5/2018, Pellegrino, Rv. 273291; Sez. 3, n. 19538 dei 22/4/2010, Alborino, Rv. 247187, conf. Sez. 3, n. 24661 del 15/4/2009, Ostuni, Rv. 244021; Sez. 3, n. 13978 del 25/2/2004, Tessitore, Rv. 228451).
3. Ne consegue la inammissibilità del ricorso con onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto, infine, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 26 settembre 2024