Cass. Sez. III n. 7423 del 19 febbraio 2015 (Ud 18 dic 2014)
Pres. Mannino Est. Scarcella Ric. Cervino ed altri
Urbanistica.Sequestro preventivo anche in presenza di titolo abilitativo
È ammissibile il sequestro preventivo di una costruzione abusiva pur in presenza di una concessione edilizia purché si evidenzi la macroscopicità della violazione dell'interesse sostanziale protetto e, inoltre, l'esistenza di comportamenti contrari al principio del "neminem ledere" inducano ad escludere la possibilità di riferire l'attività edilizia posta in essere in base alla concessione alla sfera del lecito giuridico
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 30/05/2014, depositata in data 9/06/2014, il tribunale del riesame di ROMA rigettava le richieste di riesame proposte dagli indagati (la R., per i reati di abuso d'ufficio, abuso edilizio e violazione della normativa di tutela ambientale; il C. e la CA., per violazioni in materia edilizia e della normativa in materia ambientale), confermando il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il medesimo tribunale in data 12/05/2014 avente ad oggetto alcuni manufatti meglio descritti nel provvedimento genetico; giova premettere, per migliore intelligibilità della decisione, che con tale ultimo decreto il GIP disponeva il sequestro preventivo di un villino unifamiliare in costruzione all'interno del piano di lottizzazione denominato (OMISSIS) a seguito del rilascio del p.d.c. n. 2/2013 ritenuto illegittimo in quanto privo di n.o. idrogeologico e del vincolo paesaggistico, in area qualificata come zona boscata.
2. Hanno proposto separati ricorsi tutti e tre gli indagati a mezzo dei rispettivi difensori fiduciari cassazionisti, impugnando la predetta ordinanza e deducendo, la R., un unico articolato motivo e, il C. e la CA., tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, la R., con l'unico articolato motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) e c) per erronea applicazione della legge penale (in relazione all'art. 321 c.p.p. e al D.P.R. n. 380 del 2001) nonchè per inosservanza o erronea applicazione di norme giuridiche extrapenali (in relazione al D.Lgs. n. 42 del 2004, alla L. n. 1150 del 1942, alla L.R. Lazio n. 24 del 1998, al P.TP. e P.T.P.R. Lazio, al D.M. n. 1444 del 1968, alla L.R. Lazio n. 72 del 1975, alla L. n. 106 del 2011 e al D.P.R. n. 380 del 2001).
In sintesi, la censura - sviluppata con modalità tali da rendere complessa la percezione delle effettive doglianze, risolvendosi in un'esposizione disarticolata di riferimenti normativi ad atti di rango primario e secondario cui si aggiungono rimandi, in nota, anche a siti web dove questa Corte dovrebbe reperire i relativi documenti (e, dunque, all'evidenza, mancante di un'organica illustrazione delle doglianze medesime e scevra da ogni ordine razionale che presenti un minimo di sistematicità necessaria per la loro comprensione) - investe l'impugnata ordinanza tacciata di erroneità per aver ritenuto configurabile il fumus degli illeciti ipotizzati dal P.M. e sul presupposto della cui sussistenza il tribunale del riesame ha confermato il provvedimento genetico; secondo la prospettazione difensiva sembrerebbe (il condizionale è d'obbligo, attesa la difficoltosa intelligibilità del percorso argomentativo esposto in ricorso) che le delibere comunali, che sarebbero state oggetto di illegittimi solleciti formulati dalla Regione Lazio per il loro annullamento, nulla avrebbero a che vedere con i permessi di costruire, rilevando solo ai fini di altre contestazioni mosse dal P.M. per altro coindagati; in particolare, si sottolinea in ricorso, non sarebbe ipotizzabile la conoscenza da parte della ricorrente dell'illegittimità dell'atto amministrativo, in quanto i due permessi di costruire costituiscono il completamento di un piano convenzionato (ossìa del piano di lottizzazione (OMISSIS)) già edificato per gli altri 14 lotti; sul punto, si osserva, l'istruttoria tecnico - urbanistica tratta dalle risultanze peritali del P.M. e trasfusa nel provvedimento di sequestro, risulterebbe improntata ad un sistematico disconoscimento delle disposizioni di cui al Capo 7^ del vigente PTPR (di cui la ricorrente richiama in nota il sito web dove questo Collegio sarebbe tenuto a reperire il testo), al punto tale da disapplicarle attribuendo significati estranei al contesto paesistico da cui derivano.
