Cass. Sez. III n. 8792 del 4 marzo 2021 (PU 18 nov 2020)
Pres. Lapalorcia Est. Di Nicola Ric. Monni  
Urbanistica.Lottizzazione abusiva prescrizione e confisca

Sulla consumazione del reato di lottizzazione abusiva, prescrizione del reato e confisca nonché sulla legittimità della reiezione, da parte del giudice di appello, allo stato degli atti, dell’eccezione di prescrizione (poi dichiarata con sentenza), sul rilievo che, per decidere sulla questione, non potesse prescindersi da una valutazione di tutte le risultanze dell’istruttoria dibattimentale. 

RITENUTO IN FATTO

1. Pier Luigi Monni e Gianluca Ambu ricorrono per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe, resa in data 7 febbraio 2014, con la quale la Corte d’appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza emessa in data 24 maggio 2011 dal Tribunale della medesima città, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dei predetti ricorrenti in ordine ai reati loro rispettivamente ascritti ai capi A), B) ed F) della rubrica perché estinti per prescrizione e, riconosciute all’Ambu le attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata al capo E), ha ridotto la pena nei confronti di quest’ultimo ad un anno e quattro mesi di reclusione, disponendo la revoca della sospensione condizionale della pena concessa al predetto con la sentenza del tribunale di Cagliari, che è stata confermata nel resto.
1.2. Ai ricorrenti, per quanto qui interessa, sono stati mossi e residuano i seguenti addebiti (= i capi a), b) ed f), dichiarati prescritti, vengono riportati sia per una migliore intelligenza dei fatti, sia perché impugnati nell’adozione della formula terminativa del giudizio e sia perché, con riferimento al capo a), è stata disposta e mantenuta la confisca urbanistica):
- capo a) reato di cui agli articoli 110 del codice penale  e 44, comma 1, lettera c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 per avere - in concorso tra loro, nelle rispettive qualità: il Monni progettista, direttore dei lavori e amministratore unico della società S.A.R.I.T. s.r.l. (committente dei lavori e proprietaria dei terreni) nonché legale rappresentante al 9 novembre 2004 (data in cui fu richiesta la concessione n. 21 del 2005) e componente del consiglio di amministrazione della “Chia immobiliare” s.p.a.; l’Ambu responsabile dell’area tecnica del comune di Domus de Maria, firmatario della concessione edilizia n. 21 del 25 marzo 2005 (illegittima per una serie di profili, di cui appresso) - realizzato una lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio, avendo iniziato opere (quelle di cui al capo seguente) comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia dei terreni de quibus in violazione degli strumenti urbanistici e di legge.
L’opera di cui al seguente capo b) della rubrica, infatti,  è risultata avviata sulla base della concessione edilizia n. 21 del 2005 qualificata come semplice variante alla C.E. 511/38 del 13 giugno 2001, prevedente la realizzazione di complessive 53 unità abitative, circa m. 700 di nuove strade, circa m.1150 di condotte fognarie e relativi impianti elettrico e idrico con una totale differente distribuzione planimetrica degli edifici, divisione dei lotti e un notevole aumento delle volumetrie (204 %) rispetto a quanto previsto dal piano di lottizzazione “Chia - S.A.R.I.T.” (decreto assessorato all’urbanistica 248/u del 13 marzo 1981). Concessione da ritenersi illegittima perché:
1)    prevedeva l’edificazione di complessivi mc. 11.000, di cui mc. 5200 di volumi interrati non computati nel calcolo in violazione dell’articolo 4 D.A. 20 dicembre 1983 n. 2266/U;
2)    concedeva la realizzazione di dieci villette nel cosiddetto “comparto 12 bis” su una superficie mq. 7240, distinta in catasto al foglio 6 sez. C mappale 1104 ex 20 parte, individuata come “area di cessione” al comune, destinata a spazio pubblico “parco pubblico attrezzato” ai sensi della convenzione 20 aprile 1990 tra il comune di Domus de Maria e la S.A.R.I.T. s.p.a. (di cui il Monni era all’epoca amministratore unico), in violazione degli articoli 10 e 12 d.P.R. n. 380 del 2001, 3 L.R. n. 23 del 1985 e 25 L.R. 45 del 1989;
3)    si basava su una convenzione di lottizzazione del 10 agosto 1979 scaduta, poiché prevedeva (ai sensi dell’articolo 28 L. 17 agosto 1942 n.1150) un termine decennale per l’ultimazione dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione primarie;
4)    faceva riferimento, trattandosi di zona sottoposta a vincolo paesistico ai sensi dell’articolo 142, lettera g), del d.lgs. 22 aprile 2004, n. 42 (territorio coperto da bosco), a due nulla - osta dell’U.T.P. della R.A.S. (il 498 - comparto 11 - e il 501 - comparto 12 bis - del 31 gennaio 2003) relativi a un precedente progetto edificatorio completamente diverso per tipologie edilizie, superfici, cubatura, posizionamento e numero degli edifici da realizzare (tre corpi edilizi anziché i diciotto previsti in progetto).
5)    era stata rilasciata nel periodo di vigenza della L.R. 25 novembre 2004 n. 8, che vietava (articolo 3) la realizzazione di nuove opere in ambito compreso entro i 2000 metri dalla linea di battigia marina (quale quella in oggetto), essendo inapplicabili le eccezioni di legge (articolo 4), trattandosi di intervento totalmente difforme dal piano attuativo approvato e basato su convenzione di lottizzazione scaduta di validità;
- capo b) AMBU, in concorso col Monni: reato di cui all’articolo 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 per avere, in concorso tra loro e nelle rispettive qualità, avviato la costruzione di un manufatto di circa mq. 50,4 sulla base di una concessione edilizia (n.21 del 25 marzo 2005) rilasciata come variante in corso d’opera a precedente concessione alla “Chia - S.A.R.I.T. immobiliare s.p.a.” (legalmente rappresentata dal Monni), comportante la sestuplicazione (da tre a diciotto) dei corpi edilizi previsti; da stimarsi illegittima in quanto non proceduta da nulla-osta R.A.S. in zona sottoposta a vincolo paesistico ex articolo 142, lettera G), d.lgs. n. 42 del 2004 (territorio coperto da bosco);
- capo e) Il solo AMBU: reato di cui all’articolo 323, commi 1 e 2, del codice penale perché, rilasciando la Concessione edilizia n. 21 del 2005 in violazione di norme di legge (articolo 28 L. n. 1150 del 1942, articolo 4 D.A. 2266/U del 20 dicembre 1983 richiamato dall’articolo 5 - commi 3 e 4 - L.R. n. 45 del 1989, articolo 3 L.R. n. 8 del 2004, articolo 480 del codice penale, 10 e 12 d.P.R. n. 380 del 2001, 3 L.R. n. 23 del 1985 e 25 L.R. n. 45 del 1989), procurava intenzionalmente ai soggetti indicati al capo a) un ingiusto e rilevante vantaggio patrimoniale consistente nell’abusiva lottizzazione di terreni a scopo edificatorio di cui al capo a). Il 25 marzo 2005 in Domus de Maria;
- capo f) Monni Pier Luigi: reato di cui all’articolo 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, per avere avviato la costruzione di un manufatto di circa mq. 50,4 sulla base di una concessione edilizia (n. 21 del 25 marzo 2005) rilasciata come variante in corso d’opera a precedente concessione alla “Chia - S.A.R.I.T. immobiliare s.p.a.” (legalmente rappresentata dal Monni), comportante la sestuplicazione (da 3 a 18) dei corpi edilizi previsti; da stimarsi illegittima in quanto non proceduta da nulla — osta R.A.S. in zona sottoposta a vincolo paesaggistico ex articolo 142, lettera g), d.lgs. n. 42 del 2004 (territorio coperto da bosco).
1.3. La vicenda processuale, per come risulta dal testo della sentenza impugnata, si è snodata attraverso un iter procedimentale complesso che prese le mosse con l’emanazione del decreto n. 170 del marzo 1976 con il quale l’Assessore agli Enti Locali della Regione Autonoma della Sardegna rilasciò al Sindaco del Comune di Domus de Maria il nulla osta ad autorizzare la lottizzazione di terreni, ubicati in località Chia Setti Ballas e Spartivento, di proprietà delle società Chia Immobiliare S.p.a. e S.A.R.I.T. S.p.a., entrambe con sede in Cagliari e riconducibili a Pier Luigi Monni, redattore del progetto di lottizzazione, e ad altri soggetti.
Con convenzione 10 agosto 1979 i lottizzanti cedettero al Comune le aree destinate a spazi pubblici (sport, verde, e simili), tra cui quella denominata Comparto 12 bis.
Le parti, inoltre, stabilirono, all’articolo 12, che “i progetti esecutivi delle singole costruzioni, da autorizzarsi ai sensi delle disposizioni del Regolamento Comunale Edilizio e della Legge Urbanistica, osserveranno in linea di massima l’ubicazione e le dimensioni del progetto di lottizzazione, riservandosi l’Amministrazione Comunale l’approvazione di soluzione planivolumetriche differenti, fermi restando gli indici di fabbricabilità territoriale previsti nel Programma di fabbricazione”.
Il piano venne quindi modificato con due successive varianti, regolarmente approvate dal Consiglio Comunale e dal competente Assessore regionale, sicché il suo assetto planivolumetrico assunse la definitiva configurazione, cristallizzata nello Stralcio della variante volumetrica, ove vennero evidenziati, tra gli altri, i Comparti 11, 12 e 14, oltre al già menzionato 12 bis.
Con concessione 511/38 del 13 giugno 2001, di rinnovo della concessione n. 163/48 del 19 aprile 1995 (all’evidenza scaduta), l’allora responsabile del Settore Edilizia Privata e Urbanistica del Comune di Domus de Maria assentì nuovamente un progetto per la realizzazione, all’interno del Comparto 11, di tre gruppi di edifici, del tipo “ville a schiera”, la cui ultimazione doveva avvenire entro tre anni dal rilascio del precedente titolo.
Con concessione edilizia n. 21 del 25 marzo 2005, di approvazione di variante in corso d’opera del progetto assentito con la suddetta concessione (ugualmente, a quel momento, scaduta), il Responsabile dell’Area Tecnica, ossia Gianluca Ambu, assentì una serie di progetti prevedenti la costruzione di taluni immobili nei richiamati Comparti 11, 12, 12 bis e 14 nonché la realizzazione degli impianti fognari e stradali necessari.
     In forza di tale concessione la società S.A.R.I.T. avviò i lavori di realizzazione di un manufatto in cemento armato.
In tale situazione, il pubblico ministero, in tempi diversi, iscrisse due distinti procedimenti penali, al fine di verificare la legittimità della concessione e, più in generale, del nuovo intervento edilizio, il cui corpo era stato nel frattempo sottoposto a sequestro preventivo con decreto in data 3 maggio 2006, confermato dalla Corte di cassazione.
All’esito delle indagini, il Monni e l’Ambu, per quanto qui interessa, vennero, con separati decreti, rinviati al giudizio del tribunale di Cagliari per rispondere delle accuse descritte sub 1.2.
All’udienza del 25 marzo 2010 i processi furono riuniti per essere definiti con unica sentenza.
Nel merito, si ritenne che la concessione edilizia n. 21 del 2005, configurando, al di là della sua formale qualificazione giuridica, un nuovo piano di lottizzazione, totalmente diverso da quello originario, fosse stata rilasciata da soggetto privo di competenza, senza la previa approvazione del Consiglio Comunale, in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti e che, insomma, fosse totalmente illegittima.

