Cass. Pen. Sez. III n. 31182 del 9 novembre 2020 (Up. 16 set. 2020)
Pres. Di Nicola Est. Scarcella Ric.Galli
Urbanistica.Lottizzazione e prescrizione del reato
In tema di lottizzazione abusiva, in caso di impugnazione del PG contro una sentenza di proscioglimento emessa in primo grado per intervenuta prescrizione ma che abbia accertato la sussistenza del reato esclusivamente sotto il profilo oggettivo, motivando erroneamente circa la configurabilità dell'elemento soggettivo, omettendo di disporre la confisca, la Corte di Cassazione - ove la prosecuzione del giudizio di primo grado sia stata determinata dalla necessità di accertare un reato diverso dell'illecito lottizzatorio (nella specie, il delitto di abuso d'ufficio) e il reato edilizio sia dichiarato estinto per prescrizione, maturata in data antecedente alla celebrazione del giudizio di primo grado ma non eccepita tempestivamente dall'imputato -, nel rilevare che tanto il giudice di appello quanto quello di primo grado non abbiano motivato adeguatamente sulla sussistenza dell'elemento psicologico, deve disporre l'annullamento con rinvio, al fine di consentire al giudice di appello di pronunciarsi sulla confisca in base all'art. 578-bis, c.p.p., non potendo disporre la revoca della statuizione ablatoria.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza della Corte di Appello di Firenze, emessa in data 14 dicembre 2018, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Grosseto del 19 ottobre 2016, veniva disposta la confisca delle unità immobiliari facenti parte del progetto foresteria del Nuovo Centro Ippico di Follonica, tra cui la n. 17 del fabbricato 1 e la n. 36 del fabbricato 2 per le quali erano stati stipulati due contratti preliminari di compravendita in data 20 ottobre 2005 tra Follonica Corse cavalli S.p.A. (promittente venditore) e Comet s.n.c., in persona del l.r. Arturo Galli (promit-tente acquirente), avente ad oggetto la proprietà superficiaria su tali unità immobiliari. Veniva confermata, nel resto, la sentenza di primo grado che aveva dichiarato non “doversi procedere” in relazione al reato di cui all’art. 44, co. 1, lett.c), d.P.R. 380/2001 in quanto estinto per prescrizione. Veniva, altresì, confermata la condanna degli appellanti al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio.
2. Contro la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all’Albo speciale previsto dall’art. 613, cod. proc. pen., i ricorrenti Galli e Granelli, articolando, il primo, tre motivi (oltre un ulteriore motivo aggiunto, successivamente proposto), e, la seconda, due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Deduce il GALLI, con il primo motivo, il vizio di motivazione ex art. 606 lett. e) c.p.p., in relazione all’illegittimità del vincolo di destinazione contenuto nell’art. 28 N.T.A.
In sintesi, con il primo motivo, il ricorrente lamenta l’omessa motivazione della Corte di Appello circa l’illegittimità del vincolo di destinazione. In particolare, contesta la motivazione della Corte che, sulla questione dedotta dalla difesa, così motivava: “la questione dell’illegittimità del vincolo risulta fondata su complesse valutazioni che non coinvolgono la competenza del giudice penale e che, comunque, non si ravvisano elementi che impongono l’accoglimento della censura”. Sul punto, la difesa ripercorre l’iter amministrativo volgendo l’attenzione in particolare sul fatto che il passaggio degli immobili dalla categoria uso foresteria a quella di civile abitazione fosse in contrasto con l’art. 28 N.T.A., il quale riprendeva la prescrizione imposta dalla Provincia di Grosseto con delibera n. 133/1999, delibera che, secondo la difesa, sarebbe stata emessa in carenza assoluta di potere in quanto l’esercizio del potere della Provincia è avvenuto in un momento in cui l’ente territoriale non aveva più alcuna possibilità di farlo. Ne consegue che il Comune non avrebbe dovuto recepire le osservazioni formulate tardivamente dalla provincia e, che, inoltre, il testo dell’art. 28 avrebbe dovuto essere letto nella sua formulazione originaria, precedente all’intervento della Provincia.
Il ricorrente sostiene, altresì, che la delibera n. 133/1999 prescriveva non solo limitazioni di uso degli immobili, ma anche un divieto di alienazione di beni in proprietà superficiaria dei privati. Sul punto, riporta alcuni pareri resi dall’Avv. Tamburro nei quali il professionista sosteneva che un tale divieto fosse in contrasto con il bando di gara e con i principi costituzionali. Inoltre, la difesa afferma che, in realtà, il divieto di alienazione contenuto nell’art. 28 non corrispondesse a quello che la Provincia voleva imporre. Su tale circostanza pone una diversa interpretazione dell’espressione “alienazione a terzi”. Infine, afferma l’insussistenza di un vero e proprio vincolo di destinazione d’uso degli immobili inserito nell’art. 28 N.T.A.
2.2. Deduce il GALLI, con il secondo motivo, il vizio di erronea applicazione della legge penale ex art. 606 co.1 lett. b) c.p.p. ed il correlato vizio di mancanza ed illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dei presupposti oggettivi della contravvenzione di lottizzazione abusiva ex art. 44, co.1, D.P.R. 308/2001 nonché di mancanza ed illogicità della motivazione ex art. 606 co.1 lett. e), cod. proc. pen., in ordine alla prova del dolo o della colpa in capo al ricorrente.
In sintesi, con il secondo motivo, il ricorrente denuncia l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello nell’affermare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di lottizzazione abusiva anche se dichiarato estinto per prescrizione, sulla base di un frazionamento e di una vendita separata delle singole unità immobiliari costituenti la foresteria.
2.2.1. In particolare, evocando una sentenza di questa Corte (n. 39887/2014), afferma l’identità della categoria ad uso foresteria con quella ad uso di civile abitazione. Inoltre, denuncia l’omessa motivazione in ordine alla irrilevanza penale del passaggio da uso foresteria ad uso civile abitazione, in quanto la Corte avrebbe ritenuto la consumazione dell’illecito contravvenzionale in virtù del frazionamento e della vendita separata delle singole unità immobiliari. Asserisce, anche, che tale circostanza, nella sentenza di primo grado, aveva assunto valore centrale e che è stata oggetto di ampio dibattito in sede di approvazione del piano particolareggiato dell’ippodromo. Sul punto, riporta ulteriori pareri dell’Avv. Tamburro, consulente giuridico dell’Amministrazione comunale e del Segretario Generale, dott. Feroci, che prospettano una interpretazione difforme da quella svolta dal Tribunale e della Corte.
Evoca, inoltre, numerose decisioni giurisprudenziali di legittimità e della giurisprudenza amministrativa, con particolare riferimento alla vendita ed al frazionamento. Ancora, si duole del ragionamento del Tribunale e della Corte di appello sulla validità dei contratti preliminari di vendita come atti idonei ad integrare il reato di lottizzazione abusiva che, secondo l’art. 30 del T.U. edilizia, è un reato forma libera. Aggiunge, altresì, che gli stessi giudici di merito sarebbero caduti in errore, confondendo tra acquirenti ed utilizzatori. Più precisamente, sostiene che il vincolo di destinazione imposto dal piano regolatore non riguardava la natura soggettiva dei proprietari, bensì la qualificazione degli utilizzatori della foresteria.
Infine, asserisce che sia il Tribunale sia la Corte di appello hanno ritenuto consumato un reato che mancava ancora di un elemento determinante per la sua integrazione, ossia l’uso non consentito delle unità immobiliari, facendo leva solo sul frazionamento e sulla vendita che, al contrario di quanto sostenuto dai giudici, non costituiscono elementi sufficienti in mancanza dell’elemento funzionale.