2.1.1. In tal senso, la ricorrente richiama la previsione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 145, che ne disporrebbe l'immediata cogenza e prevalenza su ogni altra disciplina di provenienza urbanistica e pianificatoria (il richiamo è al comma 3), nonchè agli artt. 62, commi 2 e 5, delle norme tecniche del PTPR ed alla circostanza che il piano di lottizzazione sarebbe urbanisticamente qualificato dal D.M. n. 1444 del 1968 come zona C di PRG; si insiste, poi, nel confuso sviluppo argomentativo di cui al ricorso, nell'affermare che con la L.R. n. 24 del 1998 sarebbero stati approvati tutti i PTP regionali, compreso quello riguardante il territorio di (OMISSIS), denominato ambito n. 3 Laghi di (OMISSIS) (ancora una volta, attraverso un richiamo operato in una nota al ricorso, indicando il sito web cui questa dovrebbe reperire il testo), aggiungendo che secondo la giurisprudenza amministrativa le prescrizioni dei PTP avrebbero efficacia vincolante sin dall'adozione e conseguente pubblicazione e non dalla definitiva approvazione, atteso il principio di immediata efficacia dei provvedimenti di tutela dei valori paesaggistici ed ambientali.
2.1.2. Si procede, poi, in ricorso a fornire una personale interpretazione dell'inciso "fatte salve" utilizzata dall'art. 62 delle norme tecniche del PTPR (norme transitorie di raccordo tra il piano paesistico e strumenti urbanistici comunali generali ed attuativi) che si richiamerebbe in via esclusiva al contesto di tutela paesaggistica, assumendo quello urbanistico funzione sottoordinata (il riferimento, in sostanza, è alla data di approvazione del piano di lottizzazione (OMISSIS), avvenuta nel 2004, che sarebbe appunto fatto salvo in quanto piano attuativo approvato dopo la L.R. n. 24 del 1998 e prima della pubblicazione dell'adozione del PTPR avvenuta il 14 febbraio 2008). Diversamente, sostiene la ricorrente, la polizia giudiziaria ed il c.t. del PM incaricato, avrebbero ignorato il valore primario della disciplina paesaggistica introdotta dal D.Lgs. n. 42 del 2004 e dal PTPR, attribuendo al predetto inciso "fatte salve" un significato di natura urbanistica nel senso che verrebbe fatta salva la sola previsione del PRG di attuarsi tramite piano attuativo, affermazione che non sarebbe accoglibile in quanto la pianificazione territoriale, oltre che ad essere obbligatoria varrebbe a tempo indeterminato per l'intero territorio, essendo subordinata esclusivamente alle sovraordinate discipline poste a tutela del patrimonio culturale e della sicurezza delle popolazioni.
2.1.3. Il piano attuativo, si aggiunge, è strumento operativo che concretizza nel dettaglio la previsione programmatoria di massima dettata dal PRG, indicando anche l'elenco dei documenti previsto dal L.R. Lazio n. 72 del 1975 di cui i piani attuativi devono essere composti, documentazione che sarebbe stata esaminata e ritenuta meritevole di approvazione da parte della Reg. Lazio in regime di vigenza del PTP. Sul punto, in ricorso si censura quanto affermato a pag. 8 del decreto di sequestro (v. pag. 10 ricorso), affermando che i piani attuativi, tra cui rientrano i piani di lottizzazione, non sarebbero finalizzati ad introdurre nuove pianificazioni, poichè diversamente si configurerebbero come varianti al PRG, ma solo a concretizzare sul territorio ed in modo particolareggiato quanto previsto dal PRG medesimo; la loro funzione, non essendo urbanisticamente innovativa, avrebbe anche trovato una semplificazione procedimentale con la L. n. 106 del 2011 che ne prevede l'approvazione da parte della Giunta comunale ove conformi allo strumento urbanistico generale.
2.1.4. Ancora, si puntualizza in ricorso, lo stesso D.P.R. n. 380 del 2001 all'art. 22, comma 3 consente la realizzazione mediante semplice DIA di interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica "qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi negoziali aventi valore di piano attuativo che contengono precise disposizioni plano volumetriche, tipologiche, formali e costruttive" e, si sottolinea, a pag. 3 della Convenzione urbanistica regolante la lottizzazione in questione vi sarebbe conferma del fatto che si rientrerebbe proprio nell'ipotesi in questione.
2.1.5. Non convincerebbe, poi, secondo la ricorrente, l'affermazione contenuta nell'ordinanza impugnata secondo cui il lotto di terreno in questione risulterebbe soggetto a vincolo prescrittivo per le aree boscate secondo quanto emerge dalla TAV. B 19 del PTPR. Tale affermazione sarebbe smentita da due perizie in atti, solo richiamate in nota al ricorso (ma di cui si sconosce il contenuto), oltre dalla circostanza che il piano di lottizzazione in questione, in quanto approvato nel 2004, ossia in data antecedente all'adozione e pubblicazione del PTPR del febbraio 2008, non avrebbe dovuto essere confrontato con il PTPR ma con le tavole grafiche allegate al PTP vigente all'epoca dell'adozione ed approvazione del piano attuativo, confronto che, si sostiene in ricorso, avrebbe consentito di accertare l'assenza di queste aree boscate in quanto alla pag. 57 del BUR Lazio n. 13 del 10 maggio 1997 di approvazione del predetto PRG risulterebbe la descrizione ed individuazione delle aree boscate sul territorio di canale (OMISSIS), in cui non sarebbe menzionata nè individuata la zona del piano di lottizzazione (OMISSIS) quale area boscata.
