Cass. Sez. III n. 36397 del 26 agosto 2019 (UP 17 apr  2019)
Pres. Lapalorcia  Est. Reynaud Ric. Taranto
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e rilascio permessi di costruire

Laddove manchi la necessaria autorizzazione, il reato di lottizzazione abusiva non è escluso dal rilascio dei permessi di costruire, dovendosi qui ribadire il risalente indirizzo secondo cui – posto che la convenzione di lottizzazione prevede anche l'accollo di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria – nemmeno l'impegno del privato ad eseguire le opere di urbanizzazione primaria nel contesto del rilascio di un titolo edilizio può surrogare la mancanza di un piano di lottizzazione, poiché l'urbanizzazione dei terreni deve essere programmata per zona e non avvenire in occasione dell'edificazione dei singoli lotti, sicché costituisce lottizzazione abusiva anche la nuova utilizzazione del terreno a scopo di insediamento residenziale pur se sia richiesto il permesso di costruire ovvero siano rilasciati una pluralità di permessi nella zona interessata dal nuovo insediamento, tanto più che il permesso di costruire non ha la funzione di pianificare l'uso del territorio

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 maggio 2018, la Corte d’appello di Messina, riformando la sentenza di primo grado soltanto nella parte in cui non aveva concesso a Pietro Cardia il beneficio della non menzione della condanna, ha per il resto confermato la penale responsabilità degli odierni ricorrenti, con condanna alle pene di legge, per il reato di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (d’ora in avanti, T.U.E.) per aver concorso a realizzare la lottizzazione abusiva del terreno denominato “fondo Cardia”.

2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori degli imputati, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.

3. Con il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse dell’ing. Luciano Taranto – ritenuto responsabile per il ruolo professionale svolto -  si deducono il vizio di motivazione, l’erronea valutazione delle prove testimoniali e documentali e la violazione dell’art. 44, comma 1, lett. c), T.U.E. sul rilievo che non sarebbe stato dimostrato alcun coinvolgimento del medesimo nella fase di frazionamento e trasferimento dei lotti e che, quanto al ruolo di progettista e direttore dei lavori da lui svolto con riguardo ad alcune delle costruzioni edificate sui terreni, non sarebbero ravvisabili profili di responsabilità. Si rileva, in particolare, che la Corte territoriale avrebbe stravolto le dichiarazioni rese dai numerosi tecnici comunali escussi come testimoni, i quali avevano confermato la legittimità delle edificazioni per essere stati rispettati i parametri della densità fondiaria e del rapporto di copertura. Il reato non sarebbe comunque ravvisabile in assenza di alcun significativo frazionamento e di opere di urbanizzazione, non essendo neppure rilevante il possesso o meno della qualifica soggettiva di coltivatore in capo agli acquirenti.
3.1. Con il secondo motivo di ricorso, si lamentano mancanza e contraddittorietà della motivazione ed erronea valutazione delle prove con riguardo alla mancata declaratoria di prescrizione del reato per essere stato individuato quale dies a quo del relativo termine la data di sequestro di quattro lotti di terreno, benché il ricorrente fosse progettista di una sola delle opere in corso e non ultimate (e l’altro progettista era invece stato assolto) e benché con riguardo ad altri due lotti in cui l’ing. Taranto aveva svolto la propria opera professionale i lavori fossero stati ultimati tempo prima con conseguente necessità di far decorrere il termine di prescrizione  dalla data di fine lavori.
4. Con il primo motivo del congiunto ricorso proposto nell’interesse di tutti gli altri ricorrenti – ritenuti responsabili, quali comproprietari del fondo Cardia, avente destinazione agricola, per aver frazionato il medesimo mediante la vendita dei singoli lotti su cui poi sarebbero avvenute attività edificatorie di natura residenziale incompatibili con tale destinazione – si lamenta violazione delle norme processuali per non aver la Corte territoriale accolto, con argomentazioni illogiche e carenti, l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per evidente genericità del capo d’imputazione, non essendo state in alcun modo precisate le condotte ascritte a  ciascuna delle venti persone che erano state imputate in primo grado.
4.1. Con il secondo motivo di ricorso si lamentano violazione della legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione per non aver la Corte territoriale accolto l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado determinata dalla mancata valutazione di due memorie difensive con cui erano stati richiesti, da un lato, la sospensione del processo ai sensi dell’art. 479 cod. proc. pen. e, d’altro lato, il riconoscimento della sussistenza di un errore scusabile ai sensi dell’art. 5 cod. pen.