2.2.2. In ordine al vizio di motivazione circa la sussistenza dell’elemento soggettivo, il ricorrente, dapprima, riprende la motivazione con cui la Corte di appello ha accolto le doglienze oggetto dell’originario ricorso del PG, secondo il quale i giudici di primo grado avrebbero dovuto procedere alla verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo, sebbene intervenuta la prescrizione del reato, al fine di disporre la confisca, alla luce della giurisprudenza nazionale e sovranazionale. Il ricorrente, denuncia quindi la mancanza di motivazione in ordine al profilo soggettivo del reato di lottizzazione abusiva con conseguente illegittimità della confisca. Sostiene che la Corte territoriale non solo si sarebbe limitata ad affermare che “dalla sequenza fattuale si evince in termini di evidenza la natura dolosa della condotta e che in ogni caso era sufficiente la colpa”, ma non avrebbe effettuato alcuna distinzione tra amministratori e privati acquirenti. Sarebbe proprio la corretta ricostruzione dell’iter amministrativo che ha portato il Galli ad escludere qualsiasi tipo di rimprovero anche a livello colposo, essendo egli giunto alla conclusione dei due contratti preliminari solo dopo che l’ente comunale aveva predisposto una convenzione, nella quale si legittimava senza alcun dubbio la possibilità, per chi era socio del club House, come il Galli, di stipulare atti con la F.C.C. Pertanto, il Galli aveva ritenuto di potersi attivare sul piano negoziale in virtù dell’indubbio e incolpevole affidamento con la P.A.
2.3. Deduce il GALLI, con il terzo motivo (e con motivo il aggiunto successivamente proposto che, per omogeneità dei profili di doglianza mossi, meritano congiunta illustrazione), il vizio di mancanza e manifesta illogicità della motivazione di cui all’art. 606, co.1, lett.e) c.p.p. in ordine alla prova del dolo o della colpa in capo al ricorrente, nonché in relazione all’applicabilità della confisca dopo l’intervenuta prescrizione del reato, sulla base dei verbali dibattimentali di primo grado.
In sintesi, con il terzo motivo del ricorso originario e con il motivo aggiunto, depositato in data 27.08.2020, il ricorrente si duole, sia della omessa motivazione circa la sussistenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa per l’accertamento della sua responsabilità, sia della mancata distinzione in ordine alle singoli posizioni dei ricorrenti. Inoltre, evoca la recente sentenza delle Sezioni Unite sul rapporto tra la confisca e la prescrizione del reato di lottizzazione abusiva.
3.1. Deduce la GRANELLI, con il primo motivo, il vizio di violazione, inosservanza, erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606, co.1, lett.b), cod. proc. pen., in ordine all’art. 44, comma secondo, d.p.r. 380/2001.
In sintesi, la ricorrente, dopo un excursus della giurisprudenza interna e sovranazionale in tema di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva e confisca, sostiene che la Corte di Appello non solo non avrebbe accertato l’elemento psicologico del reato, ma avrebbe ritenuto configurabile la contravvenzione in esame sia a titolo di dolo sia a titolo di colpa. Sul punto, sostiene che la condotta della contravvenzione in esame abbia natura esclusivamente dolosa e non colposa. Pertanto la Corte, prima di disporre la confisca, avrebbe dovuto accertare e svolgere un’indagine sull’elemento soggettivo che, nel caso, in esame era rappresentato dal solo dolo. In ogni caso, secondo la difesa, vi erano alcuni elementi idonei a escludere la sussistenza del dolo come: a) la buona fede degli acquirenti; b) l’esistenza di atti amministrativi che giustificavano l’acquisto delle abitazioni ad uso foresteria; c) il mero frazionamento e la classificazione catastale, elementi non costituenti la lottizzazione abusiva; d) l’elusione delle norme, data per appurata senza alcun riferimento fattuale.
Inoltre, la difesa della ricorrente asserisce che la Granelli non abbia mai sottoscritto i contratti preliminari stipulati e che, in qualità di titolare dell’Allevamento l’Airone s.r.l., era legittimata all’acquisto dell’unità immobiliare facente parte del nuovo ippodromo di Follonica. Aggiunge, anche, che la stessa si era immediatamente attivata a mezzo dello studio legale, già dal momento del sospetto di una condotta illegittima, ossia la libera offerta a terzi, circostanza che dimostrerebbe l’assenza del dolo. Tali circostanze, secondo la difesa, non sarebbero state oggetto di valutazione alcuna da parte della Corte di appello ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo, violando l’art. 44, comma secondo, d.p.r. n. 380/2001, disponendo la confisca in assenza dei presupposti per la sua concessione.
3.2. Deduce la GRANELLI, con il secondo motivo, il vizio di mancanza di motivazione ex art. 606, co.1, lett.e) cod. proc. pen., in relazione all’art. 44 comma secondo, D.p.r. n. 380/2001.
In sintesi, la ricorrente riprende la motivazione con cui la Corte di Appello ha accolto il ricorso del PG, secondo il quale i giudici di primo grado avrebbero dovuto procedere alla verifica della sussistenza dell’elemento soggettivo, nonostante l’intervenuta estinzione per prescrizione del reato, al fine di disporre la confisca, alla luce della giurisprudenza nazionale e sovranazionale. Lamenta la mancanza di motivazione in ordine al prillo soggettivo del reato di lottizzazione abusiva, con conseguente illegittimità della confisca. Sostiene che la Corte, non solo si sarebbe limitata ad affermare che “dalla sequenza fattuale si evince in termini di evidenza la natura dolosa della condotta e che in ogni caso era sufficiente la colpa”, ma non avrebbe effettuato alcuna distinzione tra amministratori e privati acquirenti. Infine, sostiene che la Corte d’appello non avrebbe potuto richiamare per relationem la sentenza del giudice di prime cure in quanto la stessa aveva si motivato in ordine al profilo soggettivo, ma in maniera apparente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati nei limiti di quanto si dirà oltre.
2. Deve, anzitutto, rilevarsi, quanto ai dedotti vizi motivazionali proposti da entrambi i ricorrenti, e relativi alla sussistenza dell’illecito lottizzatorio sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, che è precluso a questa Corte qualsiasi sindacato sul punto.
Giova, a tal fine, preliminarmente ribadire che, la giurisprudenza di questa Corte afferma, con orientamento ormai consolidato, che in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. Un., n. 35490/2009, Tettamanti).
2.1. In considerazione di quanto sopra, anzitutto, il primo motivo è manifestamente infondato perché diretto a richiedere nuovamente un sindacato sull'interpretazione delle norme tecniche di attuazione e, più in generale, sull'intervento edilizio di cui si propugna la legittimità, sindacato non consentito. Difatti, nella specie, il ricorrente prospetta una soluzione ed interpretazione alternativa a quella data sia dal Tribunale di primo grado sia dalla Corte di Appello in merito all’art. 28 N.T.A., alle delibere emanate dalla Provincia di Grosseto, alla carenza assoluta di potere in capo alla Provincia, ai pareri espressi dall’Avv. Tamburro in ordine alla interpretazione dell’espressione e ”alienazione”, alla pre-convenzione e convenzione poi effettivamente disposta.
Occorre, comunque, rammentare l’autorevole arresto delle Sezioni Unite Penali di questa Corte (n. 1021/2001), le quali hanno affiancato alla fattispecie della trasformazione urbanistica in assenza di autorizzazione quella per contrasto con le leggi o gli strumenti urbanistici vigenti o anche soltanto adottati sulla base di una mera analisi testuale della disposizione incriminatrice. Il giudice penale, una volta individuata la fattispecie della lottizzazione abusiva per contrasto con le leggi o le previsioni di piano, secondo tale impostazione dogmatica della giurisprudenza di legittimità, non opera alcuna disapplicazione del provvedimento amministrativo autorizzatorio (attività che gli è inibita), bensì si limita a valutare e verificare “direttamente” la conformità del fatto concreto con la fattispecie astratta configurata dalla norma sanzionatoria. Insomma, qualora emerga il conflitto ora descritto, il giudice accerta il fatto criminoso prescindendo da qualsiasi controllo e/o giudizio di merito sull’atto autorizzatorio della pubblica Amministrazione, senza così interferire in alcun modo sull’attività di quest’ultima. Pertanto, il giudice penale, nel valutare la sussistenza o meno della liceità di un intervento edilizio, deve verificarne la conformità a tutti i parametri di legalità fissati dalla legge, dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal titolo abilitativo; nel caso di accertata difformità da disposizioni legislative o regolamenti, ovvero dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici, non si verifica una "disapplicazione", da parte del giudice penale, dell'atto amministrativo concessorio in quanto il giudice, qualora come presupposto o elemento costitutivo di una fattispecie di reato sia previsto un atto amministrativo ovvero l'autorizzazione del comportamento del privato da parte di un organo pubblico, deve verificare l'integrazione o meno della fattispecie penale e non limitarsi a verificare l'esistenza dell'atto o provvedimento amministrativo (conf.: Sez. III, n.14504/2009).
