Cass. Sez. III n. 2357 del 20 gennaio 2023 (PU 14 dic 2022)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric. Casà
Urbanistica.Impossibilità del rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex art 36 TU edilizia per abusi in zona soggetta a normativa antisismica

Il rispetto del requisito della “doppia conformità” è escluso dalla violazione della disciplina antisismica. Non essendo possibile rilasciare un’autorizzazione postuma ai fini della disciplina antisismica, viene infatti a mancare un necessario presupposto per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 TU Edilizia.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza 17.02.2022, la Corte d’appello di Palermo ha confermato la sentenza 22.04.2021 del tribunale di Agrigento, appellata da CASA’ MARIA, ritenuta colpevole dei reati edilizi, nonché delle violazioni in materia di cemento armato e della normativa antisismica alla stessa ascritti (art. 44, lett.  b), dpr n. 380 del 2001; 64/71, dpr 380 del 2001; 65/72, dpr n. 380 del 2001; 93/95, dpr n. 380/2001), e contestati come commessi sino al 3.04.2017, esclusa l’aggravante di cui all’art. 61, n. 2, c.p. e ritenuta la continuazione tra i reati, con condanna della stessa alla pena di 3 mesi di arresto ed euro 13.428,00 di ammenda, oltre alla demolizione e rimessione in pristino cui subordinava la sospensione condizionale della pena, con dissequestro e restituzione all’imputata del manufatto e degli eventuali materiali da costruzione ancora in sequestro per eseguire la demolizione.

2. Avverso la sentenza impugnata nel presente procedimento, la predetta propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo sei motivi, di seguito sommariamente indicati.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di mancata assunzione di prova decisiva in relazione all’art. 603, c.p.p. e correlato vizio di motivazione in ordine alla richiesta di acquisizione documentale.
In sintesi, si premette che la difesa in considerazione dell’errore commesso dal primo giudice che aveva ritenuto insussistente il requisito della doppia conformità urbanistica, aveva richiesto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale al fine di acquisire una relazione tecnica che comprovasse come la ricorrente, sia al momento dell’edificazione che a quello del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, era proprietaria di un coacervo di terreni che le consentivano di realizzare anche il maggiore volume oggetto di contestazione. Su tale punto vi sarebbe un’omessa pronuncia della Corte d’appello, nonostante si trattasse di prova decisiva.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di violazione di legge in relazione al combinato disposto degli artt. 36 e 45, dpr n. 380 del 2001 per la mancata declaratoria di estinzione del reato edilizio contestato al capo a) per il sopravvenuto rilascio del permesso di costruire in sanatoria.
In sintesi, la difesa della ricorrente si duole per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che il p.d.c. in sanatoria n. 84 del 2021, rilasciato alla figlia della ricorrente, avente causa, non producesse l’effetto estintivo del reato edilizio sub a), in quanto le opere in questione non avrebbero avuto la c.d. doppia conformità richiesta dall’art. 36 citato, ciò in quanto solo successivamente all’esecuzione dell’opera la figlia della ricorrente, dopo aver acquisito la proprietà dell’immobile, avrebbe asservito altro terreno di sua proprietà che le avrebbe consentito di regolarizzare il volume realizzato. Si tratterebbe di rilievo errato, in quanto la ricorrente, come dichiarato dal teste Vaiana, tanto al momento della realizzazione del manufatto quanto a quello della presentazione della domanda di sanatoria, aveva la proprietà e la disponibilità di terreni idonei al raggiungimento dell’indice di fabbricabilità fondiario sufficiente a regolarizzare il maggior volume realizzato senza il preventivo titolo. Come risulterebbe infatti dalla relazione tecnica dell’arch. Contino, l’intervento edilizio oggetto dell’istanza di sanatoria ricadrebbe su un compendio immobiliare di terreni, tra loro confinanti e contigui, per un’estensione complessiva di mq. 16.605 che avevano, sia al momento della realizzazione che al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria, la medesima destinazione omogenea di zona. La ricorrente, pertanto, aveva ed ha il lotto minimo su cui edificare, conformemente a quanto previsto dall’art. 20 delle NTA del PRG della città di Agrigento, ed il maggior volume realizzato rientrerebbe nell’indice di fabbricabilità dei terreni di sua proprietà ed oggi in comproprietà della figlia. La ricorrente, per ragioni di età e di salute, avrebbe infatti donato alla figlia la metà indivisa del suo immobile, nonché tutti i terreni di pertinenza, sicché la figlia avrebbe presentato “nuova” istanza di sanatoria dimostrando attraverso l’accorpamento dei vari terreni contigui tra loro di avere il lotto minimo previsto dalle NTA del PRG nonché la doppia conformità urbanistica, con una situazione che rifletterebbe quella della madre. Pertanto, si conclude, il p.d.c. in sanatoria rilasciato alla figlia dovrebbe ritenersi valido ed efficace, producendo l’estinzione del reato edilizio sub a) nei confronti dell’autore dell’illecito edilizio.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di motivazione nella parte in cui la Corte d’appello respinge la tesi difensiva affermando che, pur volendo ammettere che la volumetria ricavabile dai fondi di proprietà dell’imputata fosse astrattamente sufficiente ai fini della sopraelevazione, ciò che conterebbe è la mancanza di un concreto atto di asservimento, ossia di cessione di siffatta volumetria al terreno in cui è stato edificato il fabbricato abusivo.
La difesa contesta tale affermazione, sostenendo che l’atto di asservimento non è altro che un mero adempimento pratico e propedeutico che la P.A. richiede prima del rilascio del p.d.c. ai fini della conseguenziale trascrizione nei pubblici registri, richiamando a sostegno giurisprudenza amministrativa (Cons. St., 547/2016; Cons. St., 3823/2011). In sostanza, l’atto di asservimento, secondo la difesa, diversamente da quanto affermato dai giudici di merito, non sarebbe un requisito tecnico – giuridico previsto dalla norma per avere la doppia conformità, ma un mero adempimento negoziale avente effetti obbligatori, meramente funzionale al rilascio del titolo abilitativo edilizio. Ciò che conterebbe ai fini dell’applicazione della norma sull’accertamento di conformità sarebbe la disponibilità, sia al momento della realizzazione dell’opera che al momento della domanda, condizioni e presupposti che sarebbero stati provati nel caso in esame.

2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 62-bis, c.p., atteso il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
In sintesi, si duole la difesa dell’erroneità del diniego, basato sulla natura dell’abuso edilizio e della condotta complessivamente tenuta dall’imputata, non essendo ex se sufficiente il mero stato di incensuratezza. Diversamente, si sostiene, avrebbe dovuto essere considerata la disponibilità, giuridica e di fatto del lotto minimo, nonché di terreni sufficienti a raggiungere la cubatura realizzata, elementi idonei a riconoscere le invocate attenuanti, unitamente allo stato di incensuratezza.

2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 131-bis, c.p.
In sintesi, si duole la difesa per aver negato la Corte d’appello la speciale causa di non punibilità ostandovi il non esiguo danno cagionato all’ambiente nonché la condotta complessivamente tenuta. Diversamente, il danno paventato sarebbe insussistente e la richiesta di regolarizzazione presso l’ente competente comproverebbero una particolare tenuità della condotta.

2.6. Deduce, con il sesto ed ultimo motivo, il vizio di violazione di legge per aver subordinato il giudice il beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione del fabbricato, con conseguente illegittimità della sanzione accessoria irrogata.
In sintesi, si duole la difesa del diniego della sospensione condizionale della pena, motivato sul fatto che l’imputata avesse cercato di aggirare il primo diniego di sanatoria per il tramite della cessione a titolo gratuito dell’immobile alla propria figlia. Richiamato quanto sopra dedotto circa la disponibilità da parte della ricorrente del lotto minimo che le consentiva la sopraelevazione rientrando il maggior volume realizzato nell’indice di fabbricabilità dei propri terreni, oggi in comproprietà con la figlia, sostiene che sussistevano i presupposti per il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale senza subordinarlo alla demolizione, sussistendo i presupposti per ritenere che la ricorrente si asterrà da future condotte illecite, a prescindere dal deterrente rappresentato dalla demolizione. Tra l’altro, si aggiunge, il fabbricato è stato regolarizzato, sia a livello edilizio che sismico, e quindi la demolizione si porrebbe in contrasto con i titoli abilitativi, essendo conforme alle prescrizioni di legge e regolamentari, peraltro risultando ineseguibile appartenendo l’immobile per metà ad altro soggetto estraneo all’abuso ed al relativo provvedimento emesso dal giudice ordinario.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha depositato in data 28.11.2022 la propria requisitoria scritta con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio limitatamente all’ordine di demolizione, dovendosi dichiarare nel resto inammissibile il ricorso.
In particolare, il P.G.:
a) quanto ai primi tre motivi, rileva che, ai fini della volumetria edificabile sfruttando la titolarità di aree diverse da quella oggetto dell’intervento edilizio, l’atto di asservimento costituisce un presupposto legale del permesso a costruire (anche, come nella specie, in sanatoria), poiché solo in tal modo ai fondi interessati viene impressa, in modo definitivo e conoscibile mediante l’annotazione negli atti comunali, la destinazione servente necessaria per la costruzione, mentre la mera disponibilità costituisce una situazione di fatto inidonea a garantire l’irreversibilità dell’accorpamento tra i fondi prima della edificazione, con la conseguenza che correttamente è stata ritenuta superflua la rinnovazione istruttoria circa tale disponibilità in capo alla ricorrente;
b) quanto al quarto motivo, rileva che la conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche viene censurata invocando la predetta disponibilità di fatto di fondi sufficienti a raggiungere la cubatura necessaria, dato non univoco, anche tenendo presente che solo a seguito della donazione della metà dell’immobile alla figlia quest’ultima ha ottenuto la sanatoria previo formale atto di asservimento;
c) quanto al quinto motivo, rileva che la speciale tenuità ex art. 131-bis c.p. è stata esclusa sulla base della consistenza dell’abuso, in linea con la giurisprudenza secondo cui, “in tema di violazioni urbanistiche, quando la consistenza dell'opera è tale da escludere in radice l'esiguità del danno o del pericolo, correttamente il giudice nega l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen.” (Sez. III, n. 33414/2021, Rv. 282328 – 01);
d) quanto al sesto motivo, rileva che la stessa sentenza dà atto del rilascio del permesso a costruire in sanatoria alla figlia della ricorrente, con la conseguente necessità di verificarne la portata ai fini della conferma dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva previsto dall'art. 31, comma 9, del d.P.R. 380/2001 (cfr. Sez. 3, n. 7109/2010, Rv. 246201 – 01: “il rilascio della sanatoria edilizia conseguente alla definizione della procedura di condono attivata da terzi estranei all'abuso, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna dell'autore dell'illecito rimasto estraneo a detta procedura, pur regolarizzando la costruzione abusiva sotto il profilo urbanistico, non produce alcun effetto estintivo per il condannato, né comporta l'obbligo di annotazione dell'oblazione nel casellario giudiziale ai sensi dell'art. 38, comma quarto, L. 28 febbraio 1985, n. 47. In motivazione la Corte ha precisato che il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria può comportare l'inapplicabilità od anche la revoca dell'ordine di demolizione eventualmente disposto dal giudice).

