Cass. Sez. IV n. 25541 del 28 giugno 2012 (Cc 27 mar. 2012)
Pres. Sirena Est. Rizzo Ric. Anatriello ed altri
Urbanistica. Lottizzazione e buona fede
Nella lottizzazione abusiva, la necessità evidente di un piano di lottizzazione per procedere all’edificazione di un complesso urbanistico di rilevanti dimensioni, nonché il prezzo di acquisto delle singole unità immobiliari, se inferiore a quello di mercato, costituiscono dati sintomatici circa il difetto di buona fede degli acquirenti degli immobili abusivi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 26/3/2008 il Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina, condannava Mo.Ma. (amministratore della "I.C.F. Sviluppo" s.r.l.) e D.M.M. (dirigente della ripartizione urbanistica del Comune di Fondi) per il reato di lottizzazione abusiva, in relazione alla edificazione di 33 case e pertinenze, in assenza di piano.
Il pubblico ministero, all'esito del giudizio di primo grado, chiedeva l'emissione del decreto di sequestro preventivo dell'area e degli immobili ed il giudice monocratico provvedeva in conformità con ordinanza del 20/7/2008. Il Tribunale di Latina, decidendo sull'istanza di riesame proposta degli acquirenti degli immobili costruiti sull'area, revocava con l'ordinanza del 24/9/2008 il decreto di sequestro preventivo, emesso ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 2, in ragione della confiscabilità dell'area e degli immobili, tenuto conto della buona fede dei ricorrenti ricavata: a) dalla loro estraneità al processo instaurato nei confronti del dante causa; b) dall'idoneità dei titoli a trasferire la proprietà, risultando dagli atti di acquisto la regolarità amministrativa degli immobili.
2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Latina lamentando la violazione di legge. Osservava il P.M. che la buona fede degli acquirenti non doveva essere considerata ostativa all'adozione della misura cautelare, tenuto conto che ciò che rilevava era se fosse stato alterato in modo rilevante l'assetto urbanistico del territorio; in caso positivo il sequestro e la confisca potevano attingere anche terzi estranei al reato. Opinando diversamente, peraltro, si forniva agli speculatori uno strumento elusivo del rispetto della normativa urbanistica.
3. Con sentenza del 17/6/2010 la terza sezione di questa Corte annullava con rinvio l'ordinanza impugnata.
Osservava la Corte, in via preliminare che il sequestro era stato adottato non solo ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 2 (per garantire l'esecuzione della misura della confisca), ma anche ai sensi del comma 1 e, cioè, per evitare che il reato fosse portato a conseguenze ulteriori. Invero nel provvedimento esplicitamente era detto che veniva disposto "il sequestro di tali corpi di reato dei quali è stata ordinata la confisca, compresi i terreni e che, in ogni caso, anche ai sensi dell'art. 321, comma 1, la libera disponibilità delle opere da parte del detentore potrebbe protrarre le conseguenze del reato per il quale è stata emessa la sentenza di condanna, poichè l'ultimazione delle opere e l'utilizzazione dei complesso edilizio di ingente volumetria altererebbe in modo rilevante l'assetto territoriale ed il carico urbanistico".
Di conseguenza, la denunciata violazione di legge doveva essere esaminata con riferimento ai presupposti per l'applicazione di entrambe le ipotesi formulate nei primi due commi dell'art. 321 c.p.p.. Ciò premesso la Corte osservava che:
- la confisca prevista in materia di lottizzazione abusiva dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, costituisce una sanzione amministrativa e non una misura di sicurezza di natura patrimoniale, (Cass. Sez. 3, n. 36844 del 09/07/2009 Rv. 244923);
- la giurisprudenza richiamata dal P.M. circa l'applicabilità della confisca ai terzi in buona fede era antecedente alle sentenze della Corte Europea dei diritti dell'uomo del 30.8.2007 e del 20.1.2009, rimanendo esclusa la possibilità di confisca, secondo la più recente giurisprudenza, nei confronti di coloro che effettivamente risultino terzi in buona fede in ordine alla abusività della lottizzazione, nel senso che per essi non sia accertato alcun profilo di colpa, anche sotto gli aspetti della imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza;
- oggetto del sequestro preventivo può essere qualsiasi bene, anche se appartenente a persona estranea al reato, purchè esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (Cass. Sez.3, n. 17865 del 17/03/2009 Rv. 243751);
- il terzo acquirente di un immobile abusivamente lottizzato, pur partecipando materialmente con il proprio atto di acquisto al reato di lottizzazione abusiva, può subirne la confisca solo nel caso in cui sia ravvisabile una condotta quantomeno colposa in ordine al carattere abusivo della lottizzazione negoziale e/o materiale (Cass. Sez. 3, n. 42178 del 29/09/2009 Rv. 245170);
- la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, attesa la loro natura sanzionatoria, non può essere disposta nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato che siano possessori di buona fede, non essendo ammissibili criteri di responsabilità oggettiva neppure con riferimento alle sanzioni amministrative (Cass. sez. 3, sentenza n. 12118 del 12/12/2008 Cc. (dep. 19/03/2009) Rv. 243395).