3. Analogamente, non possono essere esaminati – ai fini di valutare la fondatezza dei motivi comuni, proposti da entrambi ricorrenti, in tema di sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito lottizzatorio – i profili di doglianza volti a censurare la configurabilità, in diritto, del reato di lottizzazione abusiva ex se, essendo infatti intervenuta la dichiarazione di prescrizione del reato in sede di impugnazione. All'esito del giudizio, infatti, il proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte civile, il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga infondata nel merito l'impugnazione del P.M. proposta avverso una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530, comma secondo, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 - dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244273 – 01).
Situazione, questa, che non ricorre nel caso in esame.
4. Ritiene, diversamente, il Collegio, fondati i rilievi difensivi sviluppati da entrambi i ricorrenti in merito alla omessa valutazione, in diritto e sotto il profilo motivazionale (in questa sede qui rilevante), della sussistenza dell’elemento psicologico del reato lottizzatorio, il cui accertamento era assolutamente necessario al fine di poter disporre la confisca da parte del giudice di appello, atteso che, come risulta dalle decisioni di merito, il primo giudice aveva omesso di disporla, tanto da determinare l’impugnazione del Procuratore Generale, poi accolta dai giudici territoriali, senza tuttavia, come si vedrà, argomentare in ordine alla sussistenza dell’illecito lottizzatorio sotto il profilo soggettivo.
5. E’ comunque necessario, al fine di chiarire le ragioni per le quali questa Corte ritiene corretto l’approdo valutativo con cui i giudici di merito hanno ritenuto sussistere l’illecito lottizzatorio sotto il profilo oggettivo (condicio sine qua non per poter disporre la confisca, considerato che, come è noto, per giurisprudenza ormai consolidata, per ritenere legittima la misura ablatoria è comunque imprescindibile che il giudice del merito accerti la sussistenza dell’illecito, oltre che sotto il profilo dell’elemento psicologico, anche di quello materiale), operare una sintetica quanto imprescindibile analisi delle risultanze processuali.
6. Per un corretto inquadramento della vicenda sottoposta all'esame di questa Corte, occorre muovere da alcuni punti fermi costituiti dai provvedimenti adottati nell'arco di oltre un decennio dall'Amministrazione Comunale di Follonica in vista della realizzazione, su una vasta area già a destinazione agricola, dell'ippodromo comunale. Particolarmente utile, oltre che estremamente accurata, si rivela la ricostruzione degli avvenimenti operata dal Tribunale, il quale ha significativamente ricordato che in data 17 febbraio 1997, con delibera n. 10, il Comune di Follonica aveva avviato la procedura per la realizzazione del nuovo ippodromo comunale: la delibera prevedeva, in particolare, previa modifica di destinazione dell'area sulla quale doveva sorgere l'impianto, il rilascio di una concessione della durata di 99 anni in favore di soggetto privato il quale sarebbe divenuto titolare di un diritto di superficie che gli avrebbe consentito di acquistare la proprietà delle opere edificate, ferma restando la nuda proprietà del suolo in capo all'ente comunale. Le opere, una volta scaduto il termine della concessione, sarebbero accedute alla proprietà comunale. Uno dei punti qualificanti del provvedimento era la imprescindibile condizione generale, imposta dal Consiglio provinciale di Grosseto affinché potesse essere rilasciato il parere di compatibilità della variante del P.R.G. del Comune con il Piano territoriale di coordinamento della Provincia, che il complesso delle attrezzature e dei servizi previsto dalla variante fosse dimensionato "per corrispondere alle esigenze di funzionalità dell'impianto sportivo e delle attività ad esso connesse, collaterali e funzionali e finalizzate alla sola attività del centro ippico". In coerenza con tale prescrizione, era stato anche imposto uno specifico vincolo di utilizzabilità e di inalienabilità degli alloggi da realizzare all'interno della struttura, riservati esclusivamente al personale addetto al centro ippico senza possibilità di essere locati, alienati o comunque affidati a terzi.
Se tali imposizioni risultano essere state trasfuse in questi stessi termini nella delibera comunale con la quale veniva approvata in via definitiva la variante al P.R.G. e recepite le prescrizioni e osservazioni imposte dal Consiglio provinciale di Grosseto, altrettanto non può dirsi avvenuto - contrariamente alle previsioni - sia nello schema di pre-convenzione stipulata dal Comune di Follonica con il Concessionario, sia nella successiva convenzione stipulata il 28 marzo 2003, in quanto l'originario vincolo veniva sostituito da altra previsione che, pur mantenendo intatta la regola della accessorietà delle strutture al centro ippico, ampliava la gamma dei soggetti fruitori, escludendo solo la possibilità di offerta al pubblico e l'utilizzazione da parte di soggetti estranei al centro ovvero non facenti parte di apposito Club (il Club House) realizzato per l'occasione ed ampliava anche le modalità di utilizzazione delle strutture, comprendendovi anche la locazione e l’alienazione.
In realtà, omettendo di riferire sulle vicende successive che hanno lasciato immutato il quadro relativo ai limiti di utilizzazione delle strutture nei termini enunciati nella convenzione inter partes tra la società concessionaria ed il Comune, si è assistito, come esattamente osservato dal Tribunale, ad una sostanziale elusione del vincolo ad opera non solo del concessionario ma anche soggetti facenti parte dell'ambito comunale, progredita nel tempo: con tale condotta - secondo il giudizio espresso dal Tribunale alla stregua degli atti sottoposti al suo esame - si è realizzata quella modifica di destinazione d'uso coessenziale all'ipotizzato reato di lottizzazione abusiva negoziale.
6.1. La motivazione del giudice individua specificamente gli elementi in base ai quali ritiene allo stato sussistere l'ipotesi di accusa, soprattutto in relazione al profilo oggettivo.
Infatti, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, può senz'altro configurarsi il reato di lottizzazione abusiva attraverso la modifica di destinazione d'uso di immobili oggetto di un piano di lottizzazione mediante il frazionamento di un complesso immobiliare in modo che le singole unità perdano la originaria destinazione d'uso per assumere quella residenziale: modificazione che si pone in contrasto con lo strumento urbanistico costituito dal piano di lottizzazione (Sez. III , n. 6990/2005). Altrettanto significativamente la giurisprudenza di questa Corte ha ammesso l'ipotesi di lottizzazione abusiva in relazione ad un complesso immobiliare già edificato attraverso il cambio di destinazione d'uso rilevabile dalla stipula di contratti preliminari di compravendita, come quelli aventi ad oggetto unità abitative destinate a residenza privata e facenti parte di un complesso originariamente autorizzato per lo svolgimento di ben altre alberghiera (Sez. III, n. 10889/2005; Id., n. 13687/2007).
A tali conclusioni il Tribunale è pervenuto sulla base degli atti di inequivoco significato sottoposti alla sua valutazione.
Orbene, dopo la ricostruzione dei passaggi amministrativi, i giudici di primo grado, si soffermano sul reato di lottizzazione abusiva. I giudici, a pag. 3 della sentenza, muovono dalla tesi accusatoria secondo la quale il generico riferimento all’iscrizione come socio del club House, nell’individuazione dei soggetti legittimati ad usufruire degli alloggi, sia stato in realtà un modo indiretto per eludere il vincolo di destinazione, formalmente ribadito in quanto lo statuto sociale dell’associazione del club House ippodromo dei Pini di Follonica, consentiva a qualsiasi soggetto, indipendentemente dal suo legame effettivo con il mondo ippico nel nuovo impianto, di iscriversi al club e acquistare o prendere in uso un alloggio pertinenziale.
I giudici di prime cure, inoltre, riprendono l’art. 4 dello Statuto, dedicato all’individuazione dei soci, secondo cui era prevista la possibilità di diventare soci ordinari per “coloro che usufruiscono stabilmente della struttura e dei servizi offerti dalla club House” e la possibilità di assumere la qualifica di soci temporanei per “coloro che intendono godere, utilizzare, in via temporanea e per periodo limitati, delle strutture e dei servizi offerti dalla club House”. Secondo i giudici una simile previsione consentiva a tutti di iscriversi al club House ed ottenere la disponibilità della foresteria anche in assenza di criteri oggetti di collegamento tra l’iscrizione al club e le attività ippiche da svolgersi all’interno dell’ippodromo, in funzione dei quali era stata prevista la realizzazione degli alloggi.