4.2. Con il terzo motivo – in parte sovrapponibile a quello dedotto dal ricorrente Taranto -  si deducono violazione di legge e vizio di motivazione per mancanza di prova circa la sussistenza di condotte rivelatrici della trasformazione urbanistica od edilizia del terreno in capo ai ricorrenti con travisamento delle prove testimoniali, sul rilievo che in zona agricola è consentita l’edificazione di edifici residenziali ai sensi degli artt. 48 e 49 delle n.t.a. al PRG del Comune di Messina, nella specie rispettati. In definitiva, con riferimento alla superficie del terreni venduti (più estesi della  media degli appezzamenti agricoli esistenti in zona), all’assenza di opere di urbanizzazione, alla natura dell’area ed al rispetto dell’indice di fabbricabilità non sussisterebbero elementi idonei a far ritenere, al di là di ogni ragionevole dubbio, l’integrazione del reato contestato.
4.3. Con il quarto motivo di ricorso si deducono violazione di legge e vizio di motivazione per non essere stata dimostrata la sussistenza del dolo e per non aver comunque la Corte territoriale specificato se fosse sufficiente un mero profilo colposo di condotta, non essendo stati individuati, peraltro, elementi idonei a configurarlo. Dalle prove assunte emergerebbe piuttosto la buona fede dei ricorrenti, anche per essersi i medesimi affidati a professionisti del settore quali l’ing. Taranto ed il notaio rogante, con conseguente applicabilità dell’art. 5 cod. pen. nella versione risultante dalla declaratoria di parziale illegittimità costituzionale di cui alla sent. Corte cost. n. 364 del 1988.
4.4. Con l’ultimo motivo di ricorso si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione per essere stata ritenuta quale dies a quo per il computo del termine  di prescrizione del reato la data dell’intervenuto sequestro, essendo stato questo successivamente revocato evidentemente perché ritenuto illegittimo, sì da non consentire di trarne effetti giuridici. Computando il decorso del termine dalla data dell’ultimo atto di vendita, il reato era già prescritto alla data della sentenza di primo grado.
4.5. Con successiva memoria contenente motivi aggiunti – cui viene allegata la trascrizione del verbale di udienza dibattimentale dell’8 luglio 2016 - i ricorrenti Cardia e Di Vincenzo hanno ulteriormente dedotto il travisamento delle prove testimoniali dell’Ing. Nunzio Santoro, dagli arch. Parlato e Augileri e dei testimoni Mannino e Cucinotta, i quali avevano confermato la regolarità urbanistico-edilizia degli interventi effettuati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Conviene procedere dapprima alla trattazione dei motivi dei congiunti ricorsi proposti dai signori Cardia (Rosalia, Mariarosaria, Roberta, Pietro e Antonella) e da Di Vincenzo Maria, ritenuti responsabili del contestato reato per aver realizzato la lottizzazione abusiva c.d. “cartolare” dell’ampio fondo agricolo già appartenuto al defunto congiunto Pietro Cardia e, in parte, al figlio di questi, parimenti deceduto, Emanuele Cardia, loro danti causa parte per donazione e parte iure hereditatis.
Il primo motivo dei ricorsi è inammissibile perché la nullità del decreto che dispone il giudizio per insufficiente enunciazione del fatto ha natura di nullità relativa, sicché non può essere rilevata d'ufficio e deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine previsto dall'art. 491 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 50098 del 24/10/2013, C., Rv. 257910; Sez. 5, n. 20739 del 25/03/2010, Di Bella, Rv. 247590; per l’identica conclusione nel caso di decreto di citazione diretta a giudizio v. Sez. 5, n. 28512 del 14/05/2014, Novara, Rv. 262508).  Dagli atti - cui il Collegio ha accesso stante la natura processuale dell’eccezione - emerge che all’udienza del 6 luglio 2015, nella fase degli atti preliminari all’apertura del dibattimento di primo grado, i difensori delle parti dichiararono espressamente di non aver questioni preliminari e fu pertanto dichiarata l’apertura del dibattimento. Non essendo stata dunque tempestivamente eccepita – come ha correttamente rilevato la sentenza impugnata – la nullità non era più deducibile, né rilevabile, nel prosieguo, tanto meno nel giudizio di secondo grado, nel quale soltanto è stata eccepita.

2. E’ manifestamente infondato, nonché generico, pure il secondo motivo processuale proposto dai suddetti ricorrenti.
2.1. Quando alla mancata valutazione della richiesta di sospensione del processo avanzata con la memoria del 6 luglio 2017, ai sensi dell’art. 479 cod. proc. pen., in relazione ad un procedimento civile di risarcimento danni avviato dalla coimputata Cavarretta, la sentenza impugnata riferisce che identica questione era stata già valutata e disattesa con ordinanza resa a verbale dell’udienza del 30 giugno 2017 sicché non occorreva una nuova valutazione, come riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr.  Sez.  4, n. 18385 del 09/01/2018, Mascaro e a., Rv. 272739). La contestazione sul punto effettuata in ricorso circa la novità delle doglianze rassegnate per circostanze emerse in dibattimento a seguito della pronuncia di tale ordinanza – con un non chiaro rinvio agli “atti processuali di riferimento” – è del tutto generica, proposta in difetto del principio di autosufficienza del ricorso e non consente al Collegio di valutare la fondatezza nel merito della doglianza.