Sulla base di tali premesse, osservava questa Corte che non vi era dubbio che, in presenza dell'accertata buona fede, non poteva essere disposta la confisca nei confronti dei terzi; inoltre, se presente tale stato soggettivo, poteva essere omesso il provvedimento di sequestro.
Nel provvedimento del Riesame, però, la valutazione della buona fede degli acquirenti era stata ritenuta in maniera pressochè assiomatica, essendosi limitato il giudice di merito a rilevare la sola estraneità al processo di detti acquirenti e l'avvenuto acquisto tramite rogito notarile degli immobili. Era palese, pertanto, la violazione ad opera del Riesame dei principi più volte enunciati dalla Cassazione sull'argomento.
Invero, premesso che in tema di lottizzazione abusiva negoziale si presuppone la commissione di un fatto generalmente plurisoggettivo, poichè in esso normalmente confluiscono condotte convergenti verso un'operazione unitaria caratterizzata dal nesso causale che lega i comportamenti dei vari partecipi (quanto meno del venditore- lottizzatore e dell'acquirente) diretti a condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale; fatta tale premessa, la condotta dell'acquirente non configura, quindi, un evento imprevisto ed imprevedibile per il venditore, perchè anzi inserisce un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso di quegli e, per la cooperazione dell'acquirente nel reato, non sono necessari un previo concerto o un'azione concordata con il venditore, essendo sufficiente, al contrario, una semplice adesione al disegno criminoso da quegli concepito, posta in essere anche attraverso la violazione (deliberatamente o per trascuratezza) di specifici doveri di informazione e conoscenza che costituiscono diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost..
Ne ha dedotto la Corte, dunque, che l'acquirente non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, "terzo estraneo" al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benchè compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè - pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell'adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza - di partecipare ad un'operazione di illecita lottizzazione.
In conclusione la Corte di legittimità censurava l'ordinanza del riesame sotto due profili:
a) perchè a fronte di una misura di cautelare reale adottata in relazione ad entrambe le ipotesi di cui all'art. 321 c.p.p., erroneamente aveva omesso ogni valutazione sulle esigenze preventive di cui all'art. 321 c.p.p., comma 1;
b) perchè la pronuncia del riesame non era conforme ai principi più volte enunciati laddove limitava l'accertamento della buona fede degli acquirenti alle sole circostanze che essi non risultavano allo stato indagati e che l'acquisto degli immobili era avvenuto tramite rogito notarile idoneo a trasferire la proprietà. Annullava pertanto con rinvio l'ordinanza.
4. Con ordinanza del 28/4/2011 il Tribunale di Latina, in sede di rinvio, rigettava le richieste di riesame proposte.
Osservava il Riesame che:
- l'esistenza del fumus del reato era immanente alla sentenza di condanna, con cui era stata disposta anche la confisca del suolo e delle opere edificate;
- il decreto di sequestro non era viziato da alcuna nullità, essendo la richiesta del P.M. e la nota integrativa accessibile alle parti a seguito della trasmissione degli atti al Riesame;
- non vi era alcuna diversità tra gli immobili sequestrati e quelli oggetto della richiesta del P.M. (beni descritti dall'arch.
c.), l'apparente diversità era determinata dal fatto che nelle more della procedura le opere erano state realizzate; inoltre non sussisteva alcuna indeterminatezza dei beni oggetto del vincolo, tanto vero che nessuna difficoltà era sorta in sede di esecuzione del provvedimento;
- nonostante la originaria richiesta di sequestro del P.M. non fosse stata accolta (ord. del GIP del 15/10/2004), non si era formata alcuna preclusione ad una nuova richiesta, fondata sull'esito dell'istruttoria dibattimentale e la intervenuta condanna degli imputati e confisca dei beni;
- infondata era la censura di difetto assoluto di motivazione in ordine alla presenza dei presupposti per l'applicazione della misura, poichè, con riferimento all'art. 321 c.p.p., comma 2 la confisca era già stata disposta con la sentenza; con riferimento al comma 1, la ultimazione delle opere, site a circa 400 mt. dal mare, la loro dimensione (33 case a schiera ed altri immobili) e la loro utilizzazione era idonea ad alterare in modo rilevante l'assetto urbanistico del territorio, per cui sussistente era il "periculum in mora";
- quanto alla sequestrabilità di beni in danno di terzi, la buona fede poteva rilevare solo se la misura fosse stata disposta ai sensi dell'art. 321, comma 2, essendo irrilevante, invece quando essa veniva adottata ai sensi del comma 1, essendo preminente la tutela dell'interesse pubblico connesso alla repressione dei reati (cfr.