2. I ricorrenti, tramite i rispettivi difensori di fiducia, affidano i ricorsi ai seguenti motivi che, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, sono enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Pier Luigi Monni impugna con nove motivi.
2.1.1. Con il primo motivo deduce la violazione e la falsa applicazione degli articoli 521-522 del codice di procedura penale con riferimento all’articolo 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, degli articoli 544, comma 1, e 546, comma 1, lettere a) ed f), e 597 del codice di procedura penale, denunciando anche l’inesistenza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione del reato contestato (articolo 606, comma 1, lettere b), c) ed e), del codice di procedura penale).
Osserva come il tribunale, partendo dalla premessa che il piano di lottizzazione Chia-Sarit fosse estremamente dettagliato nelle sue previsioni, avesse escluso l’applicabilità dell’articolo 12 della convenzione di lottizzazione e che qualsiasi modificazione del piano di lottizzazione dovesse necessariamente passare attraverso l’approvazione del Consiglio comunale, sottolineando, a riprova di ciò, che le varianti del 1980 e del 1981 avevano seguito tale iter; laddove la concessione edilizia n. 21 del 2005, emessa dal Comune in base al citato articolo 12, assentiva interventi edilizi tali da “stravolgere” il piano di lottizzazione originario ed era tale, per le modifiche apportate al predetto piano, da costituire essa stessa un vero e proprio nuovo piano di lottizzazione non approvato nelle forme di legge, escludendo che ciò fosse consentito dal soprarichiamato articolo 12, dall’articolo 11 della convenzione del 1990 e/o dall’articolo 53 del regolamento edilizio, interpretati, ad avviso del primo giudice, in modo strumentalmente errato dalla difesa.
Il ricorrente rileva come nel decreto di citazione fosse stata contestata la lottizzazione materiale, tanto che si faceva espresso riferimento al fatto “di aver realizzato opere” e vi era riportata la sola data di esecuzione dell’intervento e non quella della concessione edilizia n. 21 (che integrerebbe l’ipotesi di lottizzazione cartolare). Nel corso del processo non era stata integrata e neppure modificata tale impostazione accusatoria. Il tribunale aveva invece motivato la pronuncia di condanna come se il reato contestato fosse quello di lottizzazione abusiva cartolare, identificando questa nel semplice rilascio della concessione edilizia, a prescindere dall’esecuzione di qualsiasi intervento.
La difesa, allora, aveva evidenziato come si trattasse di “fatto diverso” rispetto a quello contestato, in relazione al quale il ricorrente non aveva potuto difendersi, per cui si sarebbe dovuto procedere a modificare l’imputazione ai sensi dell’articolo 516 del codice di procedura penale.
A tale proposito, il ricorrente sottolinea come la lottizzazione materiale e quella cartolare (o negoziale) identifichino due diverse ipotesi di reato e che il tribunale, pur di fronte alla contestazione di una lottizzazione materiale integrata dall’esecuzione di uno specifico intervento (il garage), avesse ritenuto sussistere una lottizzazione cartolare integrata dal puro e semplice rilascio della concessione edilizia.
Non essendo possibile, con tutta evidenza, ascrivere ad un garage di 50 m² “lo stravolgimento dell’assetto urbanistico”, che costituisce l’essenza della lottizzazione abusiva, detto stravolgimento era stato rapportato alle previsioni della concessione edilizia, qualificata come un piano di lottizzazione ex novo non autorizzato, con la conseguenza che, nella specie, si fosse appunto in presenza  di un nuovo piano di lottizzazione e non invece di una semplice modifica del piano di lottizzazione originario. Per sorreggere tale assunto, il tribunale era stato costretto ad immaginare una sorta di combine tra il Monni e l’Ambu, in virtù della quale il primo avrebbe ricevuto cospicui vantaggi dal secondo, cosicché solo in tal modo sarebbe stato possibile rinvenire un qualche apporto del ricorrente nella commissione del reato (diverso da quello contestato) ritenuto in sentenza.
Allo stesso modo, la Corte di appello, pur escludendo che fosse stata raggiunta la prova di una tale compartecipazione, era giunta comunque ad avvalorare le conclusioni del tribunale, così che, di fatto, aveva confermato la condanna dell’imputato per un reato mai nemmeno supposto (una sorta di concorso esterno nell’abuso di ufficio), in violazione degli articoli 521-522 del codice di procedura penale nonché dell’articolo 27 della Costituzione.
Dopo aver riportato lo stato della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, anche con riferimento ai limiti del potere del giudice nazionale di attribuire al fatto una diversa qualificazione giuridica, il ricorrente osserva come il tribunale avesse, nel dispositivo, condannato per il reato contestato (e cioè la lottizzazione materiale come risultante nel decreto di citazione) mentre aveva, in motivazione, ritenuto la sussistenza di una differente ipotesi di reato, riqualificando i fatti contestati, cosicché, attesa la prevalenza del dispositivo sulla motivazione, doveva desumersi che il tribunale avesse condannato per un reato di lottizzazione materiale, rispetto al quale mancava ogni motivazione proprio perché era stato configurato il diverso reato di lottizzazione negoziale, il quale, invece, non era mai stato contestato, con la conseguenza che, oltre alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, la motivazione del provvedimento impugnato sarebbe manifestamente illogica laddove, come emergerebbe dal testo della stessa, ha affermato che non vi fosse divergenza tra dispositivo e motivazione. Sotto tale profilo, sarebbero stati violati, ad avviso del ricorrente, anche gli articoli 544, comma 1, e 546, comma 1, lettere e) ed f), del codice di procedura penale.
Infatti, ritenuta contestata la sola lottizzazione abusiva materiale per l’esecuzione dei lavori relativi al garage, l’avere il tribunale ritenuto la sussistenza di una lottizzazione negoziale, consistente nel rilascio della concessione edilizia (tanto da indurlo ad affermare che l’esecuzione di un qualsiasi intervento fosse irrilevante ai fini della consumazione della lottizzazione negoziale e tanto da non considerare l’intervento edilizio nella motivazione) costituirebbe, ad avviso del ricorrente, affermazione di responsabilità per un reato differente da quello contestato.
Sulla base del principio per cui nel contrasto tra dispositivo e motivazione il primo prevale, avrebbe errato la Corte di appello nell’aver omesso di rilevare che il tribunale aveva condannato per il reato di lottizzazione abusiva materiale ma aveva motivato esclusivamente in ordine alla sussistenza di un reato di lottizzazione abusiva negoziale o cartolare mai contestato e consistente nel rilascio della concessione edilizia.
Peraltro, poiché la Corte territoriale aveva ammesso la prevalenza del dispositivo sulla motivazione, la sentenza, che aveva pacificamente ad oggetto la lottizzazione abusiva materiale, non era stata impugnata dal Procuratore generale al fine di rendere coerenti dispositivo e motivazione, con la conseguenza che il giudice di secondo grado sarebbe incorso nella nullità di cui all’articolo 597, comma 1, del codice di procedura penale.
Allo stesso modo, con riferimento ai reati di cui ai capi b) e f) della rubrica, il ricorrente rileva come la contestazione, concernendo il reato di cui all’articolo 44, comma 1, lettera c), d.P.R. n. 380 del 2001, riguardasse l’avvio della costruzione, in zona boschiva, di un manufatto di mq. 50,4 in base a concessione edilizia illegittima perché non preceduta da nulla-osta paesaggistico. Sennonché tale reato non era contestato in ragione della illegittimità della concessione edilizia (quanto esposto al capo A, non veniva neanche implicitamente richiamato), né per eventuali ragioni di illegittimità relative alla moltiplicazione dei fabbricati, ma esclusivamente per l’assenza di nulla osta paesaggistico.
Il Tribunale, benché avesse assolto dal reato paesaggistico e avesse ritenuto la costruzione del fabbricato non bisognosa di nulla osta non essendoci il bosco, condannava il ricorrente sul rilievo che la concessione edilizia fosse illegittima nonostante tale contestazione non fosse stata formulata neanche implicitamente e nonostante che lo stesso Giudice avesse affermato che detto reato fosse autonomo e distinto dal reato di lottizzazione abusiva.
Conclusivamente, sia con riferimento al reato di cui al capo a) e sia con riferimento ai capi f) e g) [recte b) n.d.r], la sentenza impugnata sarebbe nulla per violazione degli articoli 178, lettera c), e 180 del codice di procedura penale nonché degli articoli 521-522 stesso codice e 111, comma 3, della costituzione nonché dell’articolo 6, comma primo e comma terzo, lettera a), Cedu e alla direttiva 2012/UE/13.
2.1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e l’erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale), sul rilievo che, dalla fondatezza del precedente motivo e quindi dal presupposto che oggetto di contestazione fosse la sola lottizzazione abusiva materiale consistita nell’esecuzione dell’intervento di costruzione del garage, derivasse anche l’assoluzione dal contestato reato di lottizzazione materiale, il quale esige, per la sua consumazione, l’effettuazione di opere che, in concreto, siano idonee a modificare in termini apprezzabili e a stravolgere l’assetto urbanistico del territorio. La Corte d’appello, sotto questo profilo, si sarebbe limitata a sostenere che, in relazione a tale reato, non fosse emersa l’innocenza dell’imputato, applicando pertanto la prescrizione ma ciò erroneamente perché l’innocenza dell’imputato, per gli argomenti in precedenza esposti, emergeva in modo chiaro, derivando anche dalla palese violazione degli articoli 521-522 del codice di procedura penale. Tanto meno si poteva ritenere che l’intervento sul garage costituisse esecuzione dell’intero programma edificatorio previsto nella concessione edilizia, trattandosi di un intervento edilizio autonomo, distante diverse decine e centinaia di metri, in contesti differenti ed autonomi ed in relazione ai quali il permesso era scomponibile in altrettanti separati permessi di costruzione.
2.1.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione della legge penale e processuale in relazione agli articoli 178, comma 1, 415-bis, comma 1, e 416, comma 1, del codice di procedura penale nonché dell’articolo 6 Cedu (articolo 606, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale), sul rilievo che, nell’ambito delle vicende urbanistiche relative alla lottizzazione Sarit-Chia, il pubblico ministero, in data 23 aprile 2006, chiese al giudice per le indagini preliminari la convalida di un sequestro preventivo eseguito dal Corpo Forestale, ed il ricorrente, quale indagato, in data 27 aprile 2006, venne invitato a eleggere domicilio.
Il Monni, quindi, con atto del 2 maggio 2006 depositato in data 8 maggio 2006, nominò quale suo difensore l’Avv. Rodolfo Meloni nel procedimento n. 3788 del 2006 R.G.N.R.
L’Avv. Meloni svolse, infatti, tutte le attività quale difensore del Monni anche in sede di riesame.
In data 12 e 14 settembre 2006, venne inviata al pubblico ministero la comunicazione della notizia di reato che individuava quali indagati l’Ing. Monni, l’Ing. Delussu e il Sig. Ambu.
In esito a ciò, il pubblico ministero stralciò gli atti (recte: iscrisse una nuova notizia di reato nei confronti degli imputati), aprendo il procedimento penale n. 8920 del 2006, per cui quello n. 3788, che conteneva anche le notizie di reato confluite poi nel procedimento n. 8920, proseguì nei confronti del ricorrente con richiesta di decreto penale di condanna che fu emesso e che venne opposto dall’Avv. Meloni con conseguente fissazione dell’udienza dibattimentale del 16 settembre 2009 di fronte al Giudice Monocratico.
Nondimeno, nell’ambito del procedimento penale n. 8920 del 2006, sia l’avviso di deposito degli atti che l’avviso di udienza preliminare vennero notificati al solo ricorrente.
In particolare, l’avviso ex articolo 415-bis venne notificato per il Monni all'Avv. Marco Piroddi, quale difensore d'ufficio.
 L’avviso di udienza preliminare venne notificato al solo Avv. Soddu, che nel frattempo, ma senza revoca degli altri incarichi, era stato nominato dall’Ing. Monni.
All’udienza preliminare, l’Avv. Soddu non comparve tanto che venne nominato d’ufficio l'Avv. Herika Dessi.
Alla luce di tale situazione il ricorrente chiese che fosse dichiarata la nullità del decreto che disponeva il giudizio, nonché la nullità dell’avviso di fissazione e dell’udienza preliminare per omesso avviso al difensore dell’imputato nonché la nullità dell’avviso ex art. 415-bis del codice di procedura penale per omessa notifica al difensore nominato, eccezione respinta sia in primo che in secondo grado.
Secondo il ricorrente, il pubblico ministero, quando il 25 luglio 2006 chiese il decreto penale di condanna, non separò i processi ma tenne pendente un unico fascicolo (il n. 3788 del 2006), che concerneva entrambe le vicende.
Quando il 12 settembre e il 14 settembre 2006 la Forestale inviò le comunicazioni delle notizie di reato relative al processo n. 3788 del 2006, aventi ad oggetto tutti i reati e gli imputati di cui al presente procedimento, il pubblico ministero separò i processi e fu iscritto il procedimento penale n. 8920 del 2006 R.G.N.R.
Ciò posto, sostiene il ricorrente che il punto determinante della vicenda sta nel fatto che, nel procedimento n. 3788 del 2006 R.G.N.R., il ricorrente era difeso dall’Avv. Rodolfo Meloni e in quel processo, prima della separazione, avvenuta con le comunicazioni delle notizie di reato del 12-14 settembre 2006, la Forestale aveva individuato tutti i reati oggetto del presente procedimento, con la conseguenza che, prima della separazione dei processi e dell’apertura del nuovo processo, nel solo procedimento n. 3788 del 2006 erano stati ipotizzati tutti i reati poi iscritti nel procedimento penale n. 8920 del 2006 R.G.N.R.
Da ciò deriva che - nell’aprire il nuovo fascicolo, che, per il ricorrente, prevedeva la contestazione del reato di lottizzazione abusiva - il pubblico ministero avrebbe dovuto ivi inserire la nomina a difensore dell’Avv. Rodolfo Meloni, essendo priva di fondamento giuridico la tesi secondo la quale tale nomina non produceva effetto nel c.d. nuovo procedimento.
Assume il ricorrente, che se così fosse - di fronte ad una scelta del pubblico ministero non comunicata all’indagato, per cui una parte del processo venne separata con apertura di un nuovo procedimento - l’indagato stesso si troverebbe, a sua insaputa, sguarnito della difesa, che aveva prescelto.
D’altra parte, il pubblico ministero, nell’aprire il nuovo procedimento, operò la cernita degli atti da utilizzare per cui sarebbe incomprensibile - e ingiustificabile -che non avesse inserito anche la nomina a difensore dell’Avv. Meloni.
Ne discende, secondo la prospettazione del ricorrente, che l’avviso ex art. 415-bis del codice di procedura penale dovesse essere notificato all’Avv.  Meloni, notifica che fu omessa.
Da qui la nullità prevista dal combinato disposto degli artt. 415-bis, comma 1, e 416, comma 1, del codice di procedura penale che determina l’automatica nullità dell’avviso de quo, dell’udienza preliminare e del decreto dispositivo del giudizio.
2.1.4. Con il quarto motivo, inserito a capo della seconda parte del ricorso, il ricorrente prospetta la violazione della legge penale e il vizio di motivazione (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale), in relazione agli articoli 129, comma 2, e 531, comma 1, del codice di procedura penale, sulla base dell’illegittimità dell’ordinanza con la quale la Corte d’appello aveva rigettato la richiesta di applicazione predibattimentale dell’articolo 129 del codice di procedura penale
Identificato il momento di cessazione del decorso della prescrizione, quanto al reato di lottizzazione abusiva, assume il ricorrente come la prescrizione stessa fosse maturata il 4 dicembre 2011, e cioè ben prima che si svolgesse la prima udienza del giudizio d’appello.
Stando così le cose, la Corte territoriale, anziché applicare in via immediata l’articolo 129 del codice di procedura penale, con conseguente limitazione del suo potere valutativo all’accertamento dell’evidenza della prova di innocenza del ricorrente, rigettò l’istanza affermando di non poter emettere tale pronuncia se non all’esito della valutazione di tutte le risultanze dell’istruttoria dibattimentale, incorrendo così nei vizi di violazione di legge e di motivazione denunciati.
Ne consegue che, ad avviso del ricorrente, a parte il caso in cui vi sia costituzione di parte civile, ove sussista una causa di estinzione del reato, salvo che l’imputato vi rinunci o che, ai sensi dell’articolo 129, comma  2, del codice di procedura penale, vi sia la prova evidente dell’insussistenza del fatto e della sua non commissione da parte dell’imputato o della sua irrilevanza penale, il giudice deve dichiararla in via immediata consumando in quel momento il suo potere decisionale.
Naturalmente tale operazione comporta il controllo unicamente della sentenza impugnata, nel senso che gli atti dai quali può emergere la situazione che giustifichi l’applicazione dell’articolo 129, comma 2, del codice di procedura penale e, quindi, l’assoluzione dell’imputato, sono costituiti unicamente dalla sentenza, in conformità con i limiti di deducibilità del vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione, che, ex articolo 606 del codice di procedura penale, deve risultare dal testo del provvedimento impugnato.
Precipitato logico di tale considerazione sarebbe che, non avendo il ricorrente rinunciato alla prescrizione né essendovi necessità di procedere al controllo degli atti ai sensi dell’articolo 578 del codice di procedura penale, la Corte territoriale, accertata l’intervenuta prescrizione, avrebbe dovuto immediatamente dichiararla.
Infatti, l’estinzione del reato priva, in linea principale, preclude al giudice di continuare ad esercitare la giurisdizione, “sicché soltanto esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona possa costituire una deroga per prorogarli”.
Tanto è vero che in presenza di una causa di estinzione del reato neanche motivi di nullità di ordine generale né gli altri motivi dedotti potevano essere considerati.
Ne deriva che, ove anche si accedesse all’orientamento secondo cui, pur in caso di prescrizione, il giudice può disporre la confisca allorquando accerti la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo materiale e soggettivo, di fatto, tale accertamento era precluso nel caso di specie.
Sulla scorta dell’insegnamento delle Sezioni Unite Tettamanti, il ricorrente sostiene che la sentenza di proscioglimento ai sensi dell’articolo 129, comma 1, del codice di procedura penale non può costituire valido titolo per l’applicazione della confisca perché, rilevata una causa estintiva della punibilità, il giudice, se è in grado di constatare l’innocenza dell’imputato, dovrà pronunciare sentenza di assoluzione (e non di proscioglimento ex articolo 129 del codice di procedura penale) e pertanto non potrà applicare alcuna confisca nei confronti di un imputato riconosciuto innocente.
In assenza di prova evidente dell’innocenza, il giudice sarà invece tenuto a pronunciare sentenza di proscioglimento ex articolo 129 del codice di procedura penale, senza poter compiere alcuna valutazione del compendio probatorio: il che gli impedirà in ogni caso di compiere quell’accertamento pieno e rigoroso che deve presiedere all’applicazione della confisca, che non potrà pertanto essere applicata.
Nella prospettazione del ricorrente, quindi, la Corte d’appello non solo avrebbe violato gli articoli 129 del codice di procedura penale e 531, comma 1, stesso codice ma sarebbe incorsa nel vizio di motivazione manifestamente illogica nel momento in cui ha ritenuto di non poter applicare l’articolo 129 del codice di procedura penale con revoca della confisca se non attraverso il completo esame degli atti.
Il ricorrente chiede pertanto alla Corte di cassazione di affermare il principio in forza del quale la prescrizione del reato doveva essere dichiarata ex articolo 129, comma 2, prima di procedere al dibattimento con conseguente annullamento della sentenza impugnata senza rinvio e revoca della disposta confisca.
2.1.5. Con il quinto motivo, rubricato come primo motivo della terza parte del ricorso, il ricorrente eccepisce la violazione della legge penale e il vizio di motivazione (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale), sul rilievo che la Corte d’appello avrebbe fatto propria l’opinione espressa dal tribunale secondo la quale il piano di lottizzazione era di estremo dettaglio circa le caratteristiche e la dislocazione delle opere civili per cui le relative previsioni dovevano essere rispettate in sede di rilascio di concessione edilizia e che solo il Consiglio Comunale avrebbe potuto, adottando le procedure di legge, “asseverare la revisione del numero degli edifici, della loro tipologia, ubicazione etc”.
In tal modo, la Corte distrettuale si sarebbe limitata a riportare apoditticamente quanto esposto nella sentenza di primo grado, nonostante le approfondite censure sviluppate nell’atto di appello e del tutto ignorate, avendo erroneamente stabilito, per le ragioni indicate nel ricorso da pag. 63 a pag. 85, (a) la natura di dettaglio del piano di lottizzazione; avendo erroneamente interpretato (b) gli articoli 12 della convenzione del 1979, 11 della convenzione del 1990, 53 del Regolamento Edilizio Comunale e per aver omesso di considerare  altri elaborati (relazione integrativa 1990 e clausola quadro generale 1981  o delle utilizzazioni  e tavola dei tipi edilizi), circostanze che avrebbero dovuto far propendere anche per l’esclusione dell’elemento soggettivo del reato di lottizzazione, anche in applicazione dell’articolo 5 del codice penale, secondo una lettura costituzionalmente orientata dello stesso, posto che - a fronte  di previsioni come l’articolo 12 Convenzione 1979 e l’articolo 53 del regolamento edilizio, a fronte della  costante prassi amministrativa seguita per oltre un ventennio e di un’interpretazione giurisprudenziale che aveva sempre ritenuto legittimo il  procedimento seguito all’interno della lottizzazione, tanto da ritenere  addirittura “lodevoli e lungimiranti” le modifiche plani volumetriche pur  in assenza di alcuna variante  formale al piano - fosse indubbio che si era ingenerato un affidamento incolpevole, in capo al privato, tanto da doversi escludere semmai l’esistenza di qualsiasi reato per mancanza di “colpa”; avendo infine la Corte d’appello reso una motivazione lacunosa; (c) circa la necessità o meno, nel caso di specie e con riferimento specifico alle situazioni evidenziate in sentenza, di una variante al piano di lottizzazione approvata secondo le disposizioni di legge.
2.1.6. Con il sesto motivo, rubricato come secondo motivo della terza parte del ricorso,  il ricorrente si duole della violazione della legge penale e processuale (articolo 606, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale, in relazione agli articoli 7 Cedu e  49 Carta di Nizza, 30 e 44 dpr 380/2001), sul rilievo che, nell’atto d’appello era stata eccepita la violazione degli articoli 7 CEDU e 49 Carta di Nizza con riferimento alla peculiarità dell’evoluzione del reato di lottizzazione abusiva e dei suoi effetti sulla posizione dell’imputato.
Lamenta il ricorrente che, a tale proposito, la Corte d’appello non abbia speso sull’argomento alcuna parola incorrendo in un macroscopico vizio di carenza di motivazione, avendo, come avvenuto per la gran parte dei motivi di appello, scelto deliberatamente di non motivare.
2.1.7. Con il settimo motivo, rubricato come terzo motivo della terza parte del ricorso, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 43, comma 2, del codice penale in relazione agli articoli 30-44 d.P.R. 380 del 2001 nonché per omessa motivazione su un punto decisivo relativo all’integrazione dell’elemento psicologico (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale).
Sostiene che, nell’atto di appello, era stato sviluppato specifico ed approfondito motivo in ordine alla insussistenza in capo all’imputato dell’elemento psicologico.
Sottolinea come il motivo fosse fondato su una serie di dati documentali e situazioni obiettive (sviluppate nel ricorso da pagina 97 a pagina 100), in esito alle quali doveva ritenersi ictu oculi sussistente la mancanza del dolo o anche di semplice colpa in capo all’imputato.
2.1.8. Con l’ottavo motivo, rubricato come quarto motivo della terza parte del ricorso, il ricorrente ipotizza la violazione della legge penale e processuale per inosservanza e falsa applicazione degli articoli 11 e 117, comma 1, della costituzione in relazione all’articolo 6 e al protocollo 1 Cedu (articolo 606, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale), sul rilievo che la Corte d’appello, in relazione all’avvenuta produzione da parte della difesa della sentenza Varvara contro Italia del 29 ottobre 2013 e Paraporianis contro Grecia del 25 settembre 2008 abbia ritenuto, in violazione di legge, irrilevante la produzione difensiva  circa l’obbligo del giudice nazionale di disapplicazione delle norme interne contrastanti con quelle convenzionali nell’interpretazione datane dei giudici europei.
2.1.9. Con il nono motivo, rubricato come quinto motivo della parte terza del ricorso, il ricorrente evidenzia l’inosservanza e l’erronea applicazione della legge penale nonché di altre norme giuridiche la cui osservanza è richiesta nell’applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale), con riferimento alla violazione degli articoli 6 e 7 della convenzione Edu nonché dell’articolo 1 del protocollo 1 Cedu, sul rilievo che l’illegittima omissione valutativa della Corte d’appello comporti la necessità da parte del giudice di legittimità di stabilire se la sanzione della confisca potesse legittimamente applicarsi al caso in esame in considerazione della giurisprudenza emanata dal giudice europeo, alla quale il giudice nazionale deve adeguarsi.
2.2. Gianluca Ambu impugna con un unico complesso motivo, con il quale deduce l’inosservanza e l’erronea applicazione dell’articolo 323 del codice penale nonché la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale) risultante dal testo della sentenza impugnata e dagli atti specificamente indicati nel ricorso (provvedimento di sospensione del piano di lottizzazione Chia-Sarit del 26 aprile 2006; comunicazione della Chia Immobiliare s.r.l. al Comune di Domus de Maria).
Osserva che, nella sentenza impugnata, si afferma come il ricorrente non avesse contestato la sussistenza materiale dello stesso, sotto il profilo della illegittimità della concessione derivante dall’incompetenza dell’imputato ad emetterla per essere competente il Consiglio comunale.
Invece, la difesa aveva espressamente contestato tale specifico profilo sostenendo che egli fosse competente ad adottare il provvedimento concessorio, posto che non era necessaria alcuna variante al piano di lottizzazione e dunque alcuna delibera del consiglio comunale da approvare in proposito.
Viceversa, la Corte territoriale, partendo dalla premessa errata della mancata contestazione da parte della difesa del difetto di competenza dell’imputato ad adottare il provvedimento asseritamente illegittimo, non avrebbe affrontato, sotto il profilo della sussistenza dell’elemento materiale dell’abuso d’ufficio, tale tematica, finendo con l’occuparsene ad altri fini ossia in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del delitto contestato.
Obietta il ricorrente come, sul punto, il provvedimento impugnato appaia del tutto mancante di motivazione.
Inoltre, assume che la Corte territoriale avrebbe completamente omesso di valutare la tesi svolta dalla difesa in ordine all’asserita violazione della legge regionale 25 novembre 2004 n. 8 e, in particolare, dell’articolo 3 in essa contenuto; violazione contestata al capo e) dell’imputazione e oggetto della motivazione della condanna di primo grado.
A tale proposito, la difesa aveva, nell’atto d'appello, sottolineato come la normativa contenuta nella cd. “legge salvacoste” in alcun modo ostasse al rilascio del provvedimento concessorio, stante la declaratoria, inserita nel P.U.C. del 2001 e confermata nel P.U.C. adottato nel 2005, di salvezza della lottizzazione in esame rispetto alle preclusioni del P.T.P. 14.
Inoltre, l’edificabilità della lottizzazione era assentibile perché la legge regionale n. 8 del 2004 faceva salve le  lottizzazioni per le quali fosse già stato realizzato il reticolo stradale o fosse stata ottenuta, come nel caso di specie, l’attestazione di ultimazione; ancor prima (p. 6) ponendo in evidenza il dato oggettivo costituito dai provvedimenti ed atti provenienti dal Comune  attestanti il completamento delle opere di urbanizzazione e la declaratoria di salvezza della  lottizzazione medesima rispetto alle preclusioni del PTP 14 inserita nel PUC del 2001,  confermata nel PUC adottato nel 2005.
Su tale aspetto, benché trattato nell’atto di gravarne e centrale nella stessa prospettiva accusatoria perché trattavasi di violazione di legge in qualche modo pregiudiziale rispetto alle altre contestate (divieto di edificare nelle aree ricomprese all’interno della fascia dei 2000 metri dalla linea di battigia), la Corte territoriale non avrebbe speso alcun argomento.
I secondi giudici avrebbero poi affrontato la tematica della mancanza di competenza del ricorrente sotto il profilo dell’elemento soggettivo, ritenendo provato che l’Ambu fosse “perfettamente consapevole di essere incompetente ad emettere la concessione edilizia n. 21 del 2005 in quanto già in passato le varianti al piano di lottizzazione degli anni 1980 e 1981 furono approvate dal Consiglio Comunale”.
Obietta il ricorrente come tale affermazione sia ampiamente dimostrativa del fatto che la sentenza impugnata abbia omesso di valutare le ragioni individuate dalla difesa come decisive ad orientare il ricorrente a rilasciare la concessione edilizia in esame, ovvero il combinato disposto delle previsioni ex articolo 12 della  convenzione del 1979, articolo 11 della convenzione del 1990 — compresa la relazione tecnica allegato C ad essa acclusa — e articolo 53 del Regolamento edilizio comunale del 2001, non avendo il giudice di secondo grado esaminato in particolare l’incidenza sull’agire del tecnico comunale dei provvedimenti emessi in data successiva alle varianti del 1980 e 1981.
Ancora, la sentenza impugnata non avrebbe valutato la rilevanza, in punto di sussistenza dell’intenzionalità del dolo, della prassi seguita dall’Ufficio Tecnico Comunale di Domus de Maria nell’interpretazione delle previsioni sopra ricordate.
Il ricorrente inoltre lamenta come mancante o meramente apparente fosse la motivazione offerta nella sentenza impugnata in relazione all’ingiusto vantaggio patrimoniale, non potendo farsi discendere lo stesso dal comportamento non iure tenuto dal soggetto agente (comportamento non iure peraltro dato per assodato ma non motivato). Nell’atto d’appello la difesa aveva sul punto replicato con argomentazioni che non sarebbero state esaminate dalla sentenza impugnata. E ciò benché la legge regionale n. 8 del 2004 costituisse diritto oggettivo regolante la materia, in base al quale valutare l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale in quanto spettante o meno al privato richiedente.
In tal modo, peraltro, la Corte territoriale avrebbe omesso di affrontare pure il tema sottostante, decisivo e “centrale”, ossia se - in assenza della violazione di legge costituita dalla presunta incompetenza del ricorrente ovvero se nel caso di preventiva adozione di una variante al piano di lottizzazione con delibera del Consiglio Comunale - fosse conseguibile, sulla base della vigente normativa regionale, il vantaggio patrimoniale dell’incremento delle potenzialità edificatorie.