E’ peraltro assorbente la manifesta infondatezza della questione sul piano squisitamente processuale, posto che dall’esame degli atti – consentito dalla natura dell’eccezione – emerge che la memoria del 6 luglio 2017 è stata depositata dopo che, alla precedente udienza del 30 giugno, il giudice, dopo aver motivatamente respinto l’istanza di sospensione del processo avanzata ai sensi dell’art. 479 cod. proc. pen., aveva dichiarato la chiusura dell’istruzione dibattimentale ed aveva ascoltato la discussione di tutte le parti. Il rinvio all’udienza del 6 luglio 2017 era avvenuto solo per repliche e a verbale di quell’udienza si dà atto che l’avv. Freni si era limitato a chiedere – ottenendola – l’acquisizione della memoria, senza espressamente rinnovare a verbale alcuna istanza di sospensione del processo, ciò che, peraltro, non avrebbe potuto fare, non essendovi state repliche del pubblico ministero con conseguente impossibilità, per le altre parti, di modificare le argomentazioni e conclusioni già presentate in sede di discussione.
Non vi era, dunque, alcun obbligo per il giudice di ulteriormente motivare sulla richiesta di sospensione.
2.2. Quanto alla dedotta mancata valutazione della memoria difensiva cui si invocava l’applicazione dell’art. 5 cod. pen., nella versione risultante dalla sentenza additiva Corte cost. n. 368 del 1988, la sentenza impugnata dà atto che la sentenza di primo grado, con ampia motivazione, ha attestato la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, sicché la doglianza – del tutto generica – è inammissibile. Essa è comunque manifestamente infondata, poiché l'omessa di memorie difensive non può essere fatta valere in sede di gravame come causa di nullità del provvedimento impugnato, non trattandosi di ipotesi prevista dalla legge (Sez.  4, n. 18385 del 09/01/2018, Mascaro e a., Rv. 272739) e può soltanto influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione del provvedimento che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Sez.  2, n. 14975 del 16/03/2018, Tropea e aa., Rv. 272542; Sez.  3, n. 5075 del 13/12/2017, dep. 2018, Buglisi e a., Rv. 272009; Sez.  5, n. 51117 del 21/09/2017, Mazzaferro, Rv. 271600).

3. Il terzo motivo proposto dai congiunti ricorsi – in parte, come detto, sovrapponibile al primo motivo proposto dal ricorrente Luciano Taranto – è generico e manifestamente infondato.
3.1. Posto che tutti i ricorrenti contestano la violazione di legge ed il difetto di motivazione per essere stata ritenuta la contestata ipotesi di reato della lottizzazione abusiva c.d. cartolare o negoziale, giova premettere come si tratti di contravvenzione a consumazione anticipata, nel senso che il reato è integrato non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata (Sez.  3, n. 37383 del 16/07/2013, Desimine e aa., Rv. 256519) rispetto ad opere che, per caratteristiche o dimensioni, siano idonee a pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale (Sez.  3, n. 15404 del 21/01/2016, Bagliani e a., Rv. 266811). Il reato di lottizzazione abusiva è dunque configurabile con riferimento a zone di nuova espansione o scarsamente urbanizzate relativamente alle quali sussiste un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di urbanizzazione (Sez.  3, n. 6629 del 07/01/2014, Giannattasio e aa., Rv. 258932), sicché, se da un lato deve escludersi con riferimento a zone completamente urbanizzate, d’altro lato è invece configurabile sia con riferimento a zone assolutamente inedificate, sia con riferimento a zone parzialmente urbanizzate in cui sussista un'esigenza di raccordo con il preesistente aggregato abitativo (Sez.  3, n. 37472 del 26/06/2008, Belloi e a., Rv. 241097).
Quanto alla condotta, è orientamento da tempo consolidato quello secondo cui la contravvenzione di lottizzazione abusiva si configura come reato a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di autorizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e delle singole opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez.  U, n. 5115 del 28/11/2001, dep. 2002, Salvini, Rv. 220708; Sez.  3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi e aa., Rv. 270645).
    Com’è noto, in assenza di piano particolareggiato di esecuzione, l’autorizzazione in questione è quella prevista dall’art. 28 della legge urbanistica fondamentale (l. 17 agosto 1942, n. 1150), vale a dire il provvedimento del Comune che approva il progetto di lottizzazione presentato dai privati oppure disposto d’ufficio e che dev’essere indefettibilmente subordinato alla stipula di una convenzione volta a prevedere, tra l’altro,    la cessione gratuita delle aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e l’assunzione, a carico del proprietario, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione primaria e di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria relative alla lottizzazione o di quelle opere che siano necessarie per allacciare la zona ai pubblici servizi (art. 28, quinto comma, l. 1150 del 1942).
