Cass. Sez. III n. 9948 del 10 marzo 2016 (Cc 20 gen 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Riccardi Imputato: De Gregorio
Urbanistica.Sentenza di patteggiamento e ordine di demolizione

L'ordine di demolizione del manufatto abusivo (previsto dall'art. 31, comma nono, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, resta eseguibile anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all'art.445, comma secondo, cod. proc. pen., poiché, detto ordine, in quanto sanzione amministrativa, non è soggetto alle norme relative all'estinzione della pena o del reato, nemmeno per effetto di un'applicazione analogica delle medesime.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 6 marzo 2014 il Tribunale di Torre Annunziata, Sezione distaccata di Sorrento, in funzione di giudice dell'esecuzione, rigettava l'istanza di revoca o annullamento dell'ingiunzione a demolire proposta da D.G.C., condannato alla pena di giustizia con sentenza del 07/07/2009 in ordine (tra l'altro) al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44.

Il Tribunale osservava che: l'eccezione concernente la nullità della notifica dell'ordinanza-ingiunzione a demolire al difensore di fiducia era infondata, in quanto non risultava una nomina precedente alla medesima notifica; l'estinzione del reato ex art. 445 cod. proc. pen. non determinava l'estinzione della sanzione amministrativa; la richiesta di un titolo abilitativo in sanatoria, non accolta, non aveva efficacia estintiva della sanzione amministrativa;

l'acquisizione al patrimonio comunale del bene e dell'area di sedime, ai sensi dell'art. 31 T.U. Edil., non è incompatibile con la demolizione dell'opera abusiva.

2. Avverso tale provvedimento ricorre personalmente D.G. C., articolando quattro motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell'art. 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

Il ricorrente deduce violazione di legge processuale e vizio di motivazione, lamentando che l'ordinanza impugnata avesse disatteso immotivatamente l'eccezione di nullità dell'ingiunzione a demolire, in quanto non notificata al difensore di fiducia nominato nel procedimento principale.

Con il secondo motivo deduce violazione di legge sostanziale e vizio di motivazione in relazione all'art. 164 cod. pen., lamentando che l'ordine di demolizione sia stato emesso dopo il decorso di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza emessa ex art. 444 cod. proc. pen.; l'ordine di demolizione dovrebbe dunque essere revocato per estinzione del reato.

Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione in ordine all'efficacia della richiesta di titolo abilitativo in sanatoria presentata il 09/12/2008; il rigetto della richiesta, infatti, è stato impugnato dinanzi al T.A.R. competente, in quanto adottato senza il decorso dei dieci giorni previsti dalla L. n. 241 del 1990, art. 10 bis, e dunque illegittimo; da tale rilievo deriverebbe l'esigenza di sospendere l'esecuzione dell'ingiunzione a demolire in attesa della definizione del procedimento amministrativo.

Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione, lamentando che l'acquisizione del bene al patrimonio indisponibile del Comune è incompatibile con l'ordine di demolizione, ostandovi la delibera comunale che abbia stabilito l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento delle opere abusive.

3. Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

2. Preliminarmente va rigettata l'istanza di rinvio fatta pervenire dal difensore del ricorrente, Avv. BOVALINA Massimiliano, in data 19/01/2016, trattandosi di procedimento trattato con le forme di cui all'art. 611 cod. proc. pen. "senza intervento dei difensori".

3. Il ricorso è manifestamente infondato, innanzitutto per difetto di specificità.

Al riguardo, va ribadito che deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello (o, come nel caso in esame, con l'istanza rigettata dall'ordinanza emessa in sede di incidente di esecuzione, oggetto di impugnazione) e motivatamente respinti, sia per l'insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato (ex multis, Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo, Rv. 260608).

Invero, nel caso in esame i motivi di ricorso appaiono identici a quelli sollevati con la richiesta di revoca o annullamento dell'ingiunzione a demolire, e motivatamente respinti dall'ordinanza impugnata, con la quale non propongono un reale e motivato confronto argomentativo, limitandosi a contestazioni avulse dal concreto tessuto motivazionale.

Infatti, mentre per il giudizio d'appello rileva solo la genericità intrinseca al motivo stesso, prescindendosi da ogni confronto con quanto argomentato dal giudice del provvedimento impugnato, per il giudizio di cassazione è generico anche il motivo che si caratterizza per l'omesso confronto argomentativo con la motivazione della sentenza impugnata (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 31939 del 16/04/2015, Falasca Zamponi, Rv. 264185; Sez. 6, n. 13449 del 12/02/2014, Kasem, rv. 259456, secondo cui "la genericità dell'appello o del ricorso per cassazione va valutata in base a parametri diversi, in conseguenza della differente conformazione strutturale dei due giudizi, e soltanto in relazione al secondo costituisce motivo di inammissibilità per aspecificità la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione").