4. In data 17.11.2022 l’Avv. Vincenzo Caponnetto ha depositato istanza in via telematica per la trattazione orale del ricorso, accolta con provvedimento del Presidente titolare in data 23.11.2022.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso – trattato in presenza a seguito della richiesta, accolta, di discussione orale ai sensi dell'art. 23, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, e successive modifiche ed integrazioni – è complessivamente infondato e deve essere rigettato.

2. Al fine di meglio lumeggiare le ragioni che hanno condotto questa Corte al rigetto dei motivi proposti dalla ricorrente, soprattutto alla luce delle censure di vizio motivazionale proposte, appare opportuno un sintetico inquadramento della vicenda processuale.
La vicenda in esame ha avuto origine da un sopralluogo effettuato, in data 3.04.2017, dalla Polizia Municipale di Agrigento in seno al quale emergeva lo svolgimento di lavori di sopraelevazione di un piano realizzato al di sopra del lastrico solare su di un immobile sito in Agrigento Contrada Carapezza snc. di proprietà dell’odierna ricorrente, anch’ella presente in sede di rilievo. Le attività appena descritte venivano eseguite in difetto di qualsivoglia permesso di costruire o del rispetto della normativa sismica. L’immobile veniva sottoposto a sequestro preventivo visto lo stato in itinere dei lavori e la presenza del materiale per la loro esecuzione. Nel 2018, l’imputata presentava un’istanza volta al rilascio del permesso di costruire in sanatoria per la sopraelevazione, ma l’Amministrazione non accoglieva la domanda proposta perché, come è emerso in sede di escussione del tecnico dell’Ufficio Comunale ex art. 507 c.p.p., il terreno interessato dalla domanda del titolo abilitativo non raggiungeva la cubatura necessaria per sviluppare la volumetria richiesta dalla sopraelevazione. La ricorrente allora donava metà della proprietà alla figlia la quale, dopo avervi asservito un ulteriore terreno al fine di acquisire la cubatura necessaria a completare la sopraelevazione, ripresentava l’istanza di sanatoria in qualità di comproprietaria, che veniva accolta con l’adozione del permesso di costruire n. 84 del 13.11.2020. Il giudice di prime cure, ritenuta sussistente la responsabilità dell’imputata, la condannava alla pena come sopra riportata. Condividendo le conclusioni compendiate nella pronuncia dinanzi a lui appellata, il giudice territoriale rigettava l’impugnazione proposta e confermava la precedente statuizione.

3. Con il primo motivo si deduce la violazione di legge per la mancata assunzione di una prova decisiva quale la relazione tecnica dell’Arch. Contino.
Quest’ultima non costituisce un novum, bensì è appartenente al contesto probatorio già in qualche modo oggetto della sua valutazione e la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale nel giudizio di appello può costituire violazione dell'art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., solo nel caso di prove sopravvenute o scoperte dopo la sentenza di primo grado (Sez. 5, n. 34643 del 08/05/2008, Rv. 240995; Sez. 1, n. 3972 del 28/11/2013, dep. 29/01/2014, Rv. 259136; Sez. 1, Sentenza n. 40705 del 10/01/2018, Rv. 274337 - 01), potendo invece essere denunciata la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale ex art. 606, coma 1 lett. e) cod. proc. pen. nel caso in cui si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, Sentenza n. 32379 del 12/04/2018; Rv. 273577 – 01).

3.1. Sul punto, va rilevato che la completezza e la piena affidabilità logica dei risultati del ragionamento probatorio seguito dalla Corte territoriale giustificano la decisione contraria alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale sul rilievo che, nel giudizio di appello, essa costituisce un istituto eccezionale fondato sulla presunzione che l'indagine istruttoria sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado, sicché il potere del giudice di disporre la rinnovazione è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 25/03/2016, Rv. 266820). Non basta, pertanto, l'ipotetica attitudine dei mezzi di prova richiesti a influire sulla decisione del punto controverso per obbligare il giudice di secondo grado a disporre la chiesta rinnovazione, occorrendo, invece, che il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti. Ne deriva che la rinnovazione del dibattimento in appello costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice dell'impugnazione il cui giudizio al riguardo è sottratto al sindacato di legittimità, se adeguatamente motivato. (Sez. 3, n. 7908 del 29/07/1993, Rv. 194487; Sez. 3, n. 6595 del 06/04/1994, Rv. 198068.)

3.2. Ciò posto, la Corte di legittimità ha altresì stabilito che il rigetto dell'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti – come si vedrà per il caso di specie - per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (Sez. 6, Sentenza n. 2972 del 04/12/2020 (dep. 25/01/2021) Rv. 280589 – 01) potendo quindi il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello essere motivato anche implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non bisognevole di approfondimenti indispensabili (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep. 12/03/2014, Rv. 259893; Sez. 4, n. 47095 del 02/12/2009, Rv. 245996).
Soprattutto, infine, va tenuto conto del principio affermato dalle Sezioni Unite a proposito della richiesta di perizia, ma analogamente applicabile anche al caso di una relazione di consulenza tecnica di parte, secondo cui la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l'articolo citato, attraverso il richiamo all'art. 495, comma 2, cod. proc. pen., si riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività. Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936 – 01).

3.3. Tanto premesso in diritto, la pronuncia impugnata risulta dunque immune dal vizio denunciato con conseguente rigetto del primo motivo di ricorso.