3. Pier Luigi Monni ha presentato, in data 3 dicembre 2019, motivi aggiunti con i quali, con particolare riferimento all’evoluzione della giurisprudenza della Cedu, già richiamata nel quarto e nel quinto motivo della parte terza del ricorso principale, ha sottolineato l’importanza, per la delibazione del caso in esame, della sentenza della Grande Camera G.I.E.M S.r.l. e altri c. Italia, emessa il 28 giugno 2018, che ha aggiornato e puntualizzato la posizione della Corte di Strasburgo in merito alla confisca prevista dall’articolo 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ribadendo alcuni principi  affermati con le sentenze Sud Fondi c. Italia e Varvara c. Italia, in relazione: (a) al rispetto delle garanzie processuali tipiche del giusto processo per violazione dell’articolo 415-bis del codice di procedura penale e del principio di correlazione tra accusa e sentenza; (b) all’accertamento dell’elemento oggettivo del reato, essendo la condanna intervenuta per un reato di lottizzazione abusiva negoziale (o mista) di pura creazione giurisprudenziale; (c) all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato; (d) all’applicazione della confisca su beni interamente di proprietà di persone giuridiche mai coinvolte nel processo penale, avendo la sentenza impugnata totalmente omesso di soffermarsi su tale aspetto del problema, senza in alcun modo verificare se le società proprietarie dei beni dovessero o meno considerarsi in buona fede rispetto alle condotte ascritte agli imputati; (e) al rispetto del principio di proporzione, non essendo stato tale aspetto in alcun modo approfondito dalla sentenza impugnata, nonostante che il principio di proporzione fosse già stato enunciato dalla sentenza Sud Fondi.

4. Gianluca Ambu ha presentato, in data 3 dicembre 2019, memoria a sostegno del motivo di ricorso principale sottolineando la violazione di legge sia in relazione alla configurabilità dell’abuso di ufficio sotto lo specifico profilo dell’ingiustizia del vantaggio e sia in relazione al dolo intenzionale tanto con riferimento alla condotta quanto al requisito del vantaggio ingiusto.

5. Pier Luigi Monni ha presentato, in data 2 novembre 2020, motivi aggiunti in relazione al quinto motivo della terza parte del ricorso principale e ad ulteriore sviluppo di quanto già rappresentato nei motivi aggiunti presentati in data 3 dicembre 2019, allegando la circostanza che il comune di Domus de Maria avrebbe espressamente confermato la coerenza della lottizzazione alla pianificazione comunale con una formale delibera di assestamento, allegata ai motivi aggiunti, in forza della quale, alla luce della giurisprudenza di legittimità, tale circostanza dovrebbe determinare l’impossibilità per il giudice di disporre la confisca, sottolineando come l’assestamento, di cui alla predetta delibera, sia stato anche recepito dal Puc del comune di Domus de Maria.

6. Il Procuratore generale ha svolto, prima che fossero tempestivamente formalizzate le richieste di trattazione orale dei ricorsi, una puntuale ed ampia requisitoria scritta con la quale ha esaminato funditus i motivi di ricorso, formulando le conclusioni orali riportate in epigrafe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso Monni è infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.
Il ricorso Ambu è invece parzialmente fondato, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere, nei suoi confronti, annullata senza rinvio, essendo il reato di abuso d’ufficio estinto per intervenuta prescrizione.

