Cass. Sez. III n. 38799 del 24 settembre 2015 (Cc 16 set 2015)
Presidente: Squassoni Estensore: Scarcella Imputato: De Paola
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e integrazione a titolo di colpa

Il reato di lottizzazione abusiva, che è a consumazione alternativa, potendosi realizzare sia per il difetto di autorizzazione sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici, può essere integrato anche a titolo di sola colpa. (Fattispecie di acquisto, come autonome residenze private, di unità immobiliari facenti parte di complesso turistico - alberghiero).


 RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 4/12/2014, depositata in data 12/01/2015, il tribunale del riesame di LATINA respingeva la richiesta di riesame proposta nell'interesse di D.P.R. (richiesta che, nell'ordinanza impugnata, si chiarisce essere "generica" quanto ai motivi, essendosi limitato il D.P. nella sede incidentale cautelare collegiale a contestare - appunto, senza alcuna specificazione dei motivi -, l'insussistenza del fumus dei reati e del periculum in mora) relativa ai decreto di sequestro preventivo disposto in data 27/10/2014 dal GIP presso il medesimo tribunale ed avente ad oggetto l'intera area denominata lotto n. 42 del Programma Integrato di Sperlonga, della superficie di mq. 2640, unitamente al sovrastante complesso residenziale in corso di realizzazione, composto da piano seminterrato, p.t. rialzato e primo piano, ove trovano collocazione n. 21 autonomi appartamenti residenziali, oltre al piano sottotetto di mq. 300, al cui interno risultano n. 10 vani deposito trasformati in superfici residenziali e annessi tramite scale interne alle sottostanti abitazioni al primo piano; il GIP, in particolare, ravvisava il fumus del reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), e del reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, essendo stati realizzati molteplici interventi edilizi (illegittima trasformazione del piano interrato in seminterrato; illegittimo mutamento della destinazione d'uso dei preesistenti alloggi ricettivi alberghieri in 21 autonomi appartamenti residenziali; realizzazione di un piano sottotetto di mq. 300, al cui interno risultano n. 10 vani deposito trasformati in superfici residenziali e annessi tramite scale interne alle sottostanti abitazioni al primo piano), in assenza di p.d.c. e comunque in totale difformità dalla concessione edilizia n. 71/2003, nonchè in assenza di autorizzazione ambientale, necessaria in quanto l'immobile ricade all'interno di un'area vincolata paesaggisticamente con D.M. 17 maggio 1956; il GIP, inoltre, ravvisava il reato di lottizzazione abusiva, in quanto il complesso immobiliare in questione, assentito come attività ricettiva alberghiera, subiva ampliamenti e cambi di destinazione d'uso illegittimi e veniva illegittimamente trasformato in un complesso residenziale costituito da 21 singole unità abitative, che venivano vendute a molteplici acquirenti, il tutto in assenza di un piano particolareggiato, nonchè in assenza della previsione di opere di urbanizzazione primari e secondarie, necessarie considerato il notevole incremento del carico urbanistico nell'area ed in contrasto con la concessione edilizia n. 71/2003, con l'atto di asservimento del 22/01/2003, con il Programma integrato di Sperlonga, con la L.R. Lazio n. 13 del 2009 e con la L.R. Lazio n. 21 del 2009.

2.Ha proposto ricorso DE PAOLA RAFFAELE impugnando la ordinanza predetta con cui deduce sette motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), sotto il profilo della violazione di legge in relazione all'art. 321 c.p.p., commi 1 e 2, L.R. Lazio n. 22 del 1997, art. 6, D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 15 e 22, in relazione ai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 44.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, si sostiene, trattandosi di mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionali omogenee, il ricorso allo strumento SCIA è assolutamente legittimo; gli immobili in questione, ubicati sul lotto 42 di proprietà della IMMOBILDI s.r.l., a seguito di cambio di destinazione d'uso da ricettivo a residenziale, non sono transitati da una categoria autonoma ad un'altra, in quanto ambedue gli usi sono consentiti dal Programma Integrato; gli immobili non hanno alcuna incidenza sulle destinazioni funzionali ammesse dal P.I. nè alterano in alcun caso gli equilibri prefigurati nel P.I. stesso, precisandosi che la previsione di standard urbanistici della funzione residenziale è leggermente inferiore di quelli della funzione ricettiva; il p.d.c. dunque sarebbe necessario solo per mutamento di destinazione d'uso tra categorie funzionali eterogenee, mentre nel caso in esame, trattandosi di categorie funzionali omogenee, non era necessario alcun p.d.c. essendo dunque viceversa legittimo il ricorso alla SCIA;