2.1.6. In definitiva, dunque, la norma di tutela ambientale che fa salvi i piani attuativi approvati nell'arco temporale intercorrente tra l'approvazione del PTP e l'adozione del PTPR dissiperebbe ogni dubbio in ordine alla illegittimità del permesso di costruire n. 2 del 2013, il quale sarebbe stato sostituibile da una DIA sin dalla sottoscrizione e registrazione della convenzione urbanistica nel 2005, in base al richiamato D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22.
2.1.7. Non rileverebbe, infine, la circostanza della mancanza del rinnovo del n.o. idrogeologico ottenuto nel 2007, ma scaduto perchè nel triennio di validità non sarebbe stato dato inizio ai lavori di costruzione del villino assentito; tale affermazione, secondo la ricorrente, non terrebbe conto del fatto che detto n.o. di fattibilità è costitutivo dell'atto appropriativo del piano di lottizzazione (OMISSIS), riconosciuto conforme alle norme del PTP all'epoca vigente e già sottoposto alle verifiche di merito atte ad impedire interventi di illegittima trasformazione del territorio;
inoltre, secondo la tesi difensiva, detti n.o. si prolungano automaticamente fino alla conclusione dei lavori, sicchè per il villino in questione si sarebbe trattato della rinnovazione del medesimo procedimento amministrativo, a suo tempo conclusosi positivamente, attivabile in qualsiasi momento non essendo stato modificato l'ingombro piano-volumetrico dell'immobile e la sua conformità con il piano attuativo di riferimento. A tal proposito, si richiama un provvedimento del dipartimento territorio della Regione Lazio del 19 marzo 2007 n. 22535/25/06 che, con riferimento al n.o. idrogeologico rilasciato precedentemente con provvedimento B0193 del 31 gennaio 2006 e relativo alle opere di urbanizzazione nelle località in questione, non avrebbe rilevato motivi ostativi alle singole edificazioni, rientranti del piano di lottizzazione, a condizione che fossero tassativamente rispettate le prescrizioni contenute nella determinazione regionale in questione.
3. Deducono, il C. e la CA., con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. c) per violazione di legge in relazione agli artt. 321 c.p.p. e segg., non sussistendo il fumus dei reati ipotizzati.
In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per aver i giudici del riesame motivato in ordine alla sussistenza del fumus optando per il criterio dell'astratta configurabilità del reato ipotizzato; ciò contrasterebbe con le norme costituzionali di cui agli artt. 27 e 111 Cost., dovendosi, invece, richiedere al giudice la necessità di valutare la configurabilità in concreto del reato per emettere un sequestro preventivo, non potendosi prescindere da un confronto dialettico sufficientemente completo delle ragioni difensive; l'ordinanza, in sostanza, sarebbe strutturata in modo "unidirezionale" ed "acritico" a favore della tesi della pubblica accusa, in violazione delle regole di giudizio dettate dalla Corte di Cassazione; in particolare, si osserva, i giudici ove avessero proceduto ad una valutazione piena, non avrebbero potuto non rilevare l'insussistenza della zona boschiva; sarebbe, dunque, necessario un nuovo riesame condotto con l'osservanza delle richiamate disposizioni processuali.
3.1. Deducono, il C. e la CA., con il secondo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) per violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, nonchè per violazione del principio di stretta legalità di cui all'art. 1 c.p. e art. 25 Cost..
In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per aver i giudici del riesame ritenuto erroneamente applicabili le fattispecie penali ipotizzate al caso dell'intervento edilizio eseguito con "permesso illegittimo", in quanto le due fattispecie in esame - riferendosi, la prima, all'esecuzione di lavori in zona vincolata "in totale difformità o in assenza del permesso" e, la seconda, alla esecuzione di opere "senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa" -, non sarebbero suscettibili estensione analogica al caso dell'esecuzione di interventi con permesso illegittimo in quanto oggetto di "disapplicazione", sicchè ove il titolo esista, come nel caso in esame, a prescindere o meno dalla sua illegittimità, nè il reato urbanistico nè quello paesaggistico sarebbero configurabili.