Laddove manchi la necessaria autorizzazione, il reato di lottizzazione abusiva non è escluso dal rilascio dei permessi di costruire, dovendosi qui ribadire il risalente indirizzo secondo cui – posto, come detto, che la convenzione di lottizzazione prevede anche l'accollo di una quota parte delle opere di urbanizzazione secondaria – nemmeno l'impegno del privato ad eseguire le opere di urbanizzazione primaria nel contesto del rilascio di un titolo edilizio può surrogare la mancanza di un piano di lottizzazione, poiché l'urbanizzazione dei terreni deve essere programmata per zona e non avvenire in occasione dell'edificazione dei singoli lotti, sicché costituisce lottizzazione abusiva anche la nuova utilizzazione del terreno a scopo di insediamento residenziale pur se sia richiesto il permesso di costruire ovvero siano rilasciati una pluralità di permessi nella zona interessata dal nuovo insediamento, tanto più che il permesso di costruire non ha la funzione di pianificare l'uso del territorio (Sez.  3, n. 302 del 26/01/1998, Ganci e aa., Rv. 210400, che, ovviamente, si riferiva non già al permesso di costruire ma all’identico titolo all’epoca denominato concessione edilizia).
3.1.1. Con particolare riguardo, poi, all’ipotesi della lottizzazione abusiva negoziale, la stessa ricorre quando una trasformazione urbanistica o edilizia del territorio effettuata in assenza del previsto piano di lottizzazione – ovvero, pur laddove il piano sia esistente, in contrasto con gli strumenti urbanistici e le previsioni normative -  «venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche  quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio» (art. 30, comma 1, 2^ parte, T.U.E.).
Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva negoziale o cartolare, l'elencazione degli elementi indiziari di cui all'art. 30, comma primo, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 non è tassativa né tali elementi devono sussistere contemporaneamente, in quanto è sufficiente per l'integrazione del reato anche la presenza di uno solo di essi, purché risulti inequivocamente la destinazione a scopo edificatorio del terreno (Sez.  3, n. 27739 del 06/06/2008, Berloni, Rv. 240603). Peraltro, ai fini della integrazione del reato, il frazionamento di un terreno non deve necessariamente avvenire mediante apposita operazione catastale che preceda le vendite o gli atti di disposizione, ma può realizzarsi con ogni altra forma di suddivisione fattuale dello stesso; l'espressione in questione, infatti, da intendersi in modo atecnico, si riferisce a qualsiasi attività giuridica che abbia per effetto la suddivisione in lotti di un'area di più ampia estensione, comunque predisposta od attuata, attribuendone la disponibilità a terzi al fine di realizzare una non consentita trasformazione urbanistica od edilizia del territorio (Sez.  6, n. 48472 del 28/11/2013, D’Amato e aa., Rv. 257457; Sez.  3, n. 6180 del 04/11/2014, dep. 2015, Di Stefano, Rv. 262387).
Ciò che conta, cioè, è che il contesto indiziario sia idoneo a rivelare in modo non equivoco la finalità edificatoria, che costituisce l'elemento comune alle varie forme (materiale, negoziale, mista) in cui l'illecito può essere realizzato (Sez.  3, n. 3668 del 29/02/2000, Pennelli, Rv. 215625).
Non può trascurarsi, di fatti, che il reato di lottizzazione abusiva – già previsto dall’art. 42, lett. a), l. 1150 del 1942, senza che, tuttavia, ne fosse stata particolarmente tipizzata la condotta – è stato per la prima volta compiutamente definito dalla l. n. 47 del 1985, le cui disposizioni sono state al proposito letteralmente trasfuse nel testo unico approvato con d.P.R. 380 del 2001. La tipizzazione dell’illecito fatta dal legislatore del 1985 ha peraltro codificato gli orientamenti interpretativi che la giurisprudenza – penale ed amministrativa – aveva nel tempo elaborato e consolidato, come riconosciuto immediatamente dopo l’approvazione della legge sul condono edilizio (cfr. Sez.  3, n. 5766 del 09/03/1988, Acanfora, Rv. 178365, secondo cui, in tema di reato di lottizzazione abusiva, la norma di cui all'art. 18 legge 28 febbraio 1985, n. 47 ha definito la condotta lottizzatoria sulla base di elementi indiziari dai quali risulti in modo non equivoco lo scopo edificatorio; tali elementi non sono però tassativi e derivano da una elaborazione giurisprudenziale consolidata, cui il legislatore, con il citato art. 18, ha conferito dignità normativa).