solo i lavori di completamento, peraltro in ossequio a quanto disposto del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 15 e 22, venivano realizzati con ricorso alla DIA; l'ordinanza non avrebbe tenuto conto del fatto che la contestata prosecuzione delle opere è avvenuta successivamente al dissequestro per effetto di procedure DIA, inesistente all'epoca della nota UTC 1/04/2010 e legittima D.P.R. n. 380 del 2001, ex artt. 15 e 22; sarebbe privo di pregio l'argomento relativo alla documentazione catastale, per le ragioni espresse alle pagg.3 e 4 del ricorso; erronea sarebbe stata l'interpretazione del tribunale quanto all'inapplicabilità della L.R. n. 22 del 1997, art. 6, per violazione del limite del 10% prescritto dalla norma, non avendo previsto il Legislatore, si sostiene in ricorso, alcun obbligo di ripartizione proporzionale tra lotti; ancora, quanto alla ritenuta violazione del vincolo di indivisibilità assunto con l'atto di asservimento C., si sostiene che il vincolo non era prevista dal piano integrato approvato dal comune di Sperlonga, venendo introdotto solo con l'atto di asservimento datato 22/01/2003, donde non poteva essere inteso quale elemento impeditivo del frazionamento della proprietà e non necessitava di intervento del Consiglio o della Giunta per essere rimosso in quanto non previsto nè nel p.i. nè sulla Convenzione del 20/02/2001 nè da altre fonti legislative;

il vincolo di indisponibilità, essendo peraltro correlabile unicamente alla gestione e non già alla proprietà, non potrebbe in alcun modo integrare l'elemento materiale del reato di lottizzazione abusiva; l'ordinanza impugnata avrebbe omesso completamente di valutare la problematica del vincolo alla luce della L. n. 21/0 e successive modifiche ed integrazioni, prevedendo l'art. 3 ter della predetta legge regionale, per il cambio di destinazione d'uso degli immobili, un'esplicita deroga anche alle previsioni delle convenzioni urbanistiche.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all'art. 321 c.p.p., commi 1 e 2, L.R. Lazio n. 22 del 1997, art. 6, in relazione ai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 44.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, si sostiene, l'ordinanza avrebbe trascurato completamente o non valutato adeguatamente specifiche emergenze procedimentali, in particolare per avere già il Comune assegnato al privato, dante causa della Truglia s.r.l., una cubatura residenziale; a dimostrazione della vocazione residenziale dell'area, vi sarebbe anche il dato oggettivo costituito dalle previsioni planovolumetriche del p.i.; infine, non vi sarebbe alcuna motivazione in ordine alla diretta incidenza del c.d. piano casa nella problematica del vincolo di unitarietà.

2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della violazione di legge in relazione all'art. 321 c.p.p., commi 1 e 2, D.M. n. 1444 del 1968; L.R. Lazio n. 34 del 1974, art. 1, in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 44.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, si sostiene, l'ordinanza avrebbe ritenuto erroneamente sussistente il c.d. aggravio urbanistico; si sostiene in tale motivo, così richiamando profili di doglianza già espressi in sede di primo motivo, che gli immobili in questione, ubicati sul lotto 42 di proprietà della IMMOBILDI s.r.l., a seguito di cambio di destinazione d'uso da ricettivo a residenziale, non sono transitati da una categoria autonoma ad un'altra, in quanto ambedue gli usi sono consentiti dal Programma Integrato; gli immobili non hanno alcuna incidenza sulle destinazioni funzionali ammesse dal P.I. nè alterano in alcun caso gli equilibri prefigurati nel P.I. stesso, precisandosi che la previsione di standard urbanistici della funzione residenziale è leggermente inferiore di quelli della funzione ricettiva; vi sarebbe stato dunque un travisamento delle risultanze procedimentali, così disarticolando l'intero ragionamento condotto dall'ordinanza quanto alla esistenza del c.d. aggravio urbanistico, non avendo i giudici del riesame proceduto ad una minuziosa analisi degli standard presenti ed alla successiva comparazione degli stessi rispetto a quelli che sarebbero, nella prospettiva dei giudici di merito, stati necessari alla luce del cambio di destinazione; il tribunale non avrebbe spiegato in cosa sarebbe materialmente consistito il contestato aggravio urbanistico, indicando, altresì, in concreto, quale sia eventualmente stata l'incidenza sul territorio della nuova destinazione d'uso.

