Il trattamento dei rifiuti presso gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane: regime autorizzativo

di Vitantonio MASI

pubblicato su unaltroambiente.it. Si ringrazia l'Editore

Gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane sono finalizzati principalmente alla depurazione dei reflui recapitati tramite reti fognarie. A determinate condizioni, legislativamente previste, tali impianti possono altresì trattare rifiuti, non solo liquidi. Quando si verificano tali fattispecie si pone il problema di quale sia il regime giuridico applicabile, ovvero se si applichi la disciplina sugli scarichi (Parte Terza del codice Ambiente) o quella relativa ai rifiuti (Parte Quarta del codice Ambiente). In particolare si pone la questione se sia possibile per un impianto di depurazione di acque reflue urbane il trattamento dei fanghi derivanti dal processo di depurazione, e di quale sia il relativo regime autorizzativo.
Il procedimento autorizzativo degli scarichi delle acque reflue è previsto dall’art. 124 D.Lgs. 152 del 2006:

  1. Tutti gli scarichi devono essere preventivamente autorizzati.
  2. L’autorizzazione e’ rilasciata al titolare dell’attivita’ da cui origina lo scarico. Ove uno o piu’ stabilimenti conferiscano, tramite condotta, ad un terzo soggetto, titolare dello scarico finale, le acque reflue provenienti dalle loro attivita’, oppure qualora tra piu’ stabilimenti sia costituito un consorzio per l’effettuazione in comune dello scarico delle acque reflue provenienti dalle attivita’ dei consorziati, l’autorizzazione e’ rilasciata in capo al titolare dello scarico finale o al consorzio medesimo, ferme restando le responsabilita’ dei singoli titolari delle attivita’ suddette e del gestore del relativo impianto di depurazione in caso di violazione delle disposizioni della parte terza del presente decreto.
  3. Il regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane, e’ definito dalle regioni nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 101, commi 1 e 2.
  4. In deroga al comma 1, gli scarichi di acque reflue domestiche in reti fognarie sono sempre
    ammessi nell’osservanza dei regolamenti fissati dal gestore del servizio idrico integrato ed
    approvati dall’ente di governo dell’ambito.
    (…)
  5. Le regioni disciplinano le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di
    depurazione delle acque reflue per il tempo necessario al loro avvio oppure, se gia’ in esercizio, allo
    svolgimento di interventi, sugli impianti o sulle infrastrutture ad essi connesse, finalizzati
    all’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea,
    ovvero al potenziamento funzionale, alla ristrutturazione o alla dismissione.
    (…)”

L’esercizio degli impianti di depurazione delle acque reflue urbane è dunque sottoposto al regime autorizzativo previsto per gli scarichi.
Per “fanghi” l’art. 74 comma 1 lett. bb) intende “i fanghi residui, trattati o non trattati, provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane”.
I fanghi derivanti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane costituiscono rifiuti. In particolare l’art. 184 comma 3 lett. g definisce rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dall’attivita’ di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue, nonche’ i rifiuti da abbattimento di fumi, dalle fosse settiche e dalle reti fognarie”.
Coerentemente con la loro natura di rifiuto, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue seguono la relativa disciplina, ai sensi dell’art. 127 D.Lgs. 152 del 2006 comma 1: “Ferma restando la disciplina di cui al decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue sono sottoposti alla disciplina dei rifiuti, ove applicabile e alla fine del complessivo processo di trattamento effettuato nell’impianto di depurazione. I fanghi devono essere riutilizzati ogni qualvolta il loro reimpiego risulti appropriato'”
Ciò significa che, ai fini autorizzativi, un impianto che deve trattare i fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue deve rispettare le procedure amministrative previste per il trattamento dei rifiuti dalla Parte IV e dagli artt. 29 bis e ss. (in caso di AIA) del D.Lgs. 152 del 2006.