Tenendo conto della ratio della disposizione – la quale, appunto, valorizza un contesto indiziario atto a rivelare in modo non equivoco la finalità edificatoria, ciò che costituisce l'elemento comune alle varie forme (materiale, negoziale, mista) in cui l'illecito può essere realizzato (Sez.  3, n. 3668 del 29/02/2000, Pennelli, Rv. 215625) - la più ragionevole spiegazione ermeneutica del disposto oggi contenuto nell’art. 30, 1° co., 2^ parte, T.U.E., in aderenza al dato normativo, porta a concludere che la voluntas legis è stata quella di “anticipare” la tutela del bene protetto da una fattispecie criminosa che, per la sua natura contravvenzionale, non prevede la rilevanza penale del tentativo. La conclusione emerge con chiarezza dalla stessa formulazione letterale della disposizione incriminatrice, nella quale è agevole riconoscere – applicati alla fattispecie de qua – i due elementi che, per l’art. 56, primo comma, cod. pen. contraddistinguono il reato tentato: l’idoneità degli atti a mettere in pericolo il bene protetto; la loro inequivoca e oggettiva direzione a conseguire lo scopo illecito. Del resto, è comprensibile che, volendo anticipare la tutela penale per colpire le lottizzazioni illecite, gli interpreti prima, e lo stesso legislatore poi, abbiano – in modo più o meno consapevole - costruito la punibilità attorno al modello legale previsto dall’ordinamento in via generale (e sia pur soltanto per i delitti).
In quest’ottica, dunque, il legislatore ha innanzitutto voluto indicare quali atti sono di regola idonei a realizzare una lottizzazione abusiva in via anticipata rispetto all’esecuzione delle opere – per usare le parole della norma, a “predisporre una trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni” - e lo ha fatto menzionando quelli che l’esperienza aveva mostrato essere i principali strumenti utilizzati: il frazionamento di più ampi terreni in lotti edificabili; la vendita degli stessi. Non volendo, tuttavia, precludere la possibilità di sanzionare condotte analoghe parimenti idonee a perseguire lo stesso scopo, la legge ha ampliato la fattispecie delineata come tipica con l’aggiunta di una formula residuale – quella degli atti equivalenti – che chiaramente rivela la portata non tassativa della precedente indicazione, la quale, come questa Corte ha appunto più volte riconosciuto, si presta pertanto a letture estensive.
3.2. Ciò premesso in diritto, reputa il Collegio che la sentenza impugnata – in uno con la conforme decisione di primo grado - abbia fatto buon governo degli esposti principi.
I giudici di merito, di fatti, hanno accertato – e la circostanza non forma oggetto di contestazione – che tra il 2006 e il 2010 i ricorrenti Cardia e Di Vincenzo, con plurimi atti negoziali, hanno venduto a differenti acquirenti lotti di terreno che venivano di volta in volta “ritagliati” nell’ambito di più estesi appezzamenti di terreno ricadenti nella medesima quota ereditaria o in diverse quote, queste ultime vendute al medesimo acquirente da parte di diversi eredi. Gli acquirenti (e, come più oltre meglio si dirà, in certi casi anche i venditori) avevano presentato domande di concessioni edilizie – per lo più con progetti redatti dall’ing. Luciano Taranto (ciò che era avvenuto ad eccezione di due acquirenti: Antonio Geraci e ARIM) – volte alla realizzazione di fabbricati dichiarati come ad uso residenza agricola, trattandosi di aree ricadenti in zona E1 del piano regolatore (verde agricolo), in cui erano ammessi edifici per la residenza di proprietari coltivatori diretti ovvero di conduttori del fondo affittuari o mezzadri. I titoli edilizi si erano per lo più formati – mediante il procedimento del silenzio-assenso – con il meccanismo della c.d. concessione “auto assentita”, erano iniziati lavori per l’edificazione di sei unità immobiliari su altrettanti distinti lotti sicché, a seguito di un controllo effettuato dall’autorità comunale nell’agosto 2009, si ipotizzò la realizzazione di una lottizzazione abusiva negoziale, anche per la ravvisata insussistenza del rapporto tra le edificazioni e l’attività agricola ed il mancato rispetto della densità massima edificabile (pari in zona E1 a 0,03 mc. per mq.), non essendosi tenuto conto della volumetria già originariamente esistente con riguardo ai vecchi fabbricati insistenti sul fondo Cardia. Alcune delle particelle catastali di cui quest’ultimo si componeva, nell’ambito dei menzionati atti di cessione erano state interessate da frazionamenti significativi che avevano generato altre particelle e, tenuto anche conto del fatto che tutti i lotti risultavano accessibili rispetto ad una preesistente strada interpoderale e che le unità residenziali in costruzione erano prossime a zone già edificate ed urbanizzate, in data 6 febbraio 2012 furono adottate ordinanze di sospensione dei lavori in corso (due unità immobiliari risultavano all’epoca già ultimate) e vennero avviati e in parte conclusi in senso sfavorevole agli interessati procedimenti amministrativi per l’annullamento delle concessioni autoassentite e per il diniego di quelle richieste, anche in sanatoria (solo in un caso, attesta la sentenza di primo grado – che tuttavia censura la decisione assunta dall’organo amministrativo - fu rilasciato un provvedimento abilitativo in sanatoria per lavori in difformità dalla concessione in un fabbricato rurale).
