LA RIDUZIONE DELLA PARTE VARIABILE DELLA TARIFFA E PROPORZIONALITA’ DELLA STESSA: UNA ERRATA INTERPRETAZIONE DOVUTA ALLA SCONOSCENZA GESTIONALE DEL MECCANISMO TARIFFARIO.

 

di Alberto PIEROBON


 

Alberto Pierobon per Gazzetta enti locali on line

 

Recentemente il  TAR, Veneto, Sez. 3^, con sentenza del 18 febbraio 2010, n.903 (depositata il 24 marzo 2010) ha avuto modo di intrattenersi sulla questione della proporzionalità della riduzione della tariffa per la gestione dei rifiuti ove l’utente (produttore di rifiuti assimilati) avvii i propri rifiuti (parzialmente o totalmente) al recupero presso soggetti (idonei e autorizzati) terzi.

 

La sentenza, a noi pare essere un’esempio di una sorta di sillogismo giuridico svolto sulla base di elementi meramente formali, non consideranti (ovvero ignorando) la architettura del sistema tariffario (e la alchimia contabile), ma pure i “valori” (soprattutto di indole comunitaria) sottostanti al medesimo sistema e/o a certune scelte, elementi tutti che, comunque, assumono rilevanza anche formale.

 

In altri termini, si vuole dire che, laddove i proponenti (una società operante nella gestione dei rifiuti che chiedeva l’annullamento dei provvedimenti comunali riguardanti la tariffazione) avessero (salvo nostra sconoscenza di quanto  essi abbiano effettivamente prodotto in sede contenziosa, per quanto non evincibile dal testo della pronuncia) diversamente prospettato la vicenda e lumeggiato l’ambito problematico della stessa, ovvero, se il Collegio avesse avuto maggior conoscenza (non limitata, come pare essere avvenuto, alla “prima” istologia delle norme “base”) e contezza del sistema tariffario, gli esiti del ricorso,a nostro avviso, potrebbero essere stati (a buona ragione) arrovesciati.

 

Siccome la questione assume indubbia rilevanza per i Comuni e per gli operatori tutti (oltre che per gli utenti e loro associazioni) vogliamo succintamente qui contribuire a indicare i tratti minimi della argomentazione che, a nostro modesto avviso, sarebbe stata tralasciata o ignorata[1].

 

Nella prefata sentenza viene essenzialmente affermato:

 

a)      la competenza del Consiglio Comunale (ex art.42, lett.”f” del D.Lgs. 18 agosto 2000, n.267) e non della Giunta la introduzione di coefficienti di riduzione per effetto del conferimento a terzi di rifiuti recuperabili, ciò in quanto vi sarebbe <un potere discrezionale di carattere normativo> piuttosto che <un’attività di carattere provvedimentale meramente attuativo ed esecutivo della disciplina predeterminata a livello legislativo e regolamentare, quale quella consistente nella fissazione della tariffa da individuare secondo i criteri di copertura dei costi di servizio indicati dal DPR 27 aprile 1999,n. 158>;

b)     la non fondatezza dell’assunto <secondo il quale la normativa vigente imporrebbe una riduzione direttamente proporzionale tra quantità avviate a recupero e riduzione della tariffa (..) atteso che l’art.7, comma 2, del D.P.R. 27 aprile 1999, n.158, demanda all’ente locale il compito di determinare discrezionalmente un coefficiente di riduzione, il che implica di per sé che non vi è l’inderogabile necessità di una corrispondenza automaticamente proporzionale tra quantitativi avviati al recupero e quantità della riduzione. Peraltro, come è stato osservato in un caso analogo (cfr. Tar Puglia, Lecce, Sez.I, 25 ottobre 2004, n.7452, punto 7 in diritto), la mancata previsione di una esenzione totale può trovare una sua giustificazione nella commisurazione della parte di tariffa variabile di una quota di costi fissi (quali ad es. i costi di raccolta e trasporto CRT di cui al punto 3 dell’allegato I del DPR 27 aprile 1999, n.158)>.

 

Ci interessa, come detto, soffermarci su questo ultimo aspetto.

 

Giova rammentare che i Comuni hanno la facoltà di istituire dei servizi integrativi per lo smaltimento dei rifiuti speciali assimilati , con obbligo in tale caso di conferimento da parte dei detentori al gestore di tali servizi e previo convenzionamento con quest'ultimo, salvo l'autosmaltimento e/o il conferimento a terzi autorizzati.

