Il punto sulla miscelazione di rifiuti

di Stefano MAGLIA e Paolo PIPERE

Pubblicato su TuttoAmbiente.it. Si ringraziano gli Autori ed Editore

Premessa

La miscelazione dei rifiuti può essere identificata, sebbene manchi una definizione in senso stretto sia a livello europeo che a livello nazionale all’interno del D.L.vo 152/2006, come l'operazione consistente nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi in modo da dare origine ad una miscela per la quale invece non esiste uno specifico codice identificativo 1 .

Nonostante la miscelazione spesso sia guardata con sospetto, poiché in qualche caso può nascondere operazioni illecite o al limite della legalità, in realtà è in sé un trattamento che in molte circostanze consente di sfruttare al meglio le risorse impiantistiche già presenti, l’utilizzo delle superfici di stoccaggio e di ottimizzare il conferimento finale, garantendo così il rispetto dei criteri di priorità nella gestione dei rifiuti e migliorando la prestazione ambientale complessiva dell’impianto che la effettua, anche alla luce del minor inquinamento atmosferico derivante della conseguente riduzione dei mezzi di trasporto utilizzati 2 .

1. Il divieto di miscelazione

Dalla lettura dell’art. 187 3 D.L.vo 152/2006 (che disciplina, giustappunto, l’attività di miscelazione), risulta che la miscelazione - in sé - è ammissibile e il divieto deve intendersi circoscritto alla miscelazione di rifiuti pericolosi con differenti caratteristiche di pericolosità e alla miscelazione di rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. Di conseguenza, dovrebbe intendersi consentita, oltre che la miscelazione tra rifiuti non pericolosi, anche quella tra rifiuti pericolosi aventi le medesime caratteristiche di pericolosità.

In ogni caso, anche nell’ipotesi sottoposta a divieto, il Legislatore ha previsto specifica deroga ammettendo che tale pratica possa essere sottoposta adautorizzazione ex artt. 208, 209 e 211, D.L.vo 152/2006, purché - ai sensi del comma 2 del medesimo articolo - essa non comporti un impatto negativo sulla salute umana e sull’ambiente e sia conforme alle migliori tecniche disponibili 4 .

Sul punto si segnala la sentenza n. 75 del 12 aprile 2017 della Corte Costituzionale 5 , alla luce della quale nessun tipo di operazione di miscelazione potrebbe essere oggi lecitamente svolta in assenza di autorizzazione 6 . Prima di tale pronuncia, le miscelazioni lecite tout court (cioè non espressamente vietate) erano, invece, da considerarsi legittime senza necessità di autorizzazione proprio per le finalità di cui abbiamo scritto sopra.

Per completezza di trattazione, per quanto concerne l’aspetto sanzionatorio, si segnala che l’ art. 256, co. 5, del D.L.vo 152/2006 prevede che “ Chiunque, in violazione del divieto di cui all’articolo 187, effettua attività non consentite di miscelazione di rifiuti, è punito con la pena di cui al comma 1, lettera b , perciò all'arresto da sei mesi a due anni e all'ammenda da duemilaseicento euro a ventiseimila euro.

2. Miscelazione in deroga: le principali criticità

Per quanto concerne, in particolare, la miscelazione “in deroga” è sottinteso che sussista un’evidente e legittima discrezionalità 7 da parte della P.A. nell’autorizzare o meno tale attività, ma ovviamente tale discrezionalità non può sfociare nell’arbitrio o essere contraria ai principi della fattibilità tecnica ed economica 8 .

E’ pertanto utile cercare di fare chiarezza su alcuni dei punti più critici della normativa in oggetto, partendo dalla recente sentenza n. 15305 del 19 maggio 2020 con la quale la Cassazione Penale ha precisato che: “La miscelazione di rifiuti, operazione vietata dall’art. 187 del d.lgs. n. 152 del 2006, consiste nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi, in modo da dare origine ad una miscela per la quale non è previsto uno specifico codice identificativo . (Nel caso di specie, presso la società imputata erano presenti rifiuti di tipologia diversa, con codici identificativi differenti, come imballaggi in plastica, in legno, pneumatici, metallo ferrosi e non, miscelati con rifiuti di diversa natura e, pertanto, è stato ritenuto immune da censure l'inquadramento del fatto nello schema del reato previsto dall'art. 256 comma 5 del D.L.vo n. 152/2006).”

In tal senso, si veda anche Corte di Cassazione Penale, Sez. III, n. 19333 del 8 maggio 2009 : “La miscelazione potrebbe essere definita come l’operazione consistente nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi in modo da dare origine ad una miscela per la quale invece non esiste uno specifico codice identificativo .”

Nel momento in cui un impianto riceva rifiuti con codici CER diversi per sottoporli a un’attività di miscelazione, quali altre criticità o dubbi potrebbero emergere?

In primo luogo, l’impianto può individuare più punti di accorpamento/raggruppamento dei rifiuti da sottoporre a lavorazione in più aree predefinite e non necessariamente in un’unica zona?