Tale meccanismo con lo scopo di immettere agevolmente sul mercato gli alloggi aggirando il vincolo di destinazione, viene desunto altresì, come si legge a pag. 4 della sentenza, dalla circostanza che tra i soci del club risultavano anche le società tra cui la Cobra S.r.l. I giudici di prime cure evidenziano, inoltre, la circostanza relativa a due coimputati (Bagni Giancarlo e Fossi Daniele) che, nel corso dell’istruttoria, all’udienza del 21 ottobre 2015, avevano riferito e confermato che, prima di sottoscrivere il contratto preliminare, era necessario iscriversi al club in qualità di socio, pena l’impossibilità di sottoscrivere il contratto.
Ancora, i giudici pongono l’attenzione su un ulteriore elemento probatorio, ossia la commercializzazione e pubblicizzazione della vendita degli alloggi in questione sia su internet, come accertato dalla polizia municipale, sia con dei cartelloni apposti in prossimità dell’Ippodromo. Gli immobili, secondo i giudici, sarebbero stati successivamente accatastati come unità immobiliari autonome con categoria A2 e A3, come si desume dai documenti prodotti dal PM e dall’esame del geometra Pecchia Angelo. Tale circostanza viene valutata dai giudici come elemento idoneo a dimostrare che tali immobili, costruiti come semplici pertinenze dell’ippodromo, sarebbero in realtà stati frazionati e accatastati come singole unità immobiliari per poi essere liberamente destinati alla vendita come se fossero immobili residenziali.
6.2. Ciò posto, simile condotta, come si legge in sentenza, è idonea ad integrare il reato di cui agli artt. 44 e 30 TU edilizia, contestato dal PM, in quanto il frazionamento delle unità immobiliari in assenza di un piano di lottizzazione costituisce una lottizzazione abusiva perché trasforma l’area interessata dell’intervento in area residenziale, in contrasto con le previsioni del piano regolatore generale del comune di Follonica e degli strumenti urbanistici ad esso sovraordinati.
Inoltre, con riferimento all’integrazione del reato, i giudici si conformano a quella giurisprudenza di legittimità secondo la quale il reato di lottizzazione abusiva è configurabile non soltanto nel caso in cui oggetto della condotta illecita siano terreni illegittimamente frazionati, ma anche nel caso in cui si tratti di edifici già costruiti, in quanto l'alienazione frazionata dei singoli immobili, per il principio dell'accessione, è intimamente connessa al frazionamento in lotti del terreno su cui tali immobili sono stati edificati (Sez. III, n. 39078/2009; Id., n.52056/2017).
Invero, in relazione alla modifica della destinazione d’uso, compiuta mediante la commercializzazione delle singole unità immobiliari a privati, i giudici ritengono idonea tale circostanza a configurare sotto il profilo oggettivo, il reato contestato all’odierno ricorrente poiché trasforma in unità residenziali a tutti gli effetti.
In ordine poi alla circostanza, secondo la quale i contratti preliminari sono idonei ad integrare la fattispecie de quo, i giudici, a pag. 4 della sentenza, affermano che la condotta lottizzatoria si è concretizzata dall’anno 2004 all’anno 2010 attraverso la stipula dei contratti preliminari con soggetti del tutto estranei all’attività ippica da svolgersi all’interno del centro ippico, soggetti la cui individuazione è stata fatta nel capo di imputazione addebitando anche ai terzi acquirenti promittenti la responsabilità in concorso nel reato edilizio.
Infine, sulla idoneità dei contratti, i giudici si sono uniformati all’indirizzo della giurisprudenza, non solo di legittimità ma anche amministrativa, con la conseguente interpretazione estensiva dell’espressione “atti equivalenti”. Difatti si afferma che tra gli atti equivalenti debbano essere compresi anche i contratti preliminari di alienazione dei singoli lotti, quando si collochino in un preciso contesto, come quello del caso in esame, utili a rilevare le finalità edificatorie, costituenti l’elemento comune alle varie forme della lottizzazione (Sez. III n. 3668/2000; Id., n.29222/2004).
6.3. La Corte d’Appello rimanda sul punto a quanto riportato nella sentenza di primo grado in ordine alla configurabilità del reato di lottizzazione abusiva.
Va innanzitutto considerato che, in punto di fatto, la Corte d'Appello ha ritenuto sussistere l'elemento materiale del reato di lottizzazione abusiva ed è pervenuta al convincimento sulla base della valutazione di merito delle risultanze processuali, non suscettibile di riesame in sede di giudizio di legittimità, coniugata alla corretta applicazione dei principi di diritto afferenti alla configurabilità del reato.
Difatti, per aversi lottizzazione abusiva occorre quindi che l'assetto urbanistico di un'area sia modificato, anche se soltanto per effetto di atti giuridici. La fattispecie di lottizzazione ricorre sia in caso di materiale "trasformazione" dei terreni, sia laddove, nella c.d. lottizzazione negoziale, vi sia la "predisposizione" di tale trasformazione urbanistica, per cui si può dire che la tutela dello stesso bene giuridico nella seconda ipotesi criminosa sia anticipata come nei reati di pericolo.
L'attività negoziale illecita, che configura la lottizzazione negoziale, può ravvisarsi anche quando emerga la finalità edificatoria delle parti in atti di scioglimento della comunione ove venga compromessa l'originaria vocazione urbanistica del fondo, quale la tua coltivazione unitaria. Una tipica fattispecie di lottizzazione è costituita dal frazionamento di un terreno destinato ad alterarne la vocazione urbanistica. E' sufficiente la suddivisione di un terreno in lotti, suscettibili di sfruttamento edificatorio, e la prevista realizzazione di una pluralità di edifici in area sprovvista di opere di urbanizzazione primarie e secondarie. Pertanto, la lottizzazione abusiva corressi anche in caso di frazionamento - come è avvenuto nella specie - di un terreno in lotti (ossia, particelle singolarmente inidonee a realizzare l'originaria destinazione urbanistica dell'area) tali, essenzialmente per le loro dimensioni, da alterare tale destinazione.
Ricorrente in giurisprudenza (fin da Cass., Sez. III , n. 11911/1982) è poi l'affermazione secondo cui il reato di lottizzazione abusiva si sostanzia nella divisione di una unità fondiaria, normalmente a destinazione agricola, in frazioni destinate a scopo edilizio, e può concretizzarsi nella lottizzazione materiale (progettazione, formazione e delimitazione dei lotti, esecuzione di opere di urbanizzazione), nella lottizzazione negoziale (vendita di lotti di terreni a scopo edilizio) oppure nella lottizzazione di mero fatto (come nel caso in cui, senza progettazione, il proprietario di fatto spezzetti l'unità fondiaria originaria, mediante la costruzione contemporanea o progressiva di manufatti); come anche la lottizzazione può assumere, inoltre, anche una forma mista come, ad esempio, nel caso di progettazione ed esecuzione di opere di urbanizzazione e vendita dei singoli lotti progettati.
Peraltro, il reato di lottizzazione abusiva può perfezionarsi anche in presenza di un'autorizzazione della P.A. qualora la stessa contrasti con gli strumenti urbanistici vigenti, essendosi autorevolmente affermato (Sez. Un., n. 5115/2001) che la lottizzazione abusiva ben può configurarsi indipendentemente dalla circostanza che la stessa sia o meno autorizzata. Sicché, è ben possibile che il giudice constati un contrasto tra la lottizzazione considerata (anche se autorizzata) e la normativa urbanistica e giunga all'accertamento dell'abusività prescindendo da qualunque giudizio sull'autorizzazione senza che operi alcuna disapplicazione del provvedimento amministrativo.
Infine, sempre con riferimento specifico alla lottizzazione abusiva, va osservato che le diverse modalità con le quali essa può essere attuata inquadrano la contravvenzione in esame come reato a forma libera, permanente e progressivo nell'evento, del quale è inoltre pacifica la natura di reato di pericolo, cosicché la sua lesività non può ritenersi confinata nella sola trasformazione effettiva del territorio ma deve, al contrario, essere riferita alla potenzialità di tale trasformazione intesa come il pericolo di una urbanizzazione non prevista o diversa da quella programmata.
6.4. In relazione a quanto sopra, correttamente la Corte d’Appello, a pag. 17 della sentenza, riprende l’indirizzo costante della giurisprudenza (ex plurimis, Sez. III, n. 37383/2013; Sez. VI, n. 48472/2013; Sez. III, n. 965/2013; Id., n. 37641/2015; Id., n. 15404/2016; Sez. II, n. 22961/2017; Sez. III, n.14053/2018; Id., n.13745/2018) che delinea il reato di lottizzazione abusiva quale reato progressivo nell'evento. Quest'ultimo ha in comune con il reato permanente la medesima struttura unitaria, e segnatamente l'instaurazione di uno stato antigiuridico ed il suo mantenimento, con la differenza, tuttavia, che esso presenta un progressivo approfondimento dell'illecito attraverso condotte successive, dirette ad aggravare l'evento del reato (Sez. III, n. 24985/2015).
