Cass. Sez. III n. 28545 del 17 luglio 2012 (Ud. 16 feb. 2012)
Pres. Mannino Est. Fiale Ric. Cinti
Urbanistica. Potere del giudice e illegittimità del titolo abilitativo

Il giudice penale può accertare la illegittimità sostanziale del titolo abilitativo non soltanto se l'atto medesimo sia illecito, ovvero frutto di attività criminosa per eventuali collusioni del soggetto beneficiario con organi dell'amministrazione, ma  anche nell'ipotesi in cui sussista la non conformità dell'atto alla normativa che ne regola l'emanazione o alle disposizioni legislative in materia urbanistico-edilizia

RITENUTO IN FATTO

La Corte di appello di Ancona, con sentenza del 16.11.2010, ha confermato la sentenza 26.9.2008 del Tribunale di Urbino, che aveva affermato la responsabilità penale di C.L.C. in ordine ai reati di cui:

a) al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), (per avere realizzato, senza il necessario permesso di costruire, un manufatto in legno di mt. 4,33 x 4,83 - acc. in Urbania, il (OMISSIS));

b) al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95;

e, ritenuto il concorso formale, la aveva condannata alla pena complessiva di mesi tre di arresto ed Euro 11.000,00 di ammenda, con il beneficio della sospensione condizionale, ordinando la demolizione delle opere abusive.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputata, il quale ha eccepito:

l'insussistenza del reato edilizio, poichè il manufatto in contestazione dovrebbe considerarsi "opera pertinenziale" ad un fabbricato già esistente, sottratta in quanto tale al regime del permesso di costruire.

In questo senso si è anche espresso il Comune di Urbania, con nota del 4.4.2007 acquisita al fascicolo dei dibattimento, ed i giudici del merito, disattendendo detta determinazione comunale, avrebbero posto in essere uno straripamento di attribuzioni con esercizio di una potestà riservata dalla legge ad organi amministrativi;

assenza dell'elemento soggettivo dei reati, avendo l'imputata fatto legittimo affidamento nelle valutazioni comunali;

carenza assoluta di motivazione in ordine alla sussistenza dei reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95;

carenza assoluta di motivazione in ordine alla entità della pena inflitta.


CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè manifestamente infondato.

2. La nozione di "pertinenza urbanistica" (vedi, ad esempio, Cass., Sez. 3^, 16.10.2008, n. 42738, Fusco; 20.3.2008, n. 25113, Castriciano; 9.12.2004, Bufano; 27.11.1997, Spanò) ha peculiarità sue proprie, che la distinguono da quella civilistica; deve trattarsi, invero, di un'opera preordinata ad un'oggettiva esigenza di un edificio principale, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell'edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede.

Il durevole rapporto di subordinazione deve instaurarsi con una costruzione preesistente e la relazione con detta costruzione deve essere, in ogni caso, non di integrazione ma "di servizio", allo scopo di renderne più agevole e funzionale l'uso (carattere di strumentante funzionale), sicchè non può ricondursi alla nozione in esame l'ampliamento di un edificio che - come nella vicenda che ci occupa - costituisce parte di esso quale elemento che attiene all'essenza dell'immobile e lo completa affinchè soddisfi ai bisogni cui è destinato (vedi Cass., Sez. 3^, 16.3.2010, n. 20349, Catania; 11.5.2005, Gricia; 17.1.2003, Chiappalone).

3. Le Sezioni Unite - con fa sentenza 12 novembre 1993, Borgia - hanno affermato che "al giudice penale non è affidato alcun sindacate sull'atto amministrativo", ma questi, nell'esercizio della potestà penale, è tenuto ad accertare la conformità tra ipotesi di fatto (opera eseguenda o eseguita) e fattispecie legale (identificata dalle disposizioni legislative statali e regionali in materia urbanistico-edilizia, dalle previsioni degli strumenti urbanistici e dalle prescrizioni del regolamento edilizio). Il complesso di tali disposizioni, previsioni e prescrizioni, tutte insieme considerate, costituisce il parametro organico per l'accertamento della liceità o dell'illiceità dell'opera edilizia e ciò in quanto l'oggetto della tutela penale apprestata già dalla L. n. 47 del 1985, art. 20 non è più - come nella L. n. 1150 del 1942 - il bene strumentate del controllo e della disciplina degli usi del territorio, bensì "la salvaguardia degli usi pubblici e sociali dei territorio" medesimo.