3.2. Deducono, il C. e la CA., con il terzo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) per violazione di legge in relazione all'art. 43 c.p., per difetto dell'elemento psicologico dei reati ipotizzati suo capi g) ed h). In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza per aver i giudici del riesame erroneamente escluso la configurabilità "ictu oculi" dell'elemento soggettivo in capo ai due indagati, non ritenendo che gli stessi versassero in una situazione di buona fede; si censura, in particolare, il passaggio argomentativo dell'ordinanza in cui i giudici di merito affermano che i due indagati sarebbero stati ben consci delle problematiche relative ai permessi di costruire, con ciò escludendosi la loro buona fede; tale affermazione non sarebbe condivisibile, a giudizio dei ricorrenti, in quanto gli stessi, soggetti estranei all'amministrazione comunale, hanno in realtà esperito tutti gli strumenti previsti dall'ordinamento (ricorso al TAR sulla qualificazione come zona boschiva allo stato pendente), ottenendo soddisfazione delle loro ragioni con il rilascio del p.d.c. in data 17 gennaio 2013; difetterebbe, dunque, quel minimo contenuto di colpa nelle loro condotte, essendo gli stessi interiormente convinti della regolarità del p.d.c. rilasciato e della correttezza di tutti i relativi presupposti a carattere urbanistico e ambientale; non sarebbe, quindi, corretta la soluzione del tribunale del riesame nell'escludere la buona fede, in quanto ciò significherebbe affermare che il privato che ottenga ragione da parte della PA sia in potenziale stato di mala fede qualora altra autorità contesti le conclusioni dell'autorità amministrativa; per il principio di non contraddizione, non può ammettersi colpa laddove il soggetto si muove nel solco di ciò che l'ordinamento giuridico gli consente, onde l'illegittimità della conclusione cui è pervenuto il tribunale sul punto.
4. Con note illustrative del secondo e terzo motivo di ricorso, depositate all'udienza camerale del 18/12/2014, l'Avv. Sereni A. ha chiesto a questa Corte sollevarsi questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), per violazione dell'art. 3 Cost., comma 1, art. 25 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., comma 1.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. I ricorso sono fondati per le ragioni di cui si dirà oltre.
6. Seguendo l'ordine sistematico imposto dalla struttura dell'impugnazione di legittimità, vanno esaminate le doglianze proposte dalla ricorrente R. che, sul punto, prospetta la violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), sotto il profilo del fumus.
Il tribunale, come emerge dall'impugnata ordinanza, ha motivato sulla configurabilità del reato in esame osservando come dagli e, segnatamente, dalla consulenza tecnica del PM, risultasse che l'area in questione fosse soggetta a vincolo idrogeologico e che le determine regionali, con cui più volte il Comune era stato sollecitato a revocare le delibere, erano illegittime e contrarie agli strumenti urbanistici adottati. Illegittimi erano, poi, i permessi di costruire rilasciati il 17 gennaio 2013, perchè carenti della preventiva acquisizione dei nulla osta da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico e del nulla osta idrogeologico (scaduto nel 2007), evidenziando che già prima del 2007 il responsabile del procedimento aveva rappresentato la presenza dei vincoli e la necessità del rilascio dei nulla osta.
La difesa, con l'articolato ricorso, sviluppa una serie di censure con cui deduce, in sostanza, che l'autorità giudiziaria avrebbe posto in essere violazioni di legge sostanziale, sia penale che extrapenale,, in realtà mostrando di non condividere il percorso argomentativo del tribunale del riesame; in altri termini, sotto l'apparente censura di violazione di legge, la difesa si riduce a contestare la soluzione offerta dia tribunale del riesame sulla base degli elementi in atti, dimenticando che il compito del tribunale del riesame è quello di valutare l'astratta configurabilità del reato ipotizzato (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996 - dep. 29/01/1997, Bassi e altri, Rv. 206657), dovendosi altresì puntualizzare - in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 2^, n. 12906 del 14/02/2007 - dep. 29/03/2007, P.M. in proc. Mazreku, Rv. 236386) - che il tribunale del riesame deve limitare l'esame alla verifica della corrispondenza tra il fatto per il quale si procede e la fattispecie criminosa, e non può estenderlo alle valutazioni di merito circa la fondatezza degli elementi di fatto addotti dall'accusa. Ne discende, dunque, che le censure difensive - fondate sulla pretesa legittimità della procedura seguita per il rilascio dei permessi di costruire da parte dell'Amministrazione comunale - presuppongono, oltre che l'esame degli elementi fattuali, una valutazione che esula dalla "cognitio" del tribunale del riesame, che solo ove la configurabilità del reato appaia "manifestamente impossibile" è tenuto a revocare la misura.