2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) sotto il profilo della violazione di legge in relazione all'art. 321 c.p.p., commi 1 e 2, L.R. n. 21 del 2009, art. 3 ter, in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 44.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, si sostiene, erroneamente i giudici del riesame avrebbero valutato come esistente il presunto artificioso frazionamento della reale superficie interessata al cambio di destinazione d'uso; la L.R. n. 21 del 2009 prevede che il cambio di destinazione d'uso può essere chiesto fino a 15.000 mq. e precisa che, nel caso in cui la parte su cui si interviene in concreto risulti inferiore a 500 mq., si possa richiedere il cambio di destinazione d'uso attraverso il regime semplificato DIA; il successivo intervento SCIA 5/06/2012 risulta essere stato effettato in base a quanto previsto dalla circolare DGR n. 20 del 2012; l'ordinanza presenterebbe anche profili di illogicità sullo specifico punto.

2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), sotto il profilo della violazione di legge in relazione all'art. 321 c.p.p., commi 1 e 2, art. 157 c.p., in relazione ai reati contestati.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, dopo aver richiamato la successione cronologica degli eventi, si sostiene che la presunta violazione dei vincoli di unitarietà della gestione della struttura, indivisibilità del complesso immobiliare e dell'obbligo di predisposizione di una organizzazione imprenditoriale unitaria, ove ritenuta sussistente, si sarebbe comunque verificata con l'atto datato 3/09/2005, trattandosi di lottizzazione negoziale; il reato, quindi, sarebbe prescritto.

2.6. Deduce, con il sesto motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della violazione di legge in relazione all'art. 321 c.p.p., commi 1 e 2, sotto il profilo della ritenuta sussistenza del periculum in mora.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, si sostiene, l'ordinanza non avrebbe specificato in cosa consisterebbe l'idoneità dell'immobile sequestrato al D.P. a costituire attuale e concreto pericolo di aggravamento o di protrazione del reato di lottizzazione abusiva; non avrebbe spiegato perchè l'ipotetica disponibilità dell'immobile possa determinare il pericolo di ulteriori condotte lottizzatorie nè avrebbe spiegato in cosa si sarebbe concretizzato l'aggravio del carico urbanistico; l'ordinanza presenterebbe, inoltre, profili di palese illogicità laddove ritiene sussistere il periculum in relazione ad opere edilizie ultimate.

2.7. Deduce, con il settimo motivo, il vizio di cui al art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 30 e 44.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, si sostiene, non sarebbe stato adeguatamente valutato il profilo dell'elemento psicologico in capo al ricorrente, acquirente in buona fede di una delle unità immobiliari; i giudici non avrebbero spiegato come il privato cittadino avrebbe potuto avere cognizione dell'eventuale illegittimità di provvedimenti amministrativi che erano del tutto regolari, nè avrebbero tenuto conto del comportamento del ricorrente che ha acquistato l'immobile solo all'esito del controllo di legalità effettuato dal notaio corrispondendo un prezzo congruo con strumenti di pagamento tracciabili agendo in conformità a legge; i giudici non avrebbero nemmeno chiarito quali avrebbero dovuto essere gli strumenti di cautela che il terzo acquirente avrebbe dovuto attuare per essere definito in buona fede; i giudici, infine, non solo non avrebbe tenuto conto del fatto che solo a seguito di attività di accertamento complesse e tecnicamente specialistiche è stato possibile appurare l'eventuale illegittimità della procedura seguita ed, ancora, non avrebbero valutato nemmeno la circostanza che l'acquisto degli immobili aveva interessato una pluralità di soggetti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

4. Occorre premettere che, nel caso in esame, le censure avverso il provvedimento impugnato sono esperibili nei ristretti limiti indicati dall'art. 325 c.p.p., che, com'è noto prevede che "Contro le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge".