2. Partendo dall’esame delle questioni processuali, in quanto preliminari allo scrutinio delle questioni di merito, osserva il Collegio come il primo motivo del ricorso Monni sia infondato.
Con esso (cfr. 2.1.1. del ritenuto in fatto) il ricorrente, in buona sostanza, sostiene che -  siccome il reato di lottizzazione abusiva di cui al capo a) sarebbe riferito alla costruzione del garage di cui al capo b) e, quindi, ad una lottizzazione di tipo materiale - la motivazione della sentenza di primo grado, non rimossa dalla Corte d’appello, fonderebbe la statuizione di condanna sulla base del rilascio della concessione edilizia n. 21 del 2005, come integrante un nuovo piano di lottizzazione, con la conseguenza che egli sarebbe stato condannato per il reato di lottizzazione abusiva cartolare in presenza di una contestazione costruita sulla sola ed esclusiva base di un titolo di reato differente, ossia la lottizzazione abusiva materiale.
Il giudice di primo grado, nel pervenire a tale conclusione, avrebbe, inoltre, emesso una statuizione, cristallizzata nel dispositivo, in palese contrasto con la motivazione perché, mentre con il dispositivo è stata pronunciata condanna in relazione al reato contestato (lottizzazione abusiva materiale), la penale responsabilità sarebbe stata argomentata, nella motivazione, ritenendo configurabile un differente ed autonomo titolo di reato (lottizzazione abusiva cartolare), mai contestato all’imputato, integrandosi, peraltro, una insanabile discrepanza tra la motivazione ed il dispositivo, essendo questo rimasto ancorato alla contestazione.
A sua volta, la Corte d’appello, pur in presenza di una specifica censura in tal senso, ha respinto la doglianza, incorrendo nei vizi di violazione di legge e di motivazione denunciati.
Allo stesso modo, anche i reati di costruzione abusiva in zona paesaggistica (capi “b” ed “f” della rubrica) erano stati ritenuti configurabili pur in difetto di rituale contestazione, posto che l’illegittimità del manufatto era fatta derivare, come da contestazione elevata, sulla base della mancanza del nulla osta paesaggistico, provvedimento ritenuto poi non necessario ed essendo da ciò derivata l’assoluzione per insussistenza del fatto dal corrispondente reato paesaggistico di cui al capo g) della rubrica.
2.1. Ciò posto, la prospettiva, sulla quale poggia il motivo di ricorso, è, in partenza, priva di giuridico fondamento perché, a prescindere dall’errore di diritto compiuto dalla Corte d’appello ed al quale può porre riparo la Corte di cassazione ai sensi dell’articolo 619 del codice di procedura penale, il capo di imputazione (ossia il capo “A” della rubrica per il quale, secondo il dispositivo della sentenza di primo grado, l’imputato è stato ritenuto colpevole) era effettivamente strutturato mediante l’espressa indicazione, nella descrizione del fatto di reato, di una fattispecie di lottizzazione abusiva esclusivamente materiale ed in relazione a tale contestazione la condanna è stata pronunciata, con la conseguenza che alcun difetto di correlazione tra accusa e sentenza può essere reclamato.
Infatti, come lo stesso ricorrente riconosce, nella parte in cui ha trascritto, nell’atto di gravame, il capo a) dell’imputazione (cfr. pag. 2 del ricorso), l’accusa contestava all’imputato il fatto di “aver iniziato opere”, ossia la costruzione del garage che era risultata “avviata sulla base della concessione edilizia n. 21 del 2005 qualificata come  semplice variante alla C.E. 511/38 del 13 giugno 2001,  prevedente la realizzazione di complessive 53 unità  abitative (…) con una totale differente distribuzione planimetrica degli edifici, divisione dei lotti e notevole aumento delle volumetrie (204 %) rispetto a  quanto previsto nel piano (originario, n.d.r.) di lottizzazione”, con la conseguenza che l’imputazione non si presentava come una contestazione a struttura mista, essendo il fatto storico caratterizzato da un’unica modalità della condotta, in quanto la  lottizzazione abusiva contestata aveva una valenza esclusivamente materiale (“aver iniziato opere”) sulla base però di un nuovo assetto del territorio assentito dalla concessione (illegittima) n. 21 del 2005.
2.2. La Corte d’appello ha correttamente ricordato che integra il reato di lottizzazione abusiva anche la cosiddetta lottizzazione “mista”, che si configura sia nell’attività negoziale o, più in generale, anche solo “cartolare” o “giuridica” di trasformazione urbanistica dei terreni - in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici o in violazione delle prescrizioni stabilite dalle leggi statali o regionali o in assenza di autorizzazione allorquando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti all’uno (ossia al frazionamento) o all’altra (ossia alla vendita), di un terreno in lotti - e sia nella successiva attività di edificazione ovvero anche soltanto di inizio delle opere di costruzione (Sez. 3, n. 6080 del 26/10/2007, dep. 2008, Casile, Rv. 238979 – 01).
Orbene, nel suo complesso, l’articolo 30, comma primo, d.P.R. n. 380 del 2001, cui rinvia l’articolo 44, comma primo, lettera c), stesso decreto che punisce il reato di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, si atteggia, infatti, come norma a più fattispecie alternative, cioè come reato realizzabile mediante fattispecie equivalenti, nel senso che il reato è integrato dall’una (lottizzazione materiale) o dall’altra condotta (lottizzazione negoziale, giuridica o cartolare) ovvero da condotte plurime (lottizzazione materiale e negoziale cd. “mista”), tutte sussumibili nel medesimo modello legale di reato, e non come disposizione a più norme, il cui plurimo verificarsi determini una pluralità di reati in concorso formale o materiale fra loro.
Tuttavia, l’attività di edificazione non richiede che siano necessariamente eseguite opere tali da comportare una considerevole trasformazione urbanistica del territorio, ma implica soltanto che vengano iniziate opere rientranti nella predisposta e illegittima trasformazione del territorio stesso, qualunque sia il presupposto sulla cui base siano anche solo “iniziate” le opere di trasformazione urbanistica.
Ne consegue che, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente con il secondo motivo del ricorso, nel reato di lottizzazione abusiva la lesività non può essere parametrata all’effettiva trasformazione urbanistica del territorio giacché essa va riferita alla potenzialità di tale trasformazione ossia al pericolo che il territorio subisca una urbanizzazione contra legem, non prevista o di tipo diverso da quella prevista, in quanto la lottizzazione abusiva integra un reato di pericolo e non un reato di danno.
Quindi, il reato di lottizzazione abusiva negoziale non può essere configurato ogni qualvolta la trasformazione dell’assetto del territorio sia la conseguenza di un’attività documentale (cartolare) ma solo quando essa venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti (al frazionamento e alla vendita).
Pertanto, l’atto illegittimo della pubblica amministrazione, ampliativo della situazione giuridica attiva del privato (nella specie la concessione edilizia n. 21), non può ritenersi atto equivalente ad un frazionamento (dei terreni in lotti) e, ovviamente, neppure a una vendita, espressioni che tipicizzano il modello legale del reato di lottizzazione abusiva negoziale e il giudice penale, il quale deve prestare, in ogni momento, esatta osservanza al principio di legalità, non può operare, come ha opportunamente sottolineato il Procuratore generale nella sua requisitoria, interpretazioni analogiche in malam partem.
Conseguentemente rientrano nel perimetro della fattispecie incriminatrice (reato di lottizzazione abusiva negoziale) solo ed esclusivamente gli atti di frazionamento e di vendita ovvero atti equivalenti al frazionamento o alla vendita e, quindi, il reato è integrato non attraverso qualsiasi atto giuridico o negoziale ma solo quando la trasformazione urbanistica venga predisposta “attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione, o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio” (articolo 30 d.P.R. n. 380 del 2001).
Mentre la vendita è definita dall’articolo 1740 del codice civile, il frazionamento del terreno è inteso dalla giurisprudenza di legittimità in senso atecnico e si riferisce a qualsiasi attività giuridica che abbia per effetto la suddivisione in lotti di un’area di più ampia estensione, comunque predisposta od attuata, attribuendone la disponibilità a terzi al fine di realizzare una non consentita trasformazione urbanistica od edilizia del territorio ed il frazionamento non deve necessariamente avvenire mediante apposita operazione catastale, che preceda le vendite o gli atti di disposizione, ma può realizzarsi con ogni altra forma di suddivisione fattuale dello stesso (ex multis, Sez. 3, n. 6080 del 26/10/2007, cit., Casile, Rv. 238978 - 01).
In altri termini, come è stato puntualmente sottolineato in dottrina, la lottizzazione abusiva negoziale si ha quando, pur non essendo ancora intervenuta una trasformazione lottizzatoria di carattere materiale, se ne realizzano i presupposti attraverso la vendita non autorizzata di un terreno frazionato in lotti ovvero sulla base di quote che accrescano il numero dei soggetti titolari del diritto sul bene, tutte le volte che da elementi indiziari risulti in modo non equivoco lo scopo edificatorio.
E’, quindi, necessaria un’attività negoziale che persegua il fine lottizzatorio e detta attività, come si evince dalla lettura del secondo comma dell’articolo 30 d.P.R. n. 380 del 2001, si identifica (perciò si parla di lottizzazione negoziale, giuridica o cartolare) nei contratti, stipulati tanto in forma pubblica quanto in forma privata, riguardanti diritti reali ed aventi ad oggetto il trasferimento di essi ovvero la costituzione ed il trasferimento di diritti di usufrutto, uso ed enfiteusi.
Da ciò si desume come non ogni attività documentale (cartolare) sia idonea ad integrare la condotta descritta dall’articolo 30 d.P.R. n. 380 del 2001 in relazione al titolo di reato della lottizzazione abusiva negoziale, bensì soltanto quella che la disposizione necessariamente richiede, cosicché l’incriminazione del reato di lottizzazione abusiva negoziale assolve all’esigenza di anticipare la soglia di tutela del bene-interesse protetto dalla norma, ossia l’ordinato assetto e sviluppo urbanistico del territorio, quando ancora esso non sia stato oggetto di modificazione materiale, consentendo alla pubblica amministrazione di intervenire e, pertanto, di esercitare i poteri di vigilanza funzionali alla garanzia di assicurare un corretto ed ordinato uso del territorio stesso, ancora prima che vengano compiuti atti concreti di trasformazione del territorio medesimo ed evitare che il bene rischi così di essere trasformato in modo irreversibile.
Per questa ragione, attraverso la previsione della figura di reato della c.d. lottizzazione negoziale, a differenza di quanto avviene nelle altre tipologie di abuso edilizio, si viene ad anticipare la soglia minima di punibilità dell’illecito, ritenendo integrata la lesione al bene tutelato dalla norma anche in presenza di un’attività (che deve essere tassativamente di frazionamento e vendita dei terreni in lotti o atti equivalenti al frazionamento e alla vendita) solo giuridica ma potenzialmente preordinata alla manomissione del territorio, e suscettibile di precludere la strada della pianificazione urbanistica.
Come è stato opportunamente evidenziato, tale esigenza di intervento si è imposta all'attenzione prima dei giudici e poi del legislatore, proprio in considerazione delle peculiarità della lottizzazione giuridica che può anche restare in stato di quiescenza per lungo tempo, ben potendo i proprietari dei singoli lotti decidere di attendere il momento più opportuno per ottenere il rilascio della concessione edilizia (ora permesso di costruire) per edificare.
Invece, il reato di lottizzazione abusiva materiale può essere integrato quando vengano realizzate, o anche solo iniziate (come nel caso di specie), opere in mancanza di qualsiasi provvedimento autorizzativo o per le quali sia stato rilasciato un provvedimento di autorizzazione (nel caso in esame la concessione “illegittima” n. 21 del 2005), ove dette opere, riguardate nella loro direzione finalistica, comportino una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio in violazione delle prescrizioni espresse dagli strumenti urbanistici e dalle leggi, restando a tale proposito indifferente se la violazione dipenda dalla carenza del necessario piano di lottizzazione o se piuttosto l’intervento risulti precluso in radice per le sue connotazioni obiettive, tali da porlo in contrasto con lo strumento generale di pianificazione, non modificabile da piani attuativi (Sez.  6, n. 4424 del 07/10/2004, dep. 2005, Foti, Rv. 231476).
La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, già chiarito che integra il reato di cui all’articolo 44, comma 1, lettera c) d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione all’articolo 30 stesso decreto, la condotta di chi, pur in presenza di un provvedimento amministrativo che le autorizzi, inizi opere che comportino la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio (ovvero la predisponga con atti giuridici) in violazione delle prescrizioni stabilite dagli strumenti urbanistici e dalle leggi, atteso che detta fattispecie è delineata in via alternativa, potendosi realizzare sia per la mancanza della autorizzazione sia per contrasto con le prescrizioni di legge o di piano della attività materiale o giuridica realizzata, restando irrilevante l’avvenuto rilascio di un provvedimento autorizzativo (Sez. U, n. 5115 del 28/11/2001, dep. 2002, Salvini, in motiv.).
Perciò, quanto all’illecito lottizzatorio, da un lato, non sussiste, nel caso in esame, alcuna mutazione del fatto contestato e, dall’altro, l’attività iniziale di edificazione (ossia la costruzione del garage) non andava riguardata come esecuzione dell’opera in sé ma come momento in cui il piano lottizzatorio abusivo, estrinsecandosi, con l’inizio delle opere, in un intervento materiale sul suolo, integrava proprio la fattispecie (contestata) della lottizzazione abusiva materiale.
Infatti, come sarà anche più chiaro in seguito, la lottizzazione abusiva ha come momento iniziale quello in cui il piano lottizzatorio si estrinseca in un intervento materiale sul suolo, o negoziale rispetto al suolo (nel caso di specie da escludere non essendo stati compiuti, come detto, atti equivalenti al frazionamento e alla vendita), diretto a mutarne l’originaria destinazione e a renderlo funzionale al progetto di edificazione frazionata e progressiva.
 Di conseguenza, deve ritenersi corretta l’impostazione giuridica del primo giudice che non ha affatto configurato un’ipotesi di lottizzazione mista (materiale e negoziale), come invece erroneamente affermato dalla Corte d’appello e lamentato dal ricorrente sotto altra e analoga prospettiva (che il giudice di primo grado avesse cioè motivato sul reato di lottizzazione cartolare, mentre era stata contestata una lottizzazione abusiva materiale), ma ha individuato il presupposto del reato nel provvedimento amministrativo che autorizzava, contra legem, un intervento a tutti gli effetti lottizzatorio, fermo restando che il reato si è perfezionato (e non certo interamente consumato) con l’inizio dei lavori, integrando perciò la fattispecie della lottizzazione abusiva materiale.  
E’, allora, di tutta evidenza come, su queste basi, alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza possa essere predicato, come il dispositivo e la motivazione della sentenza di primo grado siano del tutto coerenti tra loro, cosicché alcun contrasto può essere riscontrato, e come, infine, il principio devolutivo non risulti minimamente intaccato.
Come anticipato in precedenza, siffatta operazione ermeneutica - ossia la correzione dell’errore di diritto riscontrato nella sentenza impugnata che impropriamente ha configurato un’ipotesi di lottizzazione abusiva mista e, dunque, anche negoziale - si traduce  esclusivamente nell’assegnare al fatto, come  consegnato dai giudici del merito, il suo corretto inquadramento giuridico ed è solo il caso di ribadire che la disposizione dell’articolo 619 del codice di procedura penale trova la sua “ratio” nell’esigenza di scongiurare l’annullamento della decisione impugnata tutte le volte in cui la Corte di cassazione, rimanendo, come nella specie, nell’ambito della sua funzione istituzionale e nel rispetto del fatto come ritenuto dal giudice di merito, possa ovviare, tra l’altro, a errori di diritto, lasciando inalterato l’essenziale del contesto decisorio assunto con la sentenza esaminata (Sez. U, n. 9973 del 24/06/1998, Kremi, Rv. 211072 - 01).   
Infine, non hanno pregio le doglianze formulate in relazione ai reati di costruzione abusiva del garage in zona vincolata, dichiarati prescritti, perché, rispetto ad essi, in ordine ai quali, a differenza dell’illecito lottizzatorio, non si pone alcuna questione circa il capo concernente la confisca urbanistica, l’indagine volta ad accertare la violazione del principio di correlazione non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi, come nel caso di specie, nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051 – 01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619 – 01).
Infatti, quanto alla costruzione del garage, il ricorrente ha sostenuto la legittimità dell’intervento a prescindere dalla mancanza del nulla osta paesaggistico e, se anche sussistesse il lamentato difetto di contestazione, vige il principio che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità nullità, anche di ordine generale, della sentenza impugnata in quanto il giudice di merito avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275 - 01).

3. Il secondo motivo del ricorso Monni, strettamente collegato al primo, è inammissibile, in quanto manifestamente infondato e, in considerazione della sua natura tipicamente fattuale, non consentito nel giudizio di legittimità.
Con esso (cfr. 2.1.2. del ritenuto in fatto) il ricorrente, partendo dalla postulata fondatezza del precedente motivo, sostiene che, siccome la costruzione del garage non necessitava del nulla osta paesaggistico, tale circostanza avrebbe dovuto comportare anche l’assoluzione dell’imputato dal contestato reato di lottizzazione materiale, il quale esigerebbe, per la sua consumazione, l’effettuazione di opere in concreto idonee a modificare in termini apprezzabili l’assetto urbanistico del territorio, stravolgendolo.
Tale assunto è fondato sulla circostanza che, ad avviso del ricorrente, l’intervento sul garage non costituisse esecuzione dell’intero programma edificatorio previsto nella concessione edilizia, trattandosi di un intervento autonomo, distante diverse decine e centinaia di metri, in contesti differenti ed autonomi ed in relazione ai quali il permesso era scomponibile in altrettanti separati permessi di costruzione.
In disparte la natura fattuale della censura, come tale esclusa dal perimetro cognitivo riservato al giudizio di legittimità, la tesi non considera, come è stato in precedenza osservato, che il reato di lottizzazione abusiva è integrato non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione contra legem, non prevista o diversa da quella programmata (Sez. 3, n. 37383 del 16/07/2013, Desimine, Rv. 256519 – 01).
Nel caso in esame il reato di lottizzazione abusiva materiale, indipendentemente dalla consumazione, attesa la natura di “reato progressivo nell’evento”, si è perfezionato con l’inizio delle opere, ossia con l’esecuzione della costruzione del garage (manufatto di circa mq. 50,4) realizzato proprio sulla base della predetta concessione edilizia rilasciata come variante in corso d’opera a precedente concessione alla “Chia - S.A.R.I.T. immobiliare s.p.a.”, comportante la sestuplicazione (da tre a diciotto) dei corpi edilizi previsti, senza alcuna pianificazione urbanistica e, quindi, senza l’approvazione di un nuovo piano di lottizzazione, posto che gli interventi, nel loro complesso, necessitavano appunto di un modulo organizzativo attraverso il quale, ai beni che formavano oggetto della trasformazione urbanistica del territorio, fosse impresso lo statuto previsto dagli strumenti urbanistici o imposto dalle leggi statali o regionali.
Siccome i permessi di costruire (in precedenza concessioni edilizie) non hanno la funzione di pianificare l’uso del territorio e, dunque, non possono sopperire alla mancata adozione del necessario strumento urbanistico, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in materia di violazioni edilizie, il reato di lottizzazione abusiva non è escluso dall’eventuale rilascio da parte della pubblica amministrazione di permessi di costruire (in precedenza concessioni edilizie) relativi ai singoli interventi edilizi. (Sez. 3, n. 36397 del 17/04/2019, Taranto, Rv. 277169 - 01).
Ne consegue che, risultando confermata, nel caso di specie, la configurabiltà di una lottizzazione abusiva materiale, il motivo – a parte la sua connotazione fattuale nella misura in cui evoca un intervento edilizio inquadrabile come autonomo, distante diverse decine e centinaia di metri, situato in contesti differenti ed indipendenti – risulta anche privo di giuridica consistenza, essendo inidoneo a scardinare la ritenuta sussistenza dell’illecito lottizzatorio.