Per l’assimilazione vale ancora (stante la mancata emanazione del previsto decreto statale) la deliberazione 27 luglio 1984  del Comitato interministeriale. Inoltre, nel cosiddetto “Codice ambientale”, ovvero D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 ss.mm. e ii.,  il Regolamento comunale ex art.198, comma 2, lett.”g”  deve essere assunto nel rispetto dei criteri di cui all’art.195, comma 2, lett.”e”.

Nella previgente normativa, ovvero il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n.22 (cosiddetto decreto “Ronchi”) l’oggetto della privativa ( cfr. art.21, primo comma, cit. D.Lgs. 22/97) era la <gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti speciali avviati allo smaltimento> (sottolineatura nostra), nettamente attribuendo solamente ai secondi la dizione <avviati allo smaltimento>.

Tale ultima espressione sarebbe stata priva di significato normativo se l'assimilazione avesse implicato una gestione dei r.a. identica a quella dei r.u., la quale ultima com'è noto si estendeva a tutte le fasi della raccolta, del trasporto, del recupero e dello smaltimento dei rifiuti.

In secondo luogo, il comma 7° del medesimo art.21, stabiliva espressamente che la privativa <non si applica alle attività di recupero dei rifiuti che rientrino nell'accordo di programma di cui all'art.22, comma 11, ed alle attività di recupero dei rifiuti assimilati> (sottolineatura nostra).

Infine, l'art.49, comma 14° del cit. decreto “Ronchi”, il quale a sua volta prevedeva che <sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di avere avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi>,(sottolineatura nostra); di nuovo è superfluo stare a sottolineare come tale ultimo soggetto non poteva che essere un terzo autorizzato all'attività di recupero e non certo il gestore del servizio pubblico.

Non v'era dubbio, pertanto, in ordine alla possibilità per i produttori e/o detentori di conferire i r.a. ai terzi autorizzati per le attività di recupero, possibilità che evidentemente implicava anche quella della raccolta e del trasporto dei r.a. da recuperare. Ne conseguiva che la privativa, per quanto inerisce ai r.a., rimaneva necessariamente limitata alla sola fase dello smaltimento: deposito in discarica, incenerimento, eccetera[2].

Infine, è appena il caso di notare, come un obbligo di conferimento di tutti i r.a. al gestore del servizio pubblico non potrebbe venire imposto con una norma regolamentare ai sensi dell'art.21 D.Lgs., dato che si tratterebbe di una scelta organizzativa che, in quanto non consentita da una specifica norma di legge, sarebbe in palese violazione all'art.43 Costituzione (Consiglio di Stato, Sez. V, 27/01/1986, n.71).

Inoltre, l'ipotizzata estensione della privativa non potrebbe avvenire nemmeno per norma di legge regionale e/o del combinato disposto dagli artt.1, comma terzo, e 85 D.Lgs. n.112/1998[3], dato che: per un verso, le citate disposizioni (limitative della privativa de qua) si atteggiano come dei principi fondamentali della materia e, dall'altro, la riserva di legge (statale) voluta dall'art.43 Cost. implica l'impossibilità di stabilire una privativa con legge regionale [4].

Va però notato come il produttore e/o il detentore potrebbe venire indotto a preferire il conferimento dei r.a. al gestore del servizio pubblico (fin dalla fase della raccolta) non soltanto dalla presumibile convenienza economica, sibbene anche perché in tale caso essi si liberano immediatamente da ogni responsabilità in ordine ai rifiuti conferiti (art.188, comma terzo, D.Lgs. n.152/2006) rimangono esonerati dalla dichiarazione annuale per il catasto dei rifiuti  (art.189, comma quinto D.Lgs. cit.)[5].

Merita solo aggiungere che le osservazioni dianzi accennate tengono conto delle conformi opinioni espresse non soltanto dalla dottrina specializzata in materia  ma pure in sede ministeriale: in particolare dalla Circolare 07/05/1998 n.119/E Min. Finanze (in G.U. 11/05/1998 n.107) ove si afferma che <...nonostante la dichiarata assimilazione, l'operatore economico può sottrarsi alla privativa comunale (art.21, comma 7, del decreto legislativo n.22/1997) e quindi alla tassazione (totalmente o parzialmente), qualora dimostri di avviare effettivamente e correttamente al recupero, in tutto o in parte, i rifiuti assimilati. Parimenti il Comune potrà prevedere, nel regolamento o nella tariffa, la possibilità di percentuali di sgravio o rimborso a seconda dell'entità dei rifiuti avviati al recupero, come già chiarito con la citata circolare n.95/E del 22 giugno 1994 per le riduzioni tariffarie in caso di avvio al recupero dei ''residui>.