La condotta posta in essere assume pertanto rilevanza penale con il compimento di qualsiasi atto che, obiettivamente valutato, risulti funzionalmente diretto alla illegittima lottizzazione.
Pertanto immune da censure è la motivazione della sentenza di primo grado (e quella d’appello che è conforme) in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato e le deduzioni difensive sul punto sono manifestamente infondate.
7. Altra questione è quella, ben diversa, che riguarda la valutazione dell'elemento soggettivo del reato che la Corte di appello ritiene sussistente in base a motivazione, tuttavia, assolutamente carente e contraddittoria.
A tal proposito, tutti i motivi prospettati dai ricorrenti in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, il cui accertamento era necessario in sede di merito agli effetti della disposta confisca, possono esaminarsi congiuntamente perché obiettivamente connessi con riguardo al vizio di violazione di legge e di motivazione circa la sussistenza del profilo soggettivo.
7.1. Occorre peraltro preliminarmente ribadire, al contrario delle deduzioni difensive che, da tempo, ormai, questa Corte ha superato quel remoto indirizzo ermeneutico secondo il quale il reato di lottizzazione abusiva fosse da considerarsi come una contravvenzione di natura necessariamente dolosa, per la cui sussistenza sarebbe necessario che l'evento sia previsto e voluto dal reo quale conseguenza della propria condotta cosciente e volontaria diretta a limitare e condizionare, con ostacoli di fatto o di diritto, la riserva pubblica di programmazione territoriale (Sez. Un., n. 2720/1990). A partire, infatti, da Sez. III, n. 39916/2004, è stato ripetutamente affermato il principio secondo il quale il reato di lottizzazione abusiva non si configura come una contravvenzione esclusivamente dolosa, atteso che potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione a lottizzare sia per contrasto con le prescrizioni di legge o con gli strumenti urbanistici, la stessa, sia nella forma negoziale che materiale, può essere commessa anche per colpa (Sez. III, n. 36940/2005; Id., n. 17865/2009; Id., n. 38799/2015).
Deve ribadirsi, pertanto, che non è ravvisabile alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42 c.p., dovendo ovviamente valutarsi i casi di errore scusabile sulle norme integratrici del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l'art. 5 c.p. secondo l'interpretazione fornita dalla sentenza n. 364 del 1998 della Corte Costituzionale.
Da questo punto di vista, questa Corte di legittimità ha riconosciuto l'incidenza della prassi amministrativa sul legittimo affidamento del privato. Si è così ritenuta la buona fede dell'acquirente dell'immobile abusivamente lottizzato derivante dall'avvenuta allegazione al rogito del certificato di destinazione urbanistica, oltre che dal fatto che lo stesso aveva riposto legittimo affidamento sulla prassi comunale di rilasciare le concessioni pur in assenza del piano di lottizzazione (Sez. III, n. 45833/2012; Id., n. 15987/2013) e si è riconosciuta la buona fede dell'acquirente a causa del prolungato comportamento omissivo della P.A., dell'esistenza di una prassi favorevole attestata dal notaio rogante e dell'assoluzione per carenza dell'elemento soggettivo addirittura degli stessi venditori degli immobili. Si tratta, di declinazioni che si uniformano al principio già affermato da questa Corte secondo il quale la buona fede, che esclude nei reati contravvenzionali l'elemento soggettivo, ben può essere determinata da un fattore positivo esterno ricollegabile ad un comportamento della autorità amministrativa deputata alla tutela dell'interesse protetto dalla norma, idoneo a determinare nel soggetto agente uno scusabile convincimento della liceità della condotta (ex plurimis: Sez. III, n. 49910/2009; Sez. III, n. 42021/2014; Sez. I, n. 47712/2015; Sez. III, n. 35314/2016)
Colpa, che, lo si sottolinea, non equivale a responsabilità oggettiva e non può legittimare scorciatoie probatorie per attribuire comunque all'imputato le conseguenze penali del proprio agire.
7.2. Orbene, nel caso de quo, il Tribunale di Grosseto, sollecitato a pronunciarsi sulla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva, si limita ad affermare, come si legge a pag. 6 della sentenza: “senza entrare nel merito delle singole posizioni, e soprattutto dell’elemento psicologico del reato, stante l’intervenuta prescrizione del reato”. Si limita, inoltre, a differenziare alcune posizioni sotto il profilo oggettivo, mentre in ordine a quello soggettivo statuisce che “con riferimento ai terzi acquirenti è emerso che unico soggetto tra quelli imputati che aveva titolo per accedere all’operazione negoziale era l’imputato Ferri”. Esso affronta la questione in modo dettagliato solo in sede di esame del dolo del delitto di abuso d'ufficio, risolvendola in modo coerente al tipo di pronuncia assolutoria sul punto, ma senza l'ulteriore approfondimento che avrebbe meritato relativamente al reato di lottizzazione abusiva.
La Corte di appello, dal canto suo, come si legge a pag. 17 della sentenza, riprendendo quanto addotto dalla sentenza di primo grado in ordine al profilo soggettivo, si limita a sostenere che essendo “il reato di lottizzazione prescritto e trattandosi di una contravvenzione, non è necessaria una specifica analisi dell’elemento soggettivo doloso, essendo sufficiente la sola colpa”; in ogni caso, aggiunge, con asserzione apodittica, che per la Corte “è evidente dalla ricostruzione della vicende riassunte, che vi è stata una allusione del vincolo di destinazione sul complesso immobiliare, ascrivibile per forza di cose a comportamento volontario”.
8. Ciò è di per sé sufficiente, attesa la non manifesta infondatezza del motivo su tale punto, a giustificare l'annullamento dell'impugnata sentenza, con rinvio ad altra Corte di Appello, onde colmare il deficit motivazionale riscontrato.
In presenza di predetta lacuna motivazionale, deve rilevarsi che non è ostativo, a giudizio del collegio, l'intervenuto decorso del termine di prescrizione massima del reato per cui si procede (prescrizione dichiarata dal giudice di appello), termine di prescrizione interamente decorso alla data del 9.02.2015.
Occorre, peraltro, giustificare le ragioni per le quali il Collegio ha ritenuto di non potersi integralmente uniformare al principio, autorevolmente affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale, in tema di lottizzazione abusiva, la confisca di cui all'art. 44, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva del reato determinata dalla prescrizione, purché la sussistenza del fatto sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio, in applicazione dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., non può proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020 - dep. 30/04/2020, Perroni, Rv. 278870 - 01).
9. La tematica, che riveste carattere di centralità in tutti e due i ricorsi, in particolare il primo motivo della ricorrente Granelli e il secondo motivo del ricorrente Galli (oltre che il motivo aggiunto proposto da quest’ultimo), in relazione all’erronea applicazione delle legge penale, può essere affrontata unitariamente essendo gli argomenti sostenuti dai difensori del tutto analoghi.
9.1. In ordine al tema della qualifica di acquirenti di buona fede in capo ai ricorrenti, secondo la tesi prospettata dai difensori, la sentenza, meriterebbe di essere censurata per inosservanza ed erronea applicazione della legge con riferimento ai presupposti di applicabilità della confisca nei confronti di soggetti terzi estranei al reato.
Sul punto, consolidati principi stabiliti in sede di legittimità (tra le tante, Sez. III, n. 51429/2016) sanciscono che in tema di reati edilizi, la confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere disposta anche nei confronti dei terzi acquirenti, qualora nei confronti degli stessi siano riscontrabili quantomeno profili di colpa nell'attività precontrattuale e contrattuale svolta, per non aver assunto le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici.