L'art. 325 c.p.p., comma 1, dunque, prevede che il ricorso in cassazione avvenga per violazione di legge. In proposito, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione, separatamente previste dall'art. 606 c.p.p., lett. e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lett. e) o dalla inosservanza di norme processuali (lett. c) (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv.

226710). Pertanto, nella nozione di violazione di legge per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell'art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692), ma non l'illogicità manifesta, che può denunciarsi in sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), (v., tra le tante: Sez. 6^, n. 7472 del 21/01/2009 - dep. 20/02/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).

5. Il controllo della Corte di Cassazione è, dunque, limitato ai soli profili della violazione di legge. La verifica in ordine alle condizioni di legittimità della misura cautelare è necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformità tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi (per tutte: Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 - dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. U, n. 7 del 23/02/2000 - dep. 04/05/2000, Mariano, Rv. 215840). La delibazione non può estendersi neppure all'elemento psicologico del reato e alla ricostruzione in concreto delle possibili e prevedibili modalità con le quali la condotta contestata si sarebbe dovuta manifestare; in altri termini, quindi, non è possibile che il controllo di cassazione si traduca in un controllo che investe, sia pure in maniera incidentale, il merito dell'impugnazione.

Ciò, peraltro, non significa che il giudice debba acriticamente recepire esclusivamente la tesi accusatoria senza svolgere alcun'altra attività. Alla Corte di Cassazione è, infatti, attribuito, il potere-dovere di espletare il controllo di legalità, sia pure nell'ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero. L'accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica.

Pertanto, il tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro (per tutti: Sez. U, n. 23 del 20/11/1996 - dep. 29/01/1997, Bassi e altri, Rv. 206657).

E, in tale contesto, la più recente giurisprudenza di legittimità, ha precisato che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, il giudice, benchè gli sia precluso l'accertamento del merito dell'azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro dei "fumus" del reato ipotizzato, con riferimento anche all'eventuale difetto dell'elemento soggettivo, purchè di immediato rilievo (v. Corte cost., ord. n. 153 del 2007; Sez. 6^, n. 16153 del 06/02/2014 - dep. 11/04/2014, Di Salvo, Rv.259337).

6. Così definito il perimetro del sindacato di questa Corte in materia di provvedimenti di cautela reale, è dunque evidente come, nel caso in esame, non sia possibile da parte del Collegio esercitare il sindacato richiesto dal ricorrente avverso l'impugnata ordinanza.

Ed infatti, le censure del ricorrente, in particolare quelle con cui il medesimo deduce censure che evocano direttamente anche l'esistenza di presti vizi motivazionali evocando dell'art. 606 c.p.p., lett. e), (secondo, terzo, quarto, sesto e settimo motivo), più che prospettare un vizio di "violazione di legge" inteso nei limiti indicati dalla giurisprudenza di legittimità, si risolvono in una critica - oltremodo articolata su base fattuale mediante il richiamo alle argomentazioni sostenute dal tribunale del riesame nell'ordinanza impugnata, al fine di sostenere che il giudice del riesame non avrebbe motivato o avrebbe illogicamente motivato o avrebbe motivato in maniera contraddittoria -, al procedimento valutativo attraverso il quale il tribunale del riesame ha ritenuto come, rebus sic stantibus, non sussistessero elementi sufficienti per poter confermare il decreto di sequestro preventivo.

7. Nel resto, quanto alle censure con cui viene evocato un vizio di violazione di legge mediante il richiamo del parametro di cui dell'art. 606 c.p.p., lett. b), al fine di rilevare la manifesta infondatezza dei motivi, è sufficiente richiamare quanto già deciso da questa stessa Sezione in data 10/07/2015 in relazione al ricorso rg. 19726/2015, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti, per motivi sostanzialmente coincidenti, dagli altri acquirenti.

