Cass. Sez. III n. 12521 del 1 aprile 2025 (CC 13 feb 2025)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. Nebbia
Urbanistica.Principio di immanenza del carattere abusivo di un’opera illecita. 

Il principio di “immanenza” dell’abusività dell’opera edilizia, esprime il persistere del carattere abusivo di un'opera illecita a prescindere dalla intervenuta repressione penale. Esso impone di distinguere il piano della persistenza del reato edilizio da quello della persistenza del carattere abusivo del manufatto in cui si sostanzia il reato stesso. Mentre il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l'attività edilizia illecita ovvero fino alla interruzione stabile della stessa, diverso discorso deve farsi, in ordine al carattere abusivo di un’opera edilizia ovvero alla sua caratteristica di non essere conforme alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente al momento della sua realizzazione. Tale connotazione di abusività infatti, permane sull’immobile e lo caratterizza in maniera persistente ed ininterrotta, anche allorquando sia cessata la consumazione del relativo reato, per ultimazione dell’opera o per interruzione stabile, spontanea o imposta. 


RITENUTO IN FATTO  

    1. Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Napoli, adito quale giudice dell’esecuzione nell’interesse di Nebbia Salvatore per la revoca e/o sospensione dell’ordine di demolizione delle opere abusive indicate nella sentenza di condanna del Pretore di Napoli del 2.7.1999, divenuta irrevocabile il 16.10.1999 e pronunziata a carico di Nebbia Salvatore, revocava il provvedimento di ingiunzione a demolire del Procuratore della Repubblica di Napoli di cui alla procedura n. 126/00 RESA. 

    2. Avverso la predetta ordinanza il Procuratore della Repubblica del tribunale di Napoli ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di impugnazione. 
    
    3. Si contesta il vizio di motivazione e di violazione di legge, rilevando come la decisione del tribunale sarebbe intervenuta sulla base delle medesime circostanze in fatto e diritto già esaminate da altro giudice dell’esecuzione con ordinanza del 19.11.2021, di rigetto della analoga istanza, mediante disapplicazione del permesso di costruire in sanatoria n. 213/c/2018 relativo alle opere della predetta RESA, ritenuto illegittimo per assenza dei requisiti dimensionali e temporali. Con l’ordinanza impugnata, il giudice avrebbe quindi offerto una nuova valutazione delle questioni già risolte dal giudice dell’esecuzione e prima citate, operata in maniera contrastante con queste ultime. Inoltre, avrebbe trascurato anche l’esame del fatto nuovo che avrebbe innescato la nuova procedura esecutiva, costituito da intervenuta sanatoria con provvedimento 11/2023 per recupero abitativo del sottotetto ovvero di parte delle opere destinate alla demolizione. Si osserva, ancora, che a fronte della intervenuta sopraelevazione – con due piani - di un immobile preesistente, piani  oggetto delle verifiche di cui sopra, per essi deve applicarsi il limite del 30 % dell’immobile preesistente, dettato dalla disciplina in tema di condono. Si ribadisce, poi, la necessità di rispettare il principio per cui non è possibile eludere la disciplina in tema di condono attraverso la presentazione di istanze soggettivamente distinte e relative a soggetti diversi dall’effettivo proprietario. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è fondato.  

    2. Come sostenuto dal ricorrente, emerge, dalla stessa ordinanza impugnata, che il giudice dell’esecuzione ha ritenuto di procedere ad una nuova valutazione della tematica già affrontata in precedenza da altro giudice dell’esecuzione, con provvedimento del 19.11.2022, relativa alla legittimità o meno del permesso in sanatoria (rectius provvedimento di condono) n. 212/2018 riguardante talune opere abusive realizzate al piano primo e secondo in sopraelevazione di una preesistente struttura abusiva, in virtù di una “nuova”  circostanza, costituita dal sopravvenuto rilascio di un ulteriore permesso in sanatoria, per il recupero abitativo di sottotetto, del 29.03.2023. Tanto, evidentemente in conformità astratta con l’indirizzo di legittimità, secondo il quale, in tema di incidente di esecuzione, l'art. 666 comma secondo cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità qualora l'istanza costituisca una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha annullato il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione, giudicando irrilevante un documento prodotto dalla difesa che non aveva formato oggetto di valutazione ai fini della precedente decisione, aveva dichiarato inammissibile la richiesta di applicazione della disciplina del reato continuato) (Sez. 1, n. 19358 del 05/10/2016 (dep. 21/04/2017 ) Rv. 269841 – 01). 
In proposito, va ribadita l'impropria evocazione della nozione di giudicato in riferimento ai provvedimenti del giudice dell'esecuzione, suscettibili di revoca per la natura provvisoria delle determinazioni assunte, espressione di «un accertamento giudiziale a contenuto limitato», e va sottolineato, nel contempo, che ragioni di economia e di efficienza processuale giustificano «la stabilizzazione giuridica di siffatto accertamento, che deve essere designata con il termine "preclusione", proprio al fine di rimarcarne le differenze con il concetto tradizionale di giudicato», più propriamente riferibile al provvedimento emesso nel giudizio di cognizione. 
Va altresì segnalata la limitata portata dell'effetto «autoconservativo» di siffatto accertamento, perchè circoscritta alla deduzione dello stesso oggetto in relazione a presupposti di fatto e ragioni di diritto identici a quelli rappresentati con precedente istanza, già esaminata e decisa.
Quest’ultima precisazione, laddove evidenzia, ragionando a contrario, che la nuova valutazione del tema già vagliato richiede non semplicemente la allegazione di circostanze di fatto o di diritto nuove, bensì di profili giuridici o fattuali nuovi e che siano dotati di una incidenza effettiva rispetto alla nuova delibazione, lascia comprendere che la novità giustificativa del superamento della preclusione deve contribuire a introdurre, sul piano fattuale e/o giuridico, nuove riflessioni dotate di chiara significatività per l’elaborazione di una rinnovata valutazione. 
Tale è, in altri termini, il senso della precisazione, rinvenibile nella sostanza anche nella sentenza delle Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n. 18228 del 21/01/2010, Beschi, Rv. 246651, (cfr. anche Sez. U, n. 40151 del 19/04/2018, Rv. 273650 – 01), per cui poiché l'art. 666, comma 2, cod. proc. pen. commina l'inammissibilità della domanda se mera riproposizione di una richiesta "basata sui medesimi elementi", è consentito investire il giudice dell'esecuzione della nuova istanza a condizione che si rappresentino nuove tematiche giuridiche o nuovi dati di fatto, sia sopravvenuti, sia preesistenti, ma non esposti e non presi in considerazione nella decisione antecedente. 
Consegue anche che la ratio della disposizione, finalizzata a comporre e ad impedire l'insorgenza di contrasti tra decisioni diverse, intervenute sulla medesima questione, a fronte di presupposti coincidenti, ne impone un'ampia applicazione, poiché l'inconveniente che intende evitare può porsi anche soltanto per effetto della contestuale pendenza di giudizi distinti sullo stesso oggetto in presenza di una immutata situazione di fatto o di identiche questioni di diritto.
Per le medesime considerazioni suesposte, é pacificamente riconosciuta, da ultimo anche dalle Sezioni Unite, citate, di questa Corte, la possibilità di rilevare anche d'ufficio nel giudizio di legittimità l'eventuale inammissibilità di un'istanza di incidente di esecuzione, se manifestamente infondata, oppure reiterativa di una domanda già esaminata in mancanza di profili originali, con la comunicazione della medesima sanzione d'inammissibilità anche al ricorso per cassazione proposto avverso la decisione esecutiva, che, errando, l'abbia esaminata nel merito e l'abbia respinta in luogo di dichiararla inammissibile, come dovuto.
    
4. Si impone, alla luce di tali principi, l’ulteriore precisazione per cui la preclusione derivante dal giudicato formatosi sul medesimo fatto, risolvendosi in un "error in procedendo", è deducibile nel giudizio di cassazione a condizione che la decisione della relativa questione non comporti la necessità di accertamenti di fatto, nel qual caso la stessa deve essere proposta al giudice dell'esecuzione. (Sez. 6 - , Sentenza n. 29188 del 15/05/2024 Ud.  (dep. 18/07/2024 ) Rv. 286759 - 01

5.Ebbene, con l’ordinanza impugnata il giudice ha espressamente superato l’obiezione del P.M., circa l’inammissibilità della rinnovata richiesta di revoca o sospensione dell’ingiunzione di demolire, stante la preclusione della precedente decisione assunta in sede esecutiva, del 19.11.2021, evocando un fatto nuovo, costituito dal “rilascio di un ulteriore permesso in sanatoria per il recupero abitativo del sottotetto in data 29.3.2023”. Si tratta di una citazione cui, tuttavia, nell’ambito della susseguente riflessione logico – giuridica non ha fatto seguito l’illustrazione delle ragioni della portata di tale nuovo permesso rispetto alla nuova decisione di revoca del provvedimento di ingiunzione a demolire, contrapposta, come tale, al precedente rigetto della medesima istanza. Infatti, citato l’asserito fatto “nuovo” (pag. 3), il giudice, da una parte, ha stabilito l’irrilevanza, al fine di risolvere la questione nuovamente sottoposta al suo vaglio, della sorte del procedimento amministrativo di autoannullamento di altro permesso in sanatoria (rectius condono) n. 220/2018 riguardante il piano seminterrato e il piano terra del medesimo manufatto poi interessato dalle due sopraelevazioni (piano primo e secondo), oggetto del condono qui in esame n. 213/2018. Dall’altra, ha nuovamente riesaminato il tema, identico a quello oggetto della decisione di rigetto della medesima istanza del 19.11.2022, riflettendo sulla qualificabilità o meno delle predette sopraelevazioni in termini di “ampliamento” di un precedente immobile – con conseguente applicazione del limite dimensionale del 30 % della struttura preesistente (ex art. 39 della L. 724/ 94, di cui al cd. ”secondo condono”) e rigetto della istanza di revoca per superamento dello stesso e illegittimità del permesso in sanatoria rilasciato, come avvenuto con la decisione precedente del 19.11.2022 – o, piuttosto, di “nuova costruzione” - con esclusione della applicabilità del predetto limite del 30%, riconduzione delle opere abusive nel limiti stabiliti dalla L. 724/ 94, pari ad una volumetria non superiore a 750 mc e nuova decisione, questa volta di revoca del provvedimento di ingiunzione a demolire, qui impugnata. 

   6. Consegue la violazione dei principi delineanti la possibilità di superare la preclusione di una precedente decisione intervenuta in sede esecutiva, in ragione di una solo apparente novità, siccome essa non risulta assurgere, alla luce della motivazione sviluppata, ad elemento nuovo, in fatto o in diritto, incidente sull’esito finale della valutazione elaborata. In altri termini, emerge una motivazione solo apparente, come tale inesistente e falsamente applicativa dei principi esposti, in assenza di ogni illustrazione sulla portata decisionale del nuovo elemento espressamente richiamato a supporto del rivendicato nuovo spazio decisionale. 

 7. In tale contesto, e dovendosi procedere all’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, si impongono talune ulteriori precisazioni. 
Non è illustrata la natura del sopraggiunto permesso in sanatoria per recupero abitativo, che astrattamente potrebbe coincidere con un provvedimento di sanatoria ex art. 36 del DPR 380/01 oppure, alla luce della logistica dei fatti,  con un provvedimento assunto ai sensi della L. Regionale 28.11.2000 n. 15 e smi, recante “norme per il recupero abitativo di sottotetti esistenti”. Ebbene in entrambi i casi, si deve considerare che si tratta di istituti che presuppongono che l’oggetto della sanatoria non insista su altro immobile abusivo, pena la regolarizzazione solo di “pezzi” di opere abusive, in contrasto con i principi generali, quali innanzitutto l’”immanenza” dell’abusività di un opera e l’”unitarietà” della valutazione delle opera abusiva medesima. Si osserva, in particolare, quanto all’istituto legislativo regionale del recupero abitativo del sottotetto, che il relativo art. 3, riguardante le “condizioni per il recupero” stabilisce che: 
1. Il recupero abitativo dei sottotetti esistenti, alla data di entrata in vigore della presente legge, è ammesso qualora concorrano le seguenti condizioni :
a) l’edificio in cui è situato il sottotetto deve essere destinato, o è da destinarsi, in tutto o in parte alla residenza;
b) l’edificio in cui è ubicato il sottotetto deve essere stato realizzato legittimamente ovvero, ancorché realizzato abusivamente, deve essere stato preventivamente sanato ai sensi della Legge 28 febbraio 1985 n. 47 e della Legge 23 dicembre 1994, n. 724. 
Tanto precisato, occorre altresì evidenziare come sia noto che qualsiasi intervento effettuato su una costruzione realizzata abusivamente, ancorchè l'abuso non sia stato represso, costituisca ripresa dell'attività criminosa originaria, integrante un nuovo reato edilizio; ne consegue che, allorchè l'opera abusiva perisca in tutto o in parte o necessiti di attività manutentive, il proprietario non acquista il diritto di ricostruirla o di ristrutturarla o manutenerla senza titolo abilitativo, giacchè anche gli interventi di manutenzione ordinaria, per essere qualificati come tali, presuppongono che l'edificio sul quale si interviene sia stato costruito legittimamente. (Sez. 3, n. 38495 del 19/05/2016 Rv. 267582 – 01). 
Si tratta di un principio che potrebbe definirsi di “immanenza” dell’abusività dell’opera edilizia, di rilevante portata nel sistema della disciplina dell’edilizia e dell’urbanistica, attese le numerose ricadute che esso presenta. 
Innanzitutto, esso impone di distinguere il piano della persistenza del reato edilizio da quello della persistenza del carattere abusivo del manufatto in cui si sostanzia il reato stesso. 
Il reato edilizio, come noto, è un reato permanente. Consegue che in caso di “esecuzione" di un'opera illecita, l'azione vietata si perfeziona ed esaurisce con la materiale attuazione dell'opera stessa, la quale va dall'inizio alla ultimazione dei lavori, “con la conseguente configurabilità di una permanenza circoscritta nell'ambito di questi due momenti”. Consegue che l’abuso integrante l’”esecuzione” di un intervento vietato, quale è innanzitutto quello di cui all’art. 20 lett. b) L. 47/85 (rectius 44 lett. b) DPR 380/01) “ha natura permanente, ma  […] tale permanenza cessa al termine dell'esecuzione delle opere abusive” (cfr. Sez. U, n. 17178 del 27/02/2002 Rv. 221400 – 01 cit.). In tale quadro si precisa che il reato di costruzione abusiva ha natura permanente per tutto il tempo in cui continua l'attività edilizia illecita, ed il suo momento di cessazione va individuato o nella sospensione di lavori, sia essa volontaria o imposta "ex auctoritate", o nella ultimazione dei lavori per il completamento dell'opera o, infine, nella sentenza di primo grado ove i lavori siano proseguiti dopo l'accertamento e sino alla data del giudizio (tra le tante, Sez. 3, n. 38136 del 25/09/2001 Rv. 220351 – 01). 
Diverso discorso deve farsi, come accennato, in ordine al carattere abusivo di un’opera edilizia ovvero alla sua caratteristica di non essere conforme alla disciplina edilizia ed urbanistica vigente al momento della sua realizzazione. Tale connotazione di abusività infatti, permane sull’immobile e lo caratterizza in maniera persistente ed ininterrotta, anche allorquando sia cessata la consumazione del relativo reato, per ultimazione dell’opera o per interruzione stabile, spontanea o imposta. 
Come sopra anticipato, tale principio impone che qualsivoglia sopraggiunta attività edilizia realizzata sull’opera abusiva, ancorchè materialmente “lieve” quali interventi “latu sensu” di mera “manutenzione” ( es. pitturazione delle pareti o installazione di elementi tecnici), incidendo su una struttura abusiva e quindi persistentemente abusiva, si traduce anche essa in una condotta abusiva, tanto da integrare la “prosecuzione” dell’opera abusiva e quindi un nuovo reato. In altri termini, non possono ritenersi lecite, ancorchè non richiedenti astrattamente autorizzazione o fornite di un formale titolo autorizzatorio, le opere che, seppur autonomamente e astrattamente qualificabili come interventi privi di rilevanza penale, siano realizzate in prosecuzione di precedenti illeciti edilizi mai previamente sanati o condonati. (Sez. 3, n. 18199 del 07/04/2005 Rv. 231527 – 0; Sez. 3, n. 41079 del 20/09/2011 Rv. 251290 - 01, Sez. 3, n. 9130 del 06/07/2000 Rv. 217215 – 01).
Altro principio che si accompagna a quello di “immanenza” dell’abusività dell’opera sopra citato, è costituito dalla necessaria valutazione “unitaria” dell’opera stessa. Dalla insuperabile persistenza del carattere abusivo di un ‘opera - così che ulteriori interventi su di essa, di qualsiasi materiale e  tipologia e realizzati in qualsiasi momento cronologico, ancorchè successivo alla maturata prescrizione del precedente reato,  ne costituiscono prosecuzione -, deriva invero il principio della necessaria valutazione “unitaria” dell’opera abusiva: il nuovo intervento sull’opera abusiva, siccome per ciò solo anche esso abusivo, impone a taluni fini una valutazione unitaria del manufatto, impedendo di distinguere, per una diversa regimentazione, tra parti illecite e parti regolari, o anteriori e successive,  e, piuttosto, coinvolgendo nell’illegalità l’intero intervento.
Con ulteriori conseguenze.
1) Sul piano della disciplina del condono: posto che alla luce del citato principio di unitarietà e di “immanenza” dell’abusività dell’opera, si spiega il noto indirizzo, valevole come principio generale in materia di condono, per cui, nell'ipotesi in cui entro il termine di legge sia stato eseguito il rustico e completata la copertura del fabbricato abusivo, la prosecuzione dei lavori di integrale completamento dello stabile senza l'osservanza dell'articolo 35 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, determina l'applicabilità delle sanzioni penali, escluse quelle amministrative (articolo 38, comma 4). Il menzionato articolo 35, subordina l'esecuzione delle ulteriori opere di completamento alla presentazione della domanda di sanatoria ed al versamento della seconda rata d'oblazione. Ne consegue che, se la statuizione non è rispettata ed i lavori sono posti in essere prima dell'indicato momento in cui la legge consente la loro esecuzione, il reato edilizio, che ha natura permanente, è del pari configurabile. L'art. 35, legge n. 47 del 1985 (richiamato dall'art. 32, comma 25, d.l. n. 269 del 2003) espressamente stabiliva che, decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda di condono e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, jl presentatore dell'istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria poteva completare sotto la propria responsabilità le opere non comprese tra quelle indicate dall'art. 33 come non suscettibili di sanatoria. A tal fine, l'interessato doveva notificare al comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, e poteva iniziare i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione.
Questa Corte ha affermato che il rispetto della procedura prevista dall'art. 35, comma 13, cit., legittima solo gli interventi di completamento funzionale dell'opera per la quale è stata presentata la domanda di sanatoria (Sez. 3, n. 12984 del 09/01/2009, Rullo, Rv. 243095 - 01), e deve quindi rilevarsi come tale stessa procedura, nella sua elaborazione e significato, confermi la necessità della considerazione unitaria dell'opera e della sua abusività persistente, e della impossibilità che il condono possa operare a fronte di un manufatto che sia stato fatto oggetto di continuazione dopo i termini cronologici di cui alla disciplina di condono di riferimento e al di fuori dei limiti di cui all'art. 35 citato. 
Ciò invero si spiega appunto perché, fino a quando, pur a fronte di domanda di condono pendente, non intervenga la relativa sanatoria, come tale legittimante l’opera, la stessa rimane ancora connotata del suo carattere di abusività (ancorchè potenzialmente eliminabile con l’esito positivo del condono) che giustifica la prosecuzione di un intervento edilizio su cui penda la procedura di condono, solo nei limiti operativi ( opere esclusivamente di completamento  funzionale) e procedurali e temporali fissati dalla legge. 
E sempre in materia di condono, si afferma la regola generale, ispirata questa volta al principio di unitarietà per cui, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un'unica concessione in sanatoria, onde evitare l'elusione del limite legale di consistenza dell'opera.(Sez. 3, Sentenza n. 44596 del 20/05/2016 Cc. (dep. 24/10/2016 ).
2) Sul piano della revisione: per cui in tema di reati edilizi, non è consentita la revisione parziale della sentenza di condanna, intesa come relativa ad alcune porzioni soltanto dell'immobile abusivamente realizzato, posto che il reato commesso è unico. (Fattispecie in cui la Corte, a fronte della dedotta condonabilità di una mera frazione dell'edificio, asseritamente ultimata entro il 31 marzo 2003, ha escluso l'esperibilità di tale rimedio straordinario sul rilievo dell'avvenuta realizzazione abusiva di opere ulteriori in epoca successiva e della necessaria riferibilità della sanatoria all'immobile nella sua interezza). (Sez. 3 - , Sentenza n. 14631 del 11/01/2024 Rv. 286194 - 02).
3) Su quello del permesso ex art. 36 del DPR 380/01:  per cui è illegittimo, e non determina l'estinzione del reato edilizio di cui all'art. 44, lett. b), d.P.R. 6 giugno
2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all'esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la "ratio" della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica (Sez. 3 - , n. 28666 del 07/07/2020 Rv. 280281 – 01).
4) Sul piano dell’ordine di demolizione: per cui l’'ordine di demolizione conseguente alla sentenza di condanna, previsto dall'art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, pur se relativo a interventi edilizi di prosecuzione o completamento di un pregresso abuso dichiarato estinto per prescrizione e in relazione al quale il precedente ordine demolitorio era stato revocato, deve comunque essere eseguito sull'immobile considerato nella sua interezza. (In motivazione, la Corte ha precisato che l'intervenuta declaratoria di prescrizione non determina un giudicato favorevole all'imputato). (Sez. 3, n. 37245 del 17/04/2024 Cc.  (dep. 10/10/2024 ) Rv. 286887 – 01

8. Tornando, allora, alla ordinanza impugnata, laddove con essa si è affrontata la questione della legittimità del permesso 213/2018, escludendo una lettura unitaria delle opere che ne sono oggetto con quelle precedenti, ancorchè anche esse allo stato abusive (piano seminterrato e piano terra) e affermando l’irrilevanza, per tale valutazione, del precedente permesso in sanatoria 220/2018 e delle opere che ne sono oggetto, stante il lungo decorso del tempo tra le une e le altre, appare opportuno chiarire e ribadire, come sopra accennato, che un conto è il piano della persistenza del reato edilizio, per cui è ben possibile che in presenza di una lunga stasi tra due condotte edificatorie si possano configurare due distinti reati, con distinto periodo di maturazione della prescrizione,  un conto è il piano della persistenza del carattere abusivo del manufatto in cui si sostanzia il reato stesso, che, come sopra evidenziato, permane: con la conseguenza che, in presenza di plurimi interventi abusivi nel tempo, integranti un medesimo manufatto, lo stesso deve essere esaminato in maniera unitaria anche ai fini della sanatoria ( art. 36 DPR 380/01) o del condono strictu sensu inteso, così che i limiti e requisiti del condono devono essere valutati in maniera unitaria e non parcellizzata. Nel caso in esame, ineludibile appare, in presenza di opere che risultino tutte abusive,  la loro complessiva valutazione. 
Alla luce di quanto sinora osservato, deve evidenziarsi anche che, ove permanga il carattere abusivo dell’opera illecita, del tutto destituito di fondamento è anche l’utilizzo della nozione di “opera nuova” per parte della stessa, sia perché in contrasto con il principio di unitarietà, sia perché trattasi  di nozione che fa riferimento ad opere lecite, laddove invece la realizzazione di nuovi interventi su manufatti abusivi integra, per il principio di “immanenza” citato, la mera “prosecuzione dell’opera abusiva”, come tale da esaminarsi e unitariamente, per quanto finora riportato, anche ai fini della valutazione della sussistenza del condono. 
La emersione poi, in ordinanza, del rilievo del giudice per cui al momento dell’accertamento dei fatti oggetto di condanna risultava la prosecuzione nel 1996 di un’opera abusiva già realizzata “al rustico” ( ovvero con tamponature e solaio, quali requisiti strutturali per il condono) impone di ricordare, da una parte, il principio valevole in via generale, per cui in tema di condono edilizio, ove il reato sia stato accertato in data successiva al termine di legge per la sanatoria dell'opera, è onere dell'imputato che invoca l'applicazione della speciale causa estintiva provare che l'opera sia stata ultimata entro il predetto termine, fermo restando il potere - dovere del giudice di accertare, ove possibile,  la data effettiva del completamento dell'opera abusivamente eseguita (cfr. in ordine al cd. terzo condono, Sez. 3, Sentenza n. 12918 del 20/02/2008 Ud.  (dep. 27/03/2008 ) Rv. 239351 – 01); dall’altra, come già sopra riportato, che in caso di realizzazione di un’opera abusiva nei termini cronologici e strutturali di legge, la relativa prosecuzione non osta al condono solo ed esclusivamente ove si tratti di interventi di completamento funzionale (invero come tali di minima portata) realizzati con le comunicazioni e i tempi di cui all’art. 35 sopra citato. Pena, al contrario, l’integrazione di un’opera abusiva oltre i termini e i requisiti operativi del condono, come tale non sanabile. 

9. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che l’ordinanza debba essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Napoli. 


P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Napoli. 
Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2025.