Cass. 40480/2010); in tale prospettiva, necessitava realizzare la funzione inibitoria tipica della misura cautelare reale;
- nessuna violazione del principio di proporzionalità si era maturata, tenuto conto che la edificazione era avvenuta in totale assenza dell'autorizzazione alla lottizzazione e, pertanto, non risultava violato il diritto all'abitazione, considerato che il suo soddisfacimento non può essere realizzato con violazione delle norme sulla pianificazione urbanistica;
- quanto alla buona fede degli acquirenti, se questa non poteva essere garantita dalla circostanza della stipulazione dell'atto di acquisto a mezzo di notaio, soggetto particolarmente qualificato nella valutazione della legalità dell'acquisto, a maggior ragione non potevano ritenersi significative altre circostanze, quali la stipula di preliminari, la erogazione di mutui, l'utilizzo di intermediari autorizzati e l'assistenza agli atti da parte di legali;
- la buona fede non poteva desumersi neanche dal rilascio del permesso per costruire (presenza implicita nella stipula dell'acquisto per atto notarile), atteso che una operazione urbanistica della portata di quella effettuata non poteva prescindere da una convenzione di lottizzazione che non era mai stata approvata;
nè questa poteva essere sostituita da una "proposta planovolumetrica" per la ristrutturazione edilizia della zona, atteso che nel caso di specie tale proposta era illegittima, in quanto non aveva la sottoscrizione di tutti i proprietari, ma solo di due;
inoltre gli immobili edificati in base alle concessioni 4416 (del 4/12/02 alla I.C.F.) e 4420-4421 (a Fa.Gi.), rilasciate sulla base del piano planivolumetrico n. 210/2000, erano stati poi edificati con volumetrie e tipologie diverse e ciò era incompatibile con l'affermata buona fede;
- ostativo al riconoscimento della buona fede era, inoltre, il prezzo di acquisto degli immobili, variante da un minimo di Euro 95.000, ad un massimo di Euro 176.000, a fronte di un prezzo pubblicizzato sui giornali di un minimo di Euro 250.000;
- nella lottizzazione abusiva rientravano anche i due fabbricati di Fa.Gi., diversi dalla 33 villette a schiera; infatti nel capo di imputazione erano richiamate le concessioni nr. 4420 e 4421 del 5/12/02 a lui rilasciate. La unicità dell'intervento lottizzatorio, villette e fabbricati del Fa., si evinceva anche dal fatto che la soc. "I.C.F." concessionaria delle villette era rappresentata da Mo.Ma., della soc. SO.RO.RE (che aveva poi cambiato la intestazione in "ICF") il cui amministratore era alla data del deposito del primo piano plani volumetrico proprio il Fa.; pertanto non poteva ritenersi che la richiesta del P.M. di sequestro escludesse i fabbricati del Fa., se è vero che gli stessi erano frutto dell'unitaria lottizzazione abusiva, tanto vero che il P.M. aveva chiesto il sequestro dell'intera area di 19.160 mq.
interessati all'abuso; inoltre, proprio perchè non terzo acquirente, il Fa. doveva ritenersi impegnato in prima persona nelle irregolarità amministrative della lottizzazione, si da escludere in radice la possibilità di configurare una situazione di buona fede.
5. Avvero l'ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione gli interessati, con plurimi atti di impugnazione, lamentando:
6. A.A. + altri 22.
6.1. la violazione di legge e l'omessa motivazione in relazione alla genericità della richiesta cautelare avanzata dal P.M., senza specifica indicazione dei beni da sottoporre a sequestro ed in violazione quindi del principio della "domanda cautelare". Alla carenza non poteva supplire la nota integrativa tardivamente inoltrata dalla Procura.
6.2. La violazione di legge ed in particolare della preclusione costituita dal "giudicato cautelare" avendo il GIP di Latina rigettato in data 15/10/2004 un'analoga richiesta di sequestro e non essendo sopravvenuta alcuna ulteriore e diversa acquisizione probatoria a sostegno della successiva richiesta dei 2008 poi accolta.
6.3. La violazione di legge e la contraddittorietà ed illogicità della motivazione, laddove il tribunale aveva omesso di motivare l'esercizio del potere discrezionale di disporre il sequestro, ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 2, a tutela dei beni confiscati, non sussistendo in materia alcun automatismo; inoltre, in relazione all'indicazione del "periculum" legittimante l'adozione del sequestro ai sensi dell'art. 321, comma 1, il decreto di sequestro era carente ed il Riesame aveva esercitato un non consentito potere integrativo della motivazione sul punto inesistente. In ogni caso detto "periculum" non era presente, infatti se è vero che la ultimazione delle opere non esclude la sequestrabilità, è pur vero che essa è condizionata ad un rigoroso accertamento dell'ulteriore aggravamento del carico urbanistico del territorio, aggravamento; aggravamento da valutare in concreto, contestualizzando le opere all'attuale situazione dei luoghi, valutando quindi la presenza o meno di in edificazione della zona e dell'assenza di strutture e opere di urbanizzazione.