Il difetto di specificità dei motivi, ricompreso fra le ipotesi che impongono la dichiarazione dell'inammissibilità ai sensi dell'art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all'art. 581 c.p.p., lett. c), deve intendersi come la manifesta carenza di una censura di legittimità, chiaramente identificabile.

Nel caso di specie, la genericità dei motivi si evince dalla mera deduzione, senza alcun confronto argomentativo con l'ordinanza impugnata, dei medesimi profili già motivatamente rigettati dal Tribunale in sede di esecuzione.

4. Il ricorso è manifestamente infondato anche sotto diverso profilo.

Il primo motivo di ricorso lamenta l'omessa notifica al difensore di fiducia, sancita a pena di nullità dall'art. 655 c.p.p., comma 5, dell'ordinanza-ingiunzione alla demolizione, rilevando che la nomina del difensore di fiducia era stata effettuata nel procedimento principale.

La censura è palesemente infondata, in quanto la nomina del difensore di fiducia effettuata per il giudizio di cognizione non ha efficacia anche per la fase esecutiva, salvo che per l'ipotesi dell'esecuzione della pena detentiva (Sez. 1, n. 40990 del 25/10/2011, Tomasin, Rv. 251491; analogamente, Sez. 1, n. 11522 del 03/02/2005, Procopio, Rv. 231268, a proposito della tendenziale impermeabilità tra le fasi della cognizione e dell'esecuzione: "La dichiarazione di domicilio opera nella fase di cognizione e la sua efficacia non si estende alla fase autonoma e distinta dell'esecuzione").

Al riguardo, infatti, mentre la regola generale è sancita dall'art. 655 c.p.p., comma 5, che prevede la notifica del titolo esecutivo al "difensore nominato dall'interessato o, in mancanza, a quello designato dal pubblico ministero a norma dell'art. 97", la deroga - perciò insuscettibile di applicazione analogica - è sancita dal successivo art. 656 c.p.p., comma 5, (come modificato dal D.L. 24 novembre 2000, n. 341, art. 10, conv. con mod. nella L. 19 gennaio 2001, n. 4), che, a proposito dell'esecuzione delle pene detentive, prevede che l'ordine di esecuzione sia notificato "al condannato e al difensore nominato per la fase dell'esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio" (in tal senso, ex multis, Sez. 3, n. 9890 del 23/01/2003, Varavallo, Rv. 224828:

"Nel procedimento di esecuzione la regola per la quale, in assenza di difensore nominato per la fase, la notifica di atti va effettuata a favore del difensore che ha assistito il condannato nel corso del giudizio di cognizione (art. 656 c.p.p., comma 5, come modificato dal D.L. 24 novembre 2000, n. 341, l'art. 10, conv. con mod. nella L. 19 gennaio 2001, n. 4), è posta per la sola esecuzione delle pene detentive, ed assume carattere speciale rispetto alla disciplina di cui all'art. 655 cod. proc. pen., comma 5, che per tutte le ulteriori notifiche da effettuare in fase di esecuzione prescrive, in assenza di nomina da parte dell'interessato, la designazione di un difensore di ufficio a cura del pubblico ministero. (Fattispecie relativa alla notifica dell'ordine di demolizione di un manufatto abusivo)."; Sez. 4, n. 28950 del 11/04/2002, Rizzo, Rv. 222225: "La nomina del difensore di fiducia fatta nel corso del giudizio di cognizione non estende i suoi effetti al giudizio di esecuzione, nel quale, pertanto, i provvedimenti del P.M. vanno notificati al difensore di fiducia, se nominato per tale fase, o, in mancanza, a quello designato d'ufficio. (Nell'affermare il principio, la Corte ha precisato che esso è espressamente derogato soltanto dalle specifiche disposizioni dell'art. 656 cod. proc. pen., commi 5 e 6, introdotte dalla L. n. 165 del 1998, per effetto delle quali il difensore che è stato nominato per la fase di merito ha diritto di ricevere, se non è stato nominato un altro difensore per la fase esecutiva, l'avviso dell'ordine di esecuzione a pena detentiva fissata nei limiti della sospensione obbligatoria).").