Il regime autorizzativo è ben definito: gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane sono soggetti alle autorizzazioni previste per gli scarichi dalla Parte III del D.Lgs. 152 del 2006; gli impianti di trattamento dei fanghi che derivano dalla depurazione dei reflui urbani sono sottoposti alla disciplina autorizzativa prevista per il trattamento dei rifiuti dalla Parte IV e dagli artt. 29 bis e ss. del codice Ambiente.
La questione da affrontare è se sia possibile trattare i rifiuti, e in particolare i fanghi da depurazione, presso un impianto deputato al trattamento di acque reflue urbane. In caso positivo, quale sia il regime autorizzativo applicabile, se quello previsto per gli scarichi, o quello previsto per i rifiuti.
Al quesito sembra dare risposta positiva l’art. 110 D.Lgs. 152 del 2006, che detta una disciplina specifica per il “Trattamento di rifiuti presso impianti di trattamento delle acque reflue urbane”. La norma è inserita all’interno della parte Terza del D.Lgs. 152 del 2006 (‘Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall ‘inquinamento e di gestione delle risolse idriche”), quindi al di fuori della regolamentazione in materia di gestione dei rifiuti.
Il comma 1 prevede un divieto generale e delle eccezioni: “Salvo quanto previsto ai commi 2 e 3, e’ vietato l’utilizzo degli impianti di trattamento di acque reflue urbane per lo smaltimento di rifiuti”. Gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane sono riservate solo al trattamento delle acque che vengono scaricate presso gli impianti, e non possono essere destinate al trattamento dei rifiuti. La ratio è di tutta evidenza: presso gli impianti di depurazione vengono convogliati reflui che non sono rifiuti, e per tale motivo l’autorizzazione prevista per tali impianti è quella sopra delineata dall’art. 124 dettata per tutti gli scarichi. Tali impianti non trattano rifiuti liquidi, ma reflui convogliati tramite condutture fognarie, con la conseguente impossibilità di essere utilizzati per trattare rifiuti, anche se liquidi.
L’art. 110 prevede al contempo delle deroghe, contenute nei commi 2 e 3. La prima eccezione è contenuta nel comma 2 dell’art. 110, a mente del quale “In deroga al comma 1, l’autorità competente, d’intesa con l’ente di governo dell’ambito, in relazione a particolari esigenze e nei limiti della capacità residua di trattamento, autorizza il gestore del servizio idrico integrato a smaltire nell’impianto di trattamento di acque reflue urbane rifiuti liquidi, limitatamente alle tipologie compatibili con il processo di depurazione. “
La disposizione contempla la possibilità per l’impianto di trattamento delle acque reflue urbane di essere autorizzato al trattamento anche di rifiuti liquidi, purché siano compatibili con il processo di depurazione, nonché in presenza di particolare esigenze e nei limiti della capacità residua di trattamento. In tal caso, dunque, sebbene l’impianto tratti rifiuti (liquidi), la norma consente che ilregime autorizzativo non sia quello previsto per i rifiuti, ma sia quello ordinario relativo agli scarichi delle acque reflue, con la specificazione del trattamento di rifiuti liquidi (Nota 1).
Oltre ai rifiuti liquidi, il successivo comma 3 dell’art. 110 prevede ulteriori deroghe:
“Il gestore del servizio idrico integrato, previa comunicazione all’autorità competente ai sensi dell’articolo 124, è comunque autorizzato ad accettare in impianti con caratteristiche e capacità depurative adeguate, che rispettino i valori limite di cui all’articolo 101, commi 1 e 2, i seguenti rifiuti e materiali, purché provenienti dal proprio Ambito territoriale ottimale oppure da altro Ambito territoriale ottimale sprovvisto di impianti adeguati:
a) rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura;
b) rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche previsti ai sensi dell’articolo 100, comma 3;
c) materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonché quelli derivanti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente. “

La disposizione pone innanzitutto dei limiti al trattamento di ulteriori rifiuti presso l’impianto di depurazione delle acque reflue: l’impianto deve avere caratteristiche e capacità depurative adeguate, nel rispetto dei valori limite ex art. 101 commi 1 e 2; i rifiuti devono provenire sia dall’Ambito territoriale ottimale del gestore del servizio idrico sia da altro Ambito territoriale che sia sprovvisto di impianti adeguati. Al ricorrere di tali condizioni gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane possono essere autorizzati al trattamento di materiali e rifiuti, senza l’autorizzazione prevista specificamente per i rifiuti. Proprio perché rappresentano una deroga alla disciplina generale, le tipologie sono tassativamente elencate:
a) rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura;
b) rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche previsti ai sensi dell’articolo 100, comma 3;
c) materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonché quelli derivanti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente.