Sul punto, infatti, questa Corte ha già chiarito che in tema di riesame dei decreti di sequestro preventivo, non è ipotizzabile una "piena cognitio" del tribunale della libertà, cui è conferita esclusivamente la cognizione in ordine alla legittimità dell'esercizio della funzione attribuita alla misura coercitiva reale e, quindi, al perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri delle cautele reali, con l'assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, un potere riservato al giudice del procedimento principale. E ciò perchè, in caso contrario, verrebbe surrettiziamente utilizzata la procedura incidentale - implicante una "cognitio piena" sulle modalità di esercizio di un potere strumentale - in un preventivo accertamento del "meritum causae", così determinando una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell'ambito di uno stesso procedimento; per dì più in un sistema in cui alla potenziale conflittualità dei "decisa" non corrisponde un criterio in grado di comporre le conseguenti inevitabili antinomie. Ma, se un tale potere non può essere attribuito al giudice del riesame - e, quindi, pure in sede di sindacato di legittimità - quando si contesti la sussistenza dei presupposti di fatto dell'imputazione per farne derivare conseguenze solo indirettamente legate alla cautela su cui in via esclusiva deve incentrarsi il controllo del giudice del procedimento incidentale, perchè aventi come effettivo oggetto la procedura principale, un simile controllo non può essere sottratto a tale giudice quando l'addebito che ha determinato l'utilizzazione della cautela sia così difforme dall'ipotesi di reato astrattamente ipotizzata da incidere, deviandola, sulla stessa funzione della misura. Ne consegue che l'unico potere che sul "meritum causae" il giudice del riesame è abilitato ad esercitare si riferisce al raffronto tra fattispecie astratta (legale) e fattispecie concreta (reale), così da imporre il suo potere demolitorio nei soli casi in cui tale difformità sia rilevabile "ictu oculi" e da impedire alla misura di perseguire il suo fine tipico mai in grado comunque di essere realizzato, proprio per essere risultata impossibile, anche in ipotesi, ed indipendentemente dalla natura "rebus sic stantibus" della verifica, quanto addebitato all'inquisito. Di conseguenza, solo nel caso in cui la configurabilità del reato appaia manifestamente impossibile il giudice del riesame è tenuto a revocare la misura (Sez. 6^, n. 316 del 04/02/1993 - dep. 07/04/1993, Francesconi, Rv. 193854; Sez. 6^, n. 2159 del 07/07/1993 - dep. 07/09/1993, Massa, Rv. 195679).
Ne consegue, pertanto, che - anche alla luce dell'autorevole arresto delle Sezioni Unite Midolini (Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 - dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327), secondo cui la verifica sulle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte della Cassazione non può risolversi in anticipata decisione della questione di merito definitiva bensì deve limitarsi al controllo delle compatibilità fra fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una delibazione prioritaria dell'antigiuridicità penale del fatto - è preclusa a questa Corte, proprio per la natura incidentale dell'intervento di legittimità in sede cautelare, una valutazione di fatto circa la "regolarità" della procedura seguita dall'Amministrazione comunale per il rilascio dei permessi di costruire considerati illegittimi. Tale soluzione, del resto, è imposta dalla considerazione, già svolta in precedenti pronunce di questa Corte, secondo cui in materia urbanistica, qualora venga realizzata un'opera sulla base di una concessione edilizia illegittima, l'esame del giudice penale ha ad oggetto l'eventuale integrazione della relativa fattispecie penale (nella specie, il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), ed in questa operazione il sindacato sull'atto illegittimo ha carattere incidentale, trattandosi di un provvedimento che costituisce il presupposto dell'illecito penale, senza che si debba procedere alla disapplicazione dell'atto stesso. Pertanto, anche in presenza di una concessione edilizia illegittima, può essere disposto il sequestro preventivo del manufatto e, in sede di impugnazione della misura cautelare reale, l'accertamento della sussistenza del "fumus criminis" è limitato alla verifica della configurabilità, quale fattispecie astratta di reato, del fatto contestato, così come può essere desunto dalla imputazione, senza che sia possibile alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza dell'accusa ed alla probabilità di una pronunzia sfavorevole per l'indagato (Sez. 6^, n. 23255 del 17/02/2003 - dep. 27/05/2003, Marrone ed altri, Rv. 225674). Ne discenderebbe, quindi, l'inammissibilità del motivo di ricorso proposto che, tuttavia, per la ragioni che si indicheranno nei paragrafi che seguono, impongono l'adozione della declaratoria di annullamento dell'impugnata ordinanza.
7. Devono, quindi, essere esaminati i profili di doglianza proposti dai ricorrenti C. e CA., muovendo anzitutto dal primo motivo con cui si sollevano censure afferenti il fumus delicti.
Il primo motivo, peraltro, condivide con quello della ricorrente R., i medesimi profili di inammissibilità, atteso che la censura appare generica in quanto la difesa si limita a dolersi del fatto che il tribunale del riesame abbia acriticamente seguito la tesi della pubblica accusa applicando il criterio dell'astratta configurabilità del reato ipotizzato, senza tuttavia individuare specifici punti dell'ordinanza affetti dal vizio ipotizzato ex art. 325 c.p.p.; in realtà, dunque, la censura proposta, si risolve in una critica alle scelte argomentative, non consentita in sede di legittimità per l'impugnazione dell'ordinanze in materia cautelare reale, dove, com'è, noto, non sono proponibili doglianze che investono la motivazione, se non nei limitati casi di assenza od apparenza della motivazione. Va qui ancora una volta ricordato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in iudicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 - dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692; conf. S.U., 29 maggio 2008 n. 25933, Malgioglio, non massimata sul punto).
8. A diverso approdo deve pervenirsi con riferimento al secondo motivo di ricorso - con cui i ricorrenti deducono violazione di legge per aver il tribunale del riesame (e il PM, prima) illegittimamente esteso al permesso di costruire illegittimo le previsioni sanzionatorie del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), che si riferiscono alla "assenza" o "difformità" dal titolo abilitativo - nonchè, con riferimento al terzo motivo, attinente all'elemento soggettivo della buona fede.