Una differente disciplina, dunque, che, evidentemente, risponde alle maggiormente pregnanti esigenze di garanzia sottese al procedimento per l'esecuzione di pene detentive, che, limitando il bene inviolabile della libertà personale, è circondato da maggiori garanzie in ordine alla consapevolezza e tempestività del diritto di difesa.

5. Anche il secondo motivo relativo all'asserita estinzione dell'ordine di demolizione in conseguenza dell'estinzione del reato ai sensi dell'art. 445 cod. proc. pen., è manifestamente infondato.

Invero, a prescindere dal rilievo che l'estinzione del reato ai sensi dell'art. 445 cod. proc. pen. richiede una declaratoria del giudice dell'esecuzione ex art. 676 cod. proc. pen., che nel caso di specie non risulta intervenuta, è pacifico che l'ordine di demolizione del manufatto abusivo (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 31, comma 9) resta eseguibile, qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all'art. 445 c.p.p., comma 2 (Sez. 3, n. 18533 del 23/03/2011, Abbate, Rv. 250291).

L'ordine di demolizione della costruzione abusiva, infatti, avendo natura di sanzione amministrativa la cui applicazione è eccezionalmente demandata (ove non abbia già provveduto l'autorità amministrativa) al giudice penale, e non essendo quindi qualificabile come sanzione penale accessoria o come effetto penale della condanna, resta eseguibile, qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all'art. 445 c.p.p., comma 2, (Sez. 3, n. 2674 del 06/07/2000, Callea, Rv.216821).

La natura sostanzialmente amministrativa rende non applicabili, anche in via analogica, le norme relative all'estinzione della pena o del reato, trattandosi di misura oggettivamente amministrativa, adottata dall'A.G. penale in virtù di un'esigenza di celerità ed effettività del procedimento (in tal senso, da ultimo, Sez. 3, n. 49331 del 10/11/2015, Delorier, non ancora massimata: "la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell'art. 31, comma 9, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa, che assolve ad un'autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso. Per tali sue caratteristiche la demolizione non può ritenersi una "pena" nel senso individuato dalla giurisprudenza della Corte EDU e non è soggetta alla prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen.").

Del resto, pur ipotizzando un'applicazione analogica delle cause estintive del reato, mancherebbe lo stesso presupposto dell'analogia, ossia l'eadem ratio, atteso che il decorso del tempo potrebbe fare venire meno l'interesse dello Stato alla punizione, ma non il differente interesse alla eliminazione dal territorio di un manufatto abusivo, tenuto conto della preminenza (e comunque della non coincidenza) delle ragioni di tutela del territorio che giustificano l'eccezionale potestà sanzionatoria amministrativa attribuita dalla legge al giudice penale, rispetto a quelle c.d. "premiali", di carattere eminentemente processuali, che connotano la ratio sottesa al regime del procedimento speciale di cui all'art. 444 cod. proc. pen..

Nè, infine, la sanzione amministrativa dell'ordine di demolizione può essere in alcun modo equiparabile agli "effetti penali della condanna", pure travolti in caso di estinzione del reato ai sensi dell'art. 445 c.p.p., comma 2; al riguardo, giova rammentare che per effetti penali della condanna si intendono le conseguenze negative che derivano de iure dalla condanna, e concernono l'applicazione di diritto delle pene accessorie (art. 20 cod. pen.), la rilevanza della condanna, nonostante eventuali cause estintive del reato o della pena, ai fini della recidiva, della dichiarazione di delinquenza abituale o professionale, ovvero della concedibilità della sospensione condizionale della pena, l'iscrizione al casellario giudiziale.

Tra tali effetti penali non può essere annoverata, all'evidenza, una sanzione oggettivamente amministrativa come l'ordine di demolizione.

6. Il terzo motivo di ricorso concerne la richiesta di sospensione del procedimento di demolizione per la pendenza di un ricorso giurisdizionale avverso il rigetto della richiesta di sanatoria del manufatto abusivo.

Al riguardo, giova rammentare che, secondo quanto ribadito nella giurisprudenza di legittimità in tema di reati edilizi, il giudice dell'esecuzione investito della richiesta di revoca o di sospensione dell'ordine di demolizione delle opere abusive di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 31 in conseguenza della presentazione di una istanza di condono o sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, è tenuto ad esaminare i possibili esiti ed i tempi di conclusione del procedimento amministrativo e, in particolare: a) il prevedibile risultato dell'istanza e la sussistenza di eventuali cause ostative al suo accoglimento; b) la durata necessaria per la definizione della procedura, che può determinare la sospensione dell'esecuzione solo nel caso di un suo rapido esaurimento (Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014, Russo, Rv.261212).