4. Il secondo e terzo motivo possono essere trattati in modo congiunto perché entrambi volti a contestare l’assenza dei presupposti, affermata dai giudici di merito, per il rilascio della sanatoria alla ricorrente nonché gli effetti della stessa.
4.1. Le questioni dedotte si sostanziano in censure generiche nonché manifestamente infondate che trovano un’agevole smentita nelle valutazioni svolte nei precedenti gradi di giudizio e puntualmente espresse nelle relative pronunce. Ed è proprio la chiarezza che le caratterizza che induce a riportare il contenuto delle sentenze per favorire una completa comprensione di quanto si argomenterà di seguito.
In particolare, il Tribunale argomenta: “[…] 7. Tanto premesso in diritto, ciò che in fatto è avvenuto è chiaro ed emerge dalla deposizione del teste ammesso ai sensi dell'art, 507 c.p.p., VAIANA Giuseppe, dell'Ufficio Tecnico Comunale: a seguito della realizzazione dell'abuso, la CASA aveva presentato una prima istanza di sanatoria, che veniva rigettata proprio in ragione del difetto della cubatura necessaria per sviluppare la volumetria richiesta dalla sopraelevazione; ella, allora, aveva donato la metà dell'immobile alla propria figlia, che andava ad asservire altre particelle di terreno al fine di raggiungere la cubatura necessaria; era poi la stessa figlia, in qualità di neo-comproprietaria, a reiterare la medesima istanza di sanatoria, che stavolta veniva accolta, essendo stato risolto il profilo relativo al difetto di volumetria. Tutto ciò portava, nel corso di questo processo, al rilascio di un permesso in sanatoria nei confronti della figlia. […] 18. Coniugando il fatto e il diritto, l’atto di sanatoria in considerazione non può determinare alcun effetto estintivo del reato, poiché non è riconducibile alla sanatoria c.d. propria, delineata dall'art. 36 D.P.R. 380/2001: anzitutto, quest’ ultima – come da ultimo ribadito anche da Cass. Sez. 3 n. 37050 del 09.04.2019- può riguardare soltanto lavori ultimati, laddove nel caso di specie essi erano palesemente ancora in corso; ma soprattutto, il rigetto della prima istanza di sanatoria per difetto di volumetria palesa l'originaria difformità dell'opera rispetto alle previsioni urbanistiche ed edilizie, solo in seguito sanata mediante atto di asservimento di altri terreni da parte della figlia della CASA. Lo stesso fatto che sia stata la figlia dell'imputata a presentare la seconda istanza di sanatoria, a seguito di una donazione intervenuta medio tempore in proprio favore, tradisce l'intento di celare l'esistenza di un primo rigetto, in quanto esso è sintomatico dell'originaria difformità dell'opera. 19. Conclusivamente, sussiste il fatto di cui al capo a) (art. 44 lett. b) D.P.R. 380/2001) ed esso non risulta estinto dall'intervenuta sanatoria, in quanto trattasi di sanatoria c.d. impropria, come tale improduttiva di alcun effetto estintivo del reato.” (pagine 5/6).
Dello stesso tenore sono le parole dei Giudici territoriali: “la doglianza non è fondata in quando smentita dalle risultanze dibattimentali. Ed invero, come correttamente rappresentato nella pronuncia impugnata, l’originaria istanza di sanatoria presentata dalla Casa veniva rigettata dal competente ufficio comunale in quanto il terreno da edificare risultava inizialmente sprovvisto della volumetria richiesta ai fini della sopraelevazione. Questo dato, a differenza di quanto assunto dalla difesa, è inequivocabilmente asseverato dalle emergenze probatorie raccolte. Anzitutto, sul punto, rileva la deposizione resa all’udienza del 2503/2021 dal teste Vaiana Giuseppe. In particolare, il Vaiana rappresentava come la prima istanza di sanatoria, presentata dall'imputata, non fosse stata accolta attesa la carenza di cubatura del terreno in cui si era provveduto a edificare abusivamente: a seguito del rigetto dell'istanza, allora, la Casa si determinava a donare la metà dell'immobile alla figlia (Sammartano Carmelina Laura). In tal modo permettendo a quest'ultima di presentare una nuova richiesta di sanatoria nella quale si sarebbe colmato il difetto di cubatura riscontrato nel precedente procedimento amministrativo, attraverso l'asservimento di ulteriore cubatura. D'altra parte, l'originaria carenza di volumetria necessaria al fine della realizzazione del fabbricato è confermata proprio dal permesso di costruire in sanatoria rilasciato in un secondo momento alla Sammartano Carmelina Laura, figlia dell'imputata. Ed invero, il competente ufficio comunale, al fine del rilascio del suddetto titolo edilizio, richiedeva espressamente l'allegazione di un "atto unilaterale di asservimento [...] ad integrazione del precedente alto di asservimento redatto dal notaio Vincenzo Scaduto in data 3/6/2003 (sul punto, si veda il documento rilasciato dal comune di Agrigento, iscritto al prot. n. 88516 del 04/12/2019, ed acquisito al processo in data 12/11/2020). Pertanto, anche il suddetto provvedimento amministrativo attesta che la conformazione originaria del fondo non fosse sufficiente a giustificare la realizzazione dell'opera in contestazione. Infatti, l'amministrazione richiedeva come condizione necessaria al rilascio della sanatoria "un ulteriore alto di asservimento", capace di colmare il deficit di cubatura del fondo da edificare. In conclusione, non appare dirimente la circostanza, evidenziata dalla difesa, secondo la quale la Casa fosse astrattamente titolare di terreni che avrebbero consentito di realizzare il maggior volume oggetto di contestazione. Ed invero, pur volendo ammettere che la volumetria ricavabile dai fondi di proprietà dell'imputata fosse astrattamente sufficiente ai fini della sopraelevazione, ciò che conta è la mancanza di un concreto atto di cessione di siffatta volumetria al terreno su cui è stato edificato il fabbricato abusivo. Sotto altro punto di vista, al fine di escludere la penale responsabilità dell'imputata, non può essere neppure valorizzata la sopravvenienza della sanatoria rilasciata nei confronti della Sammartano. A tal riguardo, ha correttamente statuito la pronuncia di primo grado, la quale ha diffusamente rilevato sulla distinzione incorrente tra la "sanatoria impropria" (o giurisprudenziale) e la "sanatoria in senso stretto* ex art. 36 D.P.R. n. 380/1990. Precisamente, soltanto in forza di quest'ultimo istituto può escludersi la punibilità del reato e l'irrogazione del conseguente ordine di demolizione, sussistendo il requisito della "doppia conformità". Di contro, la "sanatoria impropria" (che emerge nel caso in esame) non produce effetti rispetto alla realizzazione del reato di cui all'art. 44 D.P.R. n. 380/1990, atteso che essa assevera la sopravvenuta legittimità di opere inizialmente abusive. Se ne deduce che, nel caso in esame, sebbene sia intervenuto un atto sanante l'originale abuso edilizio, il fatto commesso conserva la propria piena rilevanza penale. Difatti, come già sopra evidenziato, il fondo originario non consentiva la volumetria richiesta ai fini dell'edificazione, essendo la sanatoria postuma resasi possibile solamente a seguito dell'atto di asseveramento successivo posto in essere dalla figlia della Casa; sicché, il menzionato asservimento non incide in alcun modo sulla rilevanza penale del fatto contestato, ma, al contrario, conferma l'insussistenza originaria della volumetria richiesta per legge al fine di edificare” (pagine 2/3).

4.2. Quanto argomentato dai Giudici non è in questa sede censurabile posto che, con specifico riguardo al primo profilo, ovvero la natura della sanatoria n. 84 rilasciata e quindi dell’assenza dell’effetto estintivo, ben si conforma ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.

4.3. Giova rilevare, però, che la ricorrente ha basato la sua linea difensiva sulla relazione dell’Arch. Contino mai acquisita e, quindi, non facente parte del materiale probatorio, quindi, non valutabile, agli effetti del denunciato travisamento, da parte della Cassazione. Non sono, infatti, ricevibili dal giudice di legittimità "documenti nuovi", ovvero già non facenti parte del fascicolo, diversi da quelli che non esigono alcuna attività di apprezzamento sulla loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte, come accade in via esemplificativa per i certificati di nascita - rilevanti ai fini dell'imputabilità - o di morte - rilevanti ai fini della declaratoria di estinzione del reato-, perché tale attività è estranea ai compiti istituzionali della Corte di cassazione. (Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012 - dep. 11/01/2013; Sez. 3, n. 5722 del 07/01/2016, Rv. 266390).

4.4. Stante, quindi, il materiale probatorio, non vi è alcun dubbio circa la natura impropria della sanatoria rilasciata, peraltro alla figlia della ricorrente all’esito di una nuova domanda.
Ed infatti, l’art. 36 del DPR 309/90 al primo comma, dispone che "in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, fino alla scadenza dei termini di cui all'art. 31, comma 3, art. 33, comma 1, art. 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione della stessa, sia al momento della presentazione della domanda". La norma impone, quindi, la cosiddetta "doppia conformità", cioè l'intervento realizzato deve risultare conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria e solo a tali casi è possibile ricondurre l’effetto estintivo di cui all’art. 45 del T.U. Edilizia.
E’ infatti granitico l’orientamento della Suprema Corte per cui in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, a precludere l'irrogazione dell'ordine di demolizione dell'opera abusiva previsto dall'art. 31, comma 9, del medesimo d.P.R. e a determinare, se eventualmente emanata successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, la revoca di detto ordine, può essere solo quella rispondente alle condizioni espressamente indicate dall'art. 36 del decreto stesso citato, che richiede la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente, sia al momento della realizzazione del manufatto, sia al momento della presentazione della domanda di permesso in sanatoria, dovendo escludersi la possibilità che tali effetti possano essere attribuiti alla cd. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, che consiste nel riconoscimento della legittimità di opere originariamente abusive che, solo dopo la loro realizzazione, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica. (Sez. 3, n. 45845 del 19/09/2019, Rv. 277265 – 01; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Rv. 260973 – 01; Sez. 3, n. 24451 del 26/04/2007, Rv. 236912 – 01).

4.5. Il caso in esame difetta di tale doppia conformità, in quanto dall’istruttoria era emerso che, per sviluppare la volumetria richiesta dalla sopraelevazione, il terreno in questione non aveva la cubatura necessaria dandosene espressamente atto nel documento rilasciato dal comune di Agrigento, iscritto al prot. n. 88516 del 04/12/2019 in cui si richiedeva l’allegazione di un ulteriore atto di asservimento per il rilascio della sanatoria.
Richiesta a cui la stessa ricorrente non adempieva, segnando così il rigetto della domanda, e donando la metà dell’immobile alla figlia la quale presentava una nuova istanza dopo avervi asservito un altro terreno di sua proprietà al fine di raggiungere la cubatura necessaria. In caso sostanzialmente sovrapponibile, del resto, questa stessa Corte ha avuto modo di affermare che in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui all'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 può essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dall'art. 36 d.P.R. cit. e, precisamente, la conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, successivamente, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Fattispecie relativa ad illegittimo rilascio di un permesso di costruire in sanatoria rilasciato per intervento eseguito su particella catastale alla quale, successivamente all'abuso, era stata asservita altra particella al fine di superare il limite di cubatura stabilito dalle previsioni urbanistiche: Sez. 3, sentenza n. 7405 del 15/01/2015 - dep. 19/02/2015, Rv. 262422 – 01).
Ad analogo approdo è poi pervenuta questa stessa Sezione con altra decisione (Sez. 3, n. 8540 del 18.10.2017, dep. 22.02.2018, Petracca, non massimata), precisando, in fattispecie analoga, che “nel caso in esame la conformità agli strumenti urbanistici, che ha determinato il rilascio del permesso di costruire, è stata ottenuta successivamente alla realizzazione delle opere, mediante l'asservimento della volumetria espressa da un fondo limitrofo al terreno su cui erano state edificate le opere in assenza di permesso di costruire e in totale difformità da quello ottenuto nel 2003, con il conseguente aumento dell'area disponibile (da 10.040,00 metri quadrati a 18.220,00 metri quadrati) e il raggiungimento dei limiti di superficie necessari per la lecita realizzazione delle opere. Ciò, tuttavia, esclude la configurabilità del necessario requisito della doppia conformità richiesto affinché il permesso di costruire in sanatoria determini l'effetto estintivo del reato di cui all'art. 45, ultimo comma, del d.P.R. n. 380 del 2011, giacché tale requisito deve essere escluso non soltanto quando la conformità delle opere consegua a una modifica della disciplina di riferimento o degli strumenti urbanistici che regolano l'assetto del territorio, ma anche quando essa derivi da una modifica della sola situazione di fatto, come nel caso dell'asservimento di una maggiore superficie alla costruzione già realizzata, attraverso l'accorpamento di terreni adiacenti. Il riferimento dell'art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 alla conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell'opera non può che essere inteso con riferimento alla situazione di fatto di tale epoca, sulla base della quale dovrà, dunque, necessariamente, essere verificata detta conformità, posto che tale indagine non può non tenere conto dello stato di fatto esistente al momento della realizzazione delle opere, sulla base del quale dovrà, quindi, esserne verificata la conformità agli strumenti urbanistici dell'epoca, nonché a quelli vigenti al momento del rilascio del permesso di costruire in sanatoria. Il solo asservimento di maggiori superfici a quelle originariamente disponibili non consente, pertanto, di ritenere che le opere fossero assentibili anche al momento della loro realizzazione in assenza di permesso di costruire o in totale difformità da quello ottenuto, posto che la situazione di fatto esistente in tale momento non lo consentiva e che la sola modifica successiva di tale situazione non consente di ritenere che anche in precedenza dette opere fossero conformi agli strumenti urbanistici vigenti. Correttamente, dunque, la Corte d'appello ha escluso l'invocata portata estintiva del reato ascritto alla ricorrente del permesso di costruire in sanatoria dalla stessa ottenuto, non sussistendo la conformità delle opere al momento della loro realizzazione, con la conseguente manifesta infondatezza delle doglianze di violazione di legge e vizio della motivazione sollevate dalla Petracca con il primo motivo di ricorso”. Principio, questo, che il Collegio condivide, e cui deve essere data senz’altro continuità.

