Bonifica siti contaminati Relazione di Corrado Giuliano   Relazione

La stagione dell’industrializzazione per poli di sviluppo dopo cinquant’anni volge al termine. Si consumano nelle grandi aree industriali del Mezzogiorno le ultime battute di quel ciclo, ed in questo clima l’intervento delle bonifiche assume oltre  che il significato di un adempimento necessario  anche quello di un conto, da saldare, a consuntivo.

Priolo Augusta e Siracusa nel contesto nazionale sono il tipico esempio di questo processo a termine e sono divenuti, tra quelli di analoga natura, i luoghi simbolo del recupero ambientale. E’ chiaro, quindi, che  in quell’area si misurerà l’efficacia della normativa che regola la bonifica dei siti inquinati; sarà una delle finestre dalla quale affacciarsi per seguire e capire se questa occasione di radicale recupero ambientale saprà cogliere, senza sprechi, le opportunità offerte dalla legge, ovvero se resterà un’altra occasione mancata.

Sono dieci gli stabilimenti industriali principali interessati nel polo petrolchimico di Augusta Priolo Siracusa che hanno redatto i piani di caratterizzazione  e di bonifica previsti dall’art. 17 del D.Leg.vo 22/97, per una superficie complessiva di oltre 1500 ettari.

Un territorio, insieme a Gela, che oggi soffre insieme di surplus di previsioni dell’emergenza e di deficit di interventi concreti.  Oltre ad essere considerato dalla L. 426 del 9 dicembre 1998 sito di bonifica di interesse nazionale, quello stesso territorio è stato già oggetto di dichiarazione di area ad alto rischio di crisi ambientale, è interessato dalle misure previste  dall’ordinanza di commissariamento della Regione Sicilia nel settore rifiuti del gennaio 1999, ed è stato oggetto di progetti di bonifica previsti dalla legge regionale n°40 del 21 aprile 1995.   Un territorio che  nella conferenza di servizio, di marzo scorso, mirata alla identificazione dei siti potenzialmente inquinati,  oltre alle aree a terra nei Comuni di Priolo, Melillli, Augusta e Siracusa è stato  anche allargato ad una vasta area marina che comprende integralmente i porti di Augusta e Siracusa.

La vastità dell’intervento lascia spazi ampi di discrezionalità, lascia aperte brecce a rischio di scelte che potrebbero rivelarsi inutili, quando non addirittura dannose, lascia ampie maglie per le incursioni ecospeculative private ed alle furbizie di Stato; la bonifica si sovrappone ad altre misure eccezionali in corso di attuazione, rivelatesi inutili quando non diseducative per le istituzioni locali incentivate da quei provvedimenti ad omettere iniziative di intervento ordinario.

Si è passato dall’intervento straordinario, con le sue retoriche dello sviluppo quantitativo e dell’uso illimitato ed incontrollato delle risorse naturali, alle “grida” di segno opposto delle dichiarazioni di emergenza per le risorse idriche, con la cascata negli ultimi vent’anni di progetti, opere pubbliche ed interventi finanziari  che sino ad oggi hanno prodotto soltanto grandi incompiute di cemento; della dichiarazione di area ad elevato rischio di crisi ambientale di dieci anni fa, ed alla redazione di un piano di risanamento ambientale, che da oltre cinque anni stenta a muovere i primi passi attuativi, sino alle richieste di questi giorni di commissariamento; la legge regionale del 1995 sulla bonifica dei siti destinati a discariche d’emergenza ai sensi dell’art.12 DPR 915/82 ha prodotto esclusivamente incarichi professionali e strumenti di pianificazione disattesi; si è sovrapposta infine, a quelle dichiarazioni, la ordinanza di commissariamento della Regione Sicilia nel settore rifiuti del gennaio 1999, che prometteva un’altra svolta di recupero ambientale , emanata nelle stesse settimane in cui veniva pubblicata la L.426/98 che considerava le stesse aree oggetto di bonifica di interesse nazionale.

Se pensiamo che dal ’90 ad oggi ci sono voluti ben cinque anni solo per predisporre il piano di risanamento (approvato il 17 gennaio 1995) ed altri cinque sono trascorsi nel vano tentativo di attuarlo; se si pensa che non si è riusciti, nonostante la ridondanza delle dichiarazioni, a porre mano all’attuazione del sistema di pianificazione ordinaria (la legge sui suoli, quella sui rischi di incidenti rilevanti, quella sull’inquinamento atmosferico, la normativa ordinaria sui rifiuti, la normativa a difesa delle acque e quella sulle risorse idriche) è chiaro che si ha il timore che anche per questo strumento di risanamento complesso e che abbisogna di uno sforzo collettivo di istituzioni pubbliche ed operatori, si consumino risorse, carta e tempo invano sul piano inclinato delle proroghe, delle assenze concrete della parte pubblica unite alla pressione dilatoria delle parti private interessate.

