Cass. Sez. III n. 31969 del 13 novembre 2020 (CC 8 ott 2020)
Pres. Di Nicola Est. Cerroni Ric. Brigandi
Urbanistica.Sequestro preventivo di un immobile la cui realizzazione è soggetta al rispetto della normativa antisismica

In tema di sequestro preventivo di un immobile la cui realizzazione è soggetta al rispetto della normativa antisismica, il pericolo di aggravamento del reato, con riferimento al perdurante utilizzo del manufatto, è insito nella violazione stessa della disciplina antisismica perché, in considerazione del carattere non prevedibile dei terremoti, la regola tecnica di edificazione, da rispettarsi obbligatoriamente per la costruzione di qualsiasi struttura, è ispirata a finalità di contenimento del rischio di verificazione dell’evento sismico


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 9 dicembre 2019 il Tribunale di Messina, quale Giudice del riesame delle misure cautelari reali, ha rigettato la richiesta di riesame proposta da Giovanni Brigandì - indagato per i reati di cui agli artt. 44, comma 1, lett. b), nonché 93, 94, 95 e 64 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ed altresì di cui all’art. 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 - nei confronti del decreto del 18 novembre 2019, in forza del quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva disposto il sequestro preventivo di manufatti in Monforte San Giorgio.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione formulando articolato motivo di impugnazione.
2.1. In particolare, quanto alla lamentata violazione di legge in relazione all’art. 321 cod. proc. pen., il ricorrente ha osservato che non vi sarebbe stata nel decreto di sequestro alcuna autonoma valutazione delle esigenze cautelari, laddove il pericolo di libera disponibilità del bene, una volta perfezionatasi la condotta criminosa come in specie, avrebbe dovuto presentare i requisiti della concretezza e dell’attualità, sì da configurare la possibilità di ulteriori pregiudizi offensivi del bene protetto. Quanto al sequestro per reati paesaggistici, la sola esistenza della struttura abusiva ultimata non integrava di per sé i requisiti della concretezza e dell’attualità del pericolo, atteso appunto l’esaurimento della condotta.
In specie nulla era stato dedotto quanto all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato, a fronte del mancato uso del bene ultimato e tenuto conto dell’urbanizzazione della zona.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. In relazione al motivo di censura complessivamente proposto, l’ordinanza impugnata ha da un lato rilevato che i beni oggetto di vincolo reale non erano ultimati e sarebbero stati suscettibili di rifinitura in ogni parte allo scopo di prevedere un utilizzo abitativo, nonostante l’esistenza delle gravi violazioni contestate.
D’altro canto il provvedimento censurato, dando conto dell’edificazione in zona del tutto preclusa all’insediamento abitativo, ha altresì richiamato il consolidato principio secondo cui, in tema di sequestro preventivo di un immobile la cui realizzazione è soggetta al rispetto della normativa antisismica, il pericolo di aggravamento del reato, con riferimento al perdurante utilizzo del manufatto, è insito nella violazione stessa della disciplina antisismica perché, in considerazione del carattere non prevedibile dei terremoti, la regola tecnica di edificazione, da rispettarsi obbligatoriamente per la costruzione di qualsiasi struttura, è ispirata a finalità di contenimento del rischio di verificazione dell’evento sismico (Sez. 3, n. 38717 del 10/05/2018, Rizzuti e altro, Rv. 273835; Sez. 6, n. 190 del 14/11/2017, dep. 2018, Limatola, Rv. 271845).
4.2. Il rilievo si presenta del tutto assorbente, ed invero il ricorso non ha inteso spendere parola al riguardo, evitando di confrontarsi col principio, che qui si intende ribadire. Né, infine, replicando specificamente in ordine ai rilievi dell’ordinanza in relazione al ricordato stato degli immobili oggetto del vincolo.
5. Alla stregua pertanto di quanto precede, non può che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso, atteso il mancato puntuale confronto col percorso argomentativo del provvedimento censurato (cfr. Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, Ruci, Rv. 267611).
5.1. Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 08/10/2020