A prescindere dal fatto che tale opzione sia quasi sempre prevista nelle autorizzazioni degli impianti, ciò sarebbe da ritenersi comunque ammissibile purché, ovviamente, in caso di verifica da parte degli Enti di controllo, sia garantita in ogni momento la trasparenza e la tracciabilità dei rifiuti e si sia in grado di dimostrare la loro origine/provenienza .

Tuttavia, se si tratta di impianti autorizzati in AIA, non si può non tener conto di quanto disposto a livello comunitario dalla Direttiva 2008/98/CE in ordine al fatto che le deroghe al divieto di miscelazione devono conformarsi alle migliori tecniche disponibili (BAT)9 .

In merito, si segnalano, peraltro, il Considerando (43) della Direttiva 2008/98/CE ( Per chiarire le modalità di applicazione del divieto di miscelazione di cui alla direttiva 91/689/CEE e per proteggere l’ambiente e la salute umana , le deroghe al suddetto divieto dovrebbero in aggiunta conformarsi alle migliori tecniche disponibili ai sensi della direttiva 96/61/CE. La direttiva 91/689/CEE dovrebbe essere conseguentemente abrogata.”) e l’art. 18 della Direttiva 2008/98/CE, così come modificato dalla Direttiva (UE) 2018/851 ( “ 1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che i rifiuti pericolosi non siano miscelati con altre categorie di rifiuti pericolosi o con altri rifiuti, sostanze o materiali. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.

2. In deroga al paragrafo 1, gli Stati membri possono permettere la miscelazione a condizione che:

a) l’operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un’impresa che ha ottenuto un’autorizzazione a norma dell’articolo 23;

b) le disposizioni dell’articolo 13 siano ottemperate e l’impatto negativo della gestione dei rifiuti

sulla salute umana e sull’ambiente non risulti accresciuto; e

c) l’operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili.

3. Qualora i rifiuti pericolosi siano stati illegalmente miscelati in violazione del presente articolo, gli

Stati membri provvedono affinché, fatto salvo l'articolo 36, si proceda alla separazione ove tecnicamente fattibile e necessario per soddisfare l'articolo 13. Se non è richiesta la separazione in conformità del primo comma del presente paragrafo, gli Stati membri provvedono affinché i rifiuti miscelati siano trattati in un impianto che abbia ottenuto un'autorizzazione a norma dell'articolo 23 per trattare una siffatta miscela.”).

In secondo luogo, è previsto un limite temporale per cui i rifiuti debbano essere tenuti prima e dopo la miscelazione presso un impianto di trattamento?

A riguardo, si segnala che non è presente alcuna norma che definisca termini in tal senso.

Invece, a proposito di origine e tracciabilità, è necessario identificare il destino o, addirittura, comunicare i nominativi degli impianti finali cui verranno inviati i rifiuti?

Sul punto, si ritiene che una prescrizione che preveda esplicitamente di specificare il destino finale del rifiuto, in termini di tipologia di impianto di trattamento, possa risultare coerente con la ratio e le prescrizioni delle norme in materia di corretta gestione dei rifiuti, mentre non si ritiene legittima, in quanto contraria al principio della fattibilità tecnica ed economica, la richiesta di comunicare preliminarmente i nominativi degli specifici impianti di trattamento finale, anche in considerazione – ovviamente – del fatto che tali destinazioni potrebbero mutare nel tempo a fronte di una autorizzazione dalla durata pluriennale.

Tutto ciò premesso, si ribadisce che è di tutta evidenza che dovrà essere sempre e comunque garantita la completa tracciabilità, sia a valle che a monte, del flusso dei rifiuti trattati nell’impianto. Si segnalano al riguardo anche le indicazioni contenute nelle recenti linee guida SNPA sulla classificazione dei rifiuti.

1 Così Corte di Cassazione Penale, Sez. III, n. 19333 del 8 maggio 2009 : “La miscelazione potrebbe essere definita come l’operazione consistente nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi in modo da dare origine ad una miscela per la quale invece non esiste uno specifico codice identificativo.”

Cass. Pen., sez. III, sent. n. 4976 del 1° febbraio 2019: “La miscelazione dei rifiuti può essere definita come l’operazione consistente nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi in modo da dare origine ad una miscela per la quale invece non esiste uno specifico codice identificativo.”

Ed ancora, Cass. Pen. Sent. Sez. III, sent. n. 15305 del 19 maggio 2020: “La miscelazione di rifiuti, operazione vietata dall’art. 187 del d.lgs. n. 152 del 2006, consiste nella mescolanza, volontaria o involontaria, di due o più tipi di rifiuti aventi codici identificativi diversi, in modo da dare origine ad una miscela per la quale non è previsto uno specifico codice identificativo.”

2 S.MAGLIA, I limiti alla miscelazione dei rifiuti, articolo consultabile sul sito www.tuttoambiente.it

3 Art. 187 (“Divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi”):

1. E' vietato miscelare rifiuti pericolosi aventi differenti caratteristiche di pericolosità ovvero rifiuti pericolosi con rifiuti non pericolosi. La miscelazione comprende la diluizione di sostanze pericolose.