La prima ipotesi si riferisce ai soli rifiuti costituiti da acque reflue che rispettino i valori limite stabiliti per lo scarico in fognatura. È agevole notare come queste acque reflue, a differenza dei rifiuti liquidi previsti dal comma 2, devono avere delle caratteristiche particolari per essere trattate presso l’impianto di depurazione. Se le acque reflue non rispettano tali valori limiti, possono rientrare nella categoria dei rifiuti liquidi di cui al comma 2, ma in tal caso possono essere smaltiti presso l’impianto di depurazione alle condizioni ivi previste.
La seconda tipologia è ristretta ai rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria dei sistemi di trattamento di acque reflue domestiche ex art. 100 comma 3. Non si è più in presenza di acque reflue, dunque, ma di quei rifiuti che derivano dalla manutenzione ordinaria degli impianti previsti dall’art. 100 comma 3.
La terza tipologia si sostanzia in materiali che derivano dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria nonché in quelli derivanti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, con illimite della irrealizzabilità tecnica/economica del loro ulteriore trattamento. Si deve porre l’attenzione sul fatto che la norma usa un particolare termine, i “materiali”, non accompagnato dal riferimento ai “rifiuti”. Mentre nella tipologia sub b) la disposizione ricomprende i “rifiuti costituiti dal materiale”, qui tale dicitura non viene ripetuta, ed anzi viene limitata al “materiale”, senza ulteriori specificazioni. Quella che potrebbe apparire come una imprecisione lessicale, trova una sua spiegazione nell’intero contesto normativo.
La tipologia contenuta nell’art. 110 comma 3 lett. c) non è estesa a tutti i rifiuti provenienti dalla rete fognaria e da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, ma solo ai “materiali” derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria e quelli (i materiali) derivanti dalla manutenzione ordinaria di altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane. La norma è chiara nel riferirsi ad una categoria ben precisa di “materiali”: non tutti, ma solo quelli derivanti dalla manutenzione ordinaria, escludendo quindi i materiali derivanti dalla manutenzione straordinaria o di altro tipo. La scelta terminologica è frutto di un inequivoco intervento legislativo: non tutti i rifiuti, non tutti i materiali, ma solo i materiali che derivano dalla manutenzione ordinaria possono essere trattati presso gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane.
La norma, poi, si riferisce sia ai materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria, sia a quelli provenienti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, e non a tutte le tipologie di rifiuto che derivano dalla depurazione dei reflui. In tal senso depone innanzitutto la dicitura “quelli”, che con ogni evidenza si riferisce a “materiali”. Se la norma, poi, avesse voluto estendere la sua previsione a qualsiasi tipologia di rifiuto proveniente da altri impianti di trattamento di acque reflue urbane, avrebbe usato il termine “rifiuto”. Invece il legislatore ha scientemente fatto riferimento ai “materiali”, escludendo il più generico e onnicomprensivo termine “rifiuto”. Questo è un punto fondamentale, perché vi è chi ritiene che il legislatore si riferisca indifferentemente a “materiali” e “rifiuti” provenienti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane (Nota 2), e soprattutto senza ricollegarli alla manutenzione ordinaria. Di fatto tale interpretazione potrebbe portare ad estendere a qualsiasi tipologia di rifiuto la possibilità di essere conferito presso gli impianti di trattamento di reflui urbani, nel rispetto delle condizioni descritte dalla norma. L’impostazione si espone a diverse critiche, sia letterali che sistematiche. Effettivamente l’art. 110 comma 3 lett. c), dopo la prima tipologia (materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria) non ripete nuovamente che i materiali debbano provenire dalla manutenzione ordinaria, ma si limita a “quelli che derivano da altri impianti di trattamento di acque reflue urbane”. Se si sganciasse questa seconda parte della frase dalla prima, con una interpretazione “atomistica”, si potrebbe presumere che si faccia riferimento a tutti i materiali che provengono dagli impianti di trattamento di acque reflue