6.4. la erronea applicazione della legge, laddove il Tribunale non aveva ritenuto provata la buona fede dei terzi acquirenti. Premesso che è discutibile che debba essere il terzo a dimostrare la buona fede e non invece l'accusa a dovere dimostrare la colpa; ed essendo invece ragionevole ritenere gravato il terzo solo di un onere di allegazione, nel caso di specie erroneamente il riesame non aveva riconosciuto la sussistenza della buona fede: infatti gli acquirenti si erano affidati per la stipula degli acquisti a notai; in moti casi attraverso l'ausilio preventivo di agenzie specializzate di intermediazione; richiedendo mutui rilasciati dopo un'attenta istruttoria; acquistando beni dopo regolari trattative e verificando la esistenza delle concessioni edilizie, fidando quindi nella presunzione di legittimità degli atti amministrativi. Peraltro il sospetto della illegittimità delle opere non era venuto neanche al giudice, visto che nel 2004 aveva rigettato la richiesta di sequestro e che il P.M. per acclarare la illegalità, aveva dovuto svolgere ben due consulenze tecniche.
7. P.S. e Ca.Lu. (comproprietari).
7.1. La violazione dell'art. 321 c.p.p., comma 1. Invero, partendo dal presupposto che i lavoro sono ultimati da oltre sei anni, per poter procedere al sequestro ai sensi dell'art. 321, comma 1, era necessario dimostrare che la presenza di un pericolo attuale e concreto che la libera disponibilità della res recasse un pregiudizio irreparabile ed ulteriore al territorio. Nel caso di specie, il "periculum" era inesistente, infatti l'immobile, edificato ad una distanza di oltre 700 mt. dal mare, insisteva in zona già urbanizzata, con rete viaria, impianto di depurazione, rete idrica elettrica e telefonica.
7.2. La violazione dell'art. 321 c.p.p., comma 2 in ragione dell'assenza del "fumus commissi delicti" per la regolarità dell'iter amministrativo di rilascio delle concessioni a fronte dell'assenza di necessità di del piano di lottizzazione;
7.3. con ulteriore motivo svolgevano argomenti analoghi a quelli di altri ricorrenti in tema di buona fede, evidenziando la violazione del principio di proporzionalità di cui all'art. 1 del Protocollo addizionale della CEDU, violato in quanto ad una misura per una ablatoria non era previsto alcun indennizzo.
8. Bo.Fa..
8.1. la nullità dell'ordinanza impugnata per essere stato il bene sequestrato ad un soggetto terzo acquirente in buona fede e soggetto passivo del delitto di truffa commesso dai venditori dell'immobile;
8.2. la nullità dell'ordinanza per avere confermato il decreto di sequestro che aveva attinto beni non più in proprietà degli imputati ed il cui possesso da parte degli acquirenti non poteva più aggravare o protrarre le conseguenze del reato. Peraltro il vincolo aveva attinto immobili oramai completati ed utilizzati, circostanza questa probabilmente ignorata del P.M., se vero che aveva chiesto il sequestro del cantiere. Non sussisteva alcuna mala fede degli acquirenti, vittime invece di una truffa, che si sarebbe potuta evitare se il P.M. avesse chiesto il sequestro in modo tempestivo, nelle indagini; se il notaio non avesse stipulato atti di vendita in relazione a beni ritenuti abusivi; se le banche non avessero concesso mutui ipotecari in relazione ad immobili abusivi; se gli enti pubblici interessati avessero tempestivamente posto in essere atti amministrativi in sede di autotutela, con l'annullamento delle concessioni. Tali inadempienze avevano vulnerato in modo grave il diritto all'abitazione.
9. N.G..
9.1. La violazione dell'art. 324 c.p.p. per non essere stato il provvedimento del riesame emesso entro dieci giorni dalla ricezione degli atti;
9.2. La erronea applicazione dell'art. 321 c.p.p. laddove il Tribunale non aveva motivato sull'effettivo pregiudizio agli interessi del territorio, apportato dalle costruzioni; inoltre aveva disposto il sequestro in virtù di una concessione illegittima, ma non illecita e, pertanto, in assenza del "fumus";
9.3. la erronea applicazione della legge ove non era stata riconosciuta la rilevanza della buona fede dei terzi acquirenti degli immobili, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle sopra esposte.
10. D'.Ma.As..
10.1. l'erronea applicazione della legge laddove il Tribunale del Riesame aveva ritenuto la irrilevanza della buona fede nell'ipotesi in cui il sequestro sia disposto per le finalità di cui all'art. 321, comma 1. Invero le norme della CEDU, più volte richiamate, esplicitamente invitano ad una valutazione comparativa tra l'interesse generale della comunità e l'interesse dei singoli proprietari, secondo un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo da raggiungere. Nel caso di specie l'interesse collettivo andava a penalizzare soggetti diversi dagli autori dell'illecito ed a favorire, con la eventuale acquisizione dei beni al patrimonio comunale, proprio l'Ente pubblico che con il proprio comportamento negligente aveva favorito la consumazione dell'illecito, anche in danno degli ignari terzi acquirenti degli immobili. Nel provvedimento impugnato la problematica del principio di proporzionalità era stato sbrigativamente superata ritenendo che l'assenza dell'autorizzazione alla lottizzazione automaticamente rendeva prevalente l'interesse pubblico, laddove, invece, tale assenza significava mancanza di valutazione dell'impatto ambientale e, quindi incertezza sulla sua negatività.
