Cass. Sez. III n. 30457 del 2 agosto 2022 (CC 15 giu 2022)
Pres. Andreazza Est. Reynaud Ric. Senatore ed al.
Urbanistica.Manufatti collocati in strutture ricettive all’aperto

La previsione oggi vigente riferita ai manufatti collocati in strutture ricettive all’aperto non deroga alla necessità che gli interventi di trasformazione del territorio sottratti al regime del permesso di costruire debbano avere natura temporanea, ma specifica questo requisito con riguardo alle tipiche strutture utilizzate dai turisti che fruiscono di quelle aree ricettive.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18 febbraio 2022, il Tribunale di Crotone ha rigettato l’istanza di riesame proposta dagli odierni ricorrenti avverso il provvedimento con cui il g.i.p., ravvisando il fumus del reato di lottizzazione abusiva, aveva disposto il sequestro preventivo di terreni e strutture sugli stessi esistenti, con particolare riguardo a 25 case mobili, nell’ambito di un’attività ricettiva di campeggio balneare.

 2. Avverso detta ordinanza, a mezzo del difensore fiduciario, i ricorrenti, indagati nel procedimento quali proprietari delle case mobili e affittuari delle piazzole di sosta sulle quali le stesse erano collocate, hanno proposto ricorso per cassazione lamentando, con il primo motivo, inosservanza o erronea applicazione degli artt. 44 e 3, comma 1, lett. e.5, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (d’ora in avanti, TUE) e dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.
Allegano i ricorrenti che, trattandosi di case mobili collocate in una struttura ricettiva all’aperto, il regime era quello dell’edilizia libera e non era dunque necessario il rilascio del permesso di costruire, in forza dell’art. 3, comma 1, lett. e.5, seconda ipotesi, TUE, che accorda un privilegio al turismo e, diversamente dalla prima ipotesi considerata dalla norma e da quanto ritenuto dai giudici del merito cautelare, non richiede che i manufatti debbano rispondere ad esigenze temporanee. Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, che aveva valorizzato una risalente conferenza dell’Organizzazione Mondiale del Turismo richiamata da precedente giurisprudenza, non sarebbe (più) vero che il turismo sia necessariamente caratterizzato da occasionalità e limitata permanenza in un luogo. In ogni caso, la modificazione della citata disposizione intervenuta con l’art. 10 d.l. 16 luglio 2020, n. 76 – applicabile al caso di specie anche in forza del principio di retroattività delle disposizioni più favorevoli integratrici del precetto penale – nel precisare che la collocazione di case mobili in strutture ricettive all’aperto non costituisce nuova costruzione nemmeno quando avviene “in via continuativa”, ha definitivamente escluso che occorra dimostrarne la funzionalità rispetto ad esigenze temporanee, consentendo la permanenza della casa mobile anche nei periodi di mancato utilizzo. Si aggiunge che le indagini di polizia avevano accertato come le casette in questione fossero state realizzate su appositi carrelli dotati di ruote e come le stesse non fossero ancorate al terreno.

3. Con il secondo motivo si lamentano violazione degli artt. 44 TUE e 5 e 43 cod. pen., da interpretarsi in senso convenzionalmente orientato rispetto all’art. 7 CEDU, per assenza dell’elemento psicologico in capo ai villeggianti ricorrenti. Contrariamente a quanto ritenuto dall’ordinanza – in cui si riscontra l’assenza di un vero rapporto fra motivazione e fatti rappresentati con i motivi di riesame – i ricorrenti avevano agito in buona fede facendo affidamento sul comportamento del Comune di Isola Capo Rizzuto. Già nel 2013 il Comune aveva revocato in autotutela un proprio precedente ordine di demolizione/rimozione di 51 casette mobili installate nel medesimo campeggio, ritenendo che le stesse non fossero soggette ad alcun titolo edilizio, e aveva manifestato lo stesso comportamento concludente a fronte della regolare comunicazione della successiva installazione delle casette oggetto del presente procedimento. Si era inoltre omesso di considerare l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui anche l’oscurità del testo legislativo esclude la rimproverabilità della condotta, dovendo la sanzione penale poggiare – sulla scorta degli insegnamenti della Corte EDU – su una base legale accessibile e prevedibile.

4. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la radicale mancanza di motivazione in ordine alle circostanze sull’assenza del fumus commissi delicti rappresentate con i motivi di riesame con particolare riguardo al fatto che: l’area su cui insiste l’intervento non fosse neppure in parte classificata come arenile; le casette non fossero stabilmente ancorate al suolo; l’art. 3, comma 1, lett. e.5 TUE fosse stato modificato nel senso anzidetto nel 2020; i ricorrenti avessero fatto affidamento sulle autorizzazioni del Comune; l’accesso alle casette fosse consentito e di fatto avvenisse soltanto nel periodo estivo.

5. Con l’ultimo motivo di ricorso si deduce violazione della legge processuale e sostanziale, anche in relazione all’art. 1 del primo protocollo CEDU, sotto il profilo della proporzionalità della misura cautelare e per radicale omessa motivazione sulla circostanza, evidenziata con i motivi di riesame, che la misura più adatta a scongiurare il periculum in mora sarebbe stata la revoca del sequestro e la conseguente asportazione delle case mobili ad opera degli aventi diritto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del cumulativo ricorso è infondato.
1.1. Quanto al fumus del reato di lottizzazione abusiva, reputa il Collegio che, con articolata motivazione, l’ordinanza impugnata ha correttamente interpretato ed applicato, la disposizione normativa di cui si sostiene invece la violazione.
Detta previsione, contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. e), TUE,  per quanto qui interessa, dispone che costituiscono "interventi di nuova costruzione" – assoggettati al previo rilascio del permesso di costruire ex art. 10, comma 1, lett. a) - «quelli di  trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle  categorie definite alle lettere precedenti» e che «sono comunque da considerarsi tali…e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi  genere,  quali  roulotte,  camper,  case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni,  ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione  di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende  e  delle  unità  abitative  mobili  con  meccanismi  di rotazione in funzione, e  loro  pertinenze  e  accessori,  che  siano collocate,  anche  in  via  continuativa,  in   strutture   ricettive all'aperto per la  sosta  e  il  soggiorno  dei  turisti  previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e,  ove  previsto, paesaggistico,  che  non  posseggano  alcun  collegamento  di  natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali  e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti» (la citata lett. e.5 è stata così sostituita dall’art. 10 d.l. 16 luglio 2020, n. 76, recante Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale, conv., con modiff., in l. 11 settembre 2020, n. 120).
La previsione in tal senso “novellata” – dai ricorrenti invocata perché evidentemente ritenuta più favorevole ed in quanto tale da applicarsi quale norma integratrice del precetto penale, ex art. 2, quarto comma, cod. pen. – ha sostituito quella precedentemente vigente e (per lo più) applicabile ratione temporis, vale a dire la disposizione risultante dall’interpolazione operata con l. 28 dicembre 2015, n. 221, secondo cui è comunque da considerarsi intervento di nuova costruzione assoggettato al previo rilascio del permesso di costruire «e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi  genere,  quali  roulottes,  campers,  case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni,  ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione  di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi  in strutture ricettive all'aperto per la  sosta  e  il  soggiorno  dei  turisti,  previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e,  ove  previsto, paesaggistico,  in conformità alle normative regionali di settore».
I ricorrenti, in particolare, sottolineano che la vigente disposizione consentirebbe, nelle strutture ricettive all’aperto ed in assenza di permesso di costruire, l’installazione degli indicati manufatti anche se la stessa sia destinata a permanere “in via continuativa”.
1.2. Reputa il Collegio, per quanto di seguito si dirà, che la tesi sostenuta in ricorso non possa essere condivisa, poiché la stessa porterebbe a ritenere  consentiti impattanti interventi di stabile trasformazione del territorio in assenza di permesso di costruire e – laddove necessario – di piano di lottizzazione.
L’ordinanza impugnata, in particolare, ha correttamente ritenuto che la novellata previsione non muti le connotazioni che tradizionalmente contraddistinguono la disposizione in parola, pur fatta oggetto, nel tempo, di ripetuti rimaneggiamenti che, anche in relazione a disposizioni dettate per circoscriverne la sfera di applicabilità, hanno originato taluni interventi  della Corte costituzionale. Proprio il giudice delle leggi – in decisioni che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di disposizioni della legge statale ritenute indebitamente di dettaglio e tali da sostanzialmente annullare gli spazi per l’esercizio della potestà legislativa concorrente attribuita alle regioni in materia di governo del territorio – ha al proposito osservato che «la normativa statale sancisce il principio per cui ogni trasformazione permanente del territorio necessita di titolo abilitativo e ciò anche ove si tratti di strutture mobili allorché esse non abbiano carattere precario. Il discrimine tra necessità o meno di titolo abilitativo è data dal duplice elemento: precarietà oggettiva dell'intervento, in base alle tipologie dei materiali utilizzati, e precarietà funzionale, in quanto caratterizzata dalla temporaneità dello stesso» (Corte cost., sent. 23 giugno 2010, n. 278; Corte cost., sent. 9 giugno 2014, n. 189).