In buona sintesi:

 

a)    l'assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani necessita - anche all’attuale - di una specifica previsione regolamentare locale, sulla base dei criteri di cui al paragrafo 1.1. Del. C.I. 27/07/1984, e può riguardare tutti i locali a destinazione diversa da quella di civile abitazione, ivi compresi quelli a destinazione industriale;

b)    i produttori e/o detentori dei r.a. sono obbligati ad utilizzare il servizio pubblico in privativa solo per la fase dello smaltimento, mentre per le fasi precedenti della gestione, segnatamente per il recupero e la raccolta a questo preordinata, possono conferire i r.a. anche a terzi autorizzati per il recupero.

 

In tale ultimo caso, per usufruire di una riduzione della tariffa altrimenti dovuta per intero[6], essi hanno l'onere di dimostrare l'entità dei r.a. effettivamente conferiti ai terzi autorizzati per il recupero.

In proposito vedasi la risoluzione Ministero Finanze- Dip.Entrate -Dir.Centr.Fiscalità locale n.16/E/III/5/195381/98 del 09/02/1999[7]secondo la quale <l'esonero della privativa comunale, previsto dall'art.21, comma 7 (...) non può essere circoscritto ai rifiuti delle imprese che svolgono l'attività di recupero, ma va riferito al regime da riservare a tutti i rifiuti che sono oggettivamente ed effettivamente avviati ad attività di recupero direttamente da parte dell'operatore economico, semprechè si tratti di rifiuti espressamente assimilati con apposita deliberazione comunale (...)>.

L'esonero dalla privativa comunale per avvio al recupero:

 

1)    è determinato in concreto dal successivo verificarsi della condizione dell'effettivo e documentato avvio al recupero dei rifiuti presso soggetti autorizzati, che abbiano controfirmato il formulario di identificazione o, in mancanza, altro idoneo documento (registro carico/scarico, M.U.D.,convenzione o contratto con terzi, ecc.[8]);

2)    comporta l'esclusione dall'obbligo di conferire al servizio pubblico i rifiuti assimilati avviati al recupero e conseguentemente il diritto ad una riduzione a consuntivo della tarsu-tia, come già chiarito fin dal 1994 con la circolare n.95/E del 22 giugno 1994 (riferita però ai residui allora non qualificati come rifiuti) e ribadito con le circolari n.268/E del 1995 e n.119/E del 1998;

3)    non comporta invece la prospettata detassazione ai sensi dell'art.62, comma 3, del D.Lgs. n.507/1993 delle superfici produttive dei rifiuti assimilati, in quanto non si tratta di rifiuti speciali fin dall'origine ed il regime di rifiuto assimilato continua ad operare ad ogni effetto per i produttori, che non avviano al recupero i rifiuti del medesimo tipo e che pertanto sono tenuti a conferirli  - senza riduzione tariffaria -  al servizio pubblico per lo smaltimento ovvero per la raccolta differenziata ed il recupero cui sono obbligati anche i Comuni.

 

La riduzione dell’ammontare della tarsu o della tariffa[9] è prevista da norme di legge, ed è obbligatoria, ma la sua determinazione va disciplinata da una norma regolamentare, non potendo il funzionario responsabile del tributo direttamente determinare la riduzione della tariffa in base ad un criterio meramente proporzionale alla quantità e qualità dei rifiuti assimilati avviati al recupero direttamente dall'operatore (criterio che incide limitatamente alla quota variabile della futura tariffa), in quanto occorre tenere conto dei costi fissi e generali del servizio e dei costi dei servizi collettivi o comuni coperti dalla tassa ed in futuro dalla tariffa (ad esempio, spazzamento della viabilità pubblica, del verde pubblico e dei cimiteri, dei costi di manutenzione delle discariche esaurite e di finanziamento dell'investimento nonché dell'attività di controllo sulla gestione).

Tali costi rimangono, sia pure in parte, a carico degli operatori, anche se in ipotesi dimostrino di avere avviato al recupero tutti i rifiuti assimilati (ottenendo la riduzione della tassa o l'esonero completo della quota variabile della tariffa) oltre alla gestione in proprio degli eventuali rifiuti speciali e pericolosi.