Risultavano quindi vulnerata una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 321 c.p.p..
10.2. la mancanza di motivazione, da intendere come vizio di legittimità, in relazione al mancato riconoscimento della buona fede della D'.. Invero la ricorrente non risiedeva più in Italia dal 1995; aveva acquistato l'immobile nel 2005 a mezzo atto notarile a cui erano allegati il certificato di destinazione urbanistica e la concessione edilizia; l'acquisto era stato fatto attraverso un mutuo fondiario bancario, rilasciato previa istruttoria. Inoltre, dopo la sentenza di annullamento con rinvio, era stata prodotta ulteriore documentazione (documenti sulle trattative; sull'opera di agenti di intermediazione immobiliare, pagamenti, ecc.) da cui desumere la buona fede e l'assenza di condotte negligenti, circostanze queste che avrebbero dovuto indurre alla revoca del sequestro. Sul punto la motivazione dell'ordinanza del Riesame era manifestamente illogica.
11. Fa.Gi..
11.1. La nullità dell'ordinanza per travisamento del fatto. La peculiarità della posizione del Fa. è costituita dal fatto che questi non è un terzo acquirente, ma il destinatario di due autonome concessioni. Nel negare la buona fede del ricorrente, il Tribunale aveva fatto un'affermazione errata e che cioè il Fa.
fosse amministratore della SO.RE.RE s.r.l., poi divenuta I.C.F. Sviluppo s.r.l., destinatala della concessioni per la costruzione delle villette. In realtà il Fa. era completamente estraneo alla predetta società, tanto vero che nessuna visura camerale attestava la attribuita qualità. Per mero errore il perito c. aveva ritenuto che la firma in calce alla proposta del piano plano volumetrico, presentato dalla SO.RE.RO. e dal Fa., fosse da quest'ultimo stata vergata in qualità di amministratore della società, mentre era una firma apposta in proprio quale persona fisica. Tale errore era stato peraltro fatto proprio dall'amministrazione comunale che, nel dare parere favorevole al piano, l'aveva indirizzato alla SO.RE.RO, amministratore Fa..
11.2. La violazione di legge, in quanto, una volta esclusa la qualità di amministratore della SO.RE.RO. in capo al ricorrente, egli rimaneva mero destinatario di due concessioni edilizie (n. 4420 e 4421), per le quali non poteva avere alcuna consapevolezza della necessità di un altro e diverso titolo abilitativo, quale la convenzione di lottizzazione. La sua estraneità ad una comune disegno urbanistico della SO.RE.SO e dalla I.C.F. era dimostrata dal fatto che non era stato tra i firmatari della seconda proposta plano volumetrica del 31/7/2000, sottoscritta dalla sola I.C.F. per i 33 villini da edificare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
12. I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.
13. Va premesso che nei presente procedimento non devono ritenersi ricorrenti D.M.M. e C.E., i cui autonomi ricorsi sono trattati in separati procedimenti odiernamente trattati, rispettivamente n. 3538/12 (n. ord. ud. 17) e 43261/11 (n. ord. ud. 10).
14. In ordine alle doglianza di natura processuale formulate, va rammentato che l'art. 628 c.p.p., comma 2 delimita l'ambito entro il quale può essere impugnata la sentenza del giudice di rinvio, emessa ai sensi dell'art. 627 c.p.p.. Tale pronuncia può essere gravata soltanto per motivi non riguardanti i punti già decisi dalla Corte di Cassazione.
Tale regola, come già osservato da questa Corte di legittimità (Cass. sez. 2, Sentenza n. 41461 del 06/10/2004 Ud. (dep. 25/10/2004), imp. Guarneri, Rv. 230578), si ispira alla esigenza, connaturale a qualsiasi ordinamento, che ogni procedimento abbia termine e che, di conseguenza, rimangano assorbiti nella "res judicata" tutti gli errori, vizi o nullità incorsi in esso.
Pertanto, in applicazione di detto principio è inibito alle parti di rimettere in discussione il decisum della Corte suprema attraverso l'impugnazione della sentenza del giudice di rinvio che detto decisum sia stato chiamato ad attuare. Nel caso che ci occupa, la Corte di legittimità, all'atto dell'annullamento con rinvio, non ha censurato la sentenza in punto di vizi procedurali, ma ha delimitato il perimetro della esigenza di una nuova motivazione solo in relazione alla valutazione della presenza delle esigenze cautelari sottostanti alla emissione di un provvedimento di sequestro preventivo, con particolare riguardo all'ipotesi in cui esso sia destinato ad attingere terzi estranei alla commissione del reato presupposto.