Questa duplice connotazione è certamente tuttora ravvisabile nella formulazione della norma vigente.
Quanto alla “precarietà strutturale” – di regola irrilevante rispetto all’indagine circa la non temporanea trasformazione del territorio che necessita del permesso di costruire (Sez. 3, n. 5821 del 15/01/2019, Dule Saimir, Rv. 275697; Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, dep. 2015, Manfredini, Rv. 261636; Sez. 3, n. 22054 del 25/02/2009, Frank, Rv. 243710) – con riguardo alle strutture ricettive all’aperto essa rileva nella misura in cui i manufatti leggeri di cui all’art. 3, comma 1, lett. e.5, tipici di quelle strutture ricettive, perdono la loro “naturale” connotazione di amovibilità e precarietà, e divengono invece indicatori di una stabile trasformazione del territorio, laddove ne sia modificata la connotazione di agevole spostamento (si pensi alla necessità che conservino “meccanismi  di rotazione in funzione”) ovvero presentino “collegamenti  di  natura permanente al terreno”. La sola verifica dell’una o dell’altra di tali condizioni esclude la sussistenza della fattispecie derogatoria, che – non va dimenticato – ha natura eccezionale rispetto ad un principio di opposto segno.
Quanto alla “precarietà funzionale” dei manufatti, la disposizione in parola – oggi come ieri – la richiede laddove si specifica che gli stessi debbono essere appunto collocati, “anche  in  via  continuativa,  in   strutture   ricettive all'aperto per la  sosta  e  il  soggiorno  dei  turisti”. Da tale ultima indicazione emerge con evidenza la ratio della previsione in parola che, con riguardo ai manufatti collocati in strutture ricettive all’aperto, attualizza la fondamentale connotazione, propria di tutta la disciplina urbanistica, giusta la quale il  più rigoroso controllo sulle attività di modificazione del territorio è richiesto – e presidiato dalla sanzione penale – laddove si tratti di “trasformazione permanente del suolo” (v. anche la previsione di cui all’art. 3, comma 1, lett. e.7, TUE). Se, nella prima parte del disposto di cui alla lett. e.5 questo requisito è specificato con riguardo al fatto che non costituisce intervento di nuova costruzione,  e non è perciò assoggettata al permesso di costruire, l’installazione di manufatti leggeri “diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee” (sul concetto di temporaneità, da interpretarsi come indicativo di qualcosa che ha una durata limitata nel tempo, v., in motivazione, Sez. 3, n. 32735 del 18/09/2020, Santini, n.m.), nella seconda parte della previsione questo stesso requisito è delineato con riferimento al fatto che i particolari moduli considerati siano collocati – anche se “in via continuativa”, vale a dire, “con continuità” – in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti. La destinazione specificata e la tipologia dei manufatti “leggeri” cui la previsione si riferisce (non tutti, ma, significativamente, solo “tende” e “unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione”) rende evidente che la “continuità” consentita dalla disposizione quale da ultimo novellata si riferisce a soste e soggiorni turistici che possono anche susseguirsi nel tempo, ma pur sempre contraddistinti, da un lato, dall’alternanza dei soggetti ospitati e, d’altro lato, dal normale avvicendamento, e spostamento, all’interno della struttura dei diversi moduli ricettivi amovibili. Che l’espresso riferimento al concetto di turismo utilizzato dal legislatore debba essere interpretato in questo senso lo si ricava sia dal significato comune del termine sia dai documenti internazionali, che – diversamente da quanto opinano i ricorrenti – non possono certo ritenersi superati e a cui questa Corte ha sovente fatto richiamo per interpretare la fattispecie  in esame (Sez. 3, n. 8970 del 23/01/2019, Scifoni, Rv. 275929;  Sez. 4, n. 13496 del 15/02/2017, Chiesa, Rv. 269399; Sez. 3, n. 41479 del 24/09/2013, Valle, Rv. 257734). Diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, dunque, la previsione oggi vigente riferita ai manufatti collocati in strutture ricettive all’aperto non deroga alla necessità che gli interventi di trasformazione del territorio sottratti al regime del permesso di costruire debbano avere natura temporanea, ma specifica nei modi anzidetti questo requisito con riguardo alle tipiche strutture utilizzate dai turisti che fruiscono di quelle aree ricettive.
Del tutto correttamente, dunque, l’ordinanza impugnata ha ritenuto che alla previsione de qua sia estranea, pur in un’area turistica ricettiva,  “la stabile installazione di manufatti formalmente mobili ma trasformati in immobili”, di casette, peraltro concretamente prive del carattere dell’amovibilità, “oggettivamente destinate a soddisfare un bisogno non temporaneo degli indagati”, che – attesta il provvedimento impugnato – le avevano acquistate ed affittavano con contratti annuali le piazzole di sosta sulle quali le stesse erano state installate, “stabilmente collegate alle utenze, fissate alle piazzole mediante bullonatura, sorrette da cavalletti in ferro e blocchi di cemento nonché da strutture stabili di supporto”, mai spostate nel corso degli anni tanto da aver realizzato, «in definitiva, il sorgere di uno stabile complesso residenziale contra legem». Nel caso di specie, il giudice del merito cautelare, con giudizio di fatto qui non sindacabile, neppure – come noto – nei comunque ristretti termini di logicità della motivazione, ha attestato uno stabile collegamento al terreno delle strutture e, comunque, l’assenza di meccanismi di rotazione e una destinazione diversa da quella, della sosta e del soggiorno di turisti, tipica delle attività ricettive per le quali soltanto opera la presunzione di temporaneità dettata dalla legge.