9. Deve, infatti, unitamente all'esame dei predetti motivi, essere esaminata la questione di costituzionalità dedotta all'udienza odierna dall'Avv. Sereni che, sviluppando con attenzione i profili di doglianza sollevati con il già respinto secondo motivo di ricorso, sottopone a questa Corte interessanti elementi critici alla norma sanzionatoria.
In particolare, sostiene la difesa dei ricorrenti C. e Ca. che il tribunale del riesame, individuando l'illecito penale nella ritenuta illegittimità ex post del permesso di costruire rilasciato dal Comune, ha avallato la ricostruzione giuridica del PM che ha fatto rientrare la condotta degli indagati nella fattispecie penale di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), che invero, prevede l'irrogazione della pena dell'arresto fino a due anni e dell'ammenda da 15493 a 51645 euro, oltre che nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale "in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso".
Tale esegesi, risulterebbe contraria a Costituzione, per violazione del principio di stretta legalità, vigente in materia penale; ed invero, si osserva nella memoria depositata in data 18/12/2014, l'equiparazione interpretativa tra mancanza ab origine del p.d.c. e la sua presunta illegittimità, rilevata solo successivamente in sede penale, equiparerebbe situazioni del tutto differenti violando, per l'irragionevole accostamento di situazioni diverse, il principio di eguaglianza (art. 3 Cost., comma 1). Verrebbe, cioè, pregiudicata la possibilità per il soggetto di prevedere con ragionevole certezza il rischio penale derivante dalla sua azione, una volta che l'illiceità relativa dipendesse da un accertamento postumo che andasse a eliminare o inficiare a posteriori un p.d.c. rilasciato dall'autorità pubblica competente. Ogni, volta - si sostiene - diversamente opinando, il privato cittadino, pur in presenza di un riconoscimento pubblico del proprio interesse a costruire, dovrebbe regolare la sua azione su uno stato di costante incertezza circa la possibilità che l'A.G. penale possa in seguito revocare la situazione di stabilità determinata dal provvedimento amministrativo; il che, a stretto rigore, condurrebbe ad un rischio penale sempre pendente, mai eliminabile, che potrebbe iniquamente indurre a non sollevare mai davanti alla P.A. le ragioni del proprio dissenso in caso di controversa interpretazione della realtà, in attuazione di una c.d. ipercautela a carattere penalistico evidentemente incostituzionale. Ciò, si osserva, tanto più a fronte della normale complessità dei procedimenti amministrativi in questo campo, e dell'altrettanto normale intersezione di più competenze a monte dell'atto amministrativo ultimo, destinato al privato.
L'incertezza del rischio penale, nelle scelte d'azione, sarebbe a questo punto intollerabile, alla luce dell'intero quadro del rapporto democratico tra P.A. e cittadino immaginato dai Costituenti.
Ne conseguirebbe, dunque, la violazione del principio della responsabilità personale per fatto proprio colpevole (art. 27 Cost.) quando, in particolare, come nel caso in esame, il privato al di fuori di ogni collusione con i pubblici agenti (tant'è, si osserva, che non v'è alcuna contestazione in tal senso nel presente procedimento) si trovi appunto ad ottenere un p.d.c. successivamente "disapplicato" dall'A.G. penale.
Infine, si osserva, vi sarebbe la palese violazione del ricordato principio di stretta legalità per contrarietà al divieto di analogia in malam partem (art. 25 Cost.) perchè tale classe di fattispecie, ossia il p.d.c. rilasciato ma ritenuto illegittimo soltanto ex post, è assente nel testo di legge, trattandosi di classe concettualmente, e strutturalmente da un punto di vista semiotico, del tutto diversa rispetto alla classe di fatti espressamente prevista (assenza ex ante del permesso), di modo che la sua riconduzione nell'alveo della norma di legge equivale a tutti gli effetti a un riempimento di lacuna normativa in via analogica in malam partem.
10. La questione sollevata, seppure suggestiva, dev'essere disattesa alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata della fattispecie penale della cui legittimità si dubita.
Ed invero, osserva il Collegio, le prospettate censure di costituzionalità avrebbero base giuridica e fondatezza argomentativa ove la norma in esame fosse interpretata, così come prospettato dai ricorrenti, secondo una modalità esegetica di tipo meccanicistico, fondata sull'equazione permesso di costruire illegittimo - assenza di permesso di costruire, equazione, questa sì, che, ove condotta senza valutazione in concreto della vicenda processuale, si presterebbe alle critiche di costituzionalità come prospettate dai ricorrenti.
Deve, diversamente, osservarsi che l'esegesi corretta della norma sanzionatoria deve necessariamente condursi alla luce dei canoni interpretativi che qualsiasi giudice, sia esso di merito o di legittimità, deve seguire con riferimento a qualsiasi fattispecie penale di cui si ipotizzi la configurabilità e, dunque, nel caso di specie, valutando non solo la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato contestato ma anche di quello soggettivo.