In ordine alla posizione dei terzi acquirenti dei beni lottizzati, il Giudice delle Leggi, nella nota sentenza n. 49/2015, nel ricordare che "la confisca urbanistica costituisce sanzione penale ai sensi dell'art. 7 della CEDU e può pertanto venire disposta solo nei confronti di colui la cui responsabilità sia stata accertata in ragione di un legame intellettuale (coscienza e volontà) con i fatti", precisa come l'accertamento possa essere "contenuto in una sentenza penale di proscioglimento dovuto a prescrizione del reato, la quale, pur non avendo condannato l'imputato, abbia comunque adeguatamente motivato in ordine alla responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa, sia esso l'autore del fatto, ovvero il terzo di mala fede, acquirente del bene", aggiungendo: "sia che la misura colpisca l'imputato, sia che essa raggiunga il terzo acquirente di mala fede estraneo al reato, si rende perciò necessario che il giudice penale accerti la responsabilità delle persone che la subiscono, attenendosi ad adeguati standard probatori e rifuggendo da clausole di stile che non siano capaci di dare conto dell'effettivo apprezzamento compiuto".
Tali passaggi chiariscono che il terzo acquirente di buona fede, che ha a buon titolo confidato nella conformità del bene alla normativa urbanistica, non può subire la confisca e che l'onere di dimostrare l'assenza di buona fede grava sull'accusa. Questa stessa Sezione, del resto, sul punto ha affermato che (Sez. III, n. 36310/2019) in tema di reati edilizi, la condizione di buona fede, che nel caso di accertamento del reato di lottizzazione abusiva preclude la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite nei confronti del terzo acquirente di tali beni, presuppone non solo che questi abbia partecipato inconsapevolmente all'operazione illecita e che, quindi, non sia concorrente nel reato, ma anche che abbia gestito la propria attività contrattuale e precontrattuale assumendo le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento agli strumenti urbanistici, dovendosi anche tenere conto, sotto questo profilo, del comportamento della pubblica amministrazione. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, in tempi recenti, sempre con riferimento alla posizione del terzo, che il sistema di garanzie processuali allo stesso concesse nel sistema normativo attualmente vigente è da ritenersi conforme ai principi costituzionali e convenzionali anche nei casi in cui non sia prevista la sua partecipazione al giudizio di cognizione, non imponendosi affatto l'applicazione analogica o evolutiva di altri modelli processuali, e non traendosi contrarie indicazioni dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo (Sez. II, n. 53384/2018).
Si tratta inoltre di argomentazioni che esulano dal perimetro del sindacato della Corte di legittimità, poiché fondate su valutazioni di merito che rimangono di stretta competenza del giudice: quello riguardante la condizione di buona fede è sempre un accertamento di merito che, nell'ambito del sindacato esperibile nel caso in esame, può essere condotto solo in relazione ad una motivazione inesistente o apparente (Sez. Un., n. 5876/2004).
9.2. Altro tema centrale è inerente la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente realizzate, nonostante sia maturata la prescrizione del reato, tema che è stato oggetto di ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale interna e sovranazionale.
Occorre brevemente ripercorrere tale dibattito.
Come noto, dopo che la Corte Europea dei diritti dell'uomo, con sentenze 30 agosto 2007 e 20 gennaio 2009, rese in causa Sud Fondi S.r.l. e aa. c. Italia, ha affermato la natura essenzialmente penale della confisca, in ragione degli scopi prevalentemente repressivi della stessa, con la conseguente necessità di conformare l'istituto al rispetto dell'art. 7 CEDU, la giurisprudenza nazionale ha ribadito la confiscabilità dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite pur in presenza di una causa estintiva del reato, purché l'accertamento giudiziale del reato di lottizzazione abusiva concernesse tanto il profilo oggettivo quanto quello soggettivo (Sez. III, n. 21188/2009; Id., n. 39078/2009), e ciò nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, e che verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la misura viene ad incidere (Sez. III, n. 17066/2013).
Sul tema è poi nuovamente intervenuta la Corte EDU con sentenza 29 ottobre 2013 in causa Varvara c. Italia, resa in un caso in cui era stata applicata la confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma secondo, nonostante l'intervenuta prescrizione del reato, affermando l'incompatibilità con le garanzie previste dalla Convenzione di un sistema in cui sia possibile applicare una pena ad una persona la cui responsabilità penale non sia constatata in una sentenza di colpevolezza.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 49/2015, a fronte della questione di costituzionalità sollevata (anche da parte di questa stessa Corte: Sez. 3, n. 20636 del 30/04/2014 - dep. 20/05/2014, Alessandrini e altri, Rv. 259436 - 01), ha tuttavia rilevato che, da un lato, era errato il presupposto interpretativo circa il fatto che la sentenza Varvara fosse univocamente interpretabile nel senso che la confisca urbanistica possa essere disposta solo unitamente ad una sentenza di condanna da parte del giudice per il reato di lottizzazione abusiva e, d'altro lato, che la stessa decisione non era espressione di un'interpretazione consolidata in ambito Europeo e che pertanto non poteva ritenersi vincolante per il giudice nazionale, sicché la successiva giurisprudenza di legittimità ha ribadito che il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato allorquando sia stata accertata, con adeguata motivazione, la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi oggettivo e soggettivo (ex plurimis: Sez. III, n. 15888/2015; Sez. IV, n. 31239 /2015; Sez. III, n. 33051/2017; Id., n. 53692/2017).
9.3. Questo orientamento ha di recente ricevuto l'avallo della Corte EDU, che, pronunciatasi con sentenza della Grande Camera, 28 giugno 2018 in causa G.I.E.M. S.r.l. e aa. c. Italia, confermando la lettura che della sentenza Varvara era stata data dalla Corte costituzionale e dalla successiva giurisprudenza di legittimità, ha affermato che sebbene l'art. 7 CEDU esiga, "per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore", e sebbene "la dichiarazione di responsabilità penale richiesta è spesso contenuta in una sentenza penale che condanna formalmente l'imputato, in ogni caso ciò non costituisce una norma imperativa. In effetti, la sentenza Varvara non permette di concludere che le confische per lottizzazione abusiva devono necessariamente essere accompagnate da condanne penali ai sensi del diritto nazionale". La Corte di Strasburgo ha pertanto concluso che "qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una condanna nel senso dell'art. 7, che in questo caso non è violato" .
9.4. Applicando i principi affermati nella citata sentenza G.I.E.M. S.r.l. ed altri c. Italia, questa Corte ha conseguentemente ribadito che, in tema di reato di lottizzazione abusiva, il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato ove sia stata comunque accertata, con adeguata motivazione e nel contraddittorio delle parti, la sussistenza del reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo (tra le tante: Sez. III, n. 8350/2019).
Vero è che il principio costantemente affermato dalla Corte, secondo il quale il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla confisca del bene lottizzato allorquando sia stata accertata, con adeguata motivazione, la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, lasciava aperta la questione del rapporto tra la necessità di accertare comunque, anche se già prescritto, il reato in questione, considerata la natura cogente e obbligatoria della confisca, e l'obbligo generale della immediata declaratoria della causa di non punibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p.
Tale rapporto era stato risolto a favore della prevalenza dell'obbligo dell'accertamento da Sez. III, n. 53692/2017 secondo cui il proscioglimento per intervenuta prescrizione maturato nel corso del processo non osta, sulla base di una lettura costituzionalmente (Corte cost., n. 49/ 2015) e convenzionalmente orientata, alla confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, a condizione che il suddetto reato venga accertato, con adeguata motivazione, nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, atteso che l'obbligo di accertamento imposto dal giudice per l'adozione del provvedimento ablativo prevale su quello generale della immediata declaratoria della causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p. (tale principio è stato successivamente ripreso e ribadito da (Sez. III, n.43630/2018; Id., n. 22034/2019).
9.5. Come è noto, le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi sul quesito (posto con ordinanza Sez. III, n. 40380 del 2 ottobre 2019, Perroni) del seguente tenore: "Se, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, sia consentito l'annullamento con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'uomo 28 giugno 2018, G.I.E.M. S.r.l. e altri c. Italia".
Con la sentenza n. 13539/2020, Perroni, quindi, le Sezioni Unite hanno affermato il principio per cui la confisca di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell'ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell'art. 129 c.p.p., comma 1, proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento. Hanno, inoltre, aggiunto che, in caso di declaratoria, all'esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell'art. 578-bis c.p.p., a decidere sull'impugnazione agli effetti della confisca di cui al Dpr n. 380 del 2001, art. 44.
Come chiarito in motivazione dalle Sezioni Unite, ove maturi, la prescrizione va immediatamente dichiarata pronunciando sentenza di estinzione del reato ex art. 129 c.p.p., mentre il giudice di primo grado potrà disporre la confisca solo ove, anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, sia stato comunque già accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive.
