Cass. Sez. III n. 42369 del 19 novembre 2024 (UP 22 ott 2024)
Pres. Ramacci Rel. Andronio Ric. Caponetti
Urbanistica.Mutamento di destinazione d’uso mediante opere

In tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d’uso mediante opere richiede il permesso di costruire per le modifiche che comportano il passaggio di categoria urbanistica dell’immobile e, se il cambio d’uso è eseguito nei centri storici, per quelle all’interno di una medesima categoria omogenea

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16 ottobre 2023, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del 20 maggio 2022 del Tribunale di Napoli, con la quale l’imputato era stato condannato, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, per i reati di cui: a) agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 44, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere, in qualità di conduttore di un immobile a destinazione urbanistica residenziale sito nel centro storico di Napoli, in mancanza di permesso di costruire, eseguito lavori di ordinaria e straordinaria amministrazione finalizzati all’esercizio dell’attività commerciale di affittacamere o casa-vacanze, con conseguente cambio di destinazione d’uso rilevante e, in ogni caso, al di fuori dei requisiti previsti dalla legge regionale n. 5 del 2001 per l’attività di Bed & Breakfast; b) agli artt. 83, 90, 93, 95 dello stesso d.P.R., per avere eseguito i lavori relativi alle opere di cui al capo precedente in zona sismica, omettendo di depositare, prima dell’inizio, gli atti progettuali presso l’Ufficio del Genio civile competente.