Orbene, con riferimento al thema decidendum, la giurisprudenza di questa Corte ha già in passato puntualizzato che in caso di concessione edilizia "illegittima" il giudice penale non può disapplicare la concessione ed equiparare i lavori a quelli eseguiti in assenza di concessione ed integranti, pertanto, il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b). Tuttavia, si è precisato, le opere eseguite in base a concessione edilizia illegittima (per l'obbligo di conformità alle norme urbanistiche già introdotto con la L. n. 47 del 1985, art. 6), possono integrare il reato di cui alla lett. a): in tale caso, per la presunzione di legittimità degli atti amministrativi e per la esigenza di certezza dei rapporti giuridici che da essi derivano, deve escludersi l'elemento soggettivo della contravvenzione di cui all'art. 44, lett. a) quando la violazione della norma urbanistica, derivante da legge, da regolamento o da strumento urbanistico, non sia grossolana o macroscopica (v., ad es.: Sez. 3^, n. 2906 del 28/11/1997 - dep. 07/03/1998, Bortoluzzi M., Rv. 210460).
Con riferimento, poi, alla questione della concessione illegittima (oggi, del permesso di costruire illegittimo), si è chiarito deve ritenersi inesistente la concessione edilizia non riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, in quanto frutto dell'attività criminosa del soggetto pubblico che la rilascia o del soggetto privato che la ottiene, e per la sua disapplicazione non è necessaria la prova della collusione tra amministratore e soggetti interessati o l'accertamento dell'avvenuto inizio dell'azione penale a carico degli amministratori, sempre che risulti evidente un contrasto con norme imperative talmente grave da determinare non la mera illegittimità dell'atto, ma la illiceità del medesimo e la sua nullità (Sez. 3^, n. 38735 del 11/07/2003 - dep. 14/10/2003, Schrotter ed altri, Rv. 226576). Ciò si spiega ove si consideri che l'interesse protetto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, non è quello del rispetto delle prerogative della pubblica amministrazione nel controllo dell'attività edilizia e perciò della regolarità delle procedure di concessione, ma quello sostanziale della protezione del territorio in conformità alla normativa urbanistica, perciò non si pone un problema di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo, quanto di controllo della legittimità di un atto amministrativo che costituisce un elemento costitutivo o un presupposto del reato. La qualificazione dell'illecito in una delle ipotesi previste dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), b) o c), dipende dal grado di aggressione del bene e, perciò, si è ritenuto ammissibile da parte di questa Corte il sequestro preventivo di una costruzione abusiva pur in presenza di una concessione edilizia purchè si evidenzi la macroscopicità della violazione dell'interesse sostanziale protetto e, inoltre, l'esistenza di comportamenti contrari al principio del "neminem ledere" inducano ad escludere la possibilità di riferire l'attività edilizia posta in essere in base alla concessione alla sfera del lecito giuridico (Sez. 3^, n. 1756 del 12/05/1995 - dep. 30/06/1995, Di Pasquale, Rv. 202077; v. anche, Sez. 3^, n. 1708 del 13/11/2002 - dep. 16/01/2003, PM in proc. Pezzella, Rv. 223475).
11. Dall'esegesi operata dalla giurisprudenza di questa Corte, dunque, emerge un dato interpretativo indiscutibile. Al fine della qualificazione del fatto come integrante l'ipotesi di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), non è sufficiente la mera illegittimità del permesso di costruire ma è necessaria la macroscopica illegittimità di tale atto amministrativo che lo qualifichi in termini di illiceità.
A sostegno di tale esegesi, si noti, milita anche quella giurisprudenza che ha escluso la configurabilità del reato in esame quando la concessione rilasciata prima dell'inizio dei lavori sia soltanto illegittima ma, non illecita (Sez. 3^, n. 3459 del 23/12/1994 - dep. 23/01/1995, De Nobili, Rv. 201225, relativa a fattispecie, sostanzialmente analoga a quella esaminata, in cui la Corte ha annullato senza rinvio l'ordinanza impugnata ed il decreto di sequestro preventivo poichè la sussistenza del "fumus" del reato era stata affermata in virtù della ritenuta equivalenza tra l'ipotesi edittale di esecuzione dei lavori in assenza di concessione e quella, ravvisata nella specie, di esecuzione dei lavori in forza di concessione che si stimava illegittima). Si tratta, del resto, di interpretazione che ha ricevuto l'autorevole avallo delle Sezioni Unite che, sul punto, ebbero ad affermare, vigente la pregressa disciplina dettata dalla L. n. 10 del 1977, che il reato di costruzione in assenza della concessione - all'epoca previsto dalla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 17, lett. B), - non è configurabile nel caso che la concessione rilasciata prima dello inizio dei lavori sia illegittima. Si verte invece in ipotesi di assenza dell'atto - puntualizzarono le Sezioni Unite - non solo quando l'atto in questione sia stato emesso da organo assolutamente privo del potere di provvedere, ma anche qualora il provvedimento sia frutto di attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia o del soggetto privato che lo consegue e, quindi non sia riferibile oggettivamente alla sfera del lecito giuridico, oltre la quale non è dato operare ai pubblici poteri (Sez. U, n. 3 del 31/01/1987 - dep. 17/02/1987, Giordano, Rv. 175115; v., in senso conforme, nella giurisprudenza successiva: Sez. 6^, n. 2941 del 18/12/1985 - dep. 04/03/1988, Caponetti, Rv. 177803; Sez. 6^, n. 3392 del 08/11/1988 - dep. 02/03/1989, Borgogno, Rv. 180693; Sez. 3^, n. 10141 del 20/09/1988 - dep. 11/07/1989, Dallanegra, Rv. 181796; Sez. 3^, n. 2693 del 07/01/1991 - dep. 01/03/1991, Sertorelli, Rv. 186505).