4. Il terzo motivo non è fondato.
4.1. Con esso (cfr. 2.1.3. del ritenuto in fatto) il ricorrente eccepisce la nullità dell’avviso ex articolo 415-bis del codice di procedura penale (e atti conseguenti) con riferimento al procedimento n. 8920 del 2006 R.G.N.R., in quanto l’avviso di chiusura delle indagini preliminari e l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare furono notificati, al difensore d’ufficio (l’avviso di chiusura delle indagini) e a quello di fiducia avv. Raffaele Soddu (l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare), e non anche all’avv. Meloni che sarebbe stato codifensore perché nominato dall’imputato Monni.
4.2. Sul punto, la Corte territoriale ha correttamente risposto ai rilievi difensivi, sottolineando come il Tribunale avesse rilevato che l’avv. Meloni era stato nominato difensore di fiducia nel procedimento n. 3788 del 2006, nel quale procedimento il ricorrente era l’unico indagato per i reati di cui agli articoli 44 d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 d.lgs. n. 42 del 2004 e che, per tale procedimento, in seguito alla chiusura delle indagini, in data 29 agosto 2006, fu richiesto il decreto penale di condanna.
Soltanto a seguito di nuove indagini, che videro coinvolto anche il Monni, il pubblico ministero iscrisse nuovamente il ricorrente nel registro degli indagati al n. 8920 del 2006 R.G.N.R., non essendo possibile, come rilevato dai giudici di merito, a indagini concluse (appunto per il procedimento n. 3788 del 2006 nel quale, come si è detto, era stata esercitata l’azione penale con la richiesta del decreto penale di condanna), aggiornare il registro degli indagati, giacché, in ogni caso, tale aggiornamento, ai sensi dell’articolo 335, secondo comma, del codice di procedura penale, poteva essere compiuto solo nell’ipotesi, diversa da quella in concreto verificatasi, in cui fosse mutata la qualificazione giuridica del fatto ovvero questo fosse risultato diversamente circostanziato.
4.3. Risulta, pertanto, che, contrariamente all’assunto del ricorrente, erano stati incardinati due procedimenti distinti ed autonomi e in quello recante il numero 8920 del 2006 il ricorrente era sprovvisto di difensore non avendo ancora nominato un difensore di fiducia (poi nominato nella persona dell’avv. Soddu), mentre nel procedimento n. 3788 del 2006 il difensore di fiducia dell’imputato era l’avv. Meloni, cosicché il pubblico ministero, con riferimento al procedimento n. 8920 del 2006, non aveva altra scelta che nominare all’imputato un difensore d’ufficio.
Il fatto che poi i due procedimenti fossero connessi e siano stati successivamente riuniti è, con tutta evidenza, privo di rilievo ai fine dell’eccepita nullità, insussistente al tempo del compimento degli atti processuali di garanzia.
Sul punto, sebbene il principio sia stato prevalentemente dettato con riferimento al processo di esecuzione in relazione a precedenti nomine fiduciarie eseguite nel processo di cognizione, va condiviso l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità alla luce del quale l’individuazione del difensore non può avvenire con riferimento a nomine relative a diversi procedimenti (Sez. 1, n. 2109 del 21/03/2000, Tramballi, Rv. 216192 – 01).
Infatti, l’autonomia delle “regiudicande”, quantunque in ipotesi tra loro connesse o collegate, non autorizza il giudice o il pubblico ministero a derogare al principio fissato nell’articolo 97 del codice di procedura penale, in forza del quale l’imputato che non abbia nominato un difensore di fiducia (o ne sia rimasto privo) è assistito dal difensore di ufficio, in quanto l’articolo 96, comma 2, stesso codice prescrive che la nomina fiduciaria sia fatta all’autorità procedente, che è solo quella competente a ricevere l’atto di nomina del difensore di fiducia, ossia il pubblico ministero o il giudice  davanti al quale è incardinato il singolo procedimento o il processo, per cui la dichiarazione di nomina è fatta e la ricezione dell’atto costituisce requisito richiesto “ad substantiam”, la cui mancanza non obbliga a provvedere sulle istanze presentate dal professionista non investito del mandato difensivo (Sez. 1, n. 17879 del 18/02/2004, Cortese, Rv. 228281 – 01).
Ne consegue che la nomina del difensore di fiducia ha effetto esclusivamente nel procedimento al quale la nomina stessa si riferisce e non si estende ad altri procedimenti che abbiano, per ipotesi, ad oggetto lo stesso fatto (Sez. 3, n. 48977 del 25/09/2014, Mircea, Rv. 261158 – 01). Ciò in quanto, affinché la nomina sia conoscibile per gli organi giudiziari e la cancelleria, è necessario che la stessa sia inclusa nel fascicolo dell’autorità giudiziaria procedente. Peraltro, nel caso di specie, la stessa difesa ha, in tesi, escluso che la nomina fosse presente nel fascicolo n. 8920 del 2006 R.G.N.R.
Va infine chiarito come il caso di specie non sia poi inquadrabile, come il ricorrente invece erroneamente deduce, nell’istituto della separazione (o stralcio) dei procedimenti, nel qual caso, quando le “cause” pendano, per effetto della separazione, nella stessa fase e siano incardinate presso la medesima autorità procedente, effettivamente è necessario che nel procedimento di nuova formazione confluiscano, oltre agli atti ritenuti necessari ad insindacabile giudizio dell’autorità giudiziaria procedente, anche quelli rilevanti per l’esercizio del diritto di difesa e contenuti nel procedimento dal quale la separazione origina, tra i quali, senza dubbio, la nomina del difensore.
Ciò in quanto, la nomina del difensore, essendo sin dall’origine inclusa nel fascicolo dell’autorità giudiziaria procedente, vale anche per il procedimento stralciato che altro non è se non il procedimento originario da questo separato per ragioni processuali.
Nessuno dubita invero del fatto che qualora il pubblico ministero iscriva nuove notizie di reato in relazione ad un procedimento nel quale, per le notizie di reato originariamente iscritte, sia stata in precedenza effettuata la nomina del difensore, detta nomina, già contenuta nel medesimo fascicolo, si estenda anche per gli atti da compiere in relazione alle notizie di reato di nuova iscrizione.    
Nel caso in esame, invece, i procedimenti non sono mai stati ab origine uniti ma è risultata l’apertura di un nuovo procedimento sulla base di ulteriori notizie di reato rispetto a quelle per le quali era già stata esercitata in precedenza l’azione penale ed è risultato che i procedimenti stessi, autonomi tra loro e pendenti in fasi processuali diverse (cioè il procedimento nel quale era stata fatta la nomina del difensore di fiducia si trovava già nella fase processuale mentre l’altro procedimento, sorto con l’iscrizione della successiva notizia di reato, si trovava nella fase delle indagini preliminari), siano stati successivamente riuniti (ma solo quando entrambi si trovarono nella medesima fase “processuale”), riunione, pertanto, irrilevante, come anticipato, ai fini dell’eccepita nullità.

5. Il quarto (inserito a capo della seconda parte del ricorso), il sesto (rubricato come secondo motivo della parte terza del ricorso), l’ottavo (rubricato come quarto motivo della parte terza del ricorso) ed il nono motivo (rubricato come quinto motivo della parte terza del ricorso), essendo tra loro collegati, possono essere congiuntamente esaminati.
Con essi il ricorrente attacca l’ordinanza con la quale la Corte di appello ha respinto la richiesta di immediata declaratoria di estinzione del reato mediante l’applicazione dell’articolo 129 del codice di procedura penale, essendo la prescrizione maturata, a suo avviso, sin dal 4 dicembre 2011 (cfr. 2.1.4. del ritenuto in fatto), eccepisce la violazione degli articoli 7 Cedu e 49 della carta di Nizza (cfr.2.1.6. del ritenuto in fatto), deduce l’inosservanza degli articoli 11 e 117, comma 1, della costituzione in relazione all’articolo 6 e al protocollo 1 Cedu (cfr. 2.1.8. del ritenuto in fatto) e, infine, si duole della violazione di legge, per avere la Corte d’appello omesso di valutare se la sanzione della confisca potesse legittimamente applicarsi al caso in esame in considerazione della giurisprudenza emanata dal giudice europeo in subiecta materia (cfr. 2.1.9. del ritenuto in fatto).
I motivi non sono fondati.
5.1. La Corte d’appello, con ordinanza del 10 ottobre 2013, aveva ritenuto di respingere, allo stato degli atti, l’eccezione di prescrizione (poi, infatti, dichiarata con sentenza), sul rilievo che, per decidere sulla questione, non potesse prescindersi da una valutazione di tutte le risultanze dell’istruttoria dibattimentale.
5.2. Il ricorrente, nel sostenere il suo assunto, parte però dall’indimostrato ed erroneo presupposto che il reato di lottizzazione fosse prescritto alla data del dicembre 2011.
Sul punto, nel riprendere le precisazioni articolate a proposito del primo motivo di ricorso circa la natura dell’illecito lottizzatorio e che ora vanno ulteriormente completate, va ricordato come la giurisprudenza di questa Sezione sia orientata, senza contrasti, a ritenere il reato di lottizzazione inquadrabile nella categoria del “reato progressivo nell'evento”.
Si tratta di una categoria che, in seno alla teoria generale del reato di durata, non ha avuto ancora un preciso riconoscimento nelle trattazioni manualistiche ma che è stata avallata dalla giurisprudenza di legittimità anche nella sua più autorevole espressione.
A tale riguardo, occorre anche ricordare (cfr. Sez. 3, n. 44836 del 06/02/2018, Attolini, non mass., sul punto) che, già a partire dalla fine degli anni ottanta, la giurisprudenza della Corte si è decisamente schierata nel ritenere configurabile il reato di lottizzazione abusiva anche quando l’attività posta in essere fosse successiva agli atti di frazionamento o ad opere già eseguite perché tali attività iniziali, pur integrando la figura di reato, non ne definivano l’iter criminoso che si perpetuava negli interventi che incidevano sull’assetto urbanistico, tanto sul presupposto che il reato in questione fosse, per un verso, un reato a carattere permanente e progressivo e, per altro verso, un reato a condotta libera, con la conseguenza che, in primo luogo, non si riscontrava alcuna coincidenza tra il momento in cui la condotta assumeva rilevanza penale e il momento di cessazione del reato, in quanto anche la condotta successiva alla commissione del reato poteva dare luogo ad una situazione antigiuridica di pari efficacia criminosa; in secondo luogo, dato che il reato di lottizzazione abusiva si realizzava anche mediante atti negoziali diretti al frazionamento della proprietà, con previsioni pattizie rivelatrici dell’attentato al potere programmatorio dell’autorità deputata al governo del territorio, ciò non significava che l’azione criminosa si esaurisse in questo tipo di condotta, perché la esecuzione ulteriore di opere di urbanizzazione primaria e secondaria comprometteva le scelte di destinazione e di uso del territorio riservate alla competenza statale o comunale (Sez. 3, n. 6970 del 04/05/1988, Antoniuccio, Rv. 178594).
Le Sezioni Unite Fogliani convalidarono espressamente tale ultimo orientamento (Sez. U, n. 4708 del 24 aprile 1992, Fogliani, in motiv.) e da allora, in modo compatto, la Corte ha sempre ritenuto e ribadito come la contravvenzione di lottizzazione abusiva configuri un reato progressivo nell’evento, che sussiste anche quando l’attività posta in essere sia successiva agli atti di frazionamento o ad opere già eseguite, atteso che tali iniziali attività, pur integrando la configurazione del reato, non esauriscono il percorso criminoso che si protrae con gli interventi successivi che incidono sull’assetto urbanistico, in quanto l’esecuzione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria compromettono ulteriormente le scelte di destinazione e di uso del territorio riservate alla competenza pubblica (Sez. 3, n. 14053 del 20/02/2018, Ammaturo, Rv. 272697 - 01; Sez. 3, n. 44836 del 06/02/2018, cit., non mass.; Sez. 3, n. 5105 del 13/12/2013, dep. 2014, Longo, non mass.; Sez. 3, n. 12772 del 28/02/2012, Tallarini, Rv. 252236; Sez.  3, n. 38908 del 10/10/2006, Tunno, Rv. 23540; Sez. 3, n. 36940 del 11/05/2005, Stiffi, Rv. 232190).
Le ragioni di un tale condivisibile indirizzo fondano sul rilievo che il reato di lottizzazione non può rientrare, come pure è stato ritenuto, né nella categoria del reato istantaneo con effetti permanenti, in quanto si ha una successione di varie condotte, che si protraggono nel tempo e che sono strettamente collegate tra loro dal punto di vista finalistico e causale; né nella categoria del reato continuato, poiché non si ha, “a parte rei”, una pluralità di illeciti penali unificati dal medesimo disegno criminoso, quanto piuttosto una pluralità di condotte realizzate da soggetti diversi o dal medesimo soggetto senza che, in tale ultimo caso, si realizzi un concorso di reati (di lottizzazione) quanto piuttosto uno spostamento in avanti del momento consumativo del reato stesso e neppure nella categoria del reato eventualmente abituale poiché la reiterazione di condotte identiche oppure omogenee non è elemento costitutivo del reato di lottizzazione e tantomeno, infine, nella categoria, invero più congeniale, del reato permanente in senso stretto, in quanto, dopo la introduzione dello stato antigiuridico, la condotta non è di solo mantenimento della situazione contra ius, ma eventualmente esecutiva attraverso il compimento di ulteriori azioni causalmente e finalisticamente collegate alle precedenti e dirette ad approfondire l’illecito lottizzatorio con aggravamento dell’offesa all’interesse penalmente tutelato.
Questa è la ragione per la quale si è ritenuto che il reato di lottizzazione fosse inquadrabile nel c.d. reato progressivo nell’evento (che è cosa ben diversa dal ritenere che la lottizzazione rientri nello schema del reato progressivo) in cui possono concorrere, nell’unicità della fattispecie incriminatrice, il momento negoziale, quello programmatorio mediante l’esecuzione di opere di urbanizzazione e quello attuativo con la costruzione degli edifici.
Ed infatti la condotta illegittima, pur nella sua unitarietà, può essere attuata in forme (il reato è a forma libera) e momenti diversi e da una pluralità di soggetti, in concorso fra loro (proprietari, costruttori, geometri, architetti, mediatori di vendita, notai, esecutori di opere, pubblici ufficiali o amministratori che, come nel caso in esame, hanno rilasciato titoli abilitativi ecc.) sicché correttamente si può configurare la figura del reato progressivo nell’evento lesivo dell’interesse urbanistico protetto.
Un riscontro normativo a detto orientamento si rinviene ora nel d.P.R. n. 380 del 2001, articolo 30, comma 7, (in precedenza nella L. 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 18, comma 7) il quale prevede che l’ordinanza di sospensione da emettere da parte del dirigente o da parte del responsabile del competente ufficio comunale, qualora sia accertata l’effettuazione di una lottizzazione abusiva, debba essere notificata (proprio per evitare un successivo approfondimento dell’illecito) anche agli altri soggetti indicati dall’articolo 29, comma 1, ossia, oltre ai proprietari delle aree, al titolare del premesso di costruire, se rilasciato, al committente ed al costruttore, sicché il momento di consumazione del reato si protrae, di regola, fino all’ultimazione dell’ultimo edificio programmato.
Ne consegue che l’illecito lottizzatorio si realizza (in altri termini, la consumazione ha inizio) allorquando sia al completo dei requisiti necessari e sufficienti per l’integrazione della fattispecie incriminatrice ed il momento consumativo perdura nel tempo sino a quando l’offesa tipica raggiunge, attraverso un passaggio graduale da uno stadio determinato ad un altro ad esso successivo, una sempre maggiore gravità, ed in ciò la lottizzazione, quale reato progressivo nell’evento, partecipa alla medesima disciplina del reato permanente, anche mutuandone ricadute giuridiche, e del quale ha in comune la struttura unitaria, l’instaurazione di uno stato antigiuridico ed il suo mantenimento ma ha, in aggiunta un progressivo approfondimento dell’illecito attraverso condotte eventualmente successive, anche commesse da terzi ma causalmente collegate al fatto proprio e colpevole dell’imputato, dirette ad aggravare l’evento del reato, atteso che gli interventi susseguenti incidono, anche essi e  necessariamente, sull’assetto urbanistico, compromettendo ulteriormente le scelte di destinazione e di uso del territorio riservate alla competenza pubblica.
La gravità dell’offesa può invero spostare, come la stessa dottrina ammette, il tempo del reato ed il diritto vivente, oltre al reato progressivo nell’evento, tipico dell’illecito lottizzatorio, ha enunciato le categorie del reato a duplice schema (Sez. 2, n. 38812 del 01/10/2008, Barreca, Rv. 241452) e del reato a consumazione prolungata o frazionata (Sez. 4, n. 17036 del 15/01/2009, Palermo, Rv. 243959) che rispondono alla medesima ratio (così, Sez. 3. n. 25182 del 13/06/2014, Durante, non mass.).
In passato, la giurisprudenza di legittimità aveva già espresso tali concetti quando ha affermato che lo stato di permanente consumazione della lottizzazione abusiva ha come momento iniziale quello in cui il piano lottizzatorio abusivo si estrinseca in un intervento materiale sul suolo, o negoziale rispetto al suolo, diretto a mutarne la originaria destinazione e a renderlo funzionale al progetto di edificazione frazionata e progressiva; ha come momento conclusivo quello in cui l’attuazione di tale progetto trova il suo completamento materiale e/o negoziale oppure subisce, per volontà del titolare del fondo o per intervento dell’autorità, un arresto o quanto meno un’interruzione. Ed invero, nell’arco di tempo corrente tra questi due momenti, la vicenda lottizzatoria si esplica nella sua portata continuativamente ed immanentemente lesiva dell’oggetto specifico di tutela penale urbanistica consistente nella riserva all’ente pubblico territoriale del potere d'indirizzare lo sviluppo urbanistico del territorio comunale (Sez. 3, n. 5868 del 01/03/1982, Parlapiano, Rv. 154207).
Come pure è stato sottolineato in dottrina, non è utile obiettare che il lottizzatore non sia necessariamente l’autore immediato della attività costruttiva ulteriore.
Difatti, il lottizzatore, promuovendo l’attività lottizzatoria iniziale, adotta una condotta il cui sviluppo teleologico ulteriore e prevedibile non può non identificarsi con l’effettuabilità dell’insediamento abusivo nella sua espansione concreta conseguente, comprensiva dell’uso.
La dottrina - che ha, a tal proposito, approfondito la questione e che ha trovato eco nella giurisprudenza di legittimità - ha rilevato come tale ulteriore elemento - che si risolve nella realizzazione di un evento (insediamento abusivo realizzato o in itinere o realizzato in tempi cronologicamente successivi come diretta conseguenza dell’intervento geneticamente programmato) ulteriore e progressivo rispetto a quello minimo richiesto per il perfezionamento del reato e che trae origine dalla condotta iniziale - trovi, pertanto, la propria causa oggettiva nella condotta predisponente e, in questa, trova anche il proprio riferimento psicologico effettivo, con la conseguenza che tali eventi ulteriori, identificabili nei termini concreti di attuazione nel tempo dell’insediamento abusivo, costituiscono momenti di progressiva e ontologica lesione dell’interesse protetto, da non poter essere confusi, per le caratteristiche oggettive e concorrenti, con gli effetti dannosi iterativi della fase iniziale del reato.
Per queste ragioni il reato di lottizzazione abusiva è un reato di durata ed ha natura di reato progressivo nell’evento.
Nondimeno, nella lottizzazione abusiva cosiddetta “materiale”, non sempre il reato si risolve e si consuma con la sola realizzazione di opere, in quanto la condotta lottizzatoria può perdurare ininterrottamente nel tempo, alla stessa stregua del reato permanente, allorché, indipendentemente dall’avvenuto completamento delle opere programmate ed eseguite, o da ulteriori condotte criminose del lottizzatore o di terzi, essa consenta, come nel caso in esame, l’uso o lo sfruttamento del territorio da parte di terzi, correlativamente impedendo o rendendo più difficoltoso la concreta fruizione del bene da parte della collettività, in relazione alla destinazione impressa alla zona dalla pubblica amministrazione.
In tale caso, la situazione antigiuridica innescata dall’iniziale condotta lottizzatoria si protrae nel tempo in considerazione del perdurante attentato al bene giuridico protetto dall’incriminazione, con la conseguenza che anche il solo mantenimento della situazione contra ius è, in tal caso, sufficiente a perpetuare e ad approfondire l’offesa.
In più occasioni, a proposito della prescrizione, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il reato di lottizzazione, in quanto inquadrabile nella categoria del reato progressivo nell’evento, si prescrive: a) pur in presenza di un sequestro preventivo dei manufatti abusivi realizzati, dalla diversa data di stipula dei contratti preliminari o di compravendita, anche se in epoca successiva al detto sequestro (Sez.  3, n. 15289 del 25/02/2004, Iacovazzo, Rv. 227963); b) solo con l’esaurimento dell’attività edificatoria, anche se detta attività sia avvenuta ad opera di soggetti diversi dal lottizzatore per cui solo da tale momento inizia a decorrere il relativo termine prescrizionale (Sez.  3, n. 7640 del 25/05/1998, Del Grosso, Rv. 210850); c) solo con l’ultimazione delle costruzioni sicché da tale momento può computarsi il termine necessario per la prescrizione del reato e ciò anche quando le attività di edificazione siano portate a termine da persone diverse da quelle che hanno proceduto alla lottizzazione, con la conseguenza che la permanenza cessa solo quando l’intero programma di lottizzazione viene attuato e cioè all’epoca di ultimazione della ultima opera sia essa una costruzione abusiva o un’urbanizzazione primaria o secondaria (Sez.  3, n. 12212 del 08/11/1995, Liccardello, Rv. 203909).
Pertanto, la tesi del ricorrente, secondo la quale il reato si sarebbe prescritto nel dicembre del 2011, è del tutto assertiva ed è sfornita di elementi idonei ad attestarne il fondamento.
La stessa contestazione dell’accusa, facendo leva esclusivamente sul momento di accertamento del reato, non può essere definita, a rigore, come contestazione “chiusa”, essendoci nell’illecito lottizzatorio un notevole scarto, come visto, tra il perfezionamento del reato, che si ha quando viene ad esistenza la lottizzazione per essere stati realizzati tutti gli elementi strutturali della fattispecie incriminatrice, e la sua consumazione, che si ha nel momento in cui l’offesa al bene giuridico è stata effettivamente realizzata in tutta la sua estensione, avendo raggiunto la massima gravità concreta.
Ne consegue come correttamente la Corte d’appello abbia riservato la decisione sulla declaratoria di prescrizione del reato, con la precisazione che, in assenza di gravame da parte del pubblico ministero sul punto, non è stata devoluta alla Corte la questione circa il fatto che il termine prescrizionale del reato non fosse, in ipotesi, maturato alla data della sentenza (di secondo grado) impugnata, cosicché tale questione non rileva.
5.3. Passando ad esaminare gli altri collegati motivi, atteso che la doglianza sulla immediata declaratoria dell’estinzione del reato per prescrizione risulta finalizzata, nell’ottica del ricorrente, a contestare la statuizione sulla confisca, va allora ricordato come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con la sentenza G.I.E.M. s.r.l. e altri c. Italia, abbia definitivamente chiarito che la confisca urbanistica può essere applicata nonostante l’estinzione del reato per prescrizione, vale a dire in assenza di una formale pronuncia di condanna, pervenendo a conclusioni diverse rispetto a quelle espresse dalla pronuncia Varvara c. Italia, quando la Corte Edu, come lo stesso ricorrente deduce, aveva escluso la possibilità di confiscare i terreni abusivamente lottizzati contestualmente ad un proscioglimento per prescrizione.
Pertanto, le conclusioni cui era pervenuta la sentenza Varvara c. Italia sono state completamente ribaltate dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha reputato compatibile al canone di legalità convenzionale una confisca penale disposta a seguito di una declaratoria di prescrizione del reato, allineandosi a quanto affermato dalla Corte costituzionale (sentenza n. 49 del 2015) e dalla giurisprudenza della Corte di cassazione nelle pronunce emesse a seguito delle sentenze Sud Fondi c. Italia.
Si è pertanto sviluppato un proficuo e costante dialogo tra le Corti che ha determinato l’adeguamento delle disposizioni interne con quelle convenzionali, essendo stata ammessa la possibilità di disporre la confisca urbanistica e, in genere, la confisca nella “materia penale” anche in assenza di un giudicato formale di condanna ma alla imprescindibile condizione della presenza di un accertamento nel merito circa l’esistenza della lottizzazione abusiva tanto nella dimensione dell’elemento oggettivo del reato quanto in ordine alla dimensione soggettiva riguardante la colpevolezza dell’imputato.
Non essendosi la Corte d’appello sottratta a tale compito (v. pag. 17 e ss. della sentenza impugnata), espletato sulla base, per altro, della formale pronuncia di condanna emessa nel primo grado del giudizio, i motivi di ricorso appaiono, anche sotto quest’ultimo aspetto, privi di giuridica consistenza, posto che il giudice di secondo grado, se anche avesse dichiarato la prescrizione nel momento in cui l’imputato l’ha eccepita, avrebbe ugualmente dovuto compiere l’accertamento di merito circa la sussistenza o meno dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di lottizzazione ai fini della statuizione sulla confisca, come consentito dalla giurisprudenza europea.
Logico corollario di tale impostazione è che a torto il ricorrente deduce la violazione delle norme convenzionali (anche sotto il profilo della violazione dei principi di accessibilità e prevedibilità) e costituzionali evocate con i motivi di ricorso.
Per completezza, è anche il caso di ricordare come le Sezioni Unite, prendendo in considerazione ex professo il quadro convenzionale come declinato a seguito degli interventi dei Giudici europei, abbiano affermato il principio di diritto secondo il quale, in caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, come nella specie, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione, il giudice d’appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’articolo 578-bis del codice di procedura penale pen., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’articolo 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870 - 02), chiarendo che la confisca di cui all’articolo 44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato determinata dalla prescrizione, purché la sussistenza del fatto sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, cit., Rv. 278870 - 01) e fermo restando che, come sarà più chiaro in seguito, le questioni relative alla conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all’articolo 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia possono essere proposte dagli interessati al giudice dell’esecuzione, anche chiedendo la revoca della misura limitatamente alle aree o agli immobili estranei alla condotta illecita (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, cit., Rv. 278870 - 04).

