Cass. Sez. III n. 13759 del 4
aprile 2007 (Ud. 6 mar. 2007)
Pres. Lupo Est. Petti Ric. Fagnoni
Beni Ambientali. Impianto
sanzionatorio e ignoranza inevitabile
La previsione di un'unica sanzione per le diverse violazioni
contemplate nell'articolo 163 del decreto legislativo n 490 del 1999 (ora art 181
del decreto legislativo n 42 del 2004), trova giustificazione nella rilevanza
pubblica dei beni protetti e nel carattere immediato ed
interinale della tutela che il legislatore ha inteso apprestare per l'urgente
necessità di reprimere condotte in grado di apportare gravi danni all'integrità
ambientale . D'altra parte, la previsione di un'unica sanzione per
comportamenti diversi non è irragionevole perché l'articolo 20 legge n. 47 del 1985
(ora articolo 44 del testo unico dell'edilizia) richiamato dall'articolo 163
decreto legislativo n. 490 del 1999 prevede diverse ipotesi e comunque quella
applicabile alla fattispecie ossia la lettera C) presenta un notevole divario
tra il limite minimo e quello massimo, per cui è possibile per il giudice graduare
la pena al caso in concreto a norma degli artt 132 e 133 C.P..
L'ignoranza inevitabile della legge non può essere
invocata perché colui il quale intraprende un'attività ha l'obbligo di
informarsi con diligenza sulla normativa che disciplina quell'attività e, nel
caso di dubbio, di astenersi dal porre in essere la condotta. L'assenso al
taglio del bosco da parte degli agenti del Corpo forestale , dedotto come causa
dell'errore, riguardava il taglio del legname in un bosco ceduo che è cosa diversa
dall'estirpazione delle ceppaie e quindi non può giustificare la condotta
ascritta agli imputati
Udienza
pubblica del 6/03/2007
REG. GENERALE N.31295/05
SENTENZA N. 691
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta dai sigg. magistrati:
Dott. Ernesto
Lupo
presidente
Dott: Ciro
Petti
consigliere
Dott. Alfredo
M.Lombardi
consigliere
Dott. Aldo
Fiale
consigliere
Dott. Margherita
Marmo
consigliere
Ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso proposto dal difensore di Fagnoni Tomaso Giovanni, nato a
Divignano (NO) il 24 giugno del 1936, avverso la sentenza della Corte
d'appello di Torino del 23 febbraio del 2005;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Ciro Petti;
sentito il sostituto procuratore generale dott. Vittorio Meloni, il
quale ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
letti il ricorso e la sentenza denunciata , osserva quanto segue:
IN FATTO
Con sentenza del 23 febbraio del 2005, la Corte d'appello di Torino
confermava quella pronunciata dal tribunale di Novara il 13 luglio del
2004, con cui Fagnoni Tomaso Giovanni e Zambolin Moreno,erano stati
condannati alla pena di giorni trenta di arresto ed € 8000,00
di ammenda, quali responsabili, in concorso di circostanze attenuanti
generiche, del reato di cui all'art. 163 decreto legislativo n. 490 del
1999, per avere, in concorso tra loro, il primo quale proprietario ed
il secondo quale esecutore delle opere, effettuato lavori di
dissodamento, livellamento e sradicamento di ceppaie su un terreno
coperto da boschi di mq 4500. Fatto accertato in località
Divignano il 24 ottobre del 2001.
La corte territoriale, per quanto ancora rileva in questa sede, dopo
avere dichiarato manifestamente infondata l'eccezione
d'illegittimità costituzionale dell'articolo 163 del decreto
legislativo n 490 del 1999 sollevata dall'appellante, osservava che
nella fattispecie non ricorreva l'ipotesi di errore inevitabile dedotta
dai prevenuti, in quanto il fatto che l'acquirente del legname avesse
chiesto agli agenti della forestale se potesse tagliare il bosco ed
avesse ricevuto risposta affermativa non giustificava gli imputati
poiché gli agenti avevano fatto riferimento al taglio di un
bosco ceduo e non all'estirpazione di ceppaie che è cosa
completamente diversa;che la pena non poteva essere ulteriormente
ridotta essendo già contenuta in misura prossima al minimo
e, d'altra parte, l'estirpazione aveva interessato una superficie di
4500 mq.
Ricorre per cassazione il solo Fagnoni per mezzo del proprio difensore
sulla base di tre motivi.
Con il primo ripropone l'eccezione d'illegittimità
costituzionale dell'articolo 163 decreto legislativo n. 490 del 1999
per la violazione del principio di ragionevolezza di cui all'articolo 3
della Costituzione e di determinatezza della fattispecie,
perché la norma sottopone alla stessa sanzione penale tutte
le modifiche e le alterazioni effettuate mediante opere non
autorizzate, a prescindere dall'incidenza concreta sull'ambiente: in
proposito precisa che la decisione della Corte costituzionale citata
dai giudici del merito non è influente perché
pronunciata in relazione ad un fatto diverso e più grave di
quello in esame.