5. A ciò va aggiunto, inoltre, che il rispetto del requisito della “doppia conformità” è escluso anche dalla violazione della disciplina antisismica, per il quale è intervenuta la condanna della ricorrente.
Ed invero, per quanto riguarda le zone soggette alla normativa antisismica, si pone il problema del raccordo tra le disposizioni che regolano la sanatoria ex art. 36 del TU Edilizia e le specifiche disposizioni di cui agli artt. 83 e ss. del medesimo testo unico e la conseguente possibilità di sanatoria degli abusi edilizi realizzati in zona sismica. Considerando le palesi finalità di tutela dell’incolumità pubblica che la specifica disciplina persegue e la diffusa sismicità del territorio nazionale, si tratta di questione particolarmente delicata.
Ciò nonostante, l’argomento non risulta essere stato mai compiutamente trattato da questa Corte, la quale ha soltanto ripetutamente confermato l’ormai consolidato principio che esclude gli effetti estintivi del reato di cui all’art. 45, comma 3 del TU per tutti i reati diversi da quelli previsti dall’art. 44 (Cass. Sez. 3, n. 54707 del 13/11/2018, Cardella, Rv. 274212; Sez. 7, n. 11254 del 20/10/2017 (dep. 2018), Franchino ed altri, Rv. 272546; Sez. 3, n. 38953 del 04/07/2017, Rizzo, Rv. 270792), mentre la giurisprudenza amministrativa ha formulato interessanti considerazioni le quali, pur non pervenendo ad univoche conclusioni, offrono diversi spunti di riflessione.
In sintesi, la questione che si pone è abbastanza simile a quella affrontata con riferimento alla sanatoria degli abusi in zona vincolata, dovendosi invero considerare, in primo luogo, se sia o meno possibile rilasciare un’autorizzazione postuma ai fini della disciplina antisismica; quali siano i rapporti tra i titoli conseguiti in base alla disciplina antisismica ed il permesso di costruire ed, infine, se possa rilasciarsi il permesso di costruire in sanatoria per interventi abusivi eseguiti in zona sismica.
Il controllo esercitato dall’amministrazione competente per gli interventi in zone sismiche è certamente di natura preventiva, come si ricava, ad esempio, dall’art. 93 del testo unico - il quale impone, a chiunque intenda procedere ad interventi nelle zone sismiche, di darne “preavviso” scritto allo sportello unico, che a sua volta provvederà alla trasmissione al competente ufficio tecnico regionale – nonché dal successivo art. 94, il quale si riferisce ad una “preventiva autorizzazione”, sicché la procedura deve essere inequivocabilmente completata prima dell’esecuzione dell’intervento, nel rispetto delle formalità richieste. Dal contenuto delle particolari disposizioni ed in considerazione delle loro specifiche finalità risulta evidente, inoltre, l’autonomia del procedimento autorizzatorio in esame rispetto a quello previsto per il rilascio del titolo abilitativo edilizio, l’obbligo del quale resta fermo, come espressamente indicato dal primo comma dell’art. 94, cosicché esso dovrà essere conseguito, in aggiunta all’autorizzazione di cui si tratta, qualora la tipologia dell’intervento da eseguire lo richieda.
Diversamente da quanto previsto per la costruzione di opere in assenza del permesso di costruire, la specifica disciplina antisismica non contempla alcuna forma di sanatoria o autorizzazione postuma per gli interventi eseguiti senza titolo, prevedendone invece la mera riconduzione a conformità, come si ricava da quanto dispone il terzo comma dell’art. 98, il quale stabilisce non soltanto che, con il decreto o con la sentenza di condanna, il giudice deve ordinare la demolizione delle opere o delle parti di esse costruite in difformità dalla specifica disciplina, ma anche che possa impartire le prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi ad essa, fissando il relativo termine. Secondo la giurisprudenza il potere-dovere del giudice di ordinare la demolizione dell'immobile, ai sensi dell'art. 98, comma terzo sussiste soltanto con riferimento alle violazioni sostanziali, ovvero per la inosservanza delle norme tecniche, e non anche per le violazioni meramente formali come stabilito da Sez. 3, n. 6371 del 7/11/2013 (dep. 2014), De Cesare, Rv. 258899 ed in altre prec. conf. Analoga situazione è prevista dall’art. 100 in caso di estinzione del reato, laddove è stabilito che la Regione, in alternativa alla demolizione, possa ordinare l’esecuzione di analoghi interventi finalizzati alla riduzione in conformità delle opere illecitamente realizzate.
Sulla base delle disposizioni appena richiamate deve rilevarsi che esse non soltanto non prevedono effetti estintivi del reato conseguenti alla regolarizzazione postuma, ma neppure effetti propriamente sananti, fermo restando che la demolizione dell’intervento abusivo può essere evitata qualora tale regolarizzazione sia possibile. Il tutto all’esito di un procedimento penale, come si evince dal riferimento specifico al decreto penale ed alla sentenza di condanna.
Manca, in definitiva, una procedura che consenta all’interessato di richiedere un’autorizzazione postuma (in tal senso si è espressa anche la giurisprudenza amministrativa in TAR Campania (NA) Sez. 8 n. 1347 del 1/3/2021 ove si esclude che le disposizioni di cui agli artt. 96 e ss. del TU diano “in alcun modo vita a un procedimento amministrativo di autorizzazione in sanatoria su istanza del privato, limitandosi a consentire la conservazione del manufatto eretto in difetto di autorizzazione sismica preventiva, una volta che la vicenda penale sia stata comunque definita”), e pertanto, prescindendo per il momento dal considerare l’eventuale incidenza della specifica disciplina di cui all’art. 36, l’unica possibilità offerta dalla normativa antisismica per il mantenimento in essere dell’intervento abusivo è la decisione del giudice di impartire le prescrizioni per rendere le opere conformi in luogo di ordinarne la demolizione (o le ulteriori procedure regolate dagli artt. 99 e 100). Tale decisione, poi, oltre a prevedere la pronuncia di una sentenza o un decreto di condanna, dovrà ovviamente essere motivata (come precisato, sotto la vigenza della l. 74\64 Cass. Sez. 3, n. 1509 del 6/12/1983 (dep. 1984), Pone, Rv. 162710) e presuppone, altrettanto ovviamente, specifiche verifiche di natura tecnica, poiché pare evidente che lo scopo sia quello di eliminare ciò che può costituire pericolo per la pubblica incolumità o, in alternativa, di scongiurare tale pericolo mediante particolari interventi. La giurisprudenza risalente al periodo di vigenza della l. 64\1974 ha, peraltro, precisato che il giudice penale, nell'operare la scelta tra le due alternative, non può limitarsi ad esaminare se, attraverso l'esecuzione di determinati lavori, l'opera possa o meno essere adeguata alla normativa antisismica, ma deve invece esaminare, innanzi tutto, se l'opera abusivamente realizzata si presenti conforme agli strumenti urbanistici vigenti nel territorio ed, in caso negativo, non può ordinare la esecuzione di lavori di adeguamento, ma deve, invece, ordinare la demolizione del manufatto abusivo (Cass. Sez. 3, n. 1710 del 12/12/1984 (dep. 1985), Barone, Rv. 167984). In altra occasione, invece, si è detto che la verifica di conformità da parte del giudice avrebbe dovuto riguardare la normativa urbanistica in genere (nella specie, l’allora vigente l. 10/1977: Cass. Sez. 3, n. 5611 del 13/5/1986, Marani, Rv. 173133).
Le particolari disposizioni in materia di costruzioni in zone sismiche lasciano, dunque, uno spazio estremamente esiguo al mantenimento in essere degli interventi abusivi.  Il destino del manufatto illecitamente realizzato in zona sismica resta, peraltro, comunque segnato qualora debba essere demolito perché in contrasto con la disciplina urbanistica (come, ad esempio, nel caso in cui sia configurabile anche il reato di cui all’art. 44  del TU Ed.), dal momento che, come si è detto, il legislatore regola, nell’art. 94, l’autorizzazione per l’inizio dei lavori in zone sismiche “fermo restando l'obbligo del titolo abilitativo all'intervento edilizio…” ed, infatti, si è in più occasioni condivisibilmente specificato che l’autorizzazione costituisce presupposto tassativo ai fini del rilascio del titolo edilizio (Cons. di Stato Sez. 3, n. 4142 del 31\5\2021 la definisce “presupposto indispensabile”; anche la Corte costituzionale (sent. 101\2013) ha affermato che “l’accertamento del rispetto delle specifiche norme tecniche antisismiche è sempre un presupposto necessario per conseguire il titolo che consente di edificare”).