La definitiva conferma, infine, della necessità di distinguere tra permesso di costruire meramente illegittimo (di per sè inidoneo ad integrare la fattispecie de qua) e permesso di costruire illecito (che consente, invece, di operare l'equiparazione con il p.d.c. assente), è ben espressa da quella decisione che, sul punto, ebbe ad affermare che la disposizione di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, lett. c) (oggi, D.P.R. n. 380 del 2001) postula che le opere siano realizzate in assenza di concessione: pertanto a fronte di provvedimento formale in tal senso la configurabilità del relativo reato è esclusa anche se il suddetto atto concessorio risulti illegittimo, purchè non inesistente, cioè sostanzialmente mancante.
Siffatta ultima situazione si verifica quando l'atto sia privo di uno dei suoi requisiti essenziali (forma, volontà, contenuto) oppure provenga da organo assolutamente privo del potere di adottarlo od infine sia frutto di attività criminosa del soggetto titolare del potere: quando invece si discuta unicamente di vizi del procedimento che ha preceduto il provvedimento e perciò delle modalità di esercizio del potere della P.A., il difetto non ottiene all'esistenza dell'atto finale, ma alla legittimità del complessivo comportamento tenuto dall'autorità (Sez. 6^, n. 2378 del 27/06/1995 - dep. 31/08/1995, P.M. e Barillaro ed altro, Rv. 202581, relativa a fattispecie nella quale il disboscamento di un'area per la costruzione di una discarica era avvenuto in presenza di provvedimento dell'Ente Provinciale di approvazione di un determinato progetto esecutivo, provvedimento equiparato alla concessione, ma illegittimo perchè adottato al termine di procedura nella quale non erano stati richiesti pareri obbligatori della Regione. In tale situazione, poichè d'altro canto era stata esclusa ogni ipotesi di abuso di ufficio negli atti della P.A., la Corte di Cassazione ha ritenuto che correttamente i Giudici di merito avessero affermato la non configurabilità del reato di esecuzione di opere senza concessione).
12. Ed allora, conclusivamente, le prospettate censure di costituzionalità della fattispecie penale ipotizzata, per asserito contrasto con l'art. 3 Cost., comma 1, art. 25 Cost., comma 2 e art. 27 Cost., comma 1, si appalesano infondate, atteso che i paventati rischi di violazione del principio di eguaglianza dovuti all'equiparazione interpretativa tra mancanza ab origine del p.d.c. e la sua postuma (ove accertata) illegittimità, come quello di violazione del principio della responsabilità penale per fatto proprio "colpevole" (che renderebbe punibile il contravventore per l'assenza di collusione con i pubblici ufficiali) come, infine, quello della violazione del divieto di analogia in malam partem per l'assenza di una tale equiparazione del testo normativo, sono, all'evidenza, infondati ove si interpreti la norma - come già questa Corte più volte ha avuto modo di chiarire - nel senso che non la mera illegittimità ma l'illiceità del permesso di costruire (che, evidentemente, comporta la sussistenza di un coefficiente psicologico incompatibile con la c.d. buona fede) si appalesa idonea a integrare l'astratta fattispecie penale ipotizzata.
13. Alla luce della considerazioni che precedono, si appalesano quindi meritevoli di accoglimento il secondo ed il terzo motivo di ricorso, con conseguente annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata al tribunale del riesame in diversa composizione, che dovrà rivalutare la questione della configurabilità dell'ipotizzata fattispecie penale di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), (e, correlativamente, di quella paesaggistica) alla luce dei principi affermati da questa Corte sia per quanto concerne la qualificazione del permesso di costruire come illecito sia per quanto concerne la valutazione della componente soggettiva dei ricorrenti, con particolare riferimento alla prospettata buona fede degli stessi, in assenza - come sembrerebbe dagli atti trasmessi a questa Corte - di elementi da cui emerga un'ipotesi collusiva con i pubblici amministratori.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di ROMA. Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2014.