Ed è anche la Circolare Ministero delle Finanze, Dipartimento Entrate in data 21.05.1999, n.111 che al punto III° così si esprime:

 

<In merito al regime fiscale applicabile nel caso di rifiuti urbani assimilati ai sensi dell'art.21, comma 2, lett.h, del D.Lgs. n.22/97 si ribadisce, in relazione a talune incertezze sorte nella prassi, che l'esonero dalla privativa comunale (esclusione dall'obbligo di conferire al servizio pubblico di tali rifiuti) ha luogo soltanto nel caso che sia dimostrato a consuntivo l'avvio al recupero attraverso idonea documentazione (art.10, commi 3 e 15, del D.Lgs. 22/97 o, qualora non sia previsto l'obbligo del formulario di identificazione, altra documentazione con attestazione di ricevuta da parte dell'impresa, incaricata del trattamento), fermi restando la qualificazione ed il regime di rifiuto assimilato, che continua ad operare nei confronti dei soggetti che non destinano al recupero i rifiuti predetti. Di conseguenza spetta al produttore che ha avviato oggettivamente ed effettivamente i rifiuti al recupero, non la detassazione di superfici ma una riduzione della misura di tariffa (art.67, comma 2, del D.Lgs. n.507/93 e art.49, comma 14, del D.Lgs. n.22/97), sulla base dei criteri da stabilire con un'apposita norma regolamentare (circolari n.95/E del 22.6.1994 e n.119/E del 7.5.1998) che tenga conto, da una parte, della non proporzionalità dei costi generali, fissi, collettivi e comuni e, dall'altra, dell'esigenza di incentivare il riciclo dei rifiuti rapportando proporzionalmente la riduzione all'entità del recupero rispetto alla produzione complessiva dei rifiuti.

Circa la misura della riduzione della tassa [ si badi: tarsu N.d.A.] si ritiene, per quanto sopra detto e per esigenze di semplificazione, che la stessa possa essere calcolata in base ad un coefficiente attenuato di proporzionalità ai rifiuti destinati al recupero, eventualmente ancorato alle percentuali obbligatorie di raccolta differenziata e di recupero e riciclo prescritte  dalle direttive comunitarie (artt.24 e 37 del D.Lgs. 22/97). Il valore massimo di tale coefficiente va comunque determinato in modo che, anche nel caso di documentato recupero totale dei rifiuti assimilati, non comporti l'esonero integrale del prelievo per tener conto del residuo carico relativo ai costi  comuni e collettivi da coprire con la tassa (vedi anche risoluzione n.16/E del 9.2.1999). Nel caso della tariffa sperimentale (art.49, comma 14 del D.Lgs. 22/97) o di applicazione del  metodo dei rifiuti effettivamente conferiti di cui all'art.65, comma 1, seconda parte, del D.Lgs. n.507/93, la determinazione della riduzione è facilitata dall'introduzione delle quote, fissa e variabile, di tariffa>.

L’art.49, comma 14, del D.Lgs. 22/1997 prevedeva l’applicazione di <un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato a recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi>.

Il D.P.R. 27 aprile 1999, n.158 <Regolamento recante norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani>, all’art.7  (agevolazioni e coefficienti di riduzione)  così recita:

<1. Gli enti locali assicurano le agevolazioni per la raccolta differenziata previste al comma 10 dell'articolo 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, attraverso l'abbattimento della parte variabile della tariffa per una quota, determinata dai medesimi enti, proporzionale ai risultati, singoli o collettivi, raggiunti dalle utenze in materia di conferimento a raccolta differenziata. 2. Per le utenze non domestiche, sulla parte variabile della tariffa è applicato un coefficiente di riduzione, da determinarsi dall'ente locale, proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato a recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l'attività di recupero dei rifiuti stessi. 3. L'ente locale può elaborare coefficienti di riduzione che consentano di tenere conto delle diverse situazioni relative alle utenze domestiche e non domestiche non stabilmente attive sul proprio territorio>.

Si tenga inoltre presente, per tutti i tributi, il disposto dell’art.1, comma 86, della Legge 549/1995 ove <i Comuni possono deliberare agevolazioni sui tributi di loro competenza sino alla totale esenzione per gli esercizi commerciali ed artigianali situati nelle zone precluse al traffico a causa dello svolgimento di lavori per la realizzazione di opere pubbliche che si protraggono per oltre sei mesi>.