5.1. Considerando ora l’art. 36 del TU Edilizia, è evidente – come affermato dalla dottrina - che la stretta connessione tra autorizzazione sismica e permesso di costruire, di cui si è appena detto, incide in maniera significativa anche sulla procedura di sanatoria, venendosi a porre, in primo luogo, la questione della totale assenza di norme specifiche che consentano il rilascio di un’autorizzazione sismica postuma.
Tale evenienza risulta determinante, perché è evidente che se la possibilità di ottenere una autorizzazione simica “in sanatoria” ad intervento ormai eseguito non è prevista, viene a mancare un necessario presupposto per il rilascio del permesso di costruire ai sensi dell’art. 36 TU Edilizia.
La questione non è stata esaminata finora dalla giurisprudenza di legittimità, che però ha implicitamente considerato, in alcune decisioni, l’avvenuto rilascio dell’autorizzazione postuma, per lo più trattando degli effetti estintivi limitati ai soli reati urbanistici della sanatoria ex art. 36 o per altre ragioni (v., tra le più recenti, Cass. Sez. 3 n. 49679 del 18/5/2018, Paccusse, non massimata, ove si è ritenuto irrilevante il deposito a sanatoria del progetto e la mancanza di violazioni sostanziali delle norme tecniche che disciplinano l'edificazione nelle zone sismiche ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.), mentre i giudici amministrativi, come segnalato in dottrina, hanno assunto posizioni non concordi.
Vi è da un lato, infatti, una posizione più radicale che sembra escludere in ogni caso la possibilità dell’autorizzazione postuma (v. ad es. TAR Campania (NA) Sez. 7 n. 3450 del 20/5/2022; TAR Campania (NA) Sez. 8 n. 1347 del 1/3/2021; TAR Lazio (LT) Sez. 1 n. 376 del 13/10/2020. V. anche TAR Abruzzo (AQ) Sez. 1 n. 415 del 13/7/2022), non soltanto sul presupposto dell’assenza di una disciplina analoga a quella prevista dall’art. 36 del TU, ma anche per il fatto che gli artt. 96 e ss. “non danno in alcun modo vita a un procedimento amministrativo di autorizzazione in sanatoria su istanza del privato, limitandosi a consentire la conservazione del manufatto eretto in difetto di autorizzazione sismica preventiva, una volta che la vicenda penale sia stata comunque definita” (TAR Lazio (LT) n. 376\2020, cit.), ed inoltre, considerando che “mancando una puntuale disciplina positiva dell’autorizzazione sismica in sanatoria, va evitato il rischio di introdurre in una materia così delicata per l’incolumità delle persone – peraltro neppure pienamente disponibile da parte del legislatore regionale – una sorta di sanatoria giurisprudenziale fondata sull’accertamento postumo della conformità dell’opera comunque edificata alle norme tecniche per la costruzione in zone sismiche al momento della richiesta” (TAR Campania (NA) n. 1347/2021, cit.).
Altre pronunce propendono, invece, per la possibilità, a determinate condizioni, di una autorizzazione ad intervento eseguito (Cons. di Stato n. 4142\2021, cit. nell’indicare, come già detto, la natura di indispensabile presupposto dell’autorizzazione sismica per ottenere il rilascio del titolo edilizio aggiunge, tra parentesi, le parole “anche quello in sanatoria” implicitamente riconoscendo, dunque, tale possibilità, come fa anche Cons. di Stato Sez. 6, n. 3096 del 15/4/2021), senza tuttavia confrontarsi con l’opposto orientamento e dando, anzi, per scontata tale possibilità, sempreché sussista, anche sotto il profilo della specifica normativa sismica, la doppia conformità.
Più recentemente, ribadendo che l’autorizzazione sismica deve essere acquisita preventivamente rispetto al rilascio del titolo in sanatoria, si è osservato che l’art. 36 del TU Ed. subordina il rilascio del titolo in sanatoria alla conformità sostanziale delle opere già eseguite alla normativa edilizia ed urbanistica “occorrendo, dunque, verificare, ancora prima dell’adozione del permesso di costruire in sanatoria, se le opere possano o meno ritenersi sostanzialmente conformi alla disciplina di riferimento: a tali fini, risulta necessario accertare, tra l’altro, il previo rilascio dell’autorizzazione sismica (ove prevista), idonea ad escludere quei pericoli per la staticità delle opere abusive che, ove esistenti, impedirebbero la sanatoria, imponendo l’irrogazione della sanzione demolitoria” (così Cons. di Stato, Sez. 6, n. 3963 del 19/5/2022).
Si è inoltre osservato in dottrina che tale orientamento avrebbe trovato autorevole conferma in due pronunce della Corte costituzionale (Corte cost. n.101 del 29/5/2013 e n. 2 del 13/1/2021), anche se il Giudice delle Leggi, pur affermando che la regola della doppia conformità vale anche per la normativa antisismica e che “gli interventi edilizi soggetti a permesso di costruire, sia quelli consentiti a seguito di denuncia, presuppongono sempre la previa verifica del rispetto delle norme sismiche”, cosicché “non pare possa dubitarsi che la verifica della doppia conformità, alla quale l’art. 36 del testo unico subordina il rilascio dell’accertamento di conformità in sanatoria, debba riferirsi anche al rispetto delle norme sismiche, da comprendersi nelle norme per l’edilizia, sia al momento della realizzazione dell’intervento che al momento di presentazione della domanda di sanatoria”, non pare offrire decisivi spunti di riflessione circa l’assenza, nella disciplina urbanistica, di norme che prevedano espressamente un’autorizzazione sismica postuma, in quanto, pur non negando esplicitamente tale possibilità, focalizza piuttosto l’attenzione sul requisito della doppia conformità e precisa che la stessa comprende la disciplina urbanistica ed edilizia nel suo complesso, con la conseguenza che il permesso di costruire in sanatoria non può riguardare opere non conformi anche alla disciplina antisismica.
Ulteriore conseguenza di tale condivisibile assunto è che trattandosi, appunto, di doppia conformità, deve comunque escludersi ogni possibilità di sanatoria “condizionata” nei termini in precedenza descritti o che comunque preveda l’esecuzione di interventi di adeguamento.
Secondo l’orientamento più permissivo, dunque, sarebbe possibile il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria per opere realizzate in zona sismica ponendo rimedio all’originaria mancanza del nulla osta sismico attraverso una valutazione postuma della conformità dell’intervento eseguito alla specifica disciplina antisismica vigente all’epoca della sua realizzazione ed al momento in cui essa avviene.

5.2. Tale soluzione, tuttavia, come sostenuto anche in dottrina, presenta alcuni aspetti critici.
Quello più evidente è la già ricordata assenza di specifiche disposizioni che prevedano espressamente la possibilità di una valutazione postuma della compatibilità sismica, stabilendo al contrario gli artt. 93 e ss. che tale verifica deve precedere l’esecuzione dei lavori. Per tale ragione, inoltre, la procedura regolata dalle richiamate disposizioni risulta incompatibile  con la sanatoria sismica di creazione giurisprudenziale, tanto che ci si è cercato di individuare il procedimento amministrativo necessario per il conseguimento di tale sanatoria, considerando la possibilità che lo stesso sia “modellato” su quello già previsto per il rilascio della autorizzazione sismica “ordinaria”, osservando peraltro che “non è pensabile che il conseguimento del nulla osta sismico possa soggiacere al medesimo procedimento amministrativo che si sarebbe dovuto applicare all’epoca dell’intervento ove tale procedimento non sia più vigente, poiché ciò contrasterebbe evidentemente con il principio del tempus regit actum”.
La mancanza di una procedura puntualmente disciplinata dalla legge, inoltre, potrebbe portare alla adozione di differenti prassi nei singoli uffici competenti, aggravando ulteriormente l’attuale situazione, già caratterizzata talvolta da disinvolte applicazioni della disciplina nazionale, come si è visto, ad esempio, con la più volte menzionata sanatoria condizionata.
Si tratterebbe, inoltre, di una procedura che ingiustamente porrebbe sullo stesso piano colui che, diligentemente, agisce osservando la legge rispetto a chi realizza un intervento senza titolo, sottraendo le opere ad ogni preventivo controllo, perché il rilascio dell’autorizzazione antisismica postuma effettuato adattando il procedimento ordinario non prevede, ovviamente, a differenza di quanto stabilito dall’art. 36, alcun pagamento di somme a titolo di oblazione, né termini specifici trascorsi i quali si perfeziona il silenzio-rifiuto.  Ma ciò che sembra maggiormente preoccupante è che tutto ciò avverrebbe con riferimento ad una disciplina appositamente dettata per tutelare la pubblica incolumità, offrendo la possibilità di regolarizzare interventi edilizi eseguiti in assenza del necessario preventivo controllo attraverso procedure non disciplinate dalla legge e con tempistica non prevedibile, senza contare gli inevitabili effetti criminogeni generati dalla consapevolezza di poter realizzare un intervento edilizio senza titolo con la possibilità di sanarlo a posteriori, magari solo in caso di verifica da parte delle amministrazioni competenti, come già spesso avviene per il permesso di costruire in sanatoria.
Vero è, come osservato in dottrina, che la soluzione interpretativa la quale ammette la sanatoria antisismica consente di colmare la mancanza di una normativa specifica e di evitare il rigetto di qualsiasi sanatoria di immobili realizzati in zona sismica anche nel caso in cui risultino pienamente conformi alla normativa tecnica di settore e, in quanto tali, inidonei a ledere l’interesse pubblico alla sicurezza delle costruzioni, ma l’orientamento più rigoroso della giurisprudenza amministrativa sembra rispondere a criteri di maggiore prudenza, in considerazione della materia trattata e conforme al dettato normativo che non ha finora previsto, nonostante le numerose modifiche, alcuna possibilità di autorizzazione simica postuma, dovendosi pertanto dubitare che l’osservanza della legge comporti la paventata violazione dei principi di buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost., nonché di economicità ed efficacia presidiati dall’art. 1 della L. 241/1990. 
Da qui, dunque, la soluzione, che questo Collegio condivide (in assenza peraltro di precedenti giurisprudenziali sul punto da parte della giurisprudenza di legittimità che, come si è detto, non ha mai direttamente trattato i temi di cui si è ripetutamente occupato il giudice amministrativo, limitandosi a ribadire che il deposito allo sportello unico, dopo la realizzazione delle opere e, quindi, "a sanatoria", della comunicazione richiesta dall'art. 93 TU Ed. e degli elaborati progettuali non estingue la contravvenzione antisismica: tra le più recenti, Cass. Sez. 3, n. 19196 del 26/2/2019, Greco Rv. 275757; Sez. 3, n. 11271 del 17/2/2010, Braccolino, Rv. 246462; le stesse conclusioni sono state peraltro tratte con riferimento ai reati in materia di costruzioni in cemento armato in Sez. 3, n. 54707 del 13/11/2018, Cardella, Rv. 274212), secondo cui il rispetto del requisito della doppia conformità è da ritenersi escluso in caso di violazione della disciplina antisismica, come avvenuto nel caso in esame.