I giudici di merito hanno pertanto ritenuto la sussistenza di una lottizzazione abusiva negoziale – poi proseguita con le materiali condotte edificatorie – per essere stato frazionato, mediante plurimi atti di cessione compiuti con le descritte modalità, il preesistente latifondo agricolo,  ponendo le premesse per la trasformazione di quella vasta area agricola in zona residenziale, in assenza di autorizzazione comunale e in violazione delle previsioni urbanistiche, che – anche a prescindere dalla questione sul formale rispetto dell’indice di densità fondiaria – consentivano in zona E1 soltanto edificazioni connesse con l’uso agricolo del territorio e con attività di natura agrituristica. I giudici hanno altresì accertato che gli edifici residenziali in costruzione (due, come detto, già ultimati al momento del sequestro) richiedevano il potenziamento di opere infrastrutturali e di servizi per il loro armonico raccordo con il vicino tessuto già urbanizzato.
In particolare, nella motivazione della sentenza di primo grado – condivisa e richiamata da quella qui impugnata – si attesta che «la natura dei manufatti in progetto (aventi caratteristiche di edifici a scopo abitativo piuttosto che a servizio del fondo agricolo) – le modalità del frazionamento (in lotti idonei oggettivamente alla realizzazione di edifici di una certa consistenza volumetrica), la personalità dei singoli acquirenti (taluni dei quali privi delle caratteristiche soggettive cui la normativa rimanda, al più dediti alla coltivazione personale del fondo) ed il prezzo delle compravendite (sproporzionato per quello di terreni ad uso agricolo e compatibile, invece, con quello di terreni edificabili), sono tutti elementi idonei a denunciare un mutamento dell’assetto del territoriale e del carattere di zona agricola dell’area in questione».
3.3. Le contestazioni mosse dai ricorrenti a tale argomentata – e in diritto assolutamente corretta - decisione sono generiche e manifestamente infondate.
3.3.1. Quanto alle doglianze contenute nel terzo motivo del ricorso congiunto proposto dai signori Cardia e Di Vincenzo, esse evocano innanzitutto il “travisamento delle prove testimoniali”, senza tuttavia specificare in cosa ciò sarebbe consistito (più specifica, sul punto, è la memoria contenente motivi aggiunti, ma, com’è noto, ai sensi dell’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., l’inammissibilità del ricorso per cassazione non può essere sanata dalla proposizione di motivi nuovi, in quanto si trasmette a questi ultimi il vizio radicale da cui sono inficiati i motivi originari per l'imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi: cfr. Sez.  6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, Montante, Rv. 275158).
In secondo luogo i ricorrenti prospettano valutazioni di merito diverse da quelle date nei precedenti gradi di giudizio e incompatibili con il presente giudizio di legittimità (ciò che vale con riguardo al fatto che l’estensione dei lotti, compresi tra 6.000 e 14.000 mq. sarebbe maggiore di quella media degli appezzamenti agricoli esistenti nel territorio e con riguardo alla conclusione che non sarebbe stata stravolta la natura agricola del fondo).
Quanto al fatto che la Corte territoriale avrebbe rinunciato ad analizzare le doglianze circa il rispetto delle previsioni di cui agli 48 e 49 n.t.a. del piano regolatore relativamente alla densità fondiaria ed al fatto che anche soggetti non dediti all’agricoltura avrebbero potuto ottenere il permesso di realizzarvi residenze, si tratta di censura irrilevante, posto che la sussistenza della lottizzazione abusiva è stata ancorata, sin dal sentenza di primo grado, anche alla pacifica assenza dell’autorizzazione a lottizzare, la cui necessità è stata nella specie logicamente argomentata, ciò che - come si è detto – è sufficiente ad integrare gli estremi della condotta alternativa punita dal combinato disposto di cui agli artt. 30 e 44, comma 1, lett. c), T.U.E.
3.3.2. Il rilievo da ultimo effettuato vale anche a dimostrare l’inammissibilità delle analoghe doglianze mosse dal ricorrente Luciano Taranto nel suo primo motivo di ricorso.
