Cass. Sez. III n. 12520 del 1 aprile 2025 (CC 13 feb 2024)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric. Iacono
Urbanistica.Stato legittimo dell'immobile

Il c.d. «certificato di stato legittimo» dell’immobile, rilasciato ai sensi dell’articolo 9-bis d.P.R. 380/2001, anche come da ultimo modificato con d.l. n. 69/2024, altro non è che un documento formale che attesta la conformità urbanistica ed edilizia di un immobile, rilasciato da un tecnico abilitato al fine di facilitare la circolazione dell’immobile cui si riferisce, ma certo non può avere alcun valore vincolante per l’autorità giudiziaria, né attestare erga omnes la regolarità del titolo edilizio in sanatoria: un immobile è legittimo, quindi trasformabile con ulteriori interventi, non tanto perché risponde al progetto di cui i competenti uffici pubblici ne hanno variamente autorizzata l’esecuzione, ma in quanto sia conforme alla disciplina urbanistico-edilizia, conformità non sussistente nel caso in esame.

PREMESSO IN FATTO 

1. Con ordinanza del 05/08/2024, il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di revoca dell’ingiunzione a demolire (n. 32/2000) di opere edili di proprietà del ricorrente, site nel comune di Forio (Ischia), giusta demolizione disposta con sentenza n. 768/1998, emessa dalla Pretura Circondariale di Napoli, Sez. St. Ischia, il 06/11/1998.

2. Avverso tale ordinanza lo Iacono propone ricorso, deducendo, con un unico motivo, violazione di legge in riferimento agli articoli 9-bis, 36 e 45 d.P.R. 380/2001, nonché carenza, illogicità e contraddittorietà della motivazione e travisamento dei fatti.
Nel caso di specie è stato ottenuto permesso in sanatoria, nonché parere favorevole sotto il profilo paesaggistico, trattandosi di lavori abusivi di scarsa consistenza eseguiti in parziale difformità rispetto all’originario titolo edilizio.
Il giudice penale non ha il potere di disapplicare, come invece ha fatto, gli atti amministrativi, per cui la configurabilità del reato urbanistico va esclusa anche quando l’atto concessorio risulta illegittimo.
Inoltre, viene violato l’articolo 9-bis del d.P.R. 380/2001, in quanto l’immobile è attualmente in c.d. «stato legittimo», che è quello stabilito dall’ultimo provvedimento concessorio (nel caso di specie, il permesso in sanatoria n. 15/2023).

3. In data 6 febbraio 2025 l’Avv. Michelangelo Morgera del Foro di Napoli, per l’imputato, depositava memoria di replica in cui contestava le conclusioni del P.G. e insisteva per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. In primo luogo, dalla lettura dell’ordinanza emerge che l’immobile sarebbe già stato acquisito al patrimonio immobiliare del Comune di Ischia.
Se così è - e tale affermazione non è contestata dal ricorrente - il ricorso è inammissibile per difetto di interesse, in quanto la giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 35203 del 18/06/2019, Centioni, Rv. 277500 – 01; Sez. 3, n. 7399 del 13/11/2019, dep. 2020, Calise, Rv. 278090 – 01, in motivazione) è ferma nel precisare che, in tema di reati edilizi, dopo l'acquisizione dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, il condannato può chiedere la revoca dell'ordine di demolizione soltanto per provvedere spontaneamente all'esecuzione di tale provvedimento, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell'abuso. 
Nel caso di specie, pertanto, all'atto della proposizione dell'incidente di esecuzione, l'istante, in quanto ormai terzo estraneo alle vicende giuridiche dell'immobile, non era più soggetto legittimato a chiedere la revoca dell'ordine di demolizione se non per procedere alla demolizione a propria cura e spese, circostanza, questa, non dedotta.