14.1. Ciononostante va ribadito che infondata è la doglianza relativa alla violazione degli obblighi connessi alla domanda cautelare. Invero, come osservato dal Tribunale, la richiesta di sequestro al G.I.P. è stata dal P.M. correttamente inoltrata, dapprima con una richiesta orale all'esito del giudizio dibattimentale e, successivamente, con l'inoltro di una nota integrativa. Tale modalità di proposizione della "domanda" non determina alcuna violazione procedurale, tenuto conto che al momento della emissione della misura la "nota" era contenuta nel fascicolo in possesso del giudice, tanto vero che nel decreto di sequestro viene esplicitamente richiamata. Nè si è maturata alcuna venerazione del diritto di difesa, considerata la accessibilità per le parti degli atti processuali.
14.2. Quanto alla censura di illegittimità del sequestro adottato in violazione della preclusione costituita dal "giudicato cautelare" connesso al rigetto da parte del G.I.P., in data 15/10/2004, di analoga richiesta di sequestro, va osservato che effettivamente questa Corte di legittimità ha statuito, con consolidata giurisprudenza, che le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva "endoprocessuale" riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame (Cass. Sez. Un. Sentenza n. 14535 del 19/12/2006 Cc. (dep. 10/04/2007), Rv. 235908; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 7375 del 03/12/2009Cc. (dep. 24/02/2010) Rv. 246026); ma questa Corte ha anche precisato che la potestà decisoria cautelare, è nuovamente esercitabile ove siano mutate le condizioni in base alle quali fu emessa la precedente decisione (Cass. sez. 6, sentenza n. 33874 del 17/07/2008 CC. (dep. 25/08/2008) Rv. 240801).
Nel caso di specie, il giudice di merito, con coerente e condivisibile motivazione, ha rilevato come la nuova decisione cautelare sia intervenuta dopo il giudizio dibattimentale di primo grado e la condanna degli imputati per il reato di lottizzazione abusiva, sulla base quindi di un'istruttoria dibattimentale che aveva consentito di delineare con maggiore chiarezza i requisiti del "fumus" e del "pericuium in mora" oltre che della finalizzazione del sequestro alla confisca già disposta con la pronuncia di condanna.
15. In ordine alle doglianze relative alla lamentata violazione di legge ed al vizio di motivazione circa la presenza dei presupposti per l'adozione del sequestro preventivo, va premesso che il giudice di merito ha adottato la misura cautelare ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 1 e 2: per prevenire il rischio di pregiudizi all'assetto del territorio connesso al completamento delle opere e gli ulteriori pregiudizi connessi alla loro piena utilizzazione; inoltre, per garantire l'esecuzione della confisca delle opere abusive.
Ciò premesso va ricordato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. (Cass. Sez. Un., sentenza n. 25932 del 29/05/2008, Cc. (dep. 26/06/2008), Rv. 239692; conf. S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 43068 del 13/10/2009CC. (dep. 11/11/2009), Rv. 245093). Pertanto laddove nei motivi di ricorso si censura la "motivazione contraddittoria ed illogica", tali doglianze sono inammissibili.
Resta da vedere se il provvedimento sia stato adottato in "violazione di legge". Anche su questo punto va fatta una premessa. Con orientamento consolidato questa Corte di legittimità ha stabilito che "In tema di riesame dei provvedimenti di sequestro, sia probatorio, sia preventivo, il controllo del giudice non può investire la concreta fondatezza dell'accusa, ma deve essere limitato alla verifica dell'astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato, e cioè al riscontro della corrispondenza della fattispecie astratta ipotizzata dall'accusa alla realtà fenomenica del fatto per cui si procede, nonchè dell'esattezza della qualificazione della cosa come "corpus delicti" o di cui è comunque consentita la confisca" (ex plurimis, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1810 del 04/03/1997 Cc. (dep. 27/03/1997), Rv. 207194; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12906 del 14/02/2007 Cc. (dep. 29/03/2007), Rv. 236386; cfr. anche, Corte Cost. ord. 153/2007). Nell'ambito di tale controllo, è demandato al giudice di valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dagli indagati che possano avere influenza sulla configurabilità e sulla sussistenza del "fumus" del reato contestato (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 27715 del 20/05/2010 Cc. (dep. 16/07/2010), Rv. 248134).
Nel caso di specie il Tribunale ha fornito una coerente ed esaustiva motivazione della sussistenza del "fumus" desumibile non solo dalla puntuale illustrazione delle violazioni rilevate, ma anche dal riscontro costituito dalla già intervenuta condanna in primo grado per lottizzazione abusiva.