9.6. Le Sezioni Unite affermano quindi il principio della valenza dell'obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato ex art. 129, comma 1, c.p.p., in quanto trattasi di principio rispondente ai valori costituzionali che può essere derogato in melius, qualora risulti con evidenza che sussista una causa di proscioglimento nel merito, o in peius, quando vi sia una norma che consenta espressamente la prosecuzione del processo per l'adozione di provvedimenti sanzionatori.
Difatti, dall’esame dell'art. 44, TU edilizia non si evince alcun obbligo di compiere l'accertamento nonostante la prescrizione già maturata. Il principio di immediata operatività della causa di estinzione è il frutto di una scelta del legislatore che mira ad evitare una inutile prosecuzione del giudizio, con la conseguenza che il giudice di primo grado può disporre la confisca solo quando la lottizzazione abusiva risulti accertata nelle sue componenti oggettive e soggettive nel momento in cui maturi la prescrizione. Il giudizio non può proseguire, invece, solo per il compimento di tale accertamento.
Appare evidente che la Corte, nella sua più autorevole composizione, ha superato l'orientamento, ricordato in chiave critica anche dall'ordinanza di rimessione, che riteneva recessivo il principio generale dell'obbligo di immediata declaratoria di una causa estintiva del reato di cui all'art. 129 c.p.p. rispetto al correlativo e coesistente "obbligo di accertamento", ricavabile dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 che individuava, accanto all'azione penale tipica, una "azione penale complementare" che consentiva al giudice di adottare altri provvedimenti a carattere reattivo o ripristinatorio, nei quali si sostanzia l'esigenza dell'ordinamento di ripristinare l'ordine giuridico violato dal fatto illecito (ex multis: Sez. III, n. 53692/2017; Id., n. 43630/2018; Id., n. 2292/2019; Id., n. 31282/2019). Sicché, in definitiva, l'unico limite a che il processo penale possa progredire relativamente ad un'azione di accertamento finalizzata alla sola decisione sulla confisca urbanistica sarebbe rappresentato dall'estinzione maturata prima dell'esercizio dell'azione penale (Sez. III, n. 35313/2016) poiché, in tal caso, sarebbe impedito al giudice di compiere, nell'ambito di un giudizio che assicuri il contraddittorio e la piena partecipazione degli interessati, l'accertamento del reato nei suoi estremi oggettivi e soggettivi.
Infine, la Corte sottolinea che la possibilità, per il giudice dell’impugnazione che dichiari la prescrizione, di decidere ai fini della confisca, non implica la necessaria prosecuzione del giudizio per l’accertamento del fatto, al fine di poter adottare il provvedimento ablativo. L’art. 44 TU edilizia non pone alcun obbligo di compiere detto accertamento, nonostante la prescrizione già maturata. Nemmeno la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha indicato la necessità della prosecuzione del giudizio. Più in generale, per le Sezioni Unite non è sostenibile nessuna lettura costituzionalmente o convenzionalmente orientata nel senso della prosecuzione del processo, a prescrizione maturata, quando non sia ancora stato accertato il fatto.
Dunque, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, per le Sezioni Unite, in applicazione dell’art. 129, co. 1 c.p.p., proseguire al solo fine di compiere l’accertamento della responsabilità.
Al riguardo, la Corte di Cassazione sottolinea la valenza costituzionale dell’obbligo di immediata declaratoria delle cause estintive del reato di cui all’art. 129 c.p.p. Tale norma, nel porre un principio di stretta immediatezza, è derogabile in melius, così come previsto dal comma 2 dello stesso art. 129 c.p.p., in virtù del quale, in caso di evidente sussistenza di una causa di proscioglimento nel merito, prevale quest’ultima. Invece, la prosecuzione del processo ai fini dell’adozione di provvedimenti latu sensu sanzionatori è possibile solo in caso di espressa previsione legislativa. L’art. 129, cod. proc. pen., ha dunque un rilievo costituzionale, quale proiezione sul piano processuale del principio di legalità, favorendo l’imputato e agevolando la conclusione del processo, nelle ipotesi in cui non appare concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato.
9.7. Ciò premesso, nel caso in esame, la Corte d'Appello ha correttamente confermato l'intervenuta prescrizione del reato contravvenzionale (già rilevata dal tribunale di primo grado, individuando alla data del 9.02.2015 il termine massimo di prescrizione quinquennale: pag. 5) e, in assenza di prova evidente di una causa di proscioglimento di merito esclusa dalla intervenuta condanna di primo grado per il reato di lottizzazione abusiva, ha ribadito la correttezza della pronuncia di proscioglimento.
Tuttavia, come anticipato, il giudizio di merito (sia in primo che in secondo grado) non ha affrontato il merito e, segnatamente, la sussistenza del requisito soggettivo del reato di lottizzazione abusiva, limitandosi i giudici di appello a rinviare alla ricostruzione svolta dai giudici di prime cure (in realtà, come visto in precedenza, assolutamente insufficiente sul punto), risolvendosi, in ordine al profilo soggettivo, la motivazione della sentenza d’appello in una motivazione apparente, come emerge dalla lettura di pag. 17 della sentenza.
Nonostante tale deficit argomentativo, i giudici d’appello hanno tuttavia disposto la confisca (richiesta dal Procuratore Generale in sede di impugnazione, stante l’omessa statuizione sul punto del giudice di prime cure), sulla base di un accertamento della responsabilità penale dell’imputato in ordine al reato, limitatamente all’elemento oggettivo, rimandando, quanto a quello soggettivo, alla ricostruzione effettuata dal giudice di prime cure, senza rendersi conto tuttavia che la motivazione del tribunale era assolutamente carente sotto il profilo dell’elemento soggettivo, con la conseguenza che non avrebbe potuto disporre la confisca, in quanto presupposto imprescindibile per disporre la confisca urbanistica per il reato di lottizzazione abusiva è proprio l’accertamento dello stesso nella duplicità dei suoi due elementi, soggettivo e oggettivo.
Inoltre, con particolare riferimento alla posizione dei terzi acquirenti, la confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere disposta anche nei loro confronti qualora siano riscontrabili quantomeno profili di colpa nell'attività precontrattuale e contrattuale svolta, per non aver assunto le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo e sulla compatibilità dell'intervento con gli strumenti urbanistici. Valutazione che difetta, sia nella sentenza di primo grado sia in quella di secondo grado.
10. Ora, come dianzi chiarito, la sentenza della Sezioni Unite Perroni, afferma la piena prevalenza dell'obbligo di immediata declaratoria della causa di estinzione del reato che maturi nel corso del giudizio di primo grado.
E' ben vero che è la stessa sentenza del Tribunale, infatti, ad affermare che per il reato di lottizzazione abusiva il termine di prescrizione è interamente maturato il 9/02/2015. Ed è altrettanto vero, come emerge dagli stessi motivi aggiunti proposti dalla difesa del ricorrente Galli con l’allegazione del processo verbale di udienza, che la prima udienza dibattimentale era stata fissata per il 15/04/2015. Dunque, è fuor di dubbio che il reato fosse estinto per prescrizione ancor prima dell'apertura del dibattimento: tuttavia, ciò non consente la piena ed incondizionata applicazione del principio affermato dalle Sezioni Unite, che condurrebbe obbligatoriamente all’annullamento della sentenza impugnata, senza rinvio, con conseguente revoca della confisca.
11. Ritiene, infatti, il Collegio che al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite debba essere senza alcun dubbio data continuità in quanto assolutamente rispondente alla ratio della formulazione normativa dell’art. 129, cod. proc. pen., ma che lo stesso principio, soffra, come nella vicenda qui esaminata, un’eccezione che, proprio perché tale, conferma la regola fissata dal Massimo Consesso.
Il punto centrale della questione, in particolare, è costituito dalla particolarità della vicenda in esame (che, peraltro, ben potrebbe replicarsi in plurime situazioni nella prassi giurisprudenziale), che vedeva contestato l’illecito lottizzatorio non uti singulus, ma unitamente ad altro illecito (il delitto di abuso d’ufficio, collegato a quello lottizzatorio), il cui accertamento, nonostante l’intervenuta prescrizione della contravvenzione urbanistica, era proseguito davanti al primo giudice, il quale aveva poi assolto nel merito gli imputati da tale delitto.