7.1. Ed invero, quanto alle censure sollevate in relazione al primo, al secondo, al quarto ed al quinto motivo - che attesa l'omogeneità dei profili di doglianza, meritano una trattazione congiunta - va qui ricordato, anzitutto, che se è ben vero che l'ordinanza impugnata non avrebbe considerato che, secondo la L.R. n. 21 del 2009 e successive modifiche, nei comuni con popolazione inferiore a 15.000 abitanti come quello di specie è stata prevista la possibilità del cambio di destinazione d'uso a residenziale in deroga agli strumenti urbanistici comunali vigenti previo pagamento di un importo pari al 20% del corrispondente valore catastale, è anche vero che tale doglianza non appare incidere sulla complessiva tenuta della ordinanza tanto da rendere la stessa addirittura priva di motivazione o provvista di una motivazione solo apparente. Va infatti considerato che l'ordinanza ha precisato che alla data di presentazione delle due Scia attraverso le quali è stato attuato il cambio di destinazione l'immobile non poteva in ogni caso ritenersi legittimo, da un lato essendo emerso, dagli elaborati planimetrici del 06/04/2011, l'esistenza di un piano secondo non previsto in concessione e , dall'altro, perchè la concessione edilizia n. 71 del 2003 ebbe a decadere nel giugno del 2006 con conseguente illegittimità degli interventi realizzati successivamente, da qui derivando comunque l'impossibilità di fruire dei benefici della legislazione regionale.

E' stata anche evidenziata, a tutto concedere, l'intervenuta inefficacia addirittura ex tunc della concessione edilizia rilasciata il 03/04/2003 essendo stato violato, attraverso il mutamento attuato, il vincolo di indivisibilità assunto dai Signori C. con atto di asservimento del 22/01/2003 con i quali gli stessi si erano obbligati a destinare gli immobili a struttura ricettiva turistico - alberghiera e a vincolare gli stessi alla unitarietà, modificabilità e destinazione a struttura ricettiva.

Anche con riguardo, infine, al limite del 10% entro cui è ammesso, per singola funzione prevista dal p.i., il mutamento di destinazione d'uso, (limite nella specie superato giacchè, a fronte del corrispondente limite di me. 408,3, il mutamento ha complessivamente riguardato me. 1837,29), il Tribunale ha spiegato perchè lo stesso non possa che essere ripartito proporzionalmente tra i vari lotti contemplanti quella specifica funzione, giacchè, in caso contrario, verrebbe leso il pari diritto di altri lotti inseriti nel programma che prevedono quella stessa funzione.

Anche l'ulteriore profilo di doglianza sollevato con i predetti motivi è manifestamente infondato, in quanto contrastante con i principi sul punto costantemente affermati da questa Corte. Va infatti ribadito che la modifica di destinazione d'uso di un complesso alberghiero realizzata, sin dal sorgere dell'edificio, attraverso la vendita di singole unità immobiliari a privati configura il reato di lottizzazione abusiva, laddove manchi una organizzazione imprenditoriale preposta alla gestione dei servizi comuni e alla concessione in locazione dei singoli appartamenti compravenduti secondo le regole comuni del contratto d'albergo, atteso che in tale ipotesi le singole unità perdono la originaria destinazione d'uso alberghiera per assumere quella residenziale (Sez. 3^, n. 17685 del 17/03/2009, P.M. in proc. Quarta e altri, Rv. 243748; Sez. 3^, n. 24096 del 07/03/2008, P.M. in proc. Desimine e altri, Rv. 240726).

7.2. Quanto al terzo ed al sesto motivo, con cui si contesta la ritenuta sussistenza del c.d. aggravio urbanistico e, in generale, la conseguente mancanza del periculum in mora, è anch'esso manifestamente infondato. Va anzitutto rilevato che, non risultando dall'ordinanza impugnata che il sequestro de quo sia stato attuato a fini esclusivamente impeditivi, l'esigenza del periculum non sarebbe, evidentemente, richiesta con riguardo al profilo di finalizzazione della misura alla confisca del bene, obbligatoriamente prevista, con riguardo al reato di lottizzazione abusiva, dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2.