Le stime di riscossione dei proventi tariffari allorquando la disposizione sarà “operativa”[10] poi condizionate dalla previsione dell’art.238, comma 10, del D.Lgs. 152/2006, ove <Alla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi>.

Si noti che la riduzione deve rispettare anche il principio di eguaglianza e che laddove, per disciplina regolamentare, introduca un favor essa va accompagnata alla possibilità finanziaria di sostenere la riduzione del gettito conseguente alla disciplina di favore, però questa interpretazione risulta essere minoritaria, oltre che non accoglibile, in quanto in violazione del noto principio della riserva di legge[11].

Inoltre, il  mancato gettito non può essere spalmato sugli altri utenti (cfr. per la tarsu l’art.67, comma 3 D.Lgs. 15/11/1993, n.507).

Tale riduzione che, come notato, riveste carattere obbligatorio, opera nella tariffa per la sola parte variabile, con un criterio di proporzionalità, tant’è che sembra essere più che opinabile, sotto vari profili, una determinazione della riduzione meno che proporzionale di questa quota variabile, oppure laddove siano posti dei “limiti”, quali ad esempio: il rimborso non può essere superiore ad una certa percentuale della quota variabile pur versandosi in una situazione di completo mancato conferimento di rifiuti,ecc., oppure, ancora, la riduzione percentuale della quota variabile non potrà comunque essere totale (al 100%) ma, al massimo l’80% , eccezion fatta se i rifiuti vengano ad essere conferiti ai servizi integrativi svolti dal servizio pubblico, nel qual caso la riduzione potrà essere totalitaria, e così via.

 

Contro queste criticabili scelte (in realtà infingimenti tesi a sostenere/incentivare un regime monopolistico di servizio, oltre che a “trattenere” commercialmente ed economicamente utenti, servizi, rifiuti) sono stati invocati i principi di equità, di rispetto dell’ìniziativa economica privata, di non distorsione concorrenziale del mercato e altre considerazioni  connesse alla trasparenza, alla corretta imputabilità dei costi e dei ricavi e al loro ribaltamento (con criterio di indifferenza, del pareggio economico) secondo la logica del metodo normalizzato di cui al D.P.R. 158/1999, eccetera.

Ma, soprattutto, occorre  tenere bene presente la natura delle due diverse quote tariffarie, oltre che la natura, la composizione e l’allocazione dei costi e dei ricavi ivi trasfusi (nella scomposizione binomia) tramite la griglia-nomenclatore prevista dal D.P.R. 158/1999 (la quale, si badi, non può essere sostituita a livello di regolamento comunale) e quindi anche il suo sistema di calcolo da parte degli enti locali o soggetti da essi delegati[12].

In buona sintesi: la quota variabile della tariffa riveste natura premiante-incentivante, mentre la quota fissa ha natura e funzione redistributiva-solidaristica, in questa ultima affluiscono tutti i costi generali e comuni.

Ragion per cui, nel caso di tariffa, è solamente la quota variabile, che accoglie i costi variabili connessi ai servizi relativi alle tipologie di rifiuti per i quali  - in seguito al loro conferimento a terzi per il recupero - si chiede anche la riduzione, è soggetta alla riduzione di cui trattasi, in modo proporzionale, senza infingimenti contabili e regolamentari tali da avvantaggiare solo il gestore (chiunque esso sia) e da penalizzare l’utente.

Erronea è la considerazione per la quale nella quota variabile ci sarebbe una quota di costi fissi, proprio perché la natura e la composizione della quota variabile non consentirebbe questa scelta contabile che, invece, riguarda la quota fissa (la quale ultima, come notato, ha ben altra natura, altra funzione, altra redistribuzione: è questo che vuole il legislatore tendendo alla copertura dei costi dei servizi in una logica certamente tributaria, ma anche ambientale).