3. Ad ogni buon conto, il ricorso è inammissibile anche nel merito.
Va preliminarmente ribadito che il sindacato del giudice penale sul titolo abilitativo edilizio non costituisce esercizio del potere di disapplicazione, bensì doverosa verifica dell'integrazione della fattispecie penale (v,. ex plurimis, Sez. 3, n. 30168 del 25/05/2017, Pepe, Rv. 270252; Sez. 3, n. 37847 del 14/05/2013, Sonni, Rv. 256971; Sez. 3, n. 21487 del 21/03/2006, Tantillo, Rv. 234469, con dettagliata ricostruzione dell'evoluzione della giurisprudenza sul tema) e che tale potere/dovere deve essere esercitato anche riguardo a provvedimenti amministrativi di sanatoria (o, per un caso che ai presenti fini non rileva, di condono), poiché il mancato effetto estintivo non è riconducibile ad una valutazione di illegittimità del provvedimento cui consegua la disapplicazione dello stesso, ma alla verifica della inesistenza dei presupposti di fatto e di diritto dell'estinzione del reato in sede di esercizio del doveroso sindacato della legittimità del fatto estintivo, incidente sulla fattispecie tipica penale (Sez. 3, n. 46477 del 13/07/2017, Menga, Rv. 273218 – 01; Sez. 3, n. 36366 del 16/6/2015, Faiola, Rv. 265034-01; Sez. 3, n. 23080 del 16/04/2008, Proietti, non massimata; Sez. 3, n. 26144 del 22/4/2008, Papa, Rv. 240728-01 ed altre prec. conf.). 
Questa Corte ha anche affermato che analogo potere/dovere deve essere esercitato nel giudizio di esecuzione, con riferimento al quale ha precisato che il rilascio del titolo abilitativo conseguente alla procedura di condono o sanatoria edilizi non determina l'automatica revoca dell'ordine di demolizione, permanendo in capo al giudice l'obbligo di accertare la legittimità sostanziale del titolo sotto il profilo della sua conformità alla legge (in tal senso, ex multis, Sez. 3, n. 55028 del 09/11/2018, B., Rv. 274135 – 01; Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260972-01; Sez. 3, n. 42164 del 9/7/2013, Brasiello, Rv. 256679-01; Sez. 3, n. 40475 del 28/9/2010, Ventrici, Rv. 249306-01; Sez. 3, n. 39767 del 28/9/2010, Esposito, non massimata; Sez. 3, n. 46831 del 16/11/2005, Vuocolo, Rv. 232642-01). 

4. Ciò premesso, nel caso in esame correttamente il giudice dell’esecuzione ha ritenuto che, ai fini del rilascio del permesso di costruire in sanatoria, non fosse consentito il ricorso alla c.d. «sanatoria paesaggistica» di cui all’articolo 167, comma 4, d. lgs. 42/2004, limitata alla ipotesi in cui, attraverso l’abuso, non vi sia stata creazione di superfici o volumi (come invece pacificamente occorso nel caso di specie).
Poiché l'autorizzazione paesaggistica, secondo l'art. 146, comma 4, del d.lgs. 42 del 2004, costituisce un atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio, lo stesso permesso di costruire resta subordinato al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica la quale, però, sempre secondo la norma richiamata, non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, tranne nei casi dei cd. «abusi minori», tassativamente individuati dall'art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. n. 42 del 2004. 
Tale preclusione, considerato che l'autorizzazione paesaggistica è presupposto per il rilascio del permesso di costruire, impedisce di conseguenza anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 544 del 01/12/2022, dep. 2023, Sciortino, n.m.). 
Pertanto, in tema di sanatoria di opere realizzate in area vincolata, richiesta ai sensi dell’articolo 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio postumo del permesso di costruire, in assenza di valida autorizzazione paesaggistica, non ha efficacia sanante neanche in relazione al solo profilo urbanistico dell'intervento già realizzato (v., ex multis, Sez. 3, n. 9240 del 10/10/2024, dep. 2025, Lopresto, n.m.; Sez. 3, n. 16715 del 12/03/2024, Carrato, n.m.; Sez. 3, n. 5750 del 02/02/2023, PMT, Rv. 284314 – 01; Sez. 3, n. 544 del 01/12/2022, dep. 2023, Morello, n.m.; Sez. 3, n. 190 del 12/11/2020, dep. 2021, Susana, Rv. 281131 - 01).
Tale sanatoria pertanto, ove concessa, deve certamente ritenersi illegittima ed entro tali limiti il giudice dell’esecuzione ha spinto il suo sindacato, escludendo la presenza di un valido titolo edilizio sopravvenuto che sia assolutamente incompatibile con l'ordine di demolizione (cfr. Sez.3, n. 30016 del 14/7/2011, D'Urso, Rv. 251023).
Tale conclusione non presta il fianco a censure, risultando in linea con la costante giurisprudenza di questa Sezione, con cui il ricorrente omette di confrontarsi, destinando il ricorso alla manifesta infondatezza.
Va peraltro precisato, per mera completezza, che nel caso di specie neppure rileva quanto attualmente disposto dall’art. 36-bis del d.P.R. 380/2001 (introdotto dal d.l. n. 69/2024 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 105 del 2024 ed entrato in vigore il 30 maggio 2024). 
Tale disposizione, che peraltro il ricorrente neppure menziona, ha un ambito di applicazione estremamente limitato, riguardando esclusivamente gli interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 34; quelli eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 37 ed in presenza di variazioni essenziali di cui all'articolo 32.
Inoltre, deve escludersi l’applicazione in via retroattiva della nuova disciplina alle istanze presentate prima della sua entrata in vigore, non rinvenendosi nel testo del d.l. n. 69/2024 alcuna disposizione transitoria in tal senso, con la conseguenza che va applicata la regola generale sancita dall’art. 11 disp. prel. c.c. (v., in proposito, Consiglio di Stato, Sez. 2, sent. nn. 1394 del 2025 e 10076 del 2024, nonché Corte costituzionale n. 125 del 2024, par. 3.4).
I richiamati artt. 36 e 36-bis possono, infine, trovare applicazione «fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative», quale è certamente l’acquisizione al patrimonio immobiliare comunale di cui all’articolo 31, comma 3, d.P.R. 380/2001, che nel caso di specie è già intercorsa, con conseguente effetto preclusivo.

