Cass. Sez. III n. 31287 del 17 luglio 2019 (UP 11 apr  2019)
Pres. Ramacci  Est. Reynaud Ric. Maniaci
Urbanistica.Opere di scavo

In tema di reati urbanistici, le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo



RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9 aprile 2018, la Corte d’appello di Messina, respingendo il gravame proposto dagli imputati, ha confermato la sentenza con cui Antonino Maniaci e Gaetano Cassarà, nelle rispettive qualità di proprietario- committente e direttore dei lavori, erano stati condannati alle pene di legge in ordine ai reati di cui agli artt.  44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n.  380 e 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, per aver realizzato in zona vincolata, in assenza del permesso di costruire ed in difformità dall’autorizzazione paesaggistica, lavori di sbancamento per un’ampiezza di circa 400 mq. ed una profondità di 20 mq.
 
2. Avverso la sentenza di appello, ha proposto ricorso per cassazione il difensore degli imputati, deducendo nell’interesse di entrambi, con unico motivo, la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione per non essere stata realizzata alcuna opera edilizia abusiva. Si allega che erano state richieste ed ottenute le autorizzazioni per la realizzazione di un garage interrato e per la movimentazione di terra su un’area di 35 mq., ma che i lavori non erano ancora iniziati, né, in particolare, il direttore degli stessi geom. Cassarà aveva comunicato al Comune l’accettazione dell’incarico come previsto dall’art. 29 r.e.c. L’unica comunicazione era stata effettuata al Corpo Forestale dello Stato, ma i relativi lavori non erano appunto cominciati, tantomeno sotto la direzione del geom. Cassarà, mai presente in loco. Era bensì accaduto che il proprietario Maniaci avesse effettuato un modesto intervento di messa in sicurezza dei luoghi – che non aveva interessato un’area così estesa come indicato in imputazione – a causa di fratture ravvisate su un costone di tufo che stava a monte del preesistente fabbricato. Si trattava di trasformazione fondiaria del terreno, senza effettive alterazioni morfologiche del territorio, che non necessitava di permessi di sorta e che era semmai propedeutica a poter svolgere in sicurezza i lavori oggetto di autorizzazione.
    
CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. I ricorsi sono inammissibili perché generici e manifestamente infondati, posto che vengono riproposti gli stessi motivi sollevati nell’atto d’appello, senza che i ricorrenti si confrontino criticamente con le argomentazioni al proposito fornite dalla Corte territoriale in sentenza, che ha disatteso tutti i profili di doglianza con motivazione corretta in diritto e assolutamente logica.
 Ed invero, la genericità dell’impugnazione è causa di inammissibilità che ricorre non solo quando i motivi risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568). I motivi del ricorso per cassazione – che non possono risolversi nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito – si devono infatti considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e aa., Rv. 243838), sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, atteso che quest'ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425).

2. Più in particolare, la sentenza non illogicamente argomenta: che con missiva del 4 giugno 2013, sottoscritta dal committente Maniaci e dal direttore dei lavori Cassarà e trasmessa al Corpo Forestale dello Stato, costoro comunicavano che si sarebbe dato inizio alle opere di movimentazione di terra di cui al progetto assentito per la realizzazione di un garage; con tale atto il geom. Cassarà aveva dunque formalmente assunto il ruolo di direttore dei lavori ed era pertanto onerato di vigilare affinché gli stessi si svolgessero in conformità al progetto; la perizia disposta nel processo di primo grado aveva invece accertato come fossero stati effettuati imponenti lavori di sbancamento di una scarpata che avevano nulla a che vedere con i lavori autorizzati; si era pertanto realizzata una trasformazione permanente del territorio, soggetta a permesso di costruire e autorizzazione paesaggistica, del tutto diversa da quella in origine prevista e consentita.
I ricorrenti, con argomentazioni affastellate e a tratti confuse, non si confrontano con il chiaro percorso logico-giuridico esposto in sentenza e le doglianze non valgono pertanto ad inficiarne in alcun modo la tenuta, né la conformità alle norme di legge applicate.