In effetti, volendo intrattenersi sul punto 3, dell’allegato I, al DPR 158/1999, laddove si ha riguardo ai CRT (costi di raccolta e di trasporto RSU) in essi rientrano i soli <costi operativi>, non quelli fissi. E l’affermazione (in punto 7, parte “diritto”) della sentenza (richiamata dalla pronuncia del TAR Veneto qui in esame) del TAR Puglia, Sez.Lecce, 25 ottobre 2004, n.7542 ove <Anche la normativa in materia, dunque, sembra escludere per questi casi l’ipotesi di una completa esenzione dal pagamento della tariffa> non può essere intesa, appunto, se non nel senso che solamente i costi operativi (che dovrebbero essere i soli contenuti nella parte variabile della tariffa)  e non quelli fissi (che sono, invece, contenuti nella parte fissa della tariffa) possono essere, in caso di avviamento a recupero dei rifiuti da parte delle utenze non domestiche, ridotti con criterio proporzionale.

Diversamente, rimarrebbe (a nostro avviso ingiustificativamente) in capo al soggetto gestore (o al Comune) una quota tariffaria sganciata dall’effettivo servizio come concretamente inteso e svolto, senza poi voler esaminare altre situazioni dove i costi vengono “miscelati” tra loro, ripartiti con criteri non rispettosi del D.P.R. 158/1999 (con l’espediente dello sperimentalismo o della tariffa cosiddetta “puntuale”) e così via.

Se poi si volesse affermare, come fa taluno, sconoscendo (intenzionalmente o colpevolmente che sia) i meccanismi concreti di modulazione di un servizio pubblico, che questi costi (di raccolta e di trasporto) sarebbero “incomprimibili” poichè nel contratto di affidamento al gestore del servizio di raccolta e di trasporto (o in quello complessivo della gestione del sistema integrato) sono previste attività di fermata,di raccolta e di trasporto dei rifiuti assimilati, per tutta la platea di utenza indicata (dimensionata) all’epoca dell’affidamento (esempio n.1000 produttori di r.a.) e che ora, per effetto di scelte effettuate da parte dei suddetti produttori di r.a. (per esempio n.200 che fuoriescono, in quanto “scelgono”[13] di avviare i propri rifiuti ad un terzo per il recupero), questo servizio verrebbe ad essere diminuito (e quindi portato nell’esempio a 800 utenze r.a. “ancora” servite dal servizio pubblico) basta limitarsi a ricordare che:

 

a)      l’affidamento può essere congeniato come concessione di servizi (non come appalto) e quindi con possibilità (ex ante palesata e dimensionata/dimensionabile) di diminuzioni/aumenti di servizi (al di là del cosiddetto “quinto d’obbligo” ..) senza ricadute negative per il concedente (mentre il concessionario assume rischio di impresa, autonomia imprenditoriale, eccetera) ovvero in un rapporto meno commutativo e più sinallagmatico,ovvero dotato di elementi di aleatorietà (per i 200 utenti che “vengono meno”);

b)     comunque la riduzione tariffaria (per i 200 utenti di cui all’esempio) avviene, in concreto, secondo tempistiche tali da consentire, quantomeno una non incisione immediata nel budget del gestore e quindi del concedente, ovvero consentendo allo stesso di organizzarsi, per tempo, anche economicamente e finanziamente (qualcheduno istituisce ex ante appositi fondi, altri operano a consuntivo, eccetera);

c)      esistono altri espedienti tecnico-organizzativi ipotizzabili a monte dell’affidamento (anche ove il servizio si svolga in forme dirette e quindi non volendo assumere la cennata aleatorietà), per esempio, in termini di utilizzo del parco automezzi e della saturazione produttiva della squadre di lavoro, in modo flessibile e non vincolato alla sola raccolta e trasporto di r.a., senza quindi portare “scompiglio” nella gestione del soggetto che svolge il servizio de quo (qui il ragionamento si sposta dalla utenza alle risorse apprestate per i servizi programmati che possono andare al di là del dato numerico ovvero che possono diversamente funzionalizzarlo);

d)     la venuta meno delle 200 utenze non comporta di per sè un “buco” per il soggetto gestore, posto che i costi fissi (di ammortamento delle attrezzature e degli automezzi, loro finanziamento, ecc.) rimangono entro la quota fissa, diminuiranno invece i costi variabili (di carburante, di personale operativo dedicato, di usura dei pneumatici, eccetera), se poi questi costi variabili siano stati calcolati dal soggetto gestore tenendo conto di questa evenienza (perché, per esempio, l’ottimizzazione del tragitto derivante da servire 1000 utenze e non 800, la loro puntiformità spaziale nel territorio, incrociata con le tratte di percorrenza dell’autoveicolo e la saturazione di volume dei contenitori e di tempo della squadra operativa, eccetera, poteva consentire altre – o migliori, o maggiori - economie) è un altro discorso al quale, come chi abbia esperienza gestionale in materia ben sa, si può far fronte con altre scelte perlopiù organizzative, eccetera;