Quanto alle esigenze cautelari, il giudice di merito ha evidenziato come l'imponenza delle opere, per il numero delle villette costruite e gli altri immobili ed il loro impatto sul territorio, rendeva evidente l'ulteriore pericolo per l'assetto urbanistico della zona interessata dalla edificazione con il completamento delle costruzioni e la utilizzazione a pieno regime gli immobili. Ne ha dedotto il giudice di merito la presenza del "periculum in mora". Tale motivazione, non potendo considerarsi meramente apparente, palesa la insussistenza di vizi di violazione di legge connessi ai presupposti di adozione del sequestro.
Vizi insussistenti anche con riferimento all'art. 321 c.p.p., comma 2, tenuto conto che con la sentenza di condanna il G.I.P. ha confiscato gli immobili: dal che la coerenza della strumentalità della misura adottata, rispetto alla esecuzione della sanzione reale disposta.
16. I ricorrenti hanno, inoltre, lamentato l'illegittimità del provvedimento impugnato, laddove non aveva rilevato che il sequestro aveva attinto terzi acquirenti degli immobili in buona fede, irragionevolmente pregiudicati dall'adozione della misura.
Su tale problematica si è più volte pronunciata questa Corte, da ultimo con il provvedimento di annullamento con rinvio di cui all'odierno procedimento.
Riepilogando:
- oggetto di sequestro preventivo può essere qualsiasi bene, anche se appartenente a persona estranea al reato, purchè esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (Cass. Sez. 3, n. 17865 del 17/03/2009 Rv. 243751);
- il terzo acquirente di un immobile abusivamente lottizzato, pur partecipando materialmente con il proprio atto di acquisto al reato di lottizzazione abusiva, può subirne la confisca nel caso in cui sia ravvisabile una condotta quantomeno colposa in ordine al carattere abusivo della lottizzazione negoziale e/o materiale (Cass. Sez. 3, n. 42178 del 29/09/2009 Rv. 245170);
- la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, attesa la loro natura sanzionatoria, non può essere disposta nei confronti di soggetti estranei alla commissione del reato che siano possessori di buona fede, non essendo ammissibili criteri di responsabilità oggettiva neppure con riferimento alle sanzioni amministrative (Cass. sez. 3, sentenza n. 12118 del 12/12/2008 Cc. (dep. 19/03/2009) Rv. 243395).
Tali principi sono stati enunciati nel rispetto delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (cfr. da ultimo sent. 20/1/2009, ric. "Sud Fondi"), ove si è cercato di armonizzare le esigenze di tutela della proprietà, con quelle pubbliche di regolamentare l'uso dei beni in conformità all'interesse generale. Ebbene sia la giurisprudenza comunitaria che quella interna, hanno rinvenuto il punto di equilibrio, per risolvere il conflitto tra le due esigenze, nella presenza o meno della "buona fede" degli acquirenti.
Va precisato che l'alternativa non è tra "buona" o "mala" fede: ma per evitare il pregiudizio alla proprietà, ciò che conta è esclusivamente la buona fede. Pertanto la sua assenza non inibisce l'adozione di vincoli reali, non essendo necessario dimostrare il di più costituito dalla mala fede, cioè la effettiva consapevolezza di versare in una situazione illecita.
Ciò detto il giudice di rinvio, investito della questione ha ritenuto l'assenza di buona fede in capo agli acquirenti.
Ha osservato il giudice di merito che, a fronte della evidenza della necessità di un piano di lottizzazione per procedere alla edificazione di un complesso urbanistico come quello attuato (comprendente 33 villini a schiera ed altri manufatti), non poteva essere indice di buona fede il mero rilascio del permesso per costruire e la circostanza che molti acquirenti avessero ricevuto mutui fondiari (dopo istruttoria bancaria) o si fossero affidati a professionisti per la fase delle trattative (intermediati immobiliari) e per la stipula dei contratti (notaio). Peraltro lo stesso prezzo di acquisto degli immobili risultava inferiore a quello di mercato (pubblicizzato) e ciò avrebbe dovuto indurre in sospetto gli acquirenti.
La presenza di una coerente motivazione del provvedimento, non meramente apparente, non consente pertanto di rilevare vizi di violazione di legge. Per altro verso va segnalato che questa Corte di legittimità ha precisato che, ai fini del sequestro preventivo di un immobile o terreno abusivamente lottizzato, disposto per impedire che la libera disponibilità dello stesso possa aggravarne o protrarne le conseguenze, non ha rilevanza il fatto che esso appartenga a un terzo estraneo alla commissione del reato e in buona fede. Infatti lo stato lo stato di buona fede del terzo estraneo ai reato rileva solo ove il sequestro sia stato disposto esclusivamente ai sensi del comma secondo dell'art. 321 c.p.p. in quanto funzionale alla confisca (cfr.Cass. Sez. 3, Sentenza n. 40480 del 27/10/2010CC. (dep. 16/11/2010) Rv. 248741).
Consegue, nel caso di specie, che essendo stata la misura cautelare adottata in relazione ad entrambi i due commi dell'art. 321, anche sotto tale profilo il provvedimento di rigetto del riesame appare immune da vizi di violazione di legge.