In ogni caso, l'ordinanza impugnata ha correttamente evidenziato che il godimento e la disponibilità attuale del bene con funzione residenziale anzichè turistico - ricettiva - alberghiera implicano un'effettiva ulteriore lesione degli interessi tutelati non solo e non tanto sotto il profilo dell'aggravamento del carico (comunque desumibile da una disponibilità permanente del bene in capo ai singoli proprietari) quanto, richiamando anche le finalità del programma integrato del Comune di Sperlonga (finalizzato ad attuare misure ed azioni che agiscano contemporaneamente sull'ambiente e sulle strutture, sull'economia locale e l'occupazione, sulla dotazione e l'adeguamento dei servizi), sotto il profilo della compromissione della complessiva organizzazione del territorio comunale atteso che ad ogni singola destinazione d'uso corrisponde l'assegnazione di determinate quantità e qualità di servizi.

In altri termini, tenuto anche conto dei criteri dettati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. Un. n. 2 del 29/01/2003, Innocenti, Rv. 223722), l'ordinanza impugnata appare avere evidenziato la concretezza ed attualità della compromissione dei beni giuridici protetti, poichè il godimento e la disponibilità attuale del complesso immobiliare implicano un'effettiva ulteriore lesione degli interessi tutelati attesa la necessità, per il Comune, di provvedere ad una nuova complessiva organizzazione del proprio territorio (da attuarsi, in sede di ripianificazione, con il coordinamento delle varie destinazioni d'uso, in tutte le loro possibili relazioni, e con l'assegnazione ad ogni singola destinazione d'uso di determinate qualità e quantità di servizi), nonchè l'alterazione del complessivo assetto programmatico e gestionale degli interventi e dei servizi socio-assistenziali a livello regionale, provinciale e comunale, servizi correlati, evidentemente, proprio alla destinazione residenziale e non già a quella turistico - alberghiera. La persistente disponibilità del bene comporta, dunque, perduranti effetti lesivi e non costituisce "un elemento neutro sotto il profilo dell'offensività" nel senso illustrato dalle già richiamate Sezioni Unite.

Precipuamente poi, con riguardo al restante reato contestato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 bis, va ricordato che, con riferimento ai reati paesaggistici la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell'attualità del pericolo indipendentemente dall'essere l'edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio e all'equilibrio ambientale, a prescindere dall'effettivo danno al paesaggio e dall'incremento del carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l'utilizzazione della costruzione ultimata (Sez. 3^, n. 42363 del 18/09/2013, Colicchio, Rv. 257526).

7.3. Quanto al quinto motivo, con cui si censura l'ordinanza impugnata per non aver tenuto conto dell'intervenuta estinzione per prescrizione dei reati addebitati, va qui ricordato che, secondo quanto più volte affermato da questa Corte, il reato di lottizzazione abusiva, a consumazione alternativa, può estrinsecarsi non solo nella esplicazione di attività materiali, ma anche nel compimento di atti giuridici (tra le altre, Sez. 3^, n. 39916 del 01/07/2004, Lamedica ed altri, Rv. 230084; Sez. 3^, n. 20661 del 02/03/2004, Repino, Rv. 228608) e, dunque, come nella specie, nella stipulazione degli atti di compravendita dei singoli immobili. Del resto, ove l'acquirente sia consapevole dell'abusività dell'intervento - o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza - la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio (Sez. 3^, n. 17865 del 29/04/2009, Quarta, Rv. 243749).

Ne consegue, secondo la più recente ed avveduta giurisprudenza di questa Corte, che il momento consumativo del reato di lottizzazione abusiva "mista" si individua, per tutti coloro che concorrono o cooperano nel reato, nel compimento dell'ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell'esecuzione di opere di urbanizzazione o nell'ultimazione dei manufatti che compongono l'insediamento (Sez. 3^, n. 35968 del 14/07/2010 - dep. 07/10/2010, P.M. in proc. Rusani e altri, Rv. 248483): ciò che rileva nel caso in esame, risultando che il D.P.R. il 18/09/2012 aveva presentato una SCIA in sanatoria (poi sospesa dal responsabile UTC in data 17/12/2012) nonchè risultando dal verbale di sopralluogo 18/05/2014 eseguito presso l'unità abitativa del D.P. l'esecuzione di lavori di trasformazione del sottotetto da volume tecnico a volume residenziale.