6. Sono infondati anche il quinto motivo (rubricato come primo motivo della parte terza del ricorso) ed il settimo motivo (rubricato come terzo motivo della parte terza del ricorso) che, in quanto connessi, possono essere congiuntamente scrutinati.
6.1. Con essi il ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia fatto propria l’opinione espressa dal tribunale secondo la quale il piano di lottizzazione fosse di estremo dettaglio circa le caratteristiche e la dislocazione delle opere civili per cui le relative previsioni dovevano essere rispettate in sede di rilascio della concessione edilizia e solo il Consiglio Comunale avrebbe potuto, adottando le procedure di legge, “asseverare la revisione del numero degli edifici, della loro tipologia, ubicazione etc”.
In tal modo, la Corte distrettuale si sarebbe limitata a riportare apoditticamente quanto esposto nella sentenza di primo grado, nonostante le approfondite censure sviluppate nell’atto di appello e del tutto ignorate.
Peraltro, ad avviso del ricorrente, i rilievi evidenziati nel ricorso avrebbero dovuto far propendere per l’esclusione dell’elemento soggettivo del reato di lottizzazione, anche in applicazione dell’articolo 5 del codice penale, secondo una lettura costituzionalmente orientata dello stesso, a fronte  di previsioni come l’articolo 12 della Convenzione del 1979 e l’articolo 53 del regolamento edilizio nonché a fronte della  costante prassi amministrativa adottata per oltre un ventennio e di un’interpretazione giurisprudenziale che aveva sempre ritenuto legittimo il  procedimento seguito all’interno della lottizzazione.
Il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’articolo 43, comma 2, del codice penale, sostenendo che, nell’atto di appello, era stato sviluppato uno specifico ed approfondito motivo di impugnazione in ordine alla insussistenza in capo all’imputato dell’elemento psicologico.
Sottolinea come il motivo fosse fondato su una serie di dati documentali e situazioni obiettive, in esito alle quali doveva ritenersi ictu oculi sussistente la mancanza del dolo o anche di semplice colpa in capo all’imputato.
6.2. Con doppia e conforme pronuncia, i Giudici del merito hanno ampiamente dato conto della sussistenza del reato di lottizzazione sia nella sua dimensione oggettiva che soggettiva.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte d’appello ha infatti preso in carico le doglianze formulate, rispondendo specificamente alle censure mosse, con i motivi di gravame, nei confronti della decisione del Tribunale.
In particolare, riallacciandosi alla ratio decidendi della sentenza di primo grado e condividendola, la Corte territoriale è partita dal presupposto, del tutto pacifico, che la concessione n. 21 del 25 marzo 2005, fosse da ritenersi illegittima, in quanto adottata da un organo (il responsabile dell’area tecnica del Comune) pacificamente incompetente ad emetterla, in mancanza della preventiva approvazione del Consiglio Comunale, avendo sostituito il precedente piano di lottizzazione ed avendolo radicalmente modificato.
In disparte, per quanto qui interessa e per il momento, il dato formale, la Corte distrettuale ha preso posizione sulla natura cd. “rigida” (patrocinata nella sentenza di primo grado) o cd. “elastica” (patrocinata dal ricorrente) del piano di lottizzazione, sottolineando, al pari del primo Giudice, come il piano di lottizzazione - oltre ad individuare, sul territorio interessato, le aree ed i tracciati per la viabilità e le altre opere di interesse pubblico, laddove non previsti in dettaglio nel piano regolatore, ed a costituire, mediante il convenzionamento, un programma di realizzazione delle opere stesse e di cessione delle superfici - costituisse anche un titolo edilizio preventivo, in quanto indicava, con diverso grado di precisione a seconda delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione e degli accordi con i lottizzanti, anche le caratteristiche tipologiche e planivolumetriche dei futuri edifici. Sotto tale specifico profilo di disciplina la Corte d’appello ha ravvisato in ciò “una necessità logica”, sia sul rilievo che la finalità del lottizzante era proprio quella di costruire immobili, secondo i suoi programmi d’investimento, sia sul rilievo che soltanto la previa determinazione del numero, delle qualità, della destinazione, del volume e dell’ubicazione degli immobili poteva consentire di definire la natura, il dimensionamento e la posizione delle opere di urbanizzazione necessarie e di individuare razionalmente le aree soggette a cessione.
Conseguentemente la Corte d’appello è giunta alla logica conclusione che il piano di lottizzazione de quo contenesse elementi di estremo dettaglio circa le caratteristiche e la dislocazione delle opere civili, cosicché tali elementi - che, per espressa volontà delle parti, erano stati formalizzati nella convenzione - implicavano che detta convenzione fosse modificabile soltanto attraverso mutui accordi definiti dalle parti stesse, dovendo detti accordi poi essere rispettati in sede di rilascio dei singoli titoli edilizi e soltanto il Consiglio Comunale avrebbe potuto, con l’osservanza delle garanzie e della procedura prevista dalla legge, asseverare la revisione del numero degli edifici, della loro tipologia, della loro ubicazione, del loro volume, disciplinando ordinatamente l’assetto del territorio.
La Corte di appello si è anche fatta poi carico di rispondere all’obiezione del ricorrente, reiterata anche con i motivi di ricorso, secondo la quale il piano di lottizzazione aveva un valore relativo, non indicando in forma vincolante il preciso tipo edilizio,  il volume, la sagoma ed il numero degli edifici e ciò sarebbe confermato dall’articolo 12 della convenzione del 1979, secondo la quale “i progetti esecutivi delle singole costruzioni, da autorizzarsi, ai sensi delle disposizioni del Regolamento Comunale Edilizio e della Legge Urbanistica, osserveranno in linea di massima l’ubicazione e le dimensioni del progetto di lottizzazione, riservandosi l’Amministrazione Comunale l’approvazione di soluzione planivolumetriche differenti, fermi restando gli indici di fabbricabilità territoriale previsti nel Programma di fabbricazione”.
Nel risolvere dunque la questione se il piano di lottizzazione fosse o meno vincolante quanto a tipologia di edifici, numero, sagome, volumi e dislocazione degli stessi, la Corte territoriale ha innanzitutto osservato come l’espressione “in linea di massima” non fosse affatto dirimente al fine di poter ritenere conforme alla convenzione lottizzata anche una semplice concessione edilizia che, nel caso di specie, modificava in maniera certamente significativa l’assetto del territorio, non potendo, con tutta evidenza e come sarà più chiaro in seguito, rientrare nella generica nozione del rispetto delle “linee di massima” un così massiccio intervento sul tessuto urbanistico di riferimento.
La conferma di una tale logica e, al tempo stesso, giuridica considerazione è stata tratta dalla Corte distrettuale dal fatto che, se fosse stata sufficiente la concessione edilizia de qua ad autorizzare un intervento così imponente, sarebbe bastato il primo piano di lottizzazione e non avrebbero avuto senso invece le successive varianti approvate dal Consiglio Comunale e dal competente Assessore regionale il 20 maggio 1980 e ed il 13 marzo 1981, con le quali la lottizzazione assunse il definitivo assetto planivolumetrico, prima della concessione n. 21 del 2005 emessa dall’Ambu quale variante alla concessione edilizia del 13 giugno 2001.
Inoltre, la predetta clausola di cui all’articolo 12 citato (secondo la quale “i progetti esecutivi delle singole costruzioni, da autorizzarsi, ai sensi delle disposizioni del Regolamento Comunale Edilizio e della Legge Urbanistica, osserveranno in linea di massima l'ubicazione e le dimensioni del progetto di lottizzazione”), come esattamente rilevato dal Tribunale, non poteva essere interpretata in maniera avulsa dal complessivo tenore della convenzione e, infatti, la stessa prevedeva la clausola secondo cui l’amministrazione comunale si riservava  l’approvazione di soluzioni planivolumetriche differenti, con ciò intendendo chiaramente escludere la possibilità che fossero concepibili “concessioni - varianti” del tipo della concessione adottata dall’Ambu dietro richiesta del Monni.
La Corte d’appello ha inoltre osservato come, nel caso di specie, la “concessione” in questione avesse non soltanto modificato le tipologie ed i volumi, ma persino la dislocazione degli stessi, essendo state previste una decina di villette nel Comparto B12, non contemplate nel piano originario che non prevedeva alcun intervento edilizio, essendo quell’area destinata a verde di quartiere.
In questo caso, quindi, erano stati previsti ed approvati massicci spostamenti di volumetrie e significative modifiche delle preesistenti tipologie edilizie, con la trasformazione di case a schiera in ville mono e bifamiliari; con conseguente previsione di ulteriori strade, nonché, come è ovvio, ulteriori condotte fognarie che dovevano servire ai nuovi edifici non contemplati nei progetti allegati all’originario piano di lottizzazione.
Da ciò la Corte d’appello ha tratto argomento per ritenere semplicemente pretestuosa la tesi difensiva che avrebbe voluto far rientrare il nuovo assetto del territorio, derivante dalla concessione in questione, nel concetto di variante consentita, perché rientrante nella clausola di cui all’articolo 12 citato, per di più emessa dall’Ambu, quale responsabile dell’area tecnica del comune, e non dal Consiglio comunale, bastando osservare che le precedenti varianti al piano di lottizzazione approvate negli anni 1980 e 1981 furono invece decise dal Consiglio.
La Corte d’appello, come emerge dal testo della sentenza impugnata, ha inoltre precisato come le predette conclusioni non risultassero intaccate dal dettato contenuto nell’articolo 53 del Regolamento edilizio del comune di Domus de Maria, richiamato dal ricorrente al fine accreditare la tesi della semplice variante consentita, in quanto rientrante nel concetto della “linea di massima” di cui all’articolo 12 della convenzione.
A questo proposito, la Corte territoriale ha osservato come la disposizione in questione - nella parte in cui prevede che “... ove non lo escludano specifiche norme regionali, in fase  di attuazione è possibile approntare - senza che ciò costituisca variante al PL - modificazioni plani volumetriche purché: non alterino le caratteristiche tipologiche di impostazione del PL; non incidano sul dimensionamento previsto; non attengano alla destinazione d'uso oppure alla tipologia ed all'altezza massima degli edifici; non alterino il rapporto di copertura globale del suolo, il rapporto di occupazione del sottosuolo oppure la volumetria (…); non modifichino il rapporto tra aree edificabili private ed aree destinate ad uso pubblico e non riducano la dotazione di queste ultime” - avesse confermato il fatto che la concessione in variante, emessa dall'Ambu, avesse alterato in maniera sostanziale e non certo marginale il precedente piano di lottizzazione, quanto meno in relazione alla massiccia e diversa dislocazione degli edifici e del verde pubblico.
Analogo ragionamento è stato svolto riguardo all’articolo 11 della relazione tecnica della Convenzione del 1990 (anche esso richiamato dal ricorrente), nella quale, laddove si parla di limiti “passibili di variazioni”, facendosi altresì riferimento a quelle dovute alla “pratica esecuzione delle opere e degli impianti”, non si intendeva, ad avviso dei giudici di secondo grado, consentire, di certo, lo stravolgimento del piano come invece avvenuto nel caso di specie.
Per queste ragioni la Corte d’appello ha confermato il giudizio espresso dal Tribunale quanto all’illegittimità della lottizzazione abusiva eseguita sulla base dall’adozione della concessione edilizia n. 21 del 2005.
6.3. La giurisprudenza amministrativa è ferma nel ritenere che il piano di lottizzazione, in quanto strumento attuativo del piano regolatore, contiene la disciplina di dettaglio di quest’ultimo strumento urbanistico e deve prevedere dettagliatamente gli indici volumetrici consentiti, la superficie del lotto minimo, la destinazione dei fabbricati, il tracciato delle strade e l’individuazione delle aree destinate a standards. Il disegno di insieme si completa con l’indicazione dei lotti destinati all’edificazione dei fabbricati e dell’ingombro massimo consentito in ciascun lotto (ex multis, v. Consiglio di Stato, sez. V, n. 927 del 21/02/2012).
Infatti, il piano di lottizzazione, nel sistema urbanistico vigente (cfr. in particolare l’articolo 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dall’articolo 8 della legge 6 agosto 1967, n. 765), assume innanzi tutto la valenza di piano urbanistico di attuazione, ossia di pianificazione di dettaglio, con finalità di riservare essenzialmente le aree ed i tracciati per la viabilità e per le opere di interesse pubblico del nuovo insediamento non individuate già nello strumento generale (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, n. 1412 del 03/11/1998).
In ossequio alla sua funzione di piano urbanistico esecutivo, il piano di lottizzazione deve pertanto contenere necessariamente una disciplina di dettaglio, cosicché esso costituisce uno strumento urbanistico equiordinato al piano particolareggiato e ad esso sostanzialmente alternativo.
Su queste basi, è stato affermato (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 6170 del 04/12/2007) che al piano di lottizzazione si applicano gli stessi principi previsti per il piano particolareggiato di iniziativa pubblica, tra cui il fatto che le previsioni dello strumento attuativo comportino la concreta e dettagliata conformazione della proprietà privata.
Perciò, in considerazione della funzione pianificatoria di dettaglio, che è peculiare al piano particolareggiato ed al piano di lottizzazione, consegue che, nel contenuto minimo di quest’ultimo, deve necessariamente rientrare la previsione, al dettaglio, di tutti gli edifici da costruire nel comprensorio che si intende urbanizzare.
In altri termini, è profondamente errato il presupposto di partenza dal quale muove il ricorrente e cioè che il piano di lottizzazione approvato non contenesse una disciplina di dettaglio e fosse suscettibile di interpretazioni “elastiche”, laddove è la stessa natura giuridica della stipulata convenzione che vincolava le società private e la pubblica amministrazione quantomeno a seguire le regole procedurali che avrebbero potuto assegnare, se consentito, un diverso statuto al tessuto territoriale di riferimento, come ampiamente spiegato, anche nella precisa ricostruzione fattuale della vicenda, nella sentenza di primo grado, alla quale quella impugnata pienamente si conforma.
A fronte di tutto ciò - al cospetto cioè dell’inosservanza delle prescritte procedure e, dunque, in presenza di un vero e proprio “piano di lottizzazione”, mascherato, parallelo ed ulteriore ad un piano di lottizzazione, avente ad oggetto la convenzione stipulata tra le società private e il Comune, già in precedenza approvato - appare, all’evidenza, debole la tesi del ricorrente secondo la quale gli interventi programmati potessero essere “assentiti” con una concessione edilizia, rilasciata in variante di altra precedente, sulla base della previsione, contemplata nella convenzione, che i progetti esecutivi delle singole costruzioni, autorizzabili ai sensi delle disposizioni del Regolamento Comunale Edilizio e della Legge Urbanistica, avrebbero dovuto osservare, “in linea di massima”, l’ubicazione e le dimensioni del progetto di lottizzazione (quest’ultimo, in partenza, però completamente stravolto).
Occorre infatti ricordare che la concessione edilizia n. 21 del 2005, qualificata come semplice variante alla C.E. 511/38 del 13 giugno 2001, aveva assentito progetti edilizi prevedenti la realizzazione di una pluralità di opere di urbanizzazione e di edifici aventi caratteristiche totalmente differenti da quelle risultanti dai progetti allegati all’originario piano di lottizzazione.
In particolare, era risultato che, con la concessione n. 21, erano state autorizzate una decina di villette nel Comparto B12, ove il piano originario non prevedeva alcun intervento edilizio (l’area, infatti, era stata destinata a “Verde di quartiere”); erano contemplati massicci spostamenti di volumetrie e significative modifiche delle preesistenti tipologie edilizie, specie con la trasformazione di case a schiera in ville mono e bifamiliari; era stata, infine, prevista la realizzazione di ulteriori strade, qualificabili anche come principali nonché di ulteriori condotte fognarie, imposte dalla necessità di fornire i servizi ai nuovi edifici non contemplati nei progetti allegati all’originario piano di lottizzazione.
Da ciò la conclusione che, con la concessione n. 21 del 2005, l'assetto urbanistico edilizio fissato nel piano di lottizzazione relativamente ai Comparti 11, 12, 12 bis e 14, era stato completamente stravolto, mediante la programmazione di nuove opere di urbanizzazione, la previsione di nuove tipologie edilizie e rilevanti trasferimenti di cubature nel territorio, anche in aree omogenee, come il comparto 12 bis, in cui nessuna costruzione avrebbe potuto essere contemplata.
Il tutto senza che il Consiglio Comunale avesse potuto apprezzare, con apposita delibera, la rispondenza delle suddette modifiche tipologiche e planivolumetriche al piano regolatore generale e la concreta idoneità, o meno, delle nuove opere di urbanizzazione e di quelle già previste a sopportare l’accresciuto carico urbanistico determinato dalla concentrazione, in certi siti, di volumi in principio altrove previsti.
Correttamente dunque la Corte d’appello ha ritenuto superfluo l’esame delle altre censure mosse alla sentenza di primo grado (ineccepibile, peraltro,  anche nella disamina della convenzione del 20 aprile 1990 e nell’interpretazione sistematica dell’articolo 12 della convenzione del 1979), essendo più che sufficienti, per l’accertamento dell’illecito lottizzatorio, sia nella dimensione oggettiva che soggettiva, i rilievi circa la diversa tipologia degli edifici e la differente dislocazione degli stessi.
A questo proposito, va precisato che la motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua se il giudice abbia confutato gli argomenti portanti dello schema difensivo dell'imputato, ben potendo egli disattendere le deduzioni difensive anche quando non le abbia espressamente confutate una per una, in quanto, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione e ad esaminare tutte le circostanze e le istanze indicate dalla difesa, purché abbia, come nel caso in esame, spiegato le ragioni del suo convincimento in modo esauriente e logico, dovendo ritenersi disattesi anche implicitamente quegli elementi che siano incompatibili con la “ratio decidendi”, così da rimanere da questa irrimediabilmente superati.
In particolare, sul versante dell’elemento soggettivo, la Corte d’appello, come puntualmente sottolineato dal Procuratore generale, ha in ogni caso espressamente motivato sul punto (cfr. pagina 11 della sentenza impugnata), descrivendo la condotta del ricorrente in termini di sostanziale consapevolezza e volontà di aggirare, mediante la richiesta di concessione edilizia, gli ostacoli frapposti dalle vigenti previsioni di piano ai nuovi e diversi interventi da realizzare.
Infatti, ribaltando un precedente orientamento che considerava il reato di lottizzazione abusiva come contravvenzione a struttura dolosa (Sez. U, n. 2720 del 03/02/1990, Cancilleri, Rv. 183494 - 01), la giurisprudenza di legittimità è compatta nel ritenere il reato di lottizzazione abusiva - che è a consumazione alternativa, potendosi realizzare sia per il difetto di autorizzazione, sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici - può essere commesso anche a solo titolo di sola colpa (ex multis, Sez. 3, n. 15205 del 15/11/2019, dep. 2020, Capuano, Rv. 278915 - 02; Sez. 3, n. 38799 del 16/09/2015, De Paola Rv. 264718 - 01; Sez. 3, n. 17865 del 17/03/2009, Quarta, Rv. 243750 - 01; Sez. 3, n. 39916 del 01/07/2004, Lamedica, Rv. 230084 - 01).
Ne consegue come non sia possibile invocare, come il ricorrente deduce, uno stato di ignoranza inevitabile derivante da precedenti giurisprudenziali asseritamente favorevoli, sul rilievo che lo spostamento plano-volumetrico poteva essere attuato con il rilascio di concessione edilizia, secondo il comportamento costantemente adottato fin dalla fine degli anni ottanta, comportamento che sarebbe stato considerato legittimo in almeno tre sentenze dal 1990 al 2010 cosicché, se mai errore fu commesso, questo era scusabile e, comunque, inevitabile alla stregua di tali elementi, in forza dei quali in nessun caso poteva ritenersi che - al momento della richiesta della concessione edilizia del 2001 e, quindi, del 2005 - tali concessioni edilizie potessero costituire ipotesi di lottizzazione abusiva.
Questo sia perché nel 2001 né la norma né l'interpretazione giurisprudenziale lo prevedeva, sia perché nel 2005 varie sentenze e la prassi adottata nei rapporti con il Comune lo escludeva.
In questo contesto, obietta il ricorrente che anche le condizioni di accessibilità e prevedibilità della legge, esplicitamente richieste nelle circostanze specifiche dall’articolo 7 CEDU e 49, comma 1, della Carta di Nizza,  non sarebbero assolutamente soddisfatte, dal momento che la base giuridica del reato di lottizzazione non risponderebbe ai criteri  di chiarezza, accessibilità e prevedibilità indispensabili per un’affermazione di penale responsabilità, con la conseguenza che era impossibile per l'imputato prevedere che gli sarebbe stata inflitta una sanzione per quel comportamento.
Queste ultime affermazioni sono manifestamente infondate.
Basti considerare, a questo proposito, come il reato di lottizzazione non sia di origine giurisprudenziale ma abbia una precisa base legale precisata nel testo unico dell’edilizia del 6 giugno 2001 che, all’articolo 30 (meramente riproduttivo dell’articolo 18 della Legge 28 febbraio 1985, n. 47 e quindi in vigore nell’ordinamento italiano circa venti anni prima della commissione del fatto di reato) contiene una precisa norma definitoria della condotta punibile, cosicché sarebbe manifestamente illogico ipotizzare la violazione del principio di accessibilità, in forza del quale, in buona sostanza, la Corte Edu controlla se la legge penale su cui è fondata la condanna sia sufficientemente accessibile al ricorrente, ossia se sia stata pubblicata (ex multis, Kokkinakis c. Grecia, § 40), ovvero del principio di prevedibilità, in forza del quale la Corte Edu richiede, in buona sostanza, che una persona sottoposta a giudizio debba poter sapere, a partire dal testo della disposizione pertinente, se necessario attraverso l’interpretazione datane dai giudici ed eventualmente dopo aver ricevuto un’adeguata consulenza, quali atti o omissioni la rendono penalmente responsabile e in quale pena incorra per il fatto commesso (ex multis, Cantoni c. Francia § 29).
La Corte Europea ha dunque il compito di assicurarsi che, nel momento in cui un imputato ha commesso l’atto, che ha dato luogo all’azione penale e alla condanna, esistesse una disposizione “legale” – cioè un precetto normativo, di matrice legislativa o giurisprudenziale, che rendesse l’atto punibile – e che la pena imposta non avesse superato i limiti fissati da tale disposizione (Coëme e altri c. Belgio § 14, Achour c. Francia § 43).     
Nel caso di specie, poi, il ricorrente, oltre ad esse amministratore della società committente, era progettista e direttore dei lavori e perciò perfettamente in grado di conoscere il perimetro dell’incriminazione.
Quest’ultimo aspetto consente non solo di sgombrare il campo dalle presunte violazioni convenzionali ma anche di escludere del tutto l’ipotesi che l’imputato fosse incorso in una ignoranza inevitabile sulla base di precedenti orientamenti giurisprudenziali che, apoditticamente, assume a sé favorevoli.
In primo luogo, non è stato affatto dimostrato che i casi scrutinati fossero identici, posto che, dal testo della sentenza impugnata, risulta che in almeno altre due vicende si era resa necessaria una deliberazione del Consiglio comunale e, comunque, le costruzioni e le opere assentite con la concessione edilizia n. 21 erano, all’evidenza, di tali proporzioni, equivalendo nella sostanza ad un nuovo piano di lottizzazione, che richiedevano l’intervento del Consiglio comunale.
 Va poi considerato che l’incertezza derivante da contrastanti orientamenti giurisprudenziali nell’interpretazione e nell’applicazione di una norma, non abilita da sola ad invocare la condizione soggettiva d'ignoranza inevitabile della legge penale; al contrario, il dubbio sulla liceità o meno deve indurre il soggetto ad un atteggiamento più attento, fino cioè, secondo quanto emerge dalla sentenza n. 364 del 1988 della Corte Costituzionale, all’astensione dall’azione se, nonostante tutte le informazioni assunte (o le conoscenze possedute, n.d.r.) permanga l’incertezza sulla liceità o meno dell’azione stessa, dato che il dubbio, non essendo equiparabile allo stato d’inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità (Sez. 2, n. 46669 del 23/11/2011, De Masi, Rv. 252197 - 01).
Infatti, a seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, secondo la quale l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l’autore dell’illecito, le Sezioni Unite della Corte hanno stabilito i limiti di tale inevitabilità, affermando che, per il comune cittadino, tale condizione è sussistente ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto “dovere di informazione”, attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia e stabilendo invece che tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una “culpa levis” nello svolgimento dell’indagine giuridica, con la conseguenza che, per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto (Sez. U, n. 8154 del 10/06/1994, Calzetta, Rv. 197885 - 01).
Nel caso di specie, l’ignoranza inevitabile non poteva essere pronosticata sia per la qualifica soggettiva dell’imputato (progettista e direttore dei lavori a conoscenza, da quanto emerge dal testo della sentenza impugnata, che in altre due occasioni si era reso necessario l’intervento del Consiglio comunale, tant’e che, con accertamento di fatto adeguatamente e logicamente motivato, la Corte territoriale ha ritenuto che il ricorrente fosse perfettamente consapevole di aggirare, mediante la richiesta di concessione edilizia, gli ostacoli frapposti dalle vigenti previsioni di piano ai nuovi e diversi interventi da realizzare), per l’inesistenza di un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale in proposito, per l’oggettiva incomparabilità tra i casi giurisprudenziali invocati a favore (uno dei quali, a titolo esemplificativo, riguardava, per quanto emerge dallo stesso ricorso, la realizzazione di un fabbricato da adibire a “club nautico”) e quello censurato di cui alla concessione edilizia n. 21 del 2005 (che non riguardava, come il ricorrente abilmente deduce, la realizzazione di un garage di 50 mq che costituiva invece solo l’inizio di opere di ben altre dimensioni e proporzioni).