e)      i costi di cui trattasi (sia fissi che variabili: quindi sia in quota fissa che variabile) dovrebbero essere stati inseriti nel piano economico-finanziario della gestione integrata del servizio secondo i criteri (per natura, composizione, allocazione, ecc.) indicati dal più volte citato D.P.R. 158/1999, quindi al di là di (talvolta artificiose) scelte “amministrative” derivanti da procedure di gara (retaggio dei sistemi precedenti, ovvero senza la acquisizione dei costi/ricavi dei servizi secondo un p.e.f.) oppure per effetto dell’ignavia e/o dell’ignoranza relativa alla ri-classificazione dei costi/ricavi secondo la logica tariffaria;

f)       In pratica la diminuzione delle 200 utenze (sulle 1000 servite) comporta, grosso modo, solo una variazione in meno dei costi operativi (che vanno tutti calcolati però in modo corretto, secondo una logica contabile e non “burocratica” e/o “formalistica”) rimanendo fermi i costi fissi anzitempo calcolati, i quali però, in una logica efficientistica e imprenditoriale, dovrebbero anch’essi diminuire (per diversa utilizzazione dei beni,eccetera) portando virtuosamente ad una diminuzione dei costi pubblici del servizio, in questo caso per tutti (essendo la quota fissa redistribuita in modo diverso rispetto a quella variabile), piuttosto che a “tesoretti” derivanti da posizioni autoritative (addirittura per servizi non resi).

 

Non pare essere quindi la discrezionalità del Comune che deve coprire e fare da usbergo alle scelte di determinazione dei coefficienti di riduzione, portando erroneamente l’anzidetto sillogismo ad affermare che tale discrezionalità <implica di per sé che non vi è l’inderogabile necessità di una corrispondenza automaticamente proporzionale tra quantitativi avviati al recupero e quantità della riduzione>, semmai la discrezionalità potrebbe essere motivatamente esercitata in altra sede, ovvero nella concreta articolazione del servizio pubblico locale, il quale ultimo deve comunque rimanere rispettoso della natura, della funzione e della determinazione delle due diverse quote tariffarie, che vengono poi ad essere redistribuite all’utenza, non solo con criteri diversi, bensì con effetti (ambientali, non solo economici) che devono pertenere al soggetto titolare della funzione di cui trattasi, ovvero dallo stesso preventivamente apprezzati, valutati e consapevolmente adottati[14].

Infine, ma non da ultimo, si tenga presente anche l’aspetto “valoriale” connesso alla libertà dei soggetti non domestici (la loro iniziativa economica privata, la libera circolazione sul mercato dei rifiuti recuperabili, la possibilità di creare meccanismi virtuosi di feed-back tra le tariffe private e quelle pubbliche, eccetera) di rivolgersi per il recupero dei rifiuti al mercato, piuttosto che al servizio pubblico, libertà e iniziativa che verrebbero ad essere disincentivati, depressi, menomati, eccetera, laddove la riduzione de qua fosse intesa  (come ha erroneamente sostenuto poter essere anche il TAR Veneto) in modo meno che proporzionale, ovvero senza pienamente indirizzare a forme virtuose (e, si badi, coerenti alla tendenza normativa e giurisprudenziale comunitaria) i comportamenti tesi al recupero (non allo smaltimento) dei rifiuti assimilati, anche ricorrendo a soggetti non pubblici (purchè idonei, autorizzati, eccetera).

 

 


[1] Per una  recentissima ricostruzione dell’argomento si permette rinviare, oltre ai lavori ivi citati, all’apposito capitolo di A.PIEROBON, contenuto nel volume A.LUCARELLI-A.PIEROBON (a cura di), Governo e gestione dei rifiuti. Idee, percorsi, proposte, Napoli, 2009. Per un commento alla attuale disciplina tariffaria si veda A.PIEROBON, commento all’art.238, in N.LUGARESI-S.BERTAZZO (a cura di), Nuovo codice dell’ambiente, Rimini, 2009.