2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al "fumus" del reato ipotizzato relativamente a tutti gli elementi della fattispecie contestata, sicché lo stesso giudice può rilevare anche il difetto dell'elemento soggettivo del reato, ma a condizione che esso emerga "ictu oculi" (Sez.  3, n. 26007 del 05/04/2019, Pucci, Rv. 276015; Sez.  2, n. 18331 del 22/04/2016, Iommi e a., Rv. 266896; Sez.  4, n. 23944 del 21/05/2008, Di Fulvio, Rv. 240521).
L’ordinanza impugnata si è attenuta a tale principio e (pagg. 10-11) ha motivato in ordine alla sussistenza quantomeno della colpa, stante la consapevolezza dei ricorrenti circa la stabilità delle strutture da loro acquistate e stabilmente mantenute nel campeggio, con conseguente impossibilità – alla luce del sommario giudizio tipico di questa fase cautelare – di poterne ritenere la buona fede nonostante il comportamento degli organi comunali.

3. Il terzo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Già si è detto che l’ordinanza: ha argomentato che le casette erano stabilmente ancorate al suolo; ha fatto – corretta – applicazione dell’art. 3, comma 1, lett. e.5 TUE quale da ultimo novellato; ha argomentato sull’impossibilità di ritenere il legittimo affidamento dei ricorrenti in base agli atti adottati dal Comune.
E’ poi scarsamente rilevante – ai fini della sussistenza del fumus del reato siccome ipotizzato – che l’area su cui insiste l’intervento, di cui si attesta comunque il vincolo paesaggistico, fosse o meno, in tutto o in parte, classificata come arenile, ciò che, comunque, l’ordinanza, con giudizio di fatto qui insindacabile, attesta (pag. 6).
L’ordinanza parimenti risponde sull’obiezione che le casette non sarebbero state accessibili ai proprietari al di fuori del periodo estivo, reputandola irrilevante stante l’accertata permanenza delle stesse in loco durante tutto il corso dell’anno.

4.  Quanto all’ultimo motivo, lo stesso è in parte inammissibile, perché il sequestro non è stato disposto in quanto finalizzato alla confisca – sicché non rileva l’invocato art. 1, del primo Protocollo CEDU – e in parte infondato, in quanto la motivazione sul periculum in mora giustificato dall’aumento del carico urbanistico è corretta in diritto (cfr. Sez.  3, n. 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812; Sez.  3, n. 6599 del 24/11/2011, dep. 2012, Susinno, Rv. 252016) e sufficiente a giustificare la misura. In particolare, nella parte in cui si osserva che occorre impedire la libera disponibilità delle casette, si è implicitamente ritenuta inadeguata la restituzione sub condicione.

5. I ricorsi, complessivamente infondati, debbono pertanto essere rigettati con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
Così deciso il 15 giugno 2022.