In questa prospettiva, nell'ipotesi di realizzazione di opere di trasformazione del territorio in violazione dell'anzidetto parametro di legalità urbanistica ed edilizia, il giudice penale non esercita alcun sindacato sull'attività della pubblica Amministrazione allorquando verifica (con accertamento doveroso) la necessità del permesso di costruire per la realizzazione dell'intervento sottoposto al suo esame e perviene ad affermare l'insufficienza di diversa procedura autorizzazione o di controllo (es. mera denuncia dell'inizio dell'attività) pur ritenuta applicabile in sede amministrativa.

In tal caso il giudice penale non pone in essere la procedura di disapplicazione riconducibile alla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5 all. E, nè incide con indebita ingerenza sulla sfera riservata alla pubblica amministrazione, ma esercita un potete che trova fondamento e giustificazione nella stessa previsione normativa incriminatrice, della quale la legittimità dell'atto costituisce elemento integrativo, in quanto procede ad una identificazione in concreto della fattispecie con riferimento all'oggetto della tutela da identificarsi nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio regolati dagli strumenti urbanistici (vedi Cass., Sez. 3^, 2 marzo 2009, n. 9177, Corvino; 21 marzo 2006, Tantillo; 3 marzo 2004, Dalla Fior).

Il giudice penale, inoltre, può accettare la illegittimità sostanziale del titolo abitativo non soltanto se l'atto medesimo sia illecito, ovvero frutto di attività criminosa per eventuali collusioni del soggetto beneficiario con organi dell'amministrazione, ma anche nell'ipotesi in cui sussista la non conformità dell'atto alla normativa che ne regola l'emanazione o alle disposizioni legislative in materia urbanistico-edilizia (Cass., Sez. 3^, 14 dicembre 2006, Bruno).

4. Dei reati contravvenzionali in oggetto si risponde anche a titolo colpa. Per la sussistenza dell'elemento soggettivo è sufficiente, quindi, che il comportamento illecito sia derivato da imperizia, imprudenza o negligenza.

L'ignoranza della legge penale scusa l'autore dell'illecito soltanto se incolpevole a cagione della sua inevitabilità (Corte Cost., 23.3.1998, n. 364) e, nella specie, correttamente deve ritenersi escluso che l'imputata abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al c.d. "dovere di informazione", attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire l'esatta conoscenza della normativa vigente.

I giudici del merito hanno accertato, sui punto, che ella realizzò le opere senza il preventivo esperimento di alcuna procedura abitativa e solo dopo che le venne notificata un'ordinanza comunale di sospensione dei lavori presentò una DIA. La circostanza che il Comune abbia ritenuto idonea tale procedura (ricollegandola erroneamente al regime delle pertinenze urbanistiche) non vale a configurare una situazione di buona fede e di affidamento incolpevole dell'imputata, trattandosi di valutazione effettuata successivamente alla realizzazione del manufatto e correlata alla utilizzazione di esso quale deposito per attrezzi denunziata dalla ricorrente a fronte della destinazione effettiva a stanza per gli ospiti o riservata ai giochi dei bambini.

5. L'atto di appello non conteneva alcuna doglianza in ordine alla sussistenza dei contestati reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95 sicchè la Corte territoriale non aveva alcun dovere di ulteriore motivazione a fronte degli incontestati accertamenti effettuati dal giudice di primo grado.

6. La pena risulta congruamente determinata con adeguato riferimento ai criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p. (entità della violazione e personalità dell'imputata).

7. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.


P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2012.