7. Restano da esaminare tre questioni che il ricorrente Monni ha sollevato con i motivi aggiunti del 3 dicembre 2019 ed anche con la documentazione allegata ai motivi aggiunti del 2 novembre 2020 concernenti rispettivamente la proporzionalità della confisca, la mancata partecipazione al processo delle persone giuridiche nonché la violazione  e le conseguenze che sulla confisca urbanistica derivano per effetto della produzione documentale relativa alla delibera di assestamento n. 32 del 2018 del Consiglio comunale di Domus de Maria, fermo restando che tutte le altre prospettazioni articolate con i motivi aggiunti [= violazione del principio di correlazione e del principio devolutivo; omessa applicazione dell’articolo 129 del codice di procedura penale; violazione degli articoli 7 Cedu e 49 della Carta di Nizza (pag. da 11 a 20 dei motivi aggiunti del 3 dicembre 2019)], in quanto sovrapponibili nel merito delle doglianze ai motivi principali di impugnazione, con la sola aggiunta di ulteriori argomentazioni, sono state tutte precedentemente valutate ed esaminate dalla Corte.
7.1. Venendo alle questioni relative alla proporzionalità della misura e alla mancata partecipazione al processo delle persone giuridiche e all’emanazione della delibera di ricognizione e di assestamento emessa dal comune di Domus de Maria, esse sono inammissibili nei limiti di seguito precisati.
Occorre premettere che le deduzioni difensive e il parere espresso dal Procuratore Generale (con specifico riferimento al principio di proporzionalità) colgono nel segno, nel senso che la sentenza impugnata non contiene alcuna motivazione in proposito.
E’ dunque giuridicamente corretta l’affermazione delle parti in forza della quale, come reiteratamente affermato anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità,  in tema di lottizzazione abusiva, la Corte di cassazione, anche qualora confermi la decisione di estinzione del reato urbanistico per intervenuta prescrizione, deve disporre l’annullamento con rinvio limitatamente alla statuizione relativa alla confisca ex articolo 44, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001, laddove il provvedimento ablatorio sia stato disposto in modo generalizzato e non limitato ai beni immobili direttamente interessati dall’attività lottizzatoria e ad essa funzionali (Sez. 3, n. 38484 del 05/07/2019, Giannattasio, Rv. 277322 - 02;  Sez. 3, n. 43119 del 17/07/2019, Falconi, Rv. 277263 - 01; Sez. 3 , n. 31282 del 27/03/2019, Grieco, Rv. 277167 - 03; Sez. 3, n. 14743 del 20/02/2019, Amodio, Rv. 275392 - 01).
Ciò in quanto, ai fini della valutazione della conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all'art. 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia, assume rilievo anche l'aspetto dell’individuazione dei beni oggetto della misura, nel senso che in tanto il provvedimento ablatorio è legittimo se ed in quanto sia limitato ai beni immobili direttamente interessati dall'attività lottizzatoria e ad essa funzionali.
Tale epilogo è stato confermato dalle Sezioni Unite che hanno affermato il principio, già in precedenza richiamato, secondo il quale, in caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione, il giudice d’appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’articolo 578-bis del codice di procedura penale, a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’articolo 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, cit., Rv. 278870 - 02).
Le stesse Sezioni Unite hanno tuttavia chiarito che, quando i beni oggetto della confisca appartengono, situazione anche nella specie sussistente,  a soggetti terzi proprietari di essi, il ricorso della persona fisica è inammissibile per mancanza di interesse in quanto gli unici titolari del diritto alla restituzione sarebbero, nel caso di specie, le persone giuridiche, ossia proprio le società che, secondo l’assunto del ricorrente, non sono state parti nel processo (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, Perroni, cit., in motiv.).
Questo principio, che il Collegio condivide, è stato in precedenza affermato dalla sezione Terza della Corte ed è stato così massimato: “in tema di lottizzazione abusiva, in difetto dell’allegazione di uno specifico interesse concreto ed attuale, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall’imputato prosciolto per intervenuta prescrizione con il quale è dedotta l’illegittimità della confisca disposta ai sensi dell’articolo 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite appartenenti a terzi (Sez. 3 , n. 372 del 09/10/2019, dep. 2020, Acampora, Rv. 278274 - 01).
A tale proposito le Sezioni Unite Perroni hanno chiarito che le questioni relative alla conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all’articolo 1 del Prot. n. 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. contro Italia possono essere proposte dagli interessati al giudice dell’esecuzione, anche chiedendo la revoca della misura limitatamente alle aree o agli immobili estranei alla condotta illecita (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, cit., Rv. 278870 - 04), tanto sul rilievo che, in tale fase, al fine di compiere l’accertamento richiesto, il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell’articolo 666, comma 5, del codice di procedura penale.
Pertanto, la questione sulla proporzionalità della confisca è inammissibile in questa sede.
7.2. Allo stesso modo va risolta anche la seconda questione circa la lamentata violazione dei diritti spettanti alle società proprietarie dei beni per la mancata partecipazione delle stesse al processo.
Quanto a quest’ultimo aspetto, il ricorrente sostiene che le persone giuridiche sono state attinte da una misura ablativa applicata nei loro confronti per un fatto commesso da altri (ossia dalla persona fisica), tant’è che il giudice nazionale, tenuto conto della sentenza della Grande Camera in causa Giem c. Italia §§ da 265 a 274, non avrebbe potuto disporre la confisca nei confronti di persone (giuridiche) che non fossero state parti del processo nel quale la misura fu applicata, con la conseguenza che, dovendosi prendere atto della violazione convenzionale ex articolo  7 Cedu, la confisca  dovrebbe essere revocata (sembra di comprendere anche d’ufficio ed indipendentemente da ogni altra considerazione) ora per allora, venendo meno qualsiasi base legale per la sua legittima adozione.
Nondimeno, anche in tal caso, osserva il Collegio come siano le persone giuridiche, in quanto proprietarie dei beni e terze rispetto al reato ed al suo accertamento, che debbano chiederne la restituzione alla competente autorità giudiziaria e, in caso di diniego, adire il giudice dell’esecuzione per ottenere la revoca della confisca.
La giurisprudenza della Corte si è già espressa, più volte, in tal senso affermando che, in tema di confisca per il reato di lottizzazione abusiva, il principio secondo cui non può essere disposta detta misura nei confronti di una persona giuridica che sia rimasta estranea al giudizio, espresso dall’articolo 7 della Convenzione EDU, come interpretato nella sentenza della Corte EDU del 28/06/2018 nella causa GIEM S.r.l. e altri contro Italia, è rispettato attraverso la partecipazione della persona giuridica al procedimento di esecuzione, nel quale la stessa può dedurre tutte le questioni, di fatto e di diritto, che avrebbe potuto far valere nel giudizio di merito (Sez. 3, n. 17399 del 20/03/2019, Unicredit Leasing s.p.a., Rv. 278763 - 01).
Ed è in questo senso che, sia pure con specifico riferimento alla proporzionalità della misura ablativa de qua, si sono orientate le Sezioni Unite, in causa Perroni,  quando hanno chiarito che «è proprio l’ampio impiego, da parte dei giudici di merito, della formula di legge relativa alla confisca urbanistica a consentire all’interessato di proporre ogni doglianza sul punto in sede esecutiva (anche, ove ne ricorrano i presupposti, nella prospettiva, segnalata dalla sentenza G.I.E.M. S.r.l. c. Italia, e di cui va valutata la compatibilità con l’attuale assetto normativo, del mancato utilizzo di misure diverse, e di invasività inferiore, rispetto a quella della confisca) e di chiedere, conseguentemente, anche la revoca della confisca limitatamente alle aree o agli immobili che dovessero essere ritenuti estranei alla condotta illecita, secondo una modalità di impiego dello strumento dell’incidente di esecuzione, nel quale il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell'art. 666, comma 5, cod. proc. pen., del tutto consueta anche nell’applicazione giurisprudenziale (nel senso che in sede esecutiva può farsi questione anche sulla estensione e sulle modalità esecutive della confisca stessa, cfr. Sez. 1, n. 30713 del 03/07/2002, Merlo, Rv. 222157 e Sez. 4, n. 2552 del 20/04/2000, EI Yamini, Rv. 216491)».
La richiesta è pertanto parimenti inammissibile per difetto d’interesse.
 7.3. Resta da esaminare l’ultima questione relativa alla delibera n. 32 del 20 settembre 2018 di ricognizione e di assestamento che il Consiglio comunale di Domus de Maria ha adottato in proposito con recepimento delle statuizioni che, secondo il ricorrente, sarebbero state recepite anche da parte del piano urbanistico comunale.
Sul punto, va precisato come, in tema di lottizzazione abusiva, l’autorizzazione a lottizzare emessa successivamente, così come l’approvazione di un piano di recupero urbanistico, non configurano ipotesi di sanatoria della lottizzazione con estinzione del reato di lottizzazione abusiva, potendo al più impedire la successiva confisca (Sez. 3, n. 4373 del 13/12/2013, dep. 2014. Franco, Rv. 258921 - 01; Sez. 3, n. 23154 del 18/05/2006, Scalici, Rv. 234476 - 01).
In tal senso, va dunque valutato l’elemento nuovo prodotto in giudizio dal ricorrente, nel senso che - in disparte la novità del sopravvenuto dato documentale e della preclusione di esso ad essere prodotto nel giudizio di cassazione anche sotto il concorrente profilo della eventuale necessità circa il compimento di accertamenti di merito, preclusi in sede di controllo di legittimità - il cd. piano di lottizzazione “Chia-Sarit”, di cui alla delibera di ricognizione ed assestamento, se ed in quanto equivalente all’autorizzazione in sanatoria a lottizzare, pur non estinguendo il reato di lottizzazione, può esplicare influenza, siccome intervenuto prima del passaggio in giudicato della sentenza, sul mantenimento della confisca, qualora dimostrativo “ex post” della conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici vigenti e della volontà dell’amministrazione di rinunciare alla acquisizione delle aree al patrimonio indisponibile del Comune, così intendendo lasciare i terreni lottizzati alla disponibilità dei proprietari (Sez. 3, n. 8350 del 23/01/2019, Alessandrini, non mass. sul punto, in motiv., pag. 47 e 48).
Sennonché, anche in tale caso, l’interesse alla revoca della confisca e alla restituzione dei beni deve essere fatto valere dalle società proprietarie innanzi al giudice dell’esecuzione, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza, non potendo essere azionato nel giudizio di cognizione dal soggetto privato, sia pure amministratore di una delle società interessate.