[2] Ragion per cui le espressioni leggibili all'art.18, comma secondo, lett. "d"  del D.Lgs. n. 22/1997("determinazione dei criteri qualitativi e qualiquantitativi per l'assimilazione ai fini della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani") - sottolineatura nostra - ed all'art.21, comma secondo, lett. "g" ("l'assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell'art.18" ecc.) D.Lgs. n.22/1997, vanno interpretate in modo coordinato con le disposizioni dianzi richiamate. Vale a dire nel senso che l'assimilazione valeva, anche ai fini della raccolta preordinata al recupero, per i soli r.a. che il produttore e/o detentore scelga, sin da tale fase, di conferire al gestore del servizio pubblico. Le medesime conclusioni valgono anche con l’avvento del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 ss.mm. e ii.

[3] <Sezione V - Gestione dei rifiuti - Art. 85. Funzioni e compiti mantenuti allo Stato 1. Restano attribuiti allo Stato, in materia di rifiuti, esclusivamente le funzioni e i compiti indicati dal decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, come modificato ed integrato dal decreto legislativo 8 novembre 1997, n. 389, nonche' quelli gia' attribuiti allo Stato da specifiche norme di legge relative a rifiuti radioattivi, rifiuti contenenti amianto, materiali esplosivi in disuso, olii usati, pile e accumulatori esausti. Restano ferme le competenze dello Stato previste dagli articoli 22, comma 11, 31, 32 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, anche per quanto concerne gli impianti di produzione di energia elettrica di cui all'articolo 29 del presente decreto legislativo>.

[4] vedasi, per tutti, V.Crisafulli- L. Paladin, Commentario breve alla Costituzione,sub art.43, Cedam, 1990, pag. 303 ss.;

[5] circa la situazione creatasi con l’avvento del SISTRI vedasi gli appositi interventi.

[6] Risulta evidente come la tariffa risenta, nel suo essere binomia, di scelte di valore secondo le quali i produttori dei rifiuti assimilati (individuati secondo i criteri di cui si è detto) sono comunque tenuti a contribuire alla parte fissa della tariffa anche là dove i medesimi produttori non si avvalgano e quindi non beneficino del servizio pubblico attivato: abbiamo quindi un aspetto non commutativo, non incentivante, bensì redistributivo che fa leva proprio sulla parte fissa (indivisibile) della tariffa (riguardante, secondo la vecchia denominazione, anche i rifiuti "esterni") nella quale quota fissa pare intravvedersi .... una natura e sostanza  di imposta.

[7] in Ambiente & Sicurezza n.3/1999, pag.85;

[8] col SISTRI probabilmente sarà reso possibile acquisire una sorta di statistica in pdf delle operazioni di cui al registro carico/scarico (movimentazione) ovvero di cui alla scheda, in modo tale da attestare quanto “movimentato” dal soggetto.

[9] non si intende qui affrontare la questione della riduzione delle superfici sui quali si veda, per esempio, l’art.63, comma 3, del D.Lgs. 507/1993 e  nemmeno quella delle “agevolazioni” di cui all’art.66 o dell’art.67, comma 2 del cit. D.Lgs.

[10] Come sanno gli addetti ai lavori, attualmente l’art.238 del D.Lgs. 152/2006 è, per dirla brutalmente, inattuato e inattuabile…

[11] Per il contrasto di questa tesi e per ribadire il principio della riserva di legge A. GIOVANARDI, L’autonomia tributaria degli enti territoriali, Milano,2005, pag.322 ss.

[12] Circa il sistema di determinazione della tariffasi rinvia, ex multis, ai volumi di A.PIEROBON, La nuova tariffa sui rifiuti, Bergamo, 1999 e, sempre di A.PIEROBON, Il nuovo sistema tariffario per la gestione dei rifiuti: la tariffa tassata, la tassa tariffata, Livorno-Roma, 1999.

[13] Sulla cosiddetta “libertà di scelta” che avrebbe questo soggetto, in siffatto contesto di condizionamenti e di alterazione degli scenari di convenienza economica,  conseguente alle scelte (non di squisita “funzione”igienico-sanitaria,eccetera, bensì economiche) del gestore del servizio pubblico locale (anche tramite per questo ultimo doverosi “passaggi” provvedimentali e/o regolamentari da assumersi da parte del soggetto titolare della funzione: Comune o A.d.A.) sarebbe interessante intrattenersi, argomentando anche con riferimento al diritto comunitario e al diritto vivente, ma sarebbe qui un fuor d’opera….

[14] Non essere quindi scelte, come dire….. da retroazione: dal soggetto gestore al soggetto titolare della funzione.