Con il secondo motivo deduce la violazione dell'articolo 47 1°
comma c.p. per il mancato riconoscimento dell'ignoranza inevitabile
della legge.
Con il terzo la violazione della norma incriminatrice perché
il fatto non era tanto grave da giustificare la sanzione di cui alla
lettera e) dell'articolo 20 in luogo di quella di cui alla lettera a)
del medesimo articolo, posto che nella fattispecie in esame il bosco
era stato trasformato in terreno agricolo.
IN DIRITTO
Il ricorso, al limite dell'ammissibilità, è
comunque infondato e va pertanto respinto.
Con riferimento all'eccezione di illegittimità
costituzionale della norma incriminatrice si rileva che della
questione, come già precisato dalla corte territoriale, si
è già occupato il Giudice delle leggi il quale
l'ha sempre dichiarata manifestamente infondata sotto tutti i profili
che erano stati sottoposti al suo esame.
Per quanto concerne il profilo d'incostituzionalità
riproposto con il ricorso, premesso che non rileva ai fini della
valutazione della costituzionalità della norma la
circostanza che il fatto che in passato aveva provocato la pronuncia
della Consulta fosse diverso da quello attuale, va ribadito che la
previsione di un'unica sanzione per le diverse violazioni contemplate
nell'articolo 163 del decreto legislativo n 490 del 1999 (ora art 181
del decreto legislativo n 42 del 2004), trova giustificazione nella
rilevanza pubblica dei beni protetti e nel carattere immediato ed
interinale della tutela che il legislatore ha inteso apprestare per
l'urgente necessità di reprimere condotte in grado di
apportare gravi danni all'integrità ambientale. D'altra
parte, la previsione di un'unica sanzione per comportamenti diversi non
è irragionevole perché l'articolo 20 legge n. 47
del 1985 (ora articolo 44 del testo unico dell'edilizia) richiamato
dall'articolo 163 decreto legislativo n. 490 del 1999 prevede diverse
ipotesi e comunque quella applicabile alla fattispecie ossia la lettera
c) presenta un notevole divario tra il limite minimo e quello massimo,
per cui è possibile per il giudice graduare la pena al caso
in concreto a norma degli artt 132 e 133 c.p. (cfr. Corte
Costituzionale n 285 del 1991).
Relativamente al secondo motivo si osserva che
l'inevitabilità dell'errore sulla legge penale, riconosciuto
in determinate circostanze dalla sentenza n. 364 del 1988 della Corte
Costituzionale, non costituisce una causa indiscriminata di
scusabilità, ma deriva da particolari situazioni in cui il
predetto errore diventa inevitabile. Nella fattispecie l'ignoranza
inevitabile della legge non può essere invocata
perché colui il quale intraprende un'attività ha
l'obbligo di informarsi con diligenza sulla normativa che disciplina
quell'attività e, nel caso di dubbio, di astenersi dal porre
in essere la condotta (cfr Cass. 28397 del 2004). L'assenso al taglio
del bosco da parte degli agenti del Corpo forestale, dedotto come causa
dell'errore, riguardava il taglio del legname in un bosco ceduo che
è cosa diversa dall'estirpazione delle ceppaie e quindi non
può giustificare la condotta ascritta agli imputati.
Per quanto concerne infine il terzo motivo, si osserva che il rinvio
all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, effettuato dall'art. 1
sexies del DI. 27 giugno 1985 n. 312, convertito nella legge 8 agosto
1985 n. 431, successivamente sostituito dall'art. 163 del D.Lgs 29
ottobre 1999 n. 490 ed ora dall'articolo 181 del decreto legislativo n
42 del 2004, allo scopo di individuare la sanzione applicabile alle
violazioni ivi contemplate, deve intendersi nella fattispecie relativo
alla sanzione prevista dalla lettera c) del citato art. 20, trattandosi
d'intervento effettuato senza alcuna autorizzazione. D'altra parte non
è possibile, attesa la differenza sostanziale della tutela
giuridica del paesaggio rispetto alla disciplina edilizia per la
diversità di scopi, di presupposti e di oggetto, alcuna
trasposizione di istituti tra le due discipline ed, in particolare, il
trasferimento di un regime sanzionatorio graduato in relazione a varie
tipologie di interventi edilizi al reato ambientale, per il quale il "vulnus"
all'assetto paesaggistico non è dipendente dal grado di tali
interventi (cfr Cass.n 30866 del 2001).
P.Q.M.
LA CORTE
Letto l'articolo 616 c.p.p.
Rigetta
Il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 6 marzo del 2006
Depositato in Cancelleria il 4/04/2007