6. La difesa erra anche laddove non ritiene l’atto di asservimento una condicio sine qua non al fine del rilascio della sanatoria.

6.1. In via preliminare e in termini generali si rileva che l’asservimento, definito dalla normativa (cfr. art. 5, comma 1, lettera c, del decreto legge n. 70 del 2011, convertito con modificazioni, in legge n. 106 del 2011) consiste, come specificato sia dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. n. 3 del 2009) che dalla Suprema Corte (Sez.3, n.8635 del 18/09/2014, dep.27/02/2015, Rv.262512), in una fattispecie negoziale atipica avente effetti obbligatori in base ai quali un'area viene destinata a servire al computo dell'edificabilità di altro fondo. La legittimità di tale istituto è stata ripetutamente avallata in sede giurisprudenziale (per tutte si richiama Cons. St., Sez. V, 28 giugno 2000, n. 3636), in forza del quale è consentita, a prescindere dalla comune titolarità dei due terreni, la "cessione" della cubatura edificabile propria di un fondo in favore di altro fondo, cosicché, invariata la cubatura complessiva risultante, il fondo cessionario sarà caratterizzato da un indice di edificabilità superiore a quello originariamente goduto.
L'asservimento realizza, in definitiva, una specie particolare di relazione pertinenziale, nella quale viene posta durevolmente a servizio di un fondo la qualità edificatoria di un altro. Scopo dell’atto di asservimento è quello di incrementare la cubatura disponibile su un fondo, sfruttando quella concessa (e non utilizzata) ad altro fondo della medesima area, il quale viene, conseguentemente, assoggettato a vincolo di inedificabilità. L'atto di asservimento dei suoli comporta la cessione di cubatura tra fondi contigui ed è funzionale ad accrescere la potenzialità edilizia di un'area per mezzo dell'utilizzo della cubatura realizzabile in una particella contigua e del conseguente computo anche della superficie di quest'ultima, ai fini della verifica del rispetto dell'indice di fabbricabilità fondiaria.
Tale meccanismo, tuttavia, onde evitare la facile elusione dei vincoli posti alla realizzazione di manufatti edili in funzione della corretta gestione del territorio, è soggetto a determinate condizioni delle quali le principali, rilevanti nella presente vicenda, sono costituite: a) dall'essere i terreni in questione se non precisamente contermini, quanto meno dotati del requisito della reciproca prossimità (si veda in tal senso anche la giurisprudenza amministrativa cfr. Cons. Stato, sez. V, 10 marzo 2003, n. 1278); b) dall'essere i medesimi caratterizzati sia dalla omogeneità urbanistica, avere cioè tutti la medesima destinazione, sia dal medesimo indice di fabbricabilità originario (anche in questo caso cfr. Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2006, n. 2488; Cons. Stato, sez. V, 30 ottobre 2003, n. 6734). E', infatti, evidente che in assenza delle predette condizioni, attraverso l'utilizzazione del predetto strumento, astrattamente del tutto legittimo, sarebbe possibile realizzare scopi del tutto estranei ed anzi confliggenti con le esigenze di corretta pianificazione del territorio.
Secondo quanto premesso in diritto, è logico affermare che l’atto di asservimento sia un presupposto legale del permesso a costruire, anche se in sanatoria, perché il rilascio del titolo abilitativo si fonda sulla verifica della legittimità della cessione di cubatura e non solo, come afferma il PG, solo in tal modo ai fondi interessati viene impressa, in modo definitivo e conoscibile mediante l’annotazione negli atti comunali, la destinazione servente necessaria per la costruzione, mentre la mera disponibilità costituisce una situazione di fatto inidonea a garantire l’irreversibilità dell’accorpamento tra i fondi prima della edificazione.

6.2. Giova poi precisare che l’ordinamento giuridico conosce, attualmente, due ipotesi di sanatoria degli abusi edilizi: una sanatoria di carattere straordinario (comunemente definita “condono edilizio”, introdotta per la prima volta dagli artt. 31 e ss. della L. 47/1985 e, successivamente, dalla L. 724/1994 e dalla L. 326/2003) e una sanatoria ordinaria (“a regime”), definita “accertamento di conformità”, introdotta dall’art. 13 della L. 47/1985 e oggi prevista dall’art. 36 del DPR 380/2001.
A queste due tipologie se ne affianca un’altra di natura pretoria, la c.d. “sanatoria giurisprudenziale” o “impropria”, ancor più risalente perché creata nella vigenza della cosiddetta Legge Bucalossi (L. 10/1977), della cosiddetta Legge Ponte (L. 765/1967) e della L.U.F. (L. 1150/1942).
Se la sanatoria ex art. 36 del DPR 380 del 2001 si realizza allorquando l’opera realizzata in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, sia conforme tanto alle norme vigenti al momento della sua realizzazione quanto a quelle vigenti alla presentazione della domanda di regolarizzazione, la sanatoria giurisprudenziale opera quando l’intervento, sia pure privo del titolo abilitativo,  è sostanzialmente non contrastante con le norme e le prescrizioni urbanistiche, pertanto sanabili con atto successivo.
A tal proposito, la V Sezione del Consiglio di Stato così si pronunciava: «La concessione in sanatoria è istituto dedotto dai principi generali attinenti al buon andamento e all’economia dell’azione amministrativa, e consiste nell’obbligo di rilasciare la concessione quando sia regolarmente richiesta e conforme alle norme urbanistiche vigenti al momento del rilascio, anche se l’opera alla quale si riferisce sia già stata realizzata abusivamente; pertanto, tale generale istituto resta fermo anche successivamente alla previsione espressa della concessione in sanatoria di cui all’art. 13 della L. 28 febbraio 1985 n. 47».
Nel parere reso sulla proposta di Testo Unico per il riordino delle materie e dei procedimenti relativi al rilascio delle concessioni edilizie e del certificato di agibilità, l’Adunanza generale del Consiglio di Stato aveva auspicato la “codificazione” dell’istituto della “sanatoria giurisprudenziale”. La riproposizione tale e quale del testo previgente ha comportato, nella giurisprudenza amministrativa, una sorta di “presa d’atto” della mancata adesione, da parte del Legislatore delegato, all’auspicio espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva.
Ed infatti, nelle più recenti decisioni del Consiglio di Stato prevale l’indirizzo contrario alla “sanatoria giurisprudenziale”, fondato principalmente sull’assunto per cui qualsivoglia forma di regolarizzazione atipica degli abusi edilizi sarebbe esclusa dalla formulazione testuale contenuta nell’art. 36 del DPR 380/2001 (e, in precedenza, nell’art. 13 della L. 47/1985). Secondo tale orientamento, la sanatoria, lungi dal rappresentare un principio generale dell’azione amministrativa, costituirebbe un istituto di carattere eccezionale, soggetto a esegesi restrittiva; inoltre, i principi di proporzionalità e buon andamento della P.A. dovrebbero cedere di fronte a quello di legalità, che non consentirebbe la legittimazione di situazioni antigiuridiche al di fuori dei casi tassativamente contemplati. In tal senso, si veda, da ultimo, Consiglio di Stato Sez. VI n. 7291 del 19 agosto 2022 “Sul piano letterale, l’art. 36 DPR n. 380/01 richiede chiaramente la conformità dell’intervento edilizio abusivo “alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”, con la conseguenza che l’unico illecito sanabile, come sopra osservato, è quello formale, dato dalla realizzazione di opere originariamente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia all’uopo applicabile, abusive soltanto per la loro mancata sottoposizione al previo controllo amministrativo, da svolgere in sede di rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo (eventualmente anche in variante di un titolo precedentemente rilasciato). Opere, invece, difformi ab origine dal quadro regolatorio di riferimento non potrebbero essere ammesse a sanatoria, dando luogo ad un abuso sostanziale, da sanzionare attraverso l’ordine di demolizione e di riduzione in pristino ex artt. 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, DPR n. 380/01, richiamati dallo stesso art. 36 DPR n. 380/01. 13.4 Sul piano teleologico, si osserva che, come precisato dalla Corte Costituzionale, il requisito della doppia conformità riveste importanza cruciale nella disciplina edilizia, imponendo che “la conformità alla disciplina edilizia e urbanistica deve essere salvaguardata "durante tutto l'arco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità"(fra le molte, sentenza n. 68 del 2018, punto 14.2. del Considerato in diritto)” (Corte costituzionale, 28 gennaio 2022, n. 24). Difatti, “costituisce principio fondamentale della materia governo del territorio la verifica della cosiddetta "doppia conformità" di cui al menzionato art. 36 t.u. edilizia” (Corte costituzionale, 21 aprile 2021, n. 77), con la conseguenza che il requisito della doppia conformità non potrebbe essere derogato neppure dalla legislazione regionale. Il giudice costituzionale, nel richiamare la giurisprudenza amministrativa, ha pure valorizzato “la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, «anche di natura preventiva e deterrente», finalizzata a frenare l'abusivismo edilizio, in modo da escludere letture «sostanzialiste» della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell' istanza per l'accertamento di conformità (citata pronuncia del Consiglio di Stato, sezione IV, 21 dicembre 2012, n. 6657)” (Corte 29 maggio 2013, n. 101). Si conferma, dunque, che il requisito della doppia conformità risulta strettamente correlato alla natura della violazione edilizia sottostante, potendo riferirsi agli abusi meramente formali, come tali afferenti ad opere sin dall’origine conformi alla disciplina edilizia e urbanistica di riferimento.”