urbane. La conseguenza sarebbe illogica e incoerente: in una stessa frase si avrebbe, per la rete fognaria che serve l’impianto, una limitazione ai soli materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria, mentre si consentirebbe il trattamento di tutti i materiali provenienti dagli altri impianti di trattamento delle acque reflue (quindi anche quelli provenienti dalla manutenzione straordinaria o di altro tipo). Non solo ma la disposizione colliderebbe anche con l’ipotesi sub b), che limita il conferimento ai rifiuti costituiti dal materiale proveniente dalla manutenzione ordinaria di sistemi di trattamento di acque reflue domestiche previsti ai sensi dell’articolo 100, comma 3: seguendo questa impostazione i materiali provenienti dai sistemi di trattamento di acque reflue domestiche ex art. 100 comma 3 sarebbero limitati a quelli derivanti dalla manutenzione ordinaria, mentre tale limite non sussisterebbe per i ben più complessi impianti di trattamento delle acque reflue urbane.
È evidente allora come una corretta e coerente interpretazione della tipologia sub c) porta a ritenere conferibili presso gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane solo i materiali derivanti dalla manutenzione ordinaria di altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, e non tutte le tipologie di materiali.
Qui si coglie la scelta del legislatore, che ha oculatamente evitato di citare i “rifiuti”, preferendo il termine “materiali”: in tal modo si è evitato che vi sia un’interpretazione tesa ad allargare non solo a tutti i materiali, ma anche a tutti i rifiuti provenienti dagli impianti di trattamento di acque reflue, la possibilità di conferimento presso impianti non autorizzati secondo la disciplina sui rifiuti. Una scelta ben precisa e coerente con la prima parte del comma 3, nella quale è specificato che “Il gestore del servizio idrico integrato (…), è comunque autorizzato ad accettare in impianti con caratteristiche e capacità depurative adeguate, (…) i seguenti rifiuti e materiali”, distinguendo quindi i “materiali” dai “rifiuti”. Una distinzione che si esplica poi nelle tre tipologie elencate dal legislatore. Non si può dunque includere nei materiali conferibili presso gli impianti di depurazione tutti i rifiuti provenienti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, in quanto il legislatore non ha intenzionalmente usato il termine “rifiuti”, bensì “materiali”, e per di più limitati solo a quelli provenienti dalla manutenzione ordinaria.
Insomma la tipologia sub c) si riferisce a specifici materiali, e non ai rifiuti in genere, con lo scopo di evitare che si ingenerino interpretazioni che estendano a tutti i rifiuti la possibilità di essere trattati presso gli impianti di depurazione. È il caso proprio dei fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue urbane. Come visto i fanghi costituiscono un rifiuto, con la conseguente applicazione della relativa disciplina, anche ai fini autorizzativi. Se si consentisse di smaltire tali fanghi in impianti di trattamento di acque reflue urbane, senza che vi sia una norma specifica e basandosi solo su un’interpretazione di una singola parte dell’art. 110 comma 3 lett. c), sganciandola dal resto, si avrebbe una paradossale situazione: gli impianti di depurazione sarebbero autorizzati a gestire notevoli quantità di rifiuti (non liquidi, quali sono i fanghi) con una semplice autorizzazione agli scarichi, bypassando completamente la disciplina prevista per i rifiuti stessi. Quelle che sono eccezionali deroghe diventerebbero il grimaldello per evitare l’applicazione della disciplina sui rifiuti a casi che invece rientrerebbero a tutti gli effetti. Con anche una disparità di trattamento: vi sarebbero impianti di trattamento fanghi da depurazione autorizzati secondo le rigorose norme sui rifiuti, e impianti che, anche trattando ugualmente fanghi da depurazione, per il solo fatto di trattare al contempo reflui urbani sarebbero sottratti all’applicazione delle norme autorizzative in materia di rifiuti. Il tutto in violazione dell’art. 127 D.Lgs. 152 del 2006, che sottopone i fanghi alla disciplina sui rifiuti, e altresì in assenza di una norma che preveda espressamente la possibilità per i fanghi da depurazione di subire un processo di trattamento in impianti dotati solo di una semplice autorizzazione agli scarichi.