17. In ordine ad ulteriori specifiche censure formulate dai ricorrenti, e non ricomprese in quelle già analizzate, la P. ed il Ca. hanno lamentato che le opere erano già completate e pertanto irragionevole era ritenere la necessità dell'adozione del sequestro.
Orbene, premesso che il vincolo è stato adottato anche per garantire la esecuzione della confisca, il Tribunale ha osservato come l'impatto ambientale derivante dalla utilizzazione dei beni dopo il completamento dei lavori costituiva una conseguenza "ulteriore" rispetto alla mera consumazione del reato e che per inibirla era necessaria l'adozione del vincolo. La congruità della motivazione non consente di rilevare violazioni di legge.
Quanto alla doglianza relativa alla violazione del principio di proporzionalità tra le esigenze da tutelare ed il vincolo adottato (doglianza avanzata anche dalla ricorrente D'.), va osservato che il sequestro costituisce una misura cautelare imposta per esigenze di tutela della collettività, che, sebbene pregiudizievoli per il soggetto che ne è gravato, sono finalizzate a garantire esigenze pubbliche superiori.
L'applicazione della misura cautelare, non costituisce violazione dell'art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, tenuto conto della temporaneità del vincolo connesso alle citate esigenze di interesse pubblico relative alla repressione dei reati. Il titolare del diritto peraltro potrà far valere le proprie ragioni, una volta esaurite le esigenze cautelari, eventualmente in sede esecutiva.
18. Il N., ha lamentato la violazione di legge, per non essere intervenuta la decisione del riesame entro dieci giorni.
Sul punto va rammentata la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale "Nel giudizio di rinvio conseguente all'annullamento di un provvedimento del tribunale del riesame, anche in materia di sequestro, non è applicabile il termine perentorio di dieci giorni imposto dall'art. 309 c.p.p., comma 10 nel procedimento ordinario" (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 35651 del 16/06/2003Cc. (dep. 17/09/2003), Rv. 226513; Cass. Sez. Un., Sentenza n. 5 del 17/04/1996CC. (dep. 08/05/1996), Rv. 204463).
19. Da ultimo restano da analizzare le doglianza esposte dal ricorrente Fa.Gi., il quale non è un terzo acquirente, ma il destinatario delle concessioni n. 4420 e 4421 relative a due fabbricati adiacenti all'insediamento delle villette.
Effettivamente, come lamentato dal ricorrente, il giudice di merito è incorso in un errore di fatto laddove ha ritenuto che il Fa. fosse un amministratore della soc. SO.RE.RO., poi divenuta I.C.F. Sviluppo s.r.l. (beneficiaria delle concessioni per le villette).
L'errore è stato determinato dalla presenza della firma del Fa. sulla "Proposta planovolumetrica per la ristrutturazione edilizia della zona B4 del comparto 13" del P.R.G. di Fondi. Su tale proposta figura la firma dell'amministratore della SO.RE.RO. e sotto quella del Fa., firma che però viene vergata in proprio, in quanto il Piano era stato proposto dalla persona giuridica SO.RE.RO e dalla persona fisica Fa.. Di ciò vi è conferma nel fatto che dalla visure camerali non risulta la carica di amministratore della detta società in capo al Fa..
Pertanto il travisamento della prova sul punto è evidente e l'autosufficienza del ricorso consente di rilevarlo.
Ciò premesso, nonostante l'errore rilevato, il provvedimento impugnato non risulta connotato da alcuna illegittimità che ne vulneri la validità. Invero il Tribunale del Riesame ha rilevato come nel capo di imputazione del giudizio di merito, conclusosi con la condanna degli imputati per lottizzazione abusiva, fossero indicati come fabbricati attraverso i quali era stata realizzata la lottizzazione, quelli che avevano beneficiato delle concessioni n. 4416/02 (33 villette) e n. 4420-4421/02 (Immobili del Fa. da adibire a civile abitazione ed attività commerciale).
Ne ha dedotto il Tribunale che già dalla sentenza di condanna (ove non vi è cenno alla qualità di amministratore del Fa.), si evidenziava come tutte le costruzioni oggetto di abusive concessioni, fossero il frutto di un unico programma edificatorio, condiviso dalla SO.RE.RO (poi divenuta I.C.F.) e dal Fa.. Di ciò vi era riscontro nel fatto che la società ed il ricorrente, per dar luogo all'inizio dei lavori, eludendo la necessità di una convenzione di lottizzazione, avevano presentato unitariamente il progetto plano volumetrico del maggio 2000.
Ne ha dedotto il giudice di merito la presenza del "fumus" del reato contestato che, unitamente ai persistente "periculum" di cui già si è detto, consentiva l'adozione della misura cautelare del sequestro.
La coerenza della motivazione del Riesame, non consente di rilevare violazioni di legge che sole potrebbero in questa sede di legittimità avere rilievo.
Si impone pertanto la declaratoria di infondatezza anche del ricorso del Fa.Gi..
Segue, per legge, la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2012.
Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2012