6.3. Dall’altro lato, invece, la giurisprudenza penale della Corte di Cassazione non rinnega l’istituto della “sanatoria impropria”, evidenziando che tale regolarizzazione atipica «discende dai principi generali attinenti al buon andamento ed all’economia dell’azione amministrativa», tuttavia rilevando come la stessa possa avere esclusivamente effetti sul piano amministrativo, pur non essendo idonea – a differenza dell’accertamento di conformità disciplinato dall’art. 36 del DPR 380/2001 – a estinguere i reati contravvenzionali ex art. 44 del DPR 380/2001.
Invero, tutti gli interpreti (sia quelli favorevoli alla “sanatoria giurisprudenziale” sia quelli contrari) sono sempre stati concordi nel ritenere che la sanatoria atipica – a differenza dell’accertamento di conformità ex art. 13 della L. 47/1985 – non avesse efficacia estintiva del reato edilizio: la cosiddetta “sanatoria giurisprudenziale” vale soltanto a regolarizzare dal punto di vista amministrativo l’intervenuta costruzione (ciò che eminentemente interessa e rileva per la P.A. a tutela del pubblico interesse), ma non elimina le conseguenze penali che sono di stretta competenza dell’autorità giudiziaria. (Cass. pen., Sez. 3, n. 45845 del 19/09/2019; Rv. 277265 – 01; Sez. 3, n.  47402 del 21/10/2014; Rv. 260973 – 01; Sez. 3, n. 19587 del 27/04/2011; Rv. 250477 – 01; Sez. 3, n. 291 del 26/11/2003).
A contrario, la sanatoria propria o ex art. 36 T. U. Edilizia determina un effetto estintivo sul reato, secondo quanto disposto dall’art. 45 del medesimo testo normativo. La causa di estinzione del reato per violazioni edilizie, prevista dall'art. 45 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, ha stabilito la Suprema Corte, dopo un primo indirizzo contrario (si veda Sez. 3, sentenza n. 11425 del 02/10/1997, Rv. 209642 – 01; contraria alla pronuncia della Consulta n. 370/1988), a seguito del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, si estende a tutti i responsabili dell'abuso, e non soltanto ai soggetti che abbiano richiesto ed ottenuto il provvedimento sanante, atteso che il meccanismo di estinzione non si fonda, nonostante la impropria formulazione letterale adottata dall'art. 36, comma secondo, del citato d.P.R. n. 380, su un effetto estintivo connesso al pagamento di una somma a titolo di oblazione, bensì sull'effettivo rilascio del permesso di costruire successivamente alla verifica della conformità delle opere abusive alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione sia in quello della richiesta. (Sez. 3, n.  261232 del 12/04/2005, Rv. 231940 – 01).

6.4. Tanto premesso, per ciò che concerne i fatti che occupano, si conclude legittimando l’operato dei giudici di secondo grado, i quali rispondono in maniera esaustiva alla doglianza, che era già stata loro posta e che oggi viene riprodotta tout court, evidenziando come giustamente già il giudice di prime cure avesse ritenuto che nella fattispecie non sussistessero i presupposti per la sanatoria, versandosi in ipotesi di sanatoria impropria, e rigettando entrambi i motivi dedotti.

7. Con il quarto motivo di ricorso la difesa si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche sulla scorta della disponibilità del lotto minimo, dei terreni per raggiungere la cubatura necessaria e dello stato di incensuratezza.

7.1. Entrambi i giudici di merito, invece, ne hanno escluso l’applicabilità “non sussistendo alcun elemento positivo concretamente valorizzabile e viceversa, si rileva la presenza degli indici oggettivi e soggettivi complessivamente negativi” (pag. 5 della sentenza di secondo grado) ed invero, “poco apprezzabile è stato il tentativo dell’imputata di celare il rigetto della prima istanza di sanatoria, donando parte dell’immobile alla figlia e facendo sì che fosse lei, una volta ottenuta la conformità urbanistica, a ripresentare l’istanza” (pag. 7 Sentenza di primo grado).
Ricorre, nel caso di specie, la c.d. doppia conforme, potendo quindi integrarsi reciprocamente le due motivazioni dei precedenti gradi di giudizio di merito al fine di valutare la tenuta logico-giuridica dell’iter espresso nella pronuncia impugnata (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 -01), unico sindacato invero concesso in sede di legittimità dovendosi, infatti, ricordare che in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile nella suddetta sede, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell'esclusione. (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419).

7.2. Quando addotto dai giudici di merito non è né contraddittorio, né manifestamente illogico né tanto meno apparente, al contrario la puntualità e congruità logica che emerge dal provvedimento impugnato porta a ritenere la doglianza proposta, peraltro già dedotta con i motivi di appello, manifestamente infondata e generica con conseguente declaratoria di inammissibilità della stessa.

8. Con il quinto motivo di ricorso la difesa, in sintesi, si duole per l’omessa applicazione dell’art. 131 bis c.p. ai fatti oggetto di contestazione, nonostante l’assenza di un effettivo danno cagionato all’ambiente poiché rientrava nelle sue possibilità realizzarlo, come sarebbe attestato dalla regolarizzazione con l’Ufficio del Genio Civile di Agrigento, e la condotta tenuta dalla ricorrente.

8.1. La doglianza è priva di pregio.
La questione concernente l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. alla fattispecie concreta risulta essere stata affrontata da entrambi i giudici del merito, i quali, sulla questione, hanno speso le considerazioni che seguono.
Il Tribunale di Agrigento ha affermato che “non sussistono gli estremi per applicare la causa di non punibilità prevista dall’art. 131bis c.p., poiché non si rinvengono elementi positivi che facciano ritenere che, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa sia da ritenersi di particolare tenuità; il disvalore espresso dal fatto addebitato all’imputata, infatti, è quello normalmente espresso da fatti similari, senza che possa predicarsene una particolare lievità in virtù di particolari elementi emersi nel corso del giudizio.” (pag. 6).
Successivamente, la Corte territoriale è tornata sulla questione ritenendo che “il fatto non può ritenersi di particolare tenuità, ostandovi il non esiguo danno cagionato all’ambiente, nonché la condotta complessivamente tenuta dall’imputata. Ed invero, l’illecito edilizio contesto ha avuto ad oggetto la realizzazione abusiva e non autorizzata di un intero piano sopraelevato (adibito di apposita scala esterna in cemento armato), per di più realizzato in zona sismica ed in assenza di un progetto redatto da un tecnico qualificato. Inoltre, osta la complessiva condotta tenuta dall’imputata, che ha cercato di aggirare il primo diniego di sanatoria per il tramite della cessione a titolo gratuito dell’immobile alla propria figlia” (pag. 4).

8.2. Orbene, dalla lettura congiunta delle due sentenze di condanna (che, come detto, si integrano reciprocamente: Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595), si ricava che i giudici del merito hanno invero fatto buon governo del consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo. (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590 – 01). Tuttavia, non è necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l'indicazione di quelli ritenuti rilevanti. (Sez. 6, n. 55107 del 08/11/2018, Rv. 274647 – 01; Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Rv. 273678 - 01).
Dirimente sul punto è soprattutto l’orientamento enucleato da questa Sezione secondo cui in tema di violazioni urbanistiche, quando la consistenza dell'opera è tale da escludere in radice l'esiguità del danno o del pericolo, correttamente il giudice nega l'applicazione della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis cod. pen. (Fattispecie relativa ad un fabbricato a due piani in cemento armato, in zona sismica e totalmente abusivo) Sez. 3, n.  33414del 04/03/2021, Rv. 282328 – 01)

8.3. Ed invero, nel caso di specie, i giudici del merito hanno ritenuto di escludere la particolare tenuità del fatto in ragione, essenzialmente, di due elementi ritenuti assorbenti: la non esiguità del danno e la condotta tenuta dalla ricorrente.
La Corte territoriale soprattutto ha tenuto a precisare sia come gli interventi in questione hanno inciso in modo significativo sul territorio, avendo comportato la realizzazione di una costruzione in zona sismica senza il rispetto della normativa prevista sia il tentato raggiro dei limiti da parte della stessa imputata.
Infine, per quanto riguarda i reati edilizi e paesaggistici, giova ricordare che sebbene sia vero che in tema di particolare tenuità del fatto, il reato permanente, in quanto caratterizzato dalla persistenza, ma non dalla reiterazione, della condotta, non è riconducibile nell'alveo del comportamento abituale che preclude l'applicazione di cui all'art. 131 bis cod. pen., è anche vero che importa una attenta valutazione con riferimento alla configurabilità della particolare tenuità dell'offesa, la cui sussistenza è tanto più difficilmente rilevabile quanto più a lungo si sia protratta la permanenza. (Sez. 3, n. 47039 del 08/10/2015, Rv. 265448 – 01)

8.4. Per quanto sopra, le doglianze difensive si presentano distoniche rispetto al contenuto delle sentenze di condanna, non solo perché la Corte territoriale non ha mancato di spiegare il motivo per cui ha ritenuto non minimale il danno ambientale dalle stesse arrecato in un’area che – giova ricordarlo – risulta essere zona sismica, ma anche perché i ricorrenti pretenderebbero di mettere in crisi le valutazioni dei giudici del merito esclusivamente richiamando la richiesta di regolarizzazione presso l’Ente competente.
Tanto basta a ritenere anche la presente doglianza infondata.

9. Resta da esaminare l’ultimo motivo di ricorso, con cui la difesa censura la subordinazione della sospensione della pena alla previa demolizione dell’abuso edilizio.

9.1. Il Tribunale di Agrigento ha infatti ritenuto sussistenti “i requisiti di legge per sospendere la pena ai sensi degli artt. 163 e seguenti del codice penale, essendo l’imputata senza precedenti penali e potendosi ritenere che in futuro si asterrà da eventuali occasioni di reato; per meglio perseguire la ratio della norma, la concessione del beneficio deve essere subordinata all’adempimento dell’ordine di demolizione dell’opera con rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro il termine indicato dal dispositivo.” (pag. 7).
Il Giudice territoriale avallando le conclusioni del primo giudice, ha poi ribadito che: “neppure può trovare accoglimento l’ulteriore motivo di impugnazione tendente alla revoca della condizione della demolizione alla quale è stato subordinato il beneficio della sospensione della pena. Difatti, il tentativo di aggirare l’originario provvedimento di rigetto della sanatoria attraverso la donazione dell’immobile è indice al sicuro di pervicacia criminosa da neutralizzarsi al fine di evitare la possibile ricaduta nell’illecito. In ogni caso, l’apposizione di una condizione al beneficio della sospensione della pena, ai sensi degli artt. 164 e 165 c.p. rientra a pieno nella piena discrezionalità del giudice che deve tendere pur sempre al fine ultimo dell’eliminazione delle conseguenze dannose dell’illecito” (pag. 4).