3. A quest’ultimo proposito, il Collegio si limita ad osservare che la trasformazione edilizia o urbanistica del territorio che costituisce “intervento di nuova costruzione” soggetto a permesso di costruire ai sensi del combinato disposto degli artt. 10, comma 1, lett. a), e 3, comma 1, lett. e), d.P.R. 380 del 2001, è quella che determina la permanente modifica del suolo (cfr. le definizioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. e.3 e e.7, del citato testo unico; v. anche  Sez. 3, n. 1308 del 15/11/2016, dep. 2017, Palma, Rv. 268847, ove si reputa necessario il permesso di costruire per  interventi sul terreno che determinino una modificazione permanente dello stato materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli è proprio). E’ infatti consolidato – e va qui ribadito - il principio secondo cui, in tema di reati urbanistici, le opere di scavo, di sbancamento e di livellamento del terreno, finalizzate ad usi diversi da quelli agricoli, in quanto incidono sul tessuto urbanistico del territorio, sono assoggettate a titolo abilitativo edilizio (Sez.  3, n. 4916 del 13/11/2014, dep. 2015, Agostini, Rv. 262475; Sez.  3, n. 29466 del 22/02/2012, Batteta, Rv. 253154; Sez.  3, n. 8064 del 02/12/2008, dep. 2009, Dominelli e a., Rv. 242741).
Né è in discussione che ove tali lavori ricadano in area paesaggisticamente vincolata occorra altresì l’autorizzazione di cui all’art. 146 d.lgs. 42 del 2004, che, peraltro, nel caso di specie era stata correttamente richiesta, ma per lavori di sbancamento che avrebbero interessato una ben più limitata, e distinta, area. Proprio la difformità tra quanto autorizzato e quanto realizzato è stata oggetto di specifica contestazione ed è stata correttamente ritenuta illecita, posto che il reato di cui all'art. 181 del d.lgs. n. 42 del 2004, giusta la chiara formulazione del precetto contenuta nel primo comma della disposizione, si configura rispetto a lavori di qualsiasi genere eseguiti sui beni muniti di tutela paesaggistica, in assenza della prescritta autorizzazione o in difformità da essa, senza che assuma rilievo la distinzione tra le ipotesi di difformità parziale e totale rilevante invece nella disciplina urbanistica (cfr. Sez.  3, n. 3655 del 17/12/2013, dep. 2014, Alimonti, Rv. 258491; Sez.  6, n. 19733 del 03/04/2006, Petrucelli, Rv. 234730, relativa proprio a scavi eseguiti in difformità dal progetto). Laddove poi – come nel caso di specie – l’autorizzazione rilasciata abbia ad oggetto lavori completamente diversi da quelli eseguiti, sì che quanto realizzato sia addirittura configurabile quale aliud pro alio, non v’è alcun dubbio sulla sussistenza del reato in esame.

4. Quanto, poi, alla responsabilità del geom. Cassarà, la sentenza impugnata ha fatto buon governo del principio secondo cui in tema di reati edilizi, l'assenza dal cantiere non esclude la penale responsabilità per gli abusi commessi dal direttore dei lavori, sul quale ricade l'onere di vigilare sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed il dovere di contestare le irregolarità riscontrate, se del caso rinunziando all'incarico (Sez.  3, n. 7406 del 15/01/2015, Crescenzi, Rv. 262423; Sez.  3, n. 34602 del 17/06/2010, Ponzio, Rv. 248328). L’aver comunicato l’inizio delle opere di movimentazione terra in data 4 giugno 2013 onerava certamente il direttore dei lavori di sovrintendere alla loro esecuzione e di verificare che gli stessi si svolgessero in conformità al progetto, sicché, trattandosi di contravvenzioni per la cui integrazione è sufficiente la colpa, non può in alcun modo sostenersi l’assenza di responsabilità rispetto agli illeciti commessi immediatamente dopo (l’accertamento del Corpo Forestale dello Stato è del 18 luglio 2013).
 
5. Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità,  consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00 per ciascun ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di €. 2.000,00 ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 11 aprile 2019.