Quanto al fatto che l’ing. Taranto non avesse svolto alcun ruolo nella fase negoziale, anche a prescindere dalla contraria allegazione dei restanti ricorrenti (a pag. 14 del ricorso congiunto si legge che «gli imputati sono stati consigliati, per la fase tecnica, dall’ingegnere Taranto»), i giudici di merito hanno logicamente affermato il suo ruolo concorrente nella successiva fase della lottizzazione materiale, avendo le sentenze ricostruito che egli fu progettista di quattro (dei sei) edifici realizzati o realizzandi e fu anche direttore dei lavori e che, sin da quando, nell’agosto 2009, i funzionari comunali cominciarono a sospettare l’esistenza di violazioni, diffidando le ditte dal proseguire i lavori, egli si impegnò a sostenere, anche con relazioni tecniche, la regolarità delle opere,  producendo elaborati fotografici – nota la sentenza impugnata – in cui si raffiguravano “palmenti depositi agricoli”, laddove la documentazione fotografica acquista mostra come si stessero edificando «vere e proprie ville a più piani che ben poco hanno di “rurale”».
Ciò considerato, va richiamato il consolidato principio – di recente ribadito – secondo cui la contravvenzione di lottizzazione abusiva è reato a forma libera e progressivo nell'evento, che sussiste anche quando l'attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o all'esecuzione delle opere, posto che tali iniziali attività non esauriscono l'"iter" criminoso, che si protrae attraverso gli ulteriori interventi che incidono sull'assetto urbanistico, con ulteriore compromissione delle scelte di destinazione ed uso del territorio riservate all'autorità amministrativa competente (Sez.  3, n. 14053 del 20/02/2018, Ammaturo e a., Rv. 272697; Sez.  3, n. 12772 del 28/02/2012, Tallarini, Rv. 252236). Per significare che, in siffatti casi, alla lottizzazione negoziale segue quella materiale si parla comunemente di lottizzazione “mista” (cfr. Sez.  3, n. 48346 del 20/09/2017, Bortone e aa., Rv. 271330; Sez.  3, ord. n. 24985 del 20/05/2015, Diturco e a., Rv. 264122; Sez.  3, n. 20006 del 20/04/2011, Buratti e aa., Rv. 250387).

4. Manifestamente infondate sono anche le doglianze circa la violazione di legge ed il difetto di motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.
4.1. Contrariamente a quanto deducono i signori Cardia e Di Vincenzo nel quarto motivo del loro ricorso, il reato di lottizzazione abusiva non postula il dolo. Superando un contrario orientamento pur autorevolmente affermato e richiamato in ricorso (Sez.  U, n. 2720 del 03/02/1990, Cancilleri, Rv. 183495), la giurisprudenza di questa Corte – che va qui ribadita, non essendovi ragioni per derogare alla regola generale sancita dall’art. 42, quarto comma, cod. pen. – è da tempo attestata sul principio secondo cui il reato di lottizzazione abusiva può essere integrato anche a titolo di sola colpa (Sez.  3, n. 38799 del 16/09/2015; De Paola, Rv. 264718; Sez.  3, n. 17865 del 17/03/2009, Quarta e aa., Rv. 243750; Sez.  3, n. 36940 del 11/05/2005, Stiffi e a., Rv. 232189).
Quanto alla colpa ed alla prospettazione che gli imputati sarebbero incorsi in errore scusabile, la sentenza impugnata – disattendendo la contraria allegazione sostenuta dagli appellanti e riproposta nel ricorso congiunto – ha logicamente escluso che gli stessi potessero ignorare l’intento degli acquirenti dei lotti di procedere ad edificazione, confidando nel fatto che essi avrebbero semmai atteso la modifica del piano regolatore. Ed invero, la sentenza dà conto delle iniziative volte ad ottenere i permessi per effettuare edificazioni assunte già dai venditori, prima delle cessioni, con riguardo a ben tre degli appezzamenti oggetto compravendita, desumendone pertanto la sicura consapevolezza circa la finalità edificatoria delle transazioni e, dunque, circa la lottizzazione abusiva dagli stessi compiuta, peraltro già resa oggettivamente evidente dagli indici sintomatici di cui più sopra si è detto, tra i quali i giudici di merito anche considerato anche il prezzo delle cessioni, attestatosi sui valori di mercato dei terreni edificabili piuttosto che di quelli agricoli.