9.2. È ben vero che è riconosciuta la possibilità, per il giudice penale, di subordinare l’applicazione della sospensione condizionale alla demolizione delle opere abusive. Tale possibilità, confermata anche dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 714 del 20/11/1996 (dep. 03/02/1997), Rv. 206659) appare, peraltro, giustificata dalla circostanza che la presenza sul territorio di un manufatto abusivo rappresenta, indiscutibilmente, una conseguenza dannosa o pericolosa del reato, da eliminare (Sez. 3, n. 32351 del 1/7/2015, Rv. 264252; Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013 (dep. 28/01/2014), Rv. 258517; Sez. 3, n. 28356 del 21/5/2013, Rv. 255466; Sez. 3, n. 38071 del 19/9/2007, Rv. 237825; Sez. 3, n. 18304 del 17/1/2003, Rv. 22471; Sez. 3, n. 4086 del 17/12/1999 (dep. 07/04/2000), Rv. 216444).
Non rileva, poi, il fatto che l’immobile sia in comproprietà con la figlia, posto che l'ordine di demolizione delle opere abusive emesso dal giudice penale ha carattere reale e natura di sanzione amministrativa a contenuto ripristinatorio e deve pertanto essere eseguito nei confronti di tutti i soggetti che sono in rapporto col bene e vantano su di esso un diritto reale o personale di godimento, anche se si tratti di soggetti estranei alla commissione del reato. (Sez. 3, n. 47281 del 21/10/2009 Rv. 245403 – 01; Sez. 3, n. 801 del 02/12/2010, Rv. 249129 – 01; Sez. 3, n. 42699 del 07/07/2015, Rv. 265193 – 01). Ne consegue che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, legittimamente adottato, deve essere eseguito nei confronti del proprietario dell'immobile indipendentemente dall'essere egli stato anche autore dell'abuso, salva la facoltà del medesimo di far valere, sul piano civile, la responsabilità, contrattuale o extracontrattuale, del proprio dante causa (Sez. 3, n. 39322 del 13/07/2009, Rv. 244612).
Allo stesso modo e per le medesime ragioni, non rileva che la parte della proprietà del manufatto abusivo appartenga ad altro soggetto, posto che l'ordine di demolizione ha colpito il cespite nella sua interezza in capo al dante causa e che perciò anche nei confronti del comproprietario l'ordine di demolizione deve essere eseguito.

9.3. Non rileva nemmeno la circostanza che sia intervenuto il rilascio del permesso a costruire in sanatoria in favore della figlia della ricorrente, quale comproprietaria dell’immobile, ciò che, per il P.G., sarebbe in astratto ostativo alla demolizione.
Ed invero, la decisione richiamata dal Procuratore Generale (Sez. 3, n. 7109/2010, Rv. 246201 – 01), secondo cui “il rilascio della sanatoria edilizia conseguente alla definizione della procedura di condono attivata da terzi estranei all'abuso, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di condanna dell'autore dell'illecito rimasto estraneo a detta procedura, pur regolarizzando la costruzione abusiva sotto il profilo urbanistico, non produce alcun effetto estintivo per il condannato, né comporta l'obbligo di annotazione dell'oblazione nel casellario giudiziale ai sensi dell'art. 38, comma quarto, L. 28 febbraio 1985, n. 47”, ha correttamente precisato in motivazione che il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria può comportare l'inapplicabilità od anche la revoca dell'ordine di demolizione eventualmente disposto dal giudice. Essa è tuttavia relativa ad una sanatoria conseguente ad istanza di condono edilizio, che è fondata su presupposti e condizioni diverse rispetto alla sanatoria “per doppia conformità” rilasciata a norma degli artt. 36 e 45, TU Edilizia.
Sul punto, del resto, questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi con l’autorevole insegnamento impartito dalle Sezioni Unite (Sez. U, sentenza n. 15427 del 31/03/2016 - dep. 13/04/2016, Cavallo, Rv. 267042), richiamando l'attenzione sulle differenze intercorrenti tra la disciplina del "condono edilizio", di cui alle leggi 28 febbraio 1985, n. 47, 23 dicembre 1994, n. 724, e 24 novembre 2003, n. 326 (quest'ultima di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269), e quella della "sanatoria" conseguente ad accertamento di conformità, disciplinata dall'art. 36 del Testo Unico dell'edilizia (d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380). Come è noto, con la legge 28 febbraio 1985, n. 47, si è individuata, per la prima volta, una disciplina organica dell'attività edilizia, sulla quale era in precedenza intervenuta la legge 28 gennaio 1977, n. 10, operandosi una consistente revisione della normativa previgente. L'entrata in vigore della legge n. 47/85 venne accompagnata dalla previsione del primo condono edilizio, che aveva lo scopo di dare un netto taglio al passato, recuperando le opere abusive fino ad allora realizzate. Tale scelta legislativa, venne poi replicata, per ragioni di razionalizzazione della finanza pubblica, con la legge 23 dicembre 1994, n. 724, e, successivamente, con la legge 24 novembre 2003, n. 326, la quale convertiva, con modificazioni, il decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269. La legge n. 724/1994 e la successiva legge n. 326/2003, pur prevedendo, per la definizione degli illeciti edilizi presi in considerazione, requisiti e formalità differenti, fanno comunque riferimento alle disposizioni di cui ai capi IV e V della legge n. 47 del 1985, alle quali hanno anche apportato modifiche.
Come si rileva, dunque, dalla lettura delle menzionate disposizioni, il condono edilizio si caratterizza per l'efficacia limitata nel tempo, poiché è finalizzato alla regolarizzazione di determinati abusi edilizi realizzati entro un limite temporale individuato dalla norma. Il suo effetto estintivo, inoltre, consegue al pagamento di un'oblazione, formalizzato attraverso l'attestazione, da parte dell'autorità comunale, della congruità di quanto corrisposto a tale titolo. Esso opera, peraltro, anche con riferimento ad interventi in contrasto con gli strumenti urbanistici e produce effetti estintivi anche verso reati conseguenti alla violazione delle norme antisismiche e sulle costruzioni in cemento armato.
La sanatoria disciplinata dagli articoli 36 e 45 d.P.R. n. 380/01 (e, in precedenza, dagli artt. 13 e 22 legge n. 47 del 1985) opera, al contrario, su un piano del tutto diverso, in quanto destinata, in via generale, al recupero degli interventi abusivi previo accertamento della conformità degli stessi agli strumenti urbanistici generali e di attuazione, nonché alla verifica della sussistenza di altri requisiti di legge specificamente individuati. In base al menzionato articolo 36, la sanatoria può essere ottenuta quando l'opera eseguita in assenza del permesso sia conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati o non in contrasto con quelli adottati, tanto al momento della realizzazione dell'opera, quanto al momento della presentazione della domanda, che può avvenire fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e, comunque, fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative. Sulla richiesta di sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale deve pronunciarsi - con adeguata motivazione - entro sessanta giorni, trascorsi inutilmente i quali la domanda si intende respinta. L'istanza è subordinata, inoltre, al pagamento di una somma a titolo di oblazione, secondo le modalità descritte nello stesso articolo. In base a quanto espressamente disposto dall'articolo 45, il rilascio della sanatoria «estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti», con esclusione, quindi, di altri reati eventualmente concorrenti.

9.4. Si tratta, dunque, di istituti che hanno finalità ed ambito di applicazione del tutto differenti e che non possono essere confusi, come ha già rilevato la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 3, n. 6331 del 20/12/2007, dep. 2008, Latteri, Rv. 238822; Sez. 3, n. 10307 del 28/9/1988, Serra, Rv. 179501; Sez. 3, n. 9797 del 22/6/1987, Scarcella, Rv. 176643), riconoscendo, tra l'altro, la specialità della disciplina del condono edilizio rispetto a quella della sanatoria conseguente all'accertamento di conformità (Sez. 3, n. 23996 del 12/5/2011, De Crescenzo, Rv. 250607). A conclusioni analoghe è peraltro pervenuta anche la giurisprudenza amministrativa, rilevando l'antiteticità dei presupposti dei due procedimenti di sanatoria, per il fatto che il condono edilizio concerne il perdono ex lege per la realizzazione, senza titolo abilitativo, di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche, comportante una violazione sostanziale, mentre la sanatoria riguarda l'accertamento postumo della conformità dell'intervento edilizio realizzato senza permesso di costruire agli strumenti urbanistici e riguarda una violazione formale (così, Cons. Stato, sez. 6, n. 466 del 02/02/2015).
Proprio tale ragione, la circostanza che la sanatoria edilizia rilasciata (peraltro erroneamente, in difetto del requisito della doppia conformità e ostandovi la accertata violazione della normativa antisismica, come ampiamente chiarito in precedenza), alla figlia della ricorrente fosse conseguente ad una procedura formalmente avviata ex artt. 36 e 45, TU Edilizia, esclude qualsiasi sua rilevanza rispetto alla sopravvivenza della costruzione edilizia in questione, posto che solo il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria a seguito dell’istanza di condono può, come affermato nella richiamata decisione citata dal Procuratore Generale, comportare l'inapplicabilità od anche la revoca dell'ordine di demolizione eventualmente disposto dal giudice.

10. Il ricorso dev’essere, pertanto, rigettato, con condanna ex lege della ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendo peraltro ancora maturato il termine di prescrizione dei reati, consumatisi al momento del sequestro (3.04.2017), in quanto al termine di prescrizione massima (3.04.2022), devono essere aggiunti gg. 376 di sospensione del termine di prescrizione, verificatisi nel giudizio di primo grado, con conseguente spirare del termine alla data del 14.04.2023.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 14 dicembre 2022