Si potrebbe obiettare che non tutti i rifiuti provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane sarebbero conferibili, bensì solo quelli “nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente”, restringendo l’ambito di operatività della deroga. Una simile argomentazione, però, non toglierebbe nulla all’interpretazione qui avanzata. Invero bisogna tenere distinti due piani radicalmente diversi, ossia la tipologia di materiali conferibili dalle condizioni di ammissibilità di tali materiali. Prima di procedere all’analisi delle condizioni di ammissibilità dei materiali conferibili, bisogna individuare quali siano questi materiali. Una volta individuata la tipologia, allora si passa ad esaminare quando e in che modo tali materiali possano essere smaltiti presso l’impianto di trattamento di acque reflue urbane. Qui interviene il limite previsto dall’art. 110 D.Lgs. 152 del 2006: i materiali devono provenire dalla manutenzione ordinaria non di tutti gli impianti di trattamento di acque reflue urbane, ma solo di quelli “nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente”. In conclusione i fanghi derivanti dal trattamento delle acque reflue urbane devono essere conferiti presso impianti autorizzati secondo la disciplina prevista dalla Parte IV e dagli artt. 29 bis e ss del
D,Lgs. 152 del 2006. Gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane che trattano anche i fanghi da depurazione devono essere autorizzati secondo la disciplina dei rifiuti. Non essendoci una norma derogatoria esplicita, in tal caso si applica la normativa generale sui rifiuti, e quindi, al verificarsi dei relativi presupposti, il procedimento ordinario ex art. 208 D.Lgs. 152 del 2006, oppure un procedimento AIA ai sensi degli artt. 29 bis e ss. codice Ambiente.

Note:
Nota 1: II provvedimento autorizzativo previsto dalla norma non può riferirsi ai provvedimenti in materia di gestione dei rifiuti, per una serie di ragioni. Innanzitutto la disposizione non rimanda espressamente alla disciplina sui rifiuti. In secondo luogo l’art. 110 è contenuto all’interno della disciplina relativa agli scarichi, e rappresenta un’eccezione al divieto di smaltimento dei rifiuti presso un impianto autorizzato solo per la depurazione dei reflui urbani. Da ultimo, ammettendo il riferimento alle autorizzazioni in materia di rifiuti, la norma non avrebbe alcun senso, per il semplice fatto che quando un impianto tratta dei rifiuti deve comunque seguire la relativa disciplina autorizzativa.
Nota 2: KUSTURIN Mauro, Il trattamento di rifiuti nei depuratori di acque reflue urbane In Diritto all’ambiente 27/01/2022: “Il termine “materiali” viene utilizzato (2 volte), dal legislatore, solo nel comma 3, mentre per il resto del corpo dell’art. 110 viene utilizzato sempre il termine “rifiuti”: ritengo che il legislatore abbia voluto estendere il ricorso, quale deroga eccezionale, alle procedure ex art. 110, a tutti quei materiali (e rifiuti) che possono derivare “dalla manutenzione ordinaria della rete fognaria” (come reflui stagnanti, fanghiglia, stracci, materiale filtrante vario, pietrame, ramaglie, sabbie, ecc.) o “derivanti da altri impianti di trattamento delle acque reflue urbane, nei quali l’ulteriore trattamento dei medesimi non risulti realizzabile tecnicamente e/o economicamente” (come liquami non/parzialmente depurati, fanghi “attivi” in eccesso, fanghi da sedimentare, residui delle fasi di grigliatura, dissabbiatura, disoleatura, ecc.)”