Infatti, il giudice dell'esecuzione ha l'obbligo di revocare l'ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito con la sentenza di condanna o di patteggiamento, ove sopravvengano atti amministrativi con esso del tutto incompatibili, ed ha, invece, la facoltà di disporne la sospensione quando sia concretamente prevedibile e probabile l'emissione, entro breve tempo, di atti amministrativi incompatibili (Sez. 3, n. 24273 del 24/03/2010, Petrone, Rv. 247791).

Al riguardo, è stato sovente ribadito che l'ordine di demolizione, costituendo una sanzione oggettivamente amministrativa, sebbene soggettivamente giurisdizionale (in ragione della natura dell'organo al quale ne è attribuita l'applicazione), non è suscettibile di irrevocabilità, ed è riesaminabile in fase esecutiva, atteso che compete al giudice dell'esecuzione valutare la compatibilità dell'ordine di demolizione medesimo con i provvedimenti eventualmente emessi dall'autorità o dalla giurisdizione amministrativa, disponendone la revoca in caso di contrasto insanabile, ovvero la sospensione, se può ragionevolmente ritenersi, sulla base di elementi concreti, la probabilità e l'imminenza di tali provvedimenti, non essendo peraltro sufficiente la mera possibilità di una loro adozione (ex multis, Sez. 3, n. 14329 del 10/01/2008, Iacono Ciulla; Sez. 3, n. 38997 del 26/09/2007, Di Somma, Rv. 237815: "In tema di reati edilizi, l'ordine di demolizione delle opere abusive è sottratto alla regola del giudicato, sicchè ne è sempre possibile la revoca (in presenza di atti amministrativi incompatibili con la sua esecuzione) ovvero la sospensione (quando sia ragionevolmente prospettabile che, nell'arco di tempi brevissimi, la P.A. adotterà un provvedimento incompatibile con la demolizione). Ne consegue che non è sufficiente a neutralizzarlo la possibilità che in tempi lontani e non prevedibili potranno essere emanati atti amministrativi favorevoli al condannato, in quanto non è possibile rinviare a tempo indeterminato la tutela degli interessi urbanistici che l'ordine di demolizione mira a reintegrare)").

6.1. Nel caso in esame non è stato rilasciato titolo edilizio in sanatoria, ed anzi la richiesta, che, peraltro, è stata presentata nel 2008, risulta essere stata rigettata.

In assenza di attuale e concreto contrasto insanabile con un provvedimento amministrativo, dunque, non è ipotizzabile una revoca dell'ordine di demolizione.

Ma neppure la mera pendenza di un ricorso giurisdizionale avverso il diniego può costituire fondato motivo di sospensione, non risultando - nè, invero, essendo stato dedotto, neppure mediante idonea e pertinente produzione documentale - alcun concreto elemento dal quale dedurre una probabilità di imminente adozione del titolo abilitativo in sanatoria.

Al contrario, non è stato indicata la data di trattazione dell'udienza dinanzi all'A.G. amministrativa adita, e, a quanto risulta dal tenore del ricorso, l'unico motivo proposto concerne un preteso vizio procedimentale concernente il rispetto del termine di cui alla L. 241 del 1990, art. 10 bis.

7. Infine, anche il quarto motivo di ricorso, concernente la pretesa incompatibilità tra l'acquisizione del manufatto abusivo al patrimonio comunale e l'ordine di demolizione è manifestamente infondato.

Invero, parallelamente all'ordine "giudiziale" di demolizione adottato con la sentenza di condanna ai sensi del D.P.R. 380 del 2001, art. 31, comma 9, e disposto in sede esecutiva dal P.M., può esservi l'adozione di un ordine "amministrativo" di demolizione da parte dell'autorità comunale, al quale segue, in caso di inottemperanza dell'interessato nel termine di 90 giorni dall'ingiunzione, l'acquisizione gratuita di diritto del bene e dell'area di sedime al patrimonio del comune, ai sensi dell'art. 31, comma 3, T.U. Edil.; si tratta di una progressione di misure amministrative convergenti, previste al fine di garantire, attraverso la tutela mediata dei provvedimenti, il bene finale del territorio, sotto il profilo del ripristino della "legalità urbanistica" attraverso l'eliminazione delle conseguenze dannose del reato (ex multis, Sez. 3, n. 32351 del 01/07/2015, Giglia, Rv. 264252: "In tema di reati edilizi, il giudice, nella sentenza di condanna, può subordinare il beneficio della sospensione della pena alla demolizione dell'opera abusiva, in quanto tale ordine ha la funzione di eliminare le conseguenze dannose del reato, nè a tale subordinazione è ostativa l'avvenuta acquisizione dell'immobile al patrimonio del comune, poichè anche questa vicenda è finalizzata alla demolizione del manufatto abusivamente costruito").