2. In deroga al comma 1, la miscelazione dei rifiuti pericolosi che non presentino la stessa caratteristica di pericolosità, tra loro o con altri rifiuti, sostanze o materiali, può essere autorizzata ai sensi degli articoli 208, 209 e 211 a condizione che:

a) siano rispettate le condizioni di cui all'articolo 177, comma 4, e l'impatto negativo della gestione dei rifiuti sulla salute umana e sull'ambiente non risulti accresciuto;

b) l'operazione di miscelazione sia effettuata da un ente o da un'impresa che ha ottenuto un'autorizzazione ai sensi degli articoli 208, 209 e 211;

c) l'operazione di miscelazione sia conforme alle migliori tecniche disponibili di cui all'articoli 183, comma 1, lettera nn).

2-bis. Gli effetti delle autorizzazioni in essere relative all'esercizio degli impianti di recupero o di smaltimento di rifiuti che prevedono la miscelazione di rifiuti speciali, consentita ai sensi del presente articolo e dell'allegato G alla parte quarta del presente decreto, nei testi vigenti prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205, restano in vigore fino alla revisione delle autorizzazioni medesime.

3. Fatta salva l'applicazione delle sanzioni specifiche ed in particolare di quelle di cui all'articolo 256, comma 5, chiunque viola il divieto di cui al comma 1 è tenuto a procedere a proprie spese alla separazione dei rifiuti miscelati, qualora sia tecnicamente ed economicamente possibile e nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 177, comma 4.

3-bis. Le miscelazioni non vietate in base al presente articolo non sono sottoposte ad autorizzazione e, anche se effettuate da enti

o imprese autorizzati ai sensi degli articoli 208, 209 e 211, non possono essere sottoposte a prescrizioni o limitazioni diverse od ulteriori rispetto a quelle previste per legge.”

4 S.MAGLIA, Miscelazione di rifiuti: è obbligatoria l’autorizzazione?, articolo consultabile sul sito www.tuttoambiente.it

5 Sentenza Corte Costituzionale, n. 75 del 12 aprile 2017: “In base alla direttiva n. 2008/98/CE, dunque, esistono miscelazioni vietate (art. 18, paragrafo 1), ma autorizzabili in deroga (art. 18, paragrafo 2), e miscelazioni non vietate (non in deroga), ma comunque soggette ad autorizzazione in quanto rientranti tra le operazioni di trattamento dei rifiuti (art. 23). […] Prima dell’entrata in vigore della disposizione impugnata, il diritto interno era conforme alla normativa europea (si vedano gli artt. 187 e 208 del D.L.vo n. 152 del 2006). L’art. 49 della legge n. 221 del 2015 , invece, liberalizzando le miscelazioni non vietate dall’art. 187, comma 1, del D.L.vo n. 152 del 2006, cioè sottraendo ad autorizzazione la miscelazione di rifiuti pericolosi aventi le stesse caratteristiche di pericolosità (elencate nell’Allegato I alla Parte IV del codice dell’ambiente) e quella fra rifiuti non pericolosi, si pone in contrasto con l’art. 23, paragrafo 1, della direttiva.” Il risultato è stata la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma - ossia l’art. 49 della L. 28 dicembre 2015, n. 221 - che ha introdotto il comma 3-bis all’art. 187, D.L.vo 152/2006, per violazione degli artt. 117, commi 1 e 3, e dell’art. 118, comma 1 della Costituzione italiana.

6 Si vedano: S. MAGLIA, La gestione dei rifiuti dalla A alla Z, Ed. TuttoAmbiente

S. MAGLIA, P. PIPERE, L. PRATI, L. BENEDUSI, Gestione ambientale, Ed. TuttoAmbiente

7 S.MAGLIA, Prescrizioni ambientali: qual è il limite discrezionale della P.A.?, articolo consultabile sul sito www.tuttoambiente.it

8 Considerando (31) della Direttiva 2008/98/CE: “La gerarchia dei rifiuti stabilisce in generale un ordine di priorità di ciò che costituisce la migliore opzione ambientale nella normativa e politica dei rifiuti, tuttavia discostarsene può essere necessario per flussi di rifiuti specifici quando è giustificato da motivi, tra l’altro, di fattibilità tecnica, praticabilità economica e protezione dell’ambiente .”

Sul tema si vedano anche:

- Cass Pen., Sez. III, sentenza n. 34517 del 14 luglio 2017: “L’ampiezza delle prescrizioni, sia quelle dell’autorizzazione che quelle altrimenti imposte, non può sconfinare nell’arbitrio , sicché ove la prescrizione non sia in alcun modo ricollegabile alle esigenze di precauzione e di controllo sottese all’investitura del potere di autorizzazione in capo all’amministrazione pubblica, il provvedimento sarà affetto da eccesso di potere ”.

- S.MAGLIA, Il principio della fattibilità tecnica ed economica alla luce dell’art. 178 D.lgs.152/2006, articolo consultabile sul sito www.tuttoambiente.it

9 Tale disposizione non è stata esplicitamente trasposta e recepita nel nostro ordinamento, ma, in forza del principio di gerarchia delle fonti, deve ritenersi prevalente.