8. Il motivo di ricorso proposto da Gianluca Ambu è parzialmente fondato e da ciò consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendo il residuo reato estinto per intervenuta prescrizione.
Sebbene il ricorrente non abbia sollevato la questione, occorre preliminarmente stabilire se la condotta ascritta all’imputato costituisca reato in conseguenza della modifica del fatto tipico del delitto di abuso d’ufficio intervenuta ex articolo 23, comma 1, d.l. 16 luglio 2020, n. 76 convertito in legge 11 settembre 2020 n. 12.
La novella ha ritoccato la fattispecie incriminatrice di cui all’articolo 323 del codice penale e, nel lasciare immutata la restante parte della disposizione, ha previsto che il fatto debba essere commesso “in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità”.
Nel caso di specie, l’articolo 21 della legge della Regione Sardegna del 22 dicembre 1989, n. 45 stabilisce, per quanto qui interessa, che il piano di lottizzazione è approvato, con deliberazione del consiglio comunale, in conformità al piano urbanistico comunale e nel rispetto delle direttive emanate dalla regione, ai sensi dell’articolo 5 L.R. n. 45 del 1989 e secondo i contenuti previsti dalle leggi 17 agosto 1942, n. 1150, 18 aprile 1962, n. 167, 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modifiche ed integrazioni.
A sua volta, l’articolo 28 della legge urbanistica (n. 1150 del 1942) stabilisce che la lottizzazione di terreno a scopo edilizio è autorizzata dal Comune e la disposizione è stata, senza contrasti, interpretata nel senso che, in tema di pianificazione urbanistica di attuazione ed in tema di competenza degli organi in relazione alla adozione degli atti ad essa riconducibili, l’approvazione del piano di lottizzazione (o altro strumento di pianificazione attuativa) non può che avvenire da parte dell’unico organo al quale, nell’ambito dell’ente locale, è attribuito l’indirizzo politico-amministrativo in relazione alla pianificazione del territorio, e cioè da parte del Consiglio comunale.
Del resto, la legge regionale, come visto, dispone espressamente in tal senso.
Da ciò consegue che, ai fini dell’integrazione del modello legale di cui all’articolo 323 del codice penale, anche a seguito della riforma intervenuta ex articolo 23, comma 1, decreto legge n. 76 del 2020, quando la competenza a provvedere è, come nella specie, attribuita esclusivamente ad uno specifico organo amministrativo sulla base di una legge o di altro atto avente forza di legge, la violazione delle regole di attribuzione della materia, siccome vincolanti e prive di margini di discrezionalità, integrano la violazione di specifiche regole di condotta che, unitamente alla realizzazione degli altri elementi costitutivi della fattispecie, configurano il reato di abuso d’ufficio.
Nell’esaminare i motivi di ricorso sollevati dal Monni, il Collegio ha esposto le ragioni, che perciò è qui sufficiente richiamare anche in relazione al motivo di ricorso dell’Ambu e ai motivi aggiunti in parte qua, per le quali l’intervento richiesto dal Monni, nella qualità di amministratore della SARIT, non fosse assentibile mediante il rilascio della concessione edilizia emessa dall’Ambu, equivalendo gli interventi urbanistici ad un piano di lottizzazione ex novo.
Tuttavia, il delitto di abuso d’ufficio, per la sua integrazione, richiede sia la realizzazione di un evento di danno (ingiusto) o di vantaggio patrimoniale (parimenti ingiusto) e sia il dolo intenzionale.
Il ricorrente ha, a ragione, lamentato un difetto di motivazione da parte della Corte territoriale su entrambi i suddetti necessari requisiti di fattispecie.
La giurisprudenza di legittimità è infatti ferma nel ritenere che, per la configurazione del reato di abuso d’ufficio, è necessario che sussista un’autonoma e “doppia ingiustizia”, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge e dall’assenza di margini di discrezionalità oppure dalla violazione dell’obbligo di astensione, ed ingiusto deve essere il vantaggio patrimoniale procurato, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia, o il danno arrecato. Conseguentemente, occorre una duplice distinta valutazione, non potendosi far discendere l’ingiustizia del vantaggio o del danno dalla illegittimità del mezzo utilizzato e, quindi, dall’accertata esistenza dell’illegittimità della sola condotta (ex multis, Sez. 6, n. 13426 del 10/03/2016, Lubelli, Rv. 267271 - 01).
L’abuso d’ufficio è infatti caratterizzato da un doppio evento alternativo consistente nel procurare intenzionalmente a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero nell’arrecare ad altri un danno ingiusto.
La motivazione della Corte territoriale, sia pur valorizzando alcuni elementi indiziari, fa principalmente scaturire l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale, provocato dal comportamento non iure del ricorrente, dal fatto che egli non fosse competente ad assentire l’intervento, il quale, perciò, non poteva essere consentito con il rilascio di una mera concessione edilizia, ma non si è confrontata con il fatto, decisivo, se  le società private avessero o meno diritto, previa delibera del competente consiglio comunale, ad eseguire le opere e se avessero pertanto conseguito un ingiusto vantaggio patrimoniale dalla condotta non iure del soggetto attivo del reato.
Tanto più che successivamente la pubblica amministrazione è intervenuta con una formale delibera (del consiglio comunale) di ricognizione ed assestamento planivolumetrico definitivo dell’edificato concessionato del piano di lottizzazione Sarit, e delle cessioni di verde pubblico, della viabilità e parcheggi collocati all’interno del perimetro del piano di lottizzazione Sarit secondo le indicazioni richieste con deliberazione del consiglio comunale n. 21 del 13 ottobre 2014, anche in virtù degli adempimenti previsti in conseguenza delle sentenze amministrative del Tar Sardegna e del Consiglio di Stato.
Quindi, in presenza della delibera di assestamento, anche la motivazione sull’elemento soggettivo (dolo intenzionale) si mostra inadeguata rispetto al tipo di illecito, che richiede l’intenzione da parte dell’agente di procurare un vantaggio patrimoniale ingiusto, giacché, qualora l’intervento lottizzatorio fosse stato assentibile nel rispetto delle forme richieste, in quanto non in contrasto con i piani urbanistici di riferimento, tanto da essere, come sostengono entrambi i ricorrenti, autorizzato ex post, detto accertamento sarebbe rilevante anche ai fini della sussistenza del dolo intenzionale, perché, siccome l’articolo 323 del codice penale esige che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio procurino intenzionalmente un vantaggio patrimoniale ingiusto (o un danno ingiusto), l’elemento soggettivo deve assumere siffatta obbligatoria forma, e non altra, con la conseguenza che il dolo è sì generico con riferimento alla condotta ma deve essere necessariamente intenzionale in relazione all’evento, nel senso che la realizzazione del vantaggio patrimoniale ingiusto deve costituire lo scopo primario perseguito dall'agente, non essendo ammissibili, per l’integrazione del modello legale di reato, né il dolo diretto e, a maggior ragione, quello eventuale (v. Sez. 6, n. 708 del 08/10/2003, dep. 2004, Mannello, Rv. 227280 - 01) .
Ne deriva che la sentenza impugnata andrebbe annullata con rinvio per l’approfondimento motivazionale in ordine ad entrambi gli aspetti evidenziati ma, in presenza di una causa estintiva, l’annullamento va disposto senza rinvio, con conseguente declaratoria di prescrizione del reato, perché, in tal  caso, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, cit., Rv. 244275 - 01).
    
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Ambu Gianluca per essere il residuo reato ascrittogli (capo E) estinto per prescrizione.
Rigetta il ricorso di Monni Pier Luigi che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/11/2020.