Al riguardo, è stato ribadito nella giurisprudenza di legittimità che l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di demolizione dell'opera abusiva ed alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notifica dell'ingiunzione a demolire emessa dall'Autorità amministrativa determina l'automatica acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell'opera e dell'area pertinente (Sez. 3, Sentenza n. 22237 del 22/04/2010, Gotti, Rv.247653, che ha precisato che l'effetto acquisitivo si verifica senza che sia necessaria nè la notifica all'interessato dell'accertamento dell'inottemperanza nè la trascrizione, in quanto il primo atto ha solo funzione certificativa dell'avvenuto trasferimento del diritto di proprietà, costituendo titolo per l'immissione in possesso, mentre la trascrizione serve a rendere opponibile il trasferimento ai terzi a norma dell'art. 2644 cod. civ.).

L'unica ipotesi in cui l'ordine di demolizione può essere revocato, dunque, ricorre nel caso in cui, dichiarata l'acquisizione dell'immobile abusivo al patrimonio comunale, il Consiglio Comunale abbia manifestato, con specifica deliberazione consiliare, la volontà di non procedere alla demolizione stessa in ragione di interessi pubblici prevalenti, e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali, ai sensi dell'art. 31, comma 5, T.U. Edil. (Sez. 3, n. 4444 del 12/01/2012, Seoni, Rv.251972).

7.1. Nel caso di specie l'ordinanza impugnata rileva che la delibera comunale allegata alla richiesta di revoca o sospensione dell'ingiunzione non riguarda la concreta fattispecie dell'immobile abusivo oggetto di esecuzione, concernendo soltanto linee guida per la destinazione degli immobili abusivi all'edilizia residenziale pubblica (secondo quanto dedotto anche nel ricorso).

L'ordine di demolizione impartito dal giudice costituisce espressione di un potere sanzionatorio autonomo e distinto rispetto all'analogo potere dell'autorità amministrativa, con la conseguenza che esso deve essere eseguito in ogni caso, con la sola eccezione - che non ricorre nella fattispecie in esame - dell'adozione di una deliberazione consiliare che dichiari espressamente l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici o ambientali.

Non vi è, dunque, alcuna incompatibilità tra l'eventuale acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio del Comune e l'esecuzione dell'ordine giurisdizionale di demolizione (ex plurimis, Sez. 3, n. 47263 del 25/09/2014, Russo, Rv. 261213; Sez. 3, n. 27298 del 28/02/2012; Sez. 3, n. 4962 del 28/11/2007, dep. 2008; Sez. 3, n. 34298 del 05/07/2007).

Peraltro, il giudice dell'esecuzione, al quale sia richiesto di revocare l'ordine di demolizione contenuto nella sentenza di condanna, ha il potere di sindacare la delibera di acquisizione gratuita dell'opera abusiva al patrimonio comunale, che dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici rispetto al ripristino dell'assetto urbanistico violato (Sez. 3, n. 11419 del 29/01/2013, Bene, Rv. 254421, in fattispecie nella quale è stata qualificata come mero atto di indirizzo la delibera di acquisizione al patrimonio comunale che, priva di impegno di spesa e di adeguata istruttoria, era inidonea a determinare la conservazione dell'opera abusiva).

Ne consegue come il giudice dell'esecuzione, qualificando, sotto tale profilo, come "atto di indirizzo" la delibera in oggetto e reputando in definitiva come solo eventuale e futura la valutazione dei presupposti di legge cui l'art. 31, comma 5, T.U. Edil. condiziona la non operatività della demolizione, abbia, conformandosi ai principi sopra enunciati, legittimamente escluso nella specie l'effetto ostativo della demolizione, derivante solo da una valutazione in termini di attualità degli interessi pubblici alla conservazione dell'opera e della mancanza di contrasto con rilevanti interessi urbanistici.

8. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e la corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00: infatti, l'art. 616 cod. proc. pen. non distingue tra le varie cause di inammissibilità, con la conseguenza che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in esso prevista deve essere inflitta sia nel caso di inammissibilità dichiarata ex art. 606 cod. proc. pen., comma 3, sia nelle ipotesi di inammissibilità pronunciata ex art. 591 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2016