Nell’esperienza recente dell’area industriale di Priolo Augusta Siracusa nel contesto degli interventi d’emergenza , contesto sostanzialmente analogo a quello che lo scenario delle bonifiche ridisegna, si è distinta anche l’assenza del controllo successivo agli interventi, ed in molti casi la inconsistenza delle scelte di intervento in relazione alla complessità e gravità della situazione. Alcuni progetti, che verranno tra poco resi esecutivi, riguarderanno interventi di mero belletto, fasce a verde attorno agli svincoli autostradali, piantumazione di alberi nella zone limitrofe agli stabilimenti industriali, fascia a verde lungo l’ex statale 114 che attraversa la zona industriale, il recupero delle Saline di Priolo.

Non era certamente questa operazione di incipriamento che ci si aspettava dalla dichiarazione di area a rischio di crisi ambientale , se è vero che il legislatore di quindici anni fa aveva promesso che il piano di risanamento avrebbe dovuto servire ad individuare le misure urgenti atte a rimuovere le situazioni a rischio e per conseguire il ripristino ambientale.

A tutte le richiamate dichiarazioni d’emergenza ambientale, di area ad elevato rischio di crisi, di bonifica di interesse nazionale, non ha corrisposto neppure un’adeguata iniziativa di rafforzamento delle strutture ordinarie di controllo ambientale. Così, per esempio, il Laboratorio di Igiene e Profilassi della Provincia, il migliore di Sicilia per impegno e qualità degli operatori, unico organo decentrato con finalità di prevenzione ambientale e di tutela della salute pubblica, con compiti di controllo tecnico in materia di tutela delle acque, del suolo, dell’aria, nonché del controllo del rischio industriale, dell’inquinamento acustico ed elettromagnetico, da anni non viene potenziato per le crescenti responsabilità di prevenzione e repressione degli inquinamenti.

Sino ad oggi la concreta risultante di quelle dichiarazioni  è stato l’appesantimento della struttura burocratica, l’aggravamento dei procedimenti , oggi difficilmente  governabili, che prevale sullo sviluppo dei processi produttivi e si sovrappone alle ordinarie misure di programmazione dell’economia e del territorio. Inoltre le successive misure eccezionali hanno giustificato la distribuzione di incarichi di progettazione, di studi e di analisi autoreferenziali, privi di concreta capacità di indirizzo ed intervento.

 La normativa dell’emergenza ambientale, indirizzata sia alle istituzioni pubbliche che all’imprenditoria privata, è stata inoltre una grande occasione di alibi per la tradizionale inerzia dell’amministrazione regionale e di quelle locali, che hanno vissuto la pianificazione in corso in un clima di attesa passiva, quando non addirittura pretensiva di interventi assolutamente privi di coerenza con la natura eccezionale degli strumenti.

Oggi per Priolo Augusta e Siracusa vale il riconoscimento dello stesso Ministero per l’Ambiente secondo cui “ per le aree inquinate si è intervenuti con la dichiarazione di aree ad elevato rischio di crisi ambientale e con la conseguente predisposizione dei piani di risanamento. Tali strumenti restano validi anche se la loro operatività si è rilevata inadeguata”.

E’ chiaro che nel quadro descritto la politica delle proroghe rischia di frustrare un processo di recupero non più procrastinabile, e di compromettere la stessa credibilità delle istituzioni pubbliche impegnate. Essa non rende un buon servizio alle tensioni, pur astrattamente presenti, di inversione di tendenza; tradisce, anzi, l’antico vizio del nostro legislatore in materia ambientale di porre leggi di principio di grande respiro, e di praticare con il diritto derivato, le deroghe e le proroghe lo svuotamento dei principi assoluti espressi, lasciando che prevalga, come ha prevalso negli ultimi venticinque anni la  malamministrazione ambientale.

Continuare ad arricchire il sistema fitto delle proroghe che si sono succedute dalla Merli al Ronchi, non costituisce una risposta soddisfacente non soltanto per quanti pretendono a buon conto l’intervento sollecito secondo il principio comunitario “chi inquina paga”, ma, a nostro avviso, neppure per quanti hanno centrato le proprie economie in quell’area; l’istituto della proroga è istituto che avvelena pianificazioni e progetti di sviluppo e che di fatto frustra le iniziative dell’imprenditoria più sana e responsabile, a favore di quell’altra cronicamente adusa alle furbizie e agli attendismi tattici.

L’avvio del Ronchi e delle procedure di bonifica non lascia sperare la resa promessa, solo se pensiamo che per essere emanato lo stesso D.M. 417/99 è andato di gran lunga oltre quel termine assegnato dall’art.17 del decreto Ronchi, termine che cadeva, guarda caso nello stesso mese di giugno di tre anni fa, nel 1997, e che la proroga di questi giorni potrebbe spostare l’inizio di ogni intervento  al Gennaio 2001.

 E’ chiaro che il ritardo di ben quattro anni pesa sulle ragioni del recupero ambientale e rischia di iscriversi, anche per questo strumento, nella lista nera delle misure d’emergenza inefficacemente sperimentate, con un effetto diretto per quelle aree come Priolo Augusta Siracusa che corrono il rischio di vedere spegnersi, per le ragioni crude del mercato, le economie che hanno procurato l’occasione della bonifica senza a quelle trovare risposte compensatorie di riconversione .