4.2. Con riguardo, poi, all’ing. Taranto, già la sentenza di primo grado (pag. 15) logicamente attestava la sussistenza della colpa avendo riguardo alla qualità tecnica da lui rivestita ed al fatto che egli avesse firmato la maggior parte dei progetti relativi alle realizzande costruzioni, sicché avrebbe dovuto preliminarmente verificare se il complessivo tenore dell’operazione edilizia in atto fosse compatibile o meno con la destinazione agricola dell’area. Né può invocarsi, in contrario, la buona fede derivante dalla condotta tenuta dai funzionari pubblici: richiamato quanto più osservato circa l’irrilevanza dell’eventuale rilascio dei titoli edilizi rispetto alla mancanza di un necessario piano di lottizzazione, deve osservarsi che la sentenza attesta che si trattò per lo più di concessioni auto-assentite e che sin dal 2009 (prima ancora dell’ultimo rogito di cessione) iniziarono i serrati controlli dei tecnici comunali, durati alcuni anni e conclusisi con le ordinanze di sospensione dei lavori, cui seguì poi il sequestro delle opere non ancora ultimate.

5. Inammissibili per manifesta infondatezza, da ultimo, sono le doglianze (secondo motivo del ricorso proposto da Luciano Taranto e quinto motivo del congiunto ricorso proposto nell’interesse degli altri ricorrenti) relative al fatto che  il reato si sarebbe prescritto addirittura in epoca precedente alla sentenza di primo grado.
Essendosi trattato – come sopra si è osservato – di una lottizzazione abusiva c.d. “mista”, va richiamato il consolidato principio secondo cui, in tal caso, il momento consumativo del reato si individua, per tutti coloro che concorrono o cooperano nel reato, nel compimento dell'ultimo atto integrante la condotta illecita, che può consistere nella stipulazione di atti di trasferimento, nell'esecuzione di opere di urbanizzazione o nell'ultimazione dei manufatti che compongono l'insediamento; ne consegue che, ai fini del calcolo del tempo necessario per la prescrizione, per il concorrente non è rilevante il momento in cui è stata tenuta la condotta di partecipazione, ma quello di consumazione del reato, che può intervenire anche a notevole distanza di tempo (Sez.  3, n. 48346 del 20/09/2017, Bortone e aa., Rv. 271330). Dovendosi, di fatti, applicare la disciplina del reato permanente, il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dopo la ultimazione sia dell'attività negoziale, sia dell'attività di edificazione, e cioè, in quest'ultima ipotesi, dopo il completamento dei manufatti realizzati sui singoli lotti oggetto del frazionamento (Sez.  3, ord. n. 24985 del 20/05/2015, Diturco e a., Rv. 264122; Sez.  3, n. 35968 del 14/07/2010, Rusani e a., Rv. 248483).
Posto che l’attività edificatoria era ancora in corso, in alcuni lotti, alla data del sequestro – avvenuto il 19 settembre 2013 – correttamente la sentenza impugnata, come già quella di primo grado, ha individuato in tale data, per tutti gli imputati, il dies a quo per il computo del termine di prescrizione, che dunque non era decorso al momento della pronuncia in grado d’appello.
Manifestamente infondato, sul punto, è il rilievo proposto dai ricorrenti Cardia e Di Vincenzo circa il fatto che, essendo stato il sequestro revocato all’esito del giudizio di primo grado – con restituzione dei beni agli aventi diritto – allo stesso, evidentemente ritenuto illegittimo, non potrebbe attribuirsi alcun rilievo giuridico. A prescindere dalla circostanza che la restituzione dei beni agli acquirenti è avvenuta non già per la ritenuta originaria illegittimità del vincolo cautelare, bensì sul presupposto che, all’esito del giudizio, nei loro confronti era stata ritenuta la buona fede (con conseguente inapplicabilità della confisca prevista dall’art. 44, comma 2, T.U.E.), la rilevanza del sequestro ai fini del decorso del termine di prescrizione nei reati urbanistici nulla ha a che vedere con il giudizio sulla legittimità o meno della misura, venendo invece in rilievo per il solo, oggettivo, fatto che lo spossessamento che la stessa comporta determina la forzosa interruzione dell’attività illecita. Per questa ragione, in un caso analogo, si è ad es. affermato che la permanenza del reato di edificazione abusiva cessa a seguito dell'interruzione dei lavori conseguente all'ordine di sospensione emanato dall'autorità comunale, anche ove tale ordine sia divenuto successivamente inefficace perché non seguito, nel termine previsto dalla normativa, dal sequestro amministrativo dell'opera abusiva (Sez.  3, n. 49990 del 04/11/2015, Quartieri e aa., Rv. 265626), dovendosi, anzi, osservare che l’eventuale dissequestro potrebbe eventualmente consentire lo spostamento del dies a quo per il calcolo della prescrizione qualora ne conseguisse la prosecuzione dei lavori illeciti  (cfr.  Sez.  3, n. 11646 del 16/10/2014, dep. 2015, Barbuzzi e aa., Rv. 262977; Sez.  3, n. 5480 del 12/12/2013, dep. 2014, Manzo, Rv. 258930).

6. Alla declaratoria di inammissibilità di tutti i ricorsi, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità,  consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00 ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 17 aprile 2019.