Nel caso di specie, come rilevato, è ben vero che il giudice di primo grado è pervenuto ad accertare l’intervenuta prescrizione dell’illecito lottizzatorio, ma ciò ha fatto, in sede di processo cumulativo, svolgendo – sebbene non in maniera adeguata – anche l’accertamento della sussistenza del profilo soggettivo inerente al predetto illecito contravvenzionale, essendovi stato in certo qual modo “costretto” dalla stessa prospettazione accusatoria, secondo la quale il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione del reato contravvenzionale era da individuarsi nella data del 22.07.2011, ossia allorquando vennero sottoposte a sequestro preventivo da parte del GIP, individuando dunque la cessazione della permanenza di tale illecito, nell’esecuzione dell’atto ablativo cautelare disposto dall’autorità giudiziaria. Sul punto, il giudice di merito motiva la diversa individuazione del termine di decorrenza del dies a quo, osservando come, trattandosi di lottizzazione negoziale, dove l'edificazione delle foresterie era ed è legittima sulla base degli atti amministrativi rilasciati dal Comune di Follonica, il profilo rilevante è l'alienazione dei beni immobili a coloro che non avevano alcuna reale collegamento con l'attività ippica. Il reato – si legge a pag. 5 della sentenza di primo grado - è consistito, infatti, nella stipulazione di atti negoziali elusivi del vincolo pertinenziale delle foresterie indicati nel capo di imputazione, così realizzando la loro libera commercializzazione e non nella realizzazione in sé del complesso immobiliare. Ciò comportava, a parere del primo giudice, che la centralità dell'atto negoziale, essenziale per la configurabilità dello stesso reato, dovesse simmetricamente essere mantenuta anche per l’individuazione del momento in cui cessa concretamente la permanenza di quella condotta illecita, venuta meno la quale non si è in concreto verificato più alcun ulteriore e nuovo vulnus alla corretta gestione del territorio. Questo momento, per il primo giudice, andava, pertanto, individuato con la stipula dell’ultimo contratto preliminare, avvenuta il 9.02.2010, posto che dopo quella data l’attività illecita (consistita, in particolare, nella stipula di contratti con soggetti non "legittimati" ad ottenere il godimento del bene, attraverso l’elusivo meccanismo dell’iscrizione come soci temporanei al club), era in concreto cessata. Da qui, dunque, l’affermazione che alla data del 9.02.2015, fosse spirato il termine massimo di prescrizione quinquennale previsto dalla legge.
12. E’, dunque, evidente come a tale approdo (ossia all’accertamento della intervenuta maturazione del termine di prescrizione del reato, in data antecedente all’inizio del dibattimento, non certo all’esercizio dell’azione penale, nel quale caso non vi sarebbero stati dubbi in ordine alla formula di annullamento senza rinvio, con conseguente revoca della disposta confisca) il primo giudice fosse pervenuto dopo un’approfondita attività istruttoria, svolta anche per il delitto di abuso di ufficio, necessaria al fine di accertare la sussistenza di entrambi i reati, attività imposta dalla stessa prospettazione accusatoria (che aveva individuato un diverso e successivo termine di decorrenza del dies a quo dell’illecito lottizzatorio), senza che, peraltro, non risulti né sia stata fornita prova del contrario, che, nel corso del giudizio, la difesa avesse mai sollevato davanti al primo giudice la questione dell’intervenuta prescrizione dell’illecito lottizzatorio avanzando richiesta di proscioglimento ex art. 129, cod. proc. pen.
A diversa conclusione, evidentemente, si sarebbe pervenuti nel caso in cui l’illecito lottizzatorio fosse stato l’unico oggetto del giudizio. A tale ultimo caso, infatti, si attaglia perfettamente il principio di diritto fissato dalle Sezioni Unite di questa Corte, chiaramente espresso nel § 7.6. della sentenza Perroni (pag. 23), secondo cui “Il principio di adozione in via immediata del proscioglimento (in esso compreso quello dovuto ad estinzione del reato) va dunque riaffermato, sicché il giudice di primo grado potrà disporre la confisca solo ove, anteriormente al momento di maturazione della prescrizione, sia stato comunque già accertato, nel contraddittorio delle parti, il fatto di lottizzazione nelle sue componenti oggettive e soggettive”.
In altri termini, solo nell’ipotesi – che rappresenta, lo si ribadisce, la regola che giustifica l’eccezione, rappresentata dai casi di processo “cumulativo” in cui il giudizio debba necessariamente proseguire per accertare ulteriori illeciti, peraltro in assenza di richieste di proscioglimento da parte della difesa in corso di giudizio – in cui l’illecito lottizzatorio costituisca l’unico sub iudice, il giudice di primo grado è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite, donde il giudizio non potrà procedere oltre, una volta accertata l’intervenuta prescrizione, con conseguente impossibilità di disporre la confisca.
13. Alla luce di quanto sopra, ritiene dunque il Collegio, avendo il primo giudice accertato l’intervenuto decorso del termine di prescrizione massima del reato in esame solo a seguito del completamento dell’attività istruttoria svolta per il processo cumulativo, ferma restando la doverosità dell’intervenuta declaratoria per prescrizione dell’illecito lottizzatorio, correttamente il Procuratore Generale era legittimato a censurare la mancata confisca, atteso che il primo Giudice, in sede di accertamento della sussistenza del duplice elemento, oggettivo e soggettivo, di tale illecito, aveva ritenuto sussistente l’illecito lottizzatorio, senza tuttavia motivare adeguatamente sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
La Corte d’appello, chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione proposta dal P.G., a sua volta, pur riscontrando l’accertata sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito lottizzatorio (in quanto tali idonei, essendo il relativo accertamento positivamente contenuto, seppure non del tutto adeguatamente quanto all’elemento psicologico del reato, nella decisione di primo grado, ancorché conclusasi con una declaratoria di proscioglimento per prescrizione), è incorsa nel medesimo errore del primo giudice, dando per provata la sussistenza dell’elemento psicologico del reato di lottizzazione abusiva, rilevando, correttamente, la natura contravvenzionale dell’illecito de quo, ma affermando sbrigativamente che non fosse necessaria una specifica analisi dell’elemento soggettivo doloso, essendo sufficiente la sola colpa, ritenendo, in ogni caso, evidente, dalla ricostruzione della vicenda, che si fosse stata un’elusione del vincolo di destinazione sul complesso immobiliare, ascrivibile per forza di cose a comportamento volontario.
Si tratta di un’argomentazione, sulla cui base i giudici di appello hanno disposto la confisca che, tuttavia, merita censura in quanto palesa un deficit argomentativo di fondo in quanto non spiega, al di là della lapidaria ed apodittica affermazione dianzi indicata, in cosa fosse consistita la colpa ascrivibile ai due ricorrenti, non essendo entrata né la sentenza d’appello né quella di primo grado sull’analisi del coefficiente psicologico riferibile agli stessi, ciò che rede ragione della necessità di disporre l’annullamento dell’impugnata sentenza, con rinvio, dinanzi al giudice di appello perché colmi detto deficit argomentativo.
Si tratta, del resto, di decisione, questa, imposta dalla stessa natura del giudizio che era demandato alla Corte territoriale all’atto dell’impugnazione del PG (e che si ripresenta adesso al giudice del rinvio), atteso che, per poter disporre la confisca, a fronte di un accertamento del reato nella sua duplice componente oggettiva e soggettiva, motivato inadeguatamente quanto all’aspetto soggettivo, i giudici di appello avrebbero comunque dovuto assolvere a quanto disposto dall’art. 578-bis, cod. proc. pen., in quanto, essendo stato accertato in sede di giudizio di primo grado il reato, pur con motivazione inadeguata quanto all’elemento soggettivo, era pur sempre obbligo per la Corte territoriale – investita della questione dal PG in sede di impugnazione sul punto specifico – provvedere a sanare il deficit motivazionale riscontrato dal Procuratore Generale, non potendo disporre la confisca, pur a fronte dell’integrale conferma, dell'accertamento già operato in primo grado in ordine alla sussistenza del reato ed alla sua attribuibilità all'imputato, tuttavia inadeguato quanto al profilo della componente soggettiva.
14. Si impone, conclusivamente, l’annullamento dell’impugnata sentenza, con rinvio al giudice di appello, altra sezione, perché colmi tale deficit argomentativo in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato n capo ad entrambi i ricorrenti, al fine di decidere, ex art. 578-bis cod. proc. pen., sull'impugnazione agli effetti della confisca di cui all'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.
Così deciso, il 16 settembre 2020