7.4. Quanto, infine, alle censure afferenti la insussistenza dell'elemento psicologico, premesso che il ricorrente non è terzo acquirente rispetto al reato di lottizzazione ad altri addebitato, ma è stato individuato quale concorrente nel reato stesso, va ricordato che, per radicato indirizzo di questa Corte, in relazione ai provvedimenti che dispongono misure di cautela reale, nella valutazione del "fumus commissi delicti" l'eventuale difetto dell'elemento soggettivo del reato può rilevare solo laddove lo stesso sia di immediata evidenza (tra le altre, Sez. 2^, n. 2808 del 02/10/2008, Bedino e altri, Rv. 242650; Sez. 4^, n. 23944 del 21/05/2008, P.M. in proc. Di Fulvio, Rv. 240521; Sez. 1^, n. 21736 del 11/05/2007, Citarella, Rv. 236474).

Nella specie, premesso che, secondo quanto affermato da questa Corte, il reato di lottizzazione abusiva può ben essere integrato dalla sola colpa (cfr., tra le altre, Sez. 3^, n. 7238 del 25/02/2011, Cresta, non massimata; Sez. 3^, n. 3886 del 03/02/2011, Lotito, non massimata; Sez. 3^, n. 17865 del 29/04/2009, Quarta, Rv. 243750; Sez. 3^, n. 36940 dell'11/05/2005, Stiffi ed altri, Rv. 232189), il Tribunale del riesame ha motivatamente spiegato perchè tale immediata evidenza debba escludersi : dopo avere premesso che il certificato del capo del settore urbanistica del Comune di Sperlonga del 19/06/2012 non aveva affatto attestato la regolarità urbanistica dell'immobile, elencando unicamente gli atti presenti all'ufficio per l'area in questione, il provvedimento impugnato ha infatti evidenziato come dalla concessione edilizia n. 71 del 03/04/2003, specificamente indicata nell'atto, risultasse che la stessa era stata rilasciata con gli obblighi e i vincoli dell'atto di asservimento del 22/01/2003 con cui gli originari concessionari C. si obbligavano a destinare gli immobili da erigere a struttura ricettiva turistico - alberghiera e a vincolare gli stessi all'unitarietà, immodificabilità e destinazione a struttura ricettiva, specificandosi inoltre che qualunque cambiamento della destinazione d'uso dovesse essere subordinato all'approvazione della relativa variante da parte del Comune; e ciò, ha correttamente proseguito il Tribunale, avrebbe dovuto indurre negli acquirenti seri sospetti sulla legittimità del frazionamento, della vendita delle singole unità immobiliari e del cambio di destinazione d'uso, tanto più considerando che la decorrenza dei termini delle S.c.i.a. intervenute era stata sospesa con atti con i quali, tra l'altro, si rilevava la necessità di provvedere alla cancellazione dell'atto di asservimento sopra menzionato.

A fronte di tale motivazione, certamente non apparente e dunque di per sè non sindacabile (cfr., nel senso che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, consentito solo per violazione di legge, può riguardare la motivazione del provvedimento impugnato solo quando questa sia del tutto assente o meramente apparente, perchè sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'"iter" logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, da ultimo, Sez. 6^, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893), il ricorrente si è, a ben vedere, limitato, in senso contrario, ed in termini manifestamente eccentrici rispetto al formalmente sollevato vizio di violazione di legge, a confutare le argomentazioni del Tribunale e a sostenere, in senso contrario, la propria buona fede.

Nè la partecipazione del notaio può evidentemente, di per sè, rappresentare elemento dimostrativo ictu oculi della buona fede degli acquirenti, tanto più ove si consideri che l'intervento di costui, sia per la possibilità di incomplete o mendaci dichiarazioni o documentazioni a lui rese o prodotte al fine di non fare emergere l'intento lottizzatorio, sia per l'eventualità di un contributo, doloso o colposo, del pubblico ufficiale alla realizzazione dell'evento illecito, non fa venir meno l'originaria illegalità, nè può consentire all'acquirente, in dolo o in colpa, di godere di un bene di provenienza illecita e al costruttore abusivo di conseguire il proprio illecito fine di lucro (da ultimo, Sez. 3, n. 51710 del 03/12/2013, P.M. in proc. Chiantera ed altri, Rv. 257348).

8. Il ricorso dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile.

All'inammissibilità del ricorso segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 (mille/00).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 16 settembre 2015.