2. Avverso la sentenza, l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si denunciano la violazione degli artt. 10, 23-ter, 31, 32 e 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, del decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania n. 323 del 2004, del regolamento regionale n. 16 del 2008 della Regione Lazio, del regolamento regionale n. 16 del 2008 della regione Emilia-Romagna.
La difesa premette che il presupposto normativo da cui muovono i giudici di merito è il disposto dell’art. 23-ter del d.P.R. n. 380 del 2001, secondo il quale costituisce mutamento della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati a diversa categoria funzionale. Il riferimento agli “appartamenti” contenuto nell’art. 2 della legge della Regione Campania n. 17 del 2001 non potrebbe essere interpretato, secondo la Corte d’appello, come equivalente alla dicitura “immobile destinato ad uso residenziale”.
A sostegno della sua prospettazione, la difesa richiama la variante al piano regolatore generale (decreto del Presidente della Giunta regionale della Campania n. 323 del 2004), il quale, nella parte seconda, regolamenta gli interventi e gli utilizzi degli immobili, caso per caso, classificando l’immobile in questione tra le unità edilizie di base otto-novecentesche e novecentesche, e consentendone l’uso per ricettività turistica. Si richiamano, poi, gli artt. 10 e 23-ter del d.P.R. 380 del 2001, i quali, secondo la difesa, consentirebbero un cambio di destinazione d’uso, per una destinazione compatibile con quella iniziale, con una semplice CILA. Nel caso di specie, non vi sarebbe alcun mutamento del carico urbanistico e l’attività di affittacamere potrebbe essere esercitata, trattandosi di locali classificabili nel gruppo catastale A, come consentito dalla circolare dell’Agenzia del Territorio n. 4 del 2006. La difesa richiama una similitudine fra la legge regionale della Campania n. 17 del 2001 e i regolamenti regionali sulla disciplina delle strutture ricettive extra alberghiere delle regioni Lazio ed Emilia-Romagna, da cui emergerebbe che l’utilizzo delle abitazioni per le attività di gestione di affittacamere non comporta la modifica di destinazione d’uso degli edifici a fini urbanistici. Il ricorrente contesta, dunque, la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui fa riferimento ad una destinazione catastale dell’immobile a fini residenziali e non a fini di affittacamere, perché tale destinazione non emergerebbe dalla normativa catastale, che non distingue fra queste due finalità. La natura extra alberghiera dell’attività di affittacamere, svolta nell’immobile in categoria A/2 (civile abitazione) sarebbe stata confermata anche dalla sentenza n. 12279 del 2022 della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Napoli.
2.2. Con un secondo motivo di doglianza, si lamenta la violazione degli artt. 131-bis e 133 cod. pen., per il mancato contenimento della pena nel minimo edittale e per la mancata valutazione della particolare tenuità del fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo – con il quale si sostiene che le opere in contestazione rientrino nel novero di quelle che non necessitano di permesso di costruire – è manifestamente infondato. Esso è peraltro limitato, nella sostanza, alla ritenuta insussistenza del reato di cui al capo a), mentre nulla rileva la difesa quanto al reato di cui al capo b).
Secondo la ricostruzione dei fatti riportata nella sentenza impugnata – e non oggetto di contestazione neanche con il ricorso per cassazione – durante un sopralluogo, si era accertato che l’immobile in questione si presentava costituito da quattro camere da letto, con annessi vani WC, ampio ingresso, lavanderia, opere edilizie di ordinaria e straordinaria manutenzione in via di completamento, per le quali non risultava rilasciato alcun permesso di costruire, né autorizzazione ai fini della disciplina antisismica. È anche pacifico che l’immobile avesse una destinazione d’uso residenziale e che, all’esito dei lavori, sarebbe stato invece destinato ad affittacamere, come confermato dallo stesso imputato, committente dei lavori.
Come già rilevato dai giudici di primo e secondo grado, la destinazione di un immobile ad uso abitativo all’attività di affittacamere determina un mutamento di destinazione d’uso, ai sensi dell’art. 23-ter, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, perché tale disposizione distingue fra destinazione residenziale (lettera a) e destinazione turistico-ricettiva (lettera a-bis), così prevedendo due distinte categorie funzionali. Né le varie modifiche della disposizione (da ultimo con il d.l. n. 69 del 2024, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 105 del 20024) hanno inciso su tale previsione, per quanto rileva nel presente procedimento. Inoltre, non è corretto ritenere che la normativa regionale invocata dalla difesa possa operare una deroga a tale regolamentazione, perché la stessa si limita a definire, nell’ambito della categoria turistico-ricettiva, le categorie e strutture ricettive extra alberghiere, tra cui gli affittacamere (artt. 1 e 2). Né l’espressione “appartamenti” utilizzata dalla legge regionale può essere interpretata come equivalente alla dicitura “immobile destinato ad uso residenziale”, perché gli appartamenti possono avere evidentemente varie destinazioni, come emerge proprio dalla fattispecie in esame, in cui l’eliminazione della cucina, a seguito dei lavori oggetto dell’imputazione, risultava incompatibile con l’iniziale destinazione ad abitazione. Tali conclusioni interpretative hanno correttamente indotto i giudici di primo e secondo grado, con conforme valutazione, a ritenere sussistenti entrambi i reati contestati, essendo la prospettazione difensiva – meramente riprodotta nel ricorso per cassazione – diretta a ricondurre l’immobile in questione a fattispecie classificatorie puramente teoriche e astratte, come quella di “appartamento”, delineate in modo palesemente contrario al dettato normativo. In altri termini, il ricorrente richiama una distinzione strutturale, quella fra albergo, esclusivamente destinato alla ricezione, e appartamento, destinato ora all’abitazione ora alla ricezione, che non trova riscontro nella legislazione di riferimento, la quale è invece ispirata al criterio funzionale della destinazione d’uso.
Trova allora applicazione il principio, richiamato dai giudici di merito, secondo cui, in tema di reati edilizi, il mutamento di destinazione d’uso mediante opere richiede il permesso di costruire per le modifiche che comportano il passaggio di categoria urbanistica dell’immobile e, se il cambio d’uso è eseguito nei centri storici, per quelle all’interno di una medesima categoria omogenea (ex plurimis, Sez. 3, n. 11303 del 04/02/2022, Rv. 282929; Sez. 3, n. 26455 del 05/04/2016, Rv. 267106; Sez. 3, n. 39897 del 24/06/2014, Rv. 260422).
1.2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di doglianza, in quanto genericamente formulato sia in riferimento alla determinazione della pena sia in riferimento ad una pretesa particolare tenuità del fatto, alla quale la difesa si riferisce per la prima volta con il ricorso per cassazione, senza evidenziare alcun elemento a sostegno. A prescindere da tali considerazioni, deve comunque osservarsi che il trattamento sanzionatorio è stato determinato in misura assai modesta, perché non lontana dal minimo edittale, in considerazione della non rilevante gravità dei reati commessi.

2. Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. 

Così deciso il 12/09/2024.