6. Il Collegio aggiunge, per mero tuziorismo, che la circostanza che l’immobile sia stato acquisito al patrimonio immobiliare del comune rende in ogni caso illegittimo il titolo rilasciato in sanatoria.
Ed infatti, va in proposito rammentato che il permesso di costruire in sanatoria, successivo all'acquisizione del bene al patrimonio immobiliare del comune, è in ogni caso illegittimo in quanto emesso a favore di un soggetto che non è più titolare del bene, spettando al comune di stabilire se mantenere o demolire l'opera (Sez. 3, n. 32466 del 23/05/2023, Costanzo, n.m., in motivazione; Sez. 3, n. 36826 del 14/09/2022, Longobardi, n.m.; Sez. 3, n. 35484 del 15/12/2020, dep. 2021, Sizzi, n.m.) e che, in ogni caso, il rilascio di concessione o permesso in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non presuppone, quale atto implicito, la rinuncia da parte del Comune al diritto di proprietà sull'opera abusiva già acquisita al suo patrimonio a seguito del decorso del termine di 90 giorni dalla notifica dell'ordine di demolizione, non essendovi coincidenza, sul piano della competenza, tra l'organo adottante l'atto presupponente (permesso in sanatoria) - ufficio tecnico comunale - e l'organo competente alla adozione dell'atto presupposto implicito (rinuncia al diritto di proprietà), da individuarsi in distinti e superiori organi comunali (Sez. 3, n. 35484 del 15/12/2020, cit.; Sez. 3, n. 3261 del 17/11/2020, dep. 2021, Ricciardi, Rv. 280870 - 01).

7. L’inammissibilità del presente profilo di censura ha efficacia assorbente sulle residue doglianze.
Il Collegio si limita a sottolineare, in riferimento all’ultimo profilo di censura, che il c.d. «certificato di stato legittimo» dell’immobile, rilasciato ai sensi dell’articolo 9-bis d.P.R. 380/2001, anche come da ultimo modificato con d.l. n. 69/2024, altro non è che un documento formale che attesta la conformità urbanistica ed edilizia di un immobile, rilasciato da un tecnico abilitato al fine di facilitare la circolazione dell’immobile cui si riferisce, ma certo non può avere alcun valore vincolante per l’autorità giudiziaria, né attestare erga omnes la regolarità del titolo edilizio in sanatoria: un immobile è legittimo, quindi trasformabile con ulteriori interventi, non tanto perché risponde al progetto di cui i competenti uffici pubblici ne hanno variamente autorizzata l’esecuzione, ma in quanto sia conforme alla disciplina urbanistico-edilizia, conformità non sussistente